Biscotti di Natale
{Buio}
Esco
velocemente dall'auto
scura abbassandomi la gonna, e non appena la vettura si allontana
respiro a pieni polmoni l'aria di neve della notte. Chissà
se quella
puzza di menta mi rimarrà addosso. In ogni caso mi cospargo
nuovamente di profumo, il mio preferito, da uomo, comprato con i
soldi di una nottata particolarmente proficua per il mio ultimo
compleanno.
Le
calze mi tirano. Nella fretta di uscire con tutto quello che avevo
addosso, le ho infilate storte. Sospiro e me le sistemo velocemente,
pregando che nessuno si accorga di me proprio nel momento in cui
esercito il peggior repertorio di smorfie e sbuffi che possiedo. Ma
cosa prego a fare? Chi
prego,
e per cosa? Se davvero lassù esistesse qualcuno, adesso mi
troverei
a casa, con i miei genitori, a festeggiare l'arrivo del nuovo anno,
no? Ergo: Dio, o come vogliate chiamarlo non esiste. Solo gli uomini
sono fautori del loro destino, loro e loro soltanto possono
promuovere la loro condanna; e la mia, quando è stata?
Quand'è che
ho sbagliato?
Sospiro, mi raddrizzo e
chiudo gli occhi.
«Ehi».
Una voce interrompe il
flusso dei miei pensieri. Ecco la vendetta divina. Giusto per
allietare ancora questa piacevole serata. Apro gli occhi, fremendo.
Mi volto.
Un'auto mastodontica, tanto
scura e lucida da confondersi con la notte, è ferma, ancora
col
motore acceso, davanti a me. Il suo guidatore mi osserva, divertito e
un po' incredulo, spenzolandosi dal finestrino abbassato, ma non
è
l'espressione che mi colpisce. È giovane. E bello. Molto
bello, di
un'avvenenza gradevole e molto particolare, che colpisce e salta
subito all'occhio. Non avrei mai osato sperare tanto; magari il nuovo
anno sarebbe cominciato bene, dopotutto.
«Sei occupata?» mi chiede
passandosi con attenzione la lingua sul labbro. Lo vedo indugiare un
momento sul piercing argentato che occhieggia come un invito troppo
aperto sulla sua bocca. Cosa dicevo, vendetta?
Sbarrate
le porte dell'inferno e chiudetemici dentro,
penso avvicinandomi.
«Per te posso diventarlo
presto» rispondo ostentando una malizia non troppo velata.
Seguo la corsa dei suoi
occhi lungo il mio corpo, mettendomi bene in posa per accentuare
quanto di più bello ho da offrire.
Quando il suo sguardo torna
al mio viso sembra soddisfatto.
«Quanto vuoi?» domanda.
«Sessan...». E che cazzo,
è l'Ultimo dell'anno! «Settanta».
Il ragazzo non fa un piega,
si fruga in tasca per qualche secondo e poi mi porge la somma
richiesta. La nascondo in una tasca segreta del reggiseno senza
fiatare. Mi aggiusto il giacchetto e faccio per aprire la portiera
del guidatore, ma il rasta mi ferma.
«Sali di là» e mi indica
il posto del passeggero. Scruto un momento l'incantevole viso del
ragazzo per capire se fa sul serio o se scherza: la sua espressione
è
impassibile. Sorpresa, mi affretto ad obbedire.
Non appena mi sistemo sul
sedile di pelle nera, stranamente a disagio, il ragazzo preme
sull'acceleratore e parte come un fulmine.
«Dove stiamo andando?»
chiedo con la voce velata di panico: il suo modo di guidare
è
terrorizzante, sfreccia senza paura accanto alle altre auto,
sollevando ogni volta un coro di protesta dei clacson, fa il pelo a
lampioni, case e persone, non rallenta nemmeno ai semafori. Neanche
se rossi. E non mi risponde.
Sudando freddo, mi chiedo se
sia il caso di mettersi la cintura quando, con una frenata da
“fronte-finestrino-bum”, il ragazzo inchioda di
colpo.
