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Autore: HuGmyShadoW    05/01/2009    2 recensioni
"Sono una ragazza senza nome. Una bambina perduta. Un gioiello smarrito, un fiore che appassisce. Non sono niente. Ho cambiato identità talmente tante volte da non ricordarle più tutte: quando vivi in mezzo alla gente, chiunque tu sia sarai sicuramente al posto sbagliato nel momento sbagliato".
Due diverse realtà per Rose, una ragazza di strada, un tempo così forte divenuta improvvisamente fragile, e Tom, giovane musicista alla ricerca di sé. Due inizi diversi e due finali diversi, destinati però ad intrecciarsi là, nel mezzo, dove tutto si compie; riusciranno a ritrovare la voglia di vivere e di essere se stessi?
«Volevo chiederti... ti piacciono i biscotti di Natale?»
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Biscotti di Natale




{Buio}



Esco velocemente dall'auto scura abbassandomi la gonna, e non appena la vettura si allontana respiro a pieni polmoni l'aria di neve della notte. Chissà se quella puzza di menta mi rimarrà addosso. In ogni caso mi cospargo nuovamente di profumo, il mio preferito, da uomo, comprato con i soldi di una nottata particolarmente proficua per il mio ultimo compleanno.
Le calze mi tirano. Nella fretta di uscire con tutto quello che avevo addosso, le ho infilate storte. Sospiro e me le sistemo velocemente, pregando che nessuno si accorga di me proprio nel momento in cui esercito il peggior repertorio di smorfie e sbuffi che possiedo. Ma cosa prego a fare?
Chi prego, e per cosa? Se davvero lassù esistesse qualcuno, adesso mi troverei a casa, con i miei genitori, a festeggiare l'arrivo del nuovo anno, no? Ergo: Dio, o come vogliate chiamarlo non esiste. Solo gli uomini sono fautori del loro destino, loro e loro soltanto possono promuovere la loro condanna; e la mia, quando è stata? Quand'è che ho sbagliato?
Sospiro, mi raddrizzo e chiudo gli occhi.
«Ehi».
Una voce interrompe il flusso dei miei pensieri. Ecco la vendetta divina. Giusto per allietare ancora questa piacevole serata. Apro gli occhi, fremendo. Mi volto.
Un'auto mastodontica, tanto scura e lucida da confondersi con la notte, è ferma, ancora col motore acceso, davanti a me. Il suo guidatore mi osserva, divertito e un po' incredulo, spenzolandosi dal finestrino abbassato, ma non è l'espressione che mi colpisce. È giovane. E bello. Molto bello, di un'avvenenza gradevole e molto particolare, che colpisce e salta subito all'occhio. Non avrei mai osato sperare tanto; magari il nuovo anno sarebbe cominciato bene, dopotutto.
«Sei occupata?» mi chiede passandosi con attenzione la lingua sul labbro. Lo vedo indugiare un momento sul piercing argentato che occhieggia come un invito troppo aperto sulla sua bocca. Cosa dicevo, vendetta?
Sbarrate le porte dell'inferno e chiudetemici dentro,
penso avvicinandomi.
«Per te posso diventarlo presto» rispondo ostentando una malizia non troppo velata.
Seguo la corsa dei suoi occhi lungo il mio corpo, mettendomi bene in posa per accentuare quanto di più bello ho da offrire.
Quando il suo sguardo torna al mio viso sembra soddisfatto.
«Quanto vuoi?» domanda.
«Sessan...». E che cazzo, è l'Ultimo dell'anno! «Settanta».
Il ragazzo non fa un piega, si fruga in tasca per qualche secondo e poi mi porge la somma richiesta. La nascondo in una tasca segreta del reggiseno senza fiatare. Mi aggiusto il giacchetto e faccio per aprire la portiera del guidatore, ma il rasta mi ferma.
«Sali di là» e mi indica il posto del passeggero. Scruto un momento l'incantevole viso del ragazzo per capire se fa sul serio o se scherza: la sua espressione è impassibile. Sorpresa, mi affretto ad obbedire.
Non appena mi sistemo sul sedile di pelle nera, stranamente a disagio, il ragazzo preme sull'acceleratore e parte come un fulmine.
«Dove stiamo andando?» chiedo con la voce velata di panico: il suo modo di guidare è terrorizzante, sfreccia senza paura accanto alle altre auto, sollevando ogni volta un coro di protesta dei clacson, fa il pelo a lampioni, case e persone, non rallenta nemmeno