Mi guardo intorno. Siamo
circondati da palazzi tanto anonimi e grigi quanto alti, bidoni della
spazzatura mezzi scassati popolano gli angoli delle case; solo un
piccolo lembo di cielo stellato si intravede, soffocato
com'è da
tetti claustrofobici.
«Perché mi hai portato
qui?» domando, seccata. So di essere meno di niente, sono
consapevole di svendere me stessa per una miseria, ma ancora non
riesco a far tacere il mio orgoglio. Il giovane si volta,
fulminandomi con i suoi occhi nocciola carichi di prepotenza
«Io ho pagato, io detto le
condizioni» risponde con tono duro. Poi, senza aggiungere
altro, mi
prende per i fianchi, mi stende sul sedile, mi bacia il collo, mi
spoglia, si spoglia. Anche se i sedili sono incredibilmente scomodi,
anche se la luce è insufficiente e tutto appare confuso, non
posso
fare a meno di rimanere incantata dalla perfezione di quel corpo che
cerca il contatto col mio, da quelle mani così rudi che,
sfiorando
la mia pelle di fuoco, diventano gentili come piume, e da quel collo
così forte ed elegante, e da quelle spalle, e da quel petto,
e da
quei muscoli che si rilassano e si contraggono e si adattano
così
bene ai palmi delle mie mani. Tutto in lui sembra essere stato creato
per sfiorare la perfezione.
L'abitacolo diventa
insopportabilmente caldo, il vetro si appanna, l'auto scricchiola. Mi
sembra di essere ubriaca mentre mi aggrappo forte alle sue spalle,
per impedirgli di lasciarmi e di lasciarlo. Vorrei durasse in eterno,
perché stavolta provo solo piacere.
Invece, dopo poco,
decisamente troppo poco tempo, raggiungiamo entrambi l'orgasmo e,
sfiniti, ci accasciamo, ancora abbracciati, contro il volante. Avevo
dimenticato questa sensazione...
Ansimiamo. Tutto sudato, con
gli occhi chiusi e il petto che si alza e si abbassa ritmicamente, il
ragazzo rimane sempre ciò di più vicino a un dio
greco che abbia
mai visto. Per una volta vorrei illudermi di aver fatto l'amore, e
non semplice sesso, ma sono consapevole che sarebbe, appunto, solo
un'illusione.
Non so dire per quanto tempo
osservo il giovane misterioso, che seguita a tenere le palpebre
serrate anche dopo che il respiro è tornato regolare,
secondi,
minuti, ore, giorni, ma chi li conta più?
Ad un certo punto apre gli
occhi, facendomi fremere.
«Grazie» soffia in un
sussurro roco.
Il cuore perde un colpo e
poi comincia a battere velocissimo. Sento gli occhi brillare. Nessuno
mi aveva mai ringraziato per ciò che faccio, prima d'ora.
«Grazie
a te» rispondo distogliendo lo sguardo, per la prima volta,
dal suo
viso. Mi sorprendo ad arrossire. Proprio io che ho esplorato e
conquistato i confini più reconditi dell'umanità,
proprio io
arrossisco?
Il ragazzo sospira, si
raddrizza e mi fa accomodare dolcemente sul posto accanto al suo.
«È così che finisce
tutto?» mormoro, incapace di trattenermi.
«O forse è così che tutto
inizia...» risponde enigmaticamente il ragazzo, guardando
fisso il
nulla fuori dal parabrezza. La luce della luna trapassa il velo di
vapore che si è depositato sul vetro e pennella d'argento e
oro il
corpo nudo del giovane accanto a me. Avrei mai potuto sperare in una
punizione tanto bella?
«Posso... posso... posso
chiedere come ti chiami?» mi lascio sfuggire in un sussurro.
Lo sconosciuto mi guarda. I
suoi occhi imprigionano i miei per un momento infinito.
Senza abbassare lo sguardo,
risponde.
«Tom».
Tom. Tom. Tom. Annuisco
distrattamente, rigirandomi in bocca quel nome semplicemente
complesso, e poi lo modello su di lui, facendolo aderire bene alle
sue forme. Sì, è perfetto. Non avrebbe potuto
essere altrimenti.
«E il tuo nome, qual è?».
Il respiro mi si spezza.
Come mi chiamo io?
Frugo disperatamente nella
mia memoria, ma è inutile. Buio. Buio più totale.
«Rose» mormoro infine.
Rose. Un'altra identità,
l'ennesima. E quando tutti i miei petali cadranno, con essi
avvizzirà
anche il fiore che quegli occhi di cioccolato fuso hanno fatto
sbocciare in me; solo le spine rimarranno, provocanti e letali.
«Rose...» ripete Tom con
aria pensierosa. «È proprio adatto a te»
sorride. Nell'oscurità
della notte, il bagliore dei suoi denti è accecante; ne
rimango
incantata.
Rimaniamo in silenzio per
qualche secondo, riflettendo. È Tom a parlare per primo.
«Da quanto fai... da quanto
sei...?».
«Una prostituta?».
«Sì».
«Avevo quindici anni».
Lo
vedo abbassare lo sguardo. È
dispiaciuto?
«Mi
spiace». Sì.
«No, non dispiacerti».
I suoi occhi catturano di
nuovo i miei.
«Si vede che era destino.
Almeno, io ho un lavoro» continuo. Sto cercando di mostrarmi
forte...
«E sei felice?» domanda.
Sento gli occhi farsi
lucidi. Sono fragile, troppo, e questo mondo non sopporta la
debolezza.
«No».
Sbatto le palpebre; io devo
essere forte, devo... «Tanto, a chi importa di una
puttana?».
Non risponde. È chiaro che
non può contraddirmi.
«Parlami di te» dice
invece.
«Non hai una famiglia con
cui festeggiare l'Ultimo dell'anno?».
«Sì, ma... ho litigato con
mio fratello» ammette a denti stretti. Lo guardo senza capire.
«E allora?».
«E allora?! Non posso
tornare, voleva... lui voleva cacciarmi di casa!» esplode.
«Quando si è sconvolti si
dicono tante cose che non si pensano veramente» borbotto
quasi a me
stessa.
È furioso, lo sento, colmo
di rabbia repressa. Non ho paura.
«Tu non... non...».
Respira profondamente. «Tu non sai chi sono io?».
Scuoto la testa.
«Dovrei conoscerti?». Mi
sforzo per ricordare se avessi mai visto qualcuno come lui.
Sorride, e ride piano.
«No, non importa».
Abbandona la testa contro il sedile, il suo collo vibrante di una
risata silenziosa è una tentazione per me.
Lascio cadere il discorso.
«Come mai avete litigato?»
chiedo, sinceramente curiosa. Tom mi fissa, scruta il mio viso serio,
poi si rilassa e comincia a raccontarmi di liti domestiche che io non
ho vissuto e non vivrò mai. Quanto sembra insignificante una
scaramuccia con un fratello, quando il mondo è la tua
prigione e
l'unico colpevole...
Finito il racconto, il
ragazzo cerca di riportare la conversazione su di me.
«La mia vita non è nulla
di speciale o di già non sentito» taglio corto. So
che con un
comportamento simile non faccio altro che aumentare le
probabilità
di non vedere mai più quegli occhi e quel corpo, ma non
m'importa:
non voglio rattristarlo.
Sta per ribattere, lo
precedo.
«Andiamo fuori». Non è
una domanda. I miei occhi però lo supplicano. Annuisce.
In silenzio, ci passiamo i
vestiti, poi apriamo le portiere e saltiamo giù. Tom vuole
aiutarmi,
ma io rifiuto la sua mano e scendo da sola.
«Da qui si vedono le
stelle» mormoro alzando gli occhi al cielo. Senza tutte
quelle luci
artificiali, l'aria è pulita e le costellazioni ci sorridono
da
lassù.
Ricambio il sorriso. So che
un giorno anch'io avrò uno spazio apposta per me, fra loro.
Si
tratta solo di tempo.
Un alito di vento gelido mi
fa spuntare la pelle d'oca su gambe e braccia, ma porta con
sé anche
gli odori della notte: sento la puzza dei cassonetti lasciati aperti,
il profumo della vernice fresca, l'odore degli abeti lungo le strade,
l'aroma dei biscotti appena sfornati...
«Tom»
chiamo, e mi volto verso di lui. Un altra folata e il suo
profumo mi stordisce, forte come non mai. Perdo per un momento il
filo del discorso: voglio chiedergli perché passa questo
tempo con
me invece che andare a scusarsi con suo fratello, però mi
accorgo
che dai suoi occhi trapela già la risposta.
Chiudo la bocca. La riapro.
La richiudo e la riapro ancora.
«Tom»
ripeto. «Senti, volevo chiederti... Ti
piacciono i biscotti di natale?».
L'ho spiazzato. Boccheggia,
ma si riprende subito.
Mi guarda dritto negli
occhi, fiero, facendomi arrossire ancora, un accenno di sorriso muove
le sue labbra.
«Sì,
mi piacciono molto».
E so che quella frase è per me, per me soltanto, e
resterà mia per
l'eternità.
Incuranti della vernice
nuova, ci stendiamo sul cofano lucente dell'auto e rimaniamo ad
osservare il cielo per ore, parlando di tutto e di niente ed evitando
accuratamente qualunque accenno possa ricondurre alla mia squallida
vita.
Vengo a sapere molte cose su
di lui. Che è un musicista, per esempio, un chitarrista per
la
precisione, piuttosto famoso; mi scuso per non aver mai sentito
parlare di lui. Ride. Lo faccio divertire molto, dice. Lo sorprendo,
lo affascino. È contento di essere con me, aveva bisogno di
sfogarsi, e chi meglio può capirti se non un estraneo?
Mi racconta ancora dei suoi
amici, dei concerti che hanno fatto, delle città in cui
è stato: ne
parla come se fossero i luoghi più belli del mondo, ognuno
speciale,
ognuno magico. Nomi che per me rimarranno solo nomi.
Anch'io sorrido molto, e
rido anche. La sua voce è così piacevole... noto
che gesticola
molto e si anima per un nonnulla. Mi scopro ad invidiargli quella sua
voglia di vivere.
«Sai» comincio. «Mi fa
molto piacere parlare con te, sei una persona speciale».
Sorride.
«Con te riesco ad essere me
stesso».
«Però credo che ormai sia
ora di salutarci». Il suo sorriso si spegne.
«Perché?» ansima.
Mi stringo nelle spalle.
«Tu devi tornare a fare
pace con tuo fratello, e non fare quella faccia, lo so che sei
pentito» lo ammonisco agitandogli davanti l'indice. Riesco a
strappargli un sorriso stiracchiato.
«E io...».
«E tu devi tornare ad
essere una semplice puttana, vuota e fredda, insensibile ai
sentimenti» conclude per me con voce cupa.
Mi mordo il labbro e
annuisco.
«Non è giusto».
«Niente è giusto».
«Non puoi scappare?»
chiede con lo sconforto negli occhi.
«Non posso» rispondo,
senza voce. «Davvero, non posso...».
Una lacrima, una sola perché
non mi piace piangere, mi solca la guancia, si nasconde sotto al mio
mento e viene raccolta dal dito di Tom. Il ragazzo la osserva per un
momento, poi la assaggia, la assapora ad occhi chiusi. In un lampo il
suo sguardo torna a me. Saranno le lacrime attaccate alle ciglia, ma
i suoi occhi mi sembrano più grandi. E più dolci.
«Questo è un addio,
allora?».
«Se il destino vorrà»
ribatto con voce rotta. «Altrimenti ci
rincontreremo».
Mi prende il viso tra le sue
grandi, morbide mani.
«Promettilo».
«Non posso».
«Promettilo». La sua
stretta si fa più forte. «Ti prego»
aggiunge più gentilmente.
Un groppo in gola mi
impedisce di deglutire.
«Ci incontreremo di nuovo»
mormoro alla fine, afona.
Un sorriso stanco attraversa
il suo viso di bambino cresciuto troppo in fretta.
«Vedrai...» sussurra
accarezzandomi i capelli.
Abbasso il viso.
Dieci minuti più tardi sono
di nuovo sotto quel lampione, il mio, in un certo senso.
Fa freddo. Dentro e fuori.
Un'auto scura è ferma a
motore acceso davanti a me.
«Ti aiuterò» promette Tom
guardandomi intensamente. «Non so come, ma ti
strapperò a questa
strada maledetta».
«Perché lo fai? Perché
fai tutto questo per me?» chiedo, avvicinandomi. I suoi occhi
brillano, sembrano volermi suggerire qualcosa di ovvio che mi
è
sfuggito.
«È l'Ultimo, no? Ci tengo
a cominciare bene l'anno nuovo, e un'azione buona è quella
che ci
vuole» risponde invece il ragazzo con un sorriso sornione.
Ricambio il sorriso, un po'
stancamente. Mi sento tutta intorpidita.
Da qualche parte, lontano,
un campanile comincia a rintoccare una, due, tre... dodici volte.
Mezzanotte.
Io e Tom ci fissiamo.
«Buon
anno» auguriamo contemporaneamente, seri. Con
la speranza che sia buono davvero,
penso.
Incuranti della gente che ci
passa accanto osservandoci con disprezzo, rimaniamo fermi
così, a
fissarci senza sbattere nemmeno le palpebre. Sì, forse
sarà davvero
un buon anno...
«Allora...» esordisce Tom.
«... Ci vediamo» finisco,
un po' insicura. Sorride.
«Puoi starne certa».
Inserisce la prima, il
motore ruggisce. Prima di alzare il finestrino mi saluta un'ultima
volta agitando la mano. Alzo il mento in risposta.
In breve, dell'auto nera non
rimane alcuna traccia.
Il
sacchetto che stringo è
caldo. Me lo passo da una mano all'altra, tentando di combattere il
freddo, ancora più insopportabile sul tetto di questo
palazzo.
Accucciata accanto al bordo,
osservo il brulicare di persone in festa, che come formiche scorrono
sotto di me senza fermarsi mai. È inutile che continui a
cercare,
fra di loro non ci sei tu, Tom.
Chiudendo gli occhi, posso
facilmente immaginarti tornare nella tua villa, aprire il cancello
elettrico, troppo lento questa sera, spegnere l'auto lasciando la
portiera aperta e schizzare in casa, senza fiato, con la giacca di
traverso ma sempre bello come non mai.
Posso provare ad immaginare
tuo fratello, sorpreso, sconvolto, sereno, felice, con te al suo
fianco. Le scuse, gli abbracci, il perdono... Niente di più
naturale. Fra fratelli è così.
E poi la festa per il tuo
ritorno, i dolci, lo spumante, i regali. Sorrido, mio malgrado.
Perché sono seduta su un cornicione di un palazzo e come
uniche
compagne ho le stelle. Ma va bene così.
Apro il sacchetto e ne tiro
fuori un biscotto a forma di albero. Lo osservo bene prima di
metterlo in bocca e andare in estasi: morbido, friabile, dal sapore
intenso e persistente ma così delicato... mi sorprende
ricordare che
sono anni che non ne assaggio uno. Per una volta, i soldi del mio
lavoro sono spesi bene.
Le auto rombano, scortesi e
veloci, sotto di me, fremono per arrivare prime; non sanno che il
vero premio non si trova nell'arrivare alla meta.
Il cielo è completamente
nero, punteggiato di stelle troppo lontane perché possano
accorgersi
di me.
Pesco un altro biscotto,
stavolta a forma di stella e coperto di glassa. Lo inghiottisco in un
solo boccone. Buono.
Sarò
io ad arrivare a loro.
Fine.
Ringrazio tutti coloro che hanno recensito e che recensiranno. Un bacio e tanti auguri di un buonissimo anno nuovo. =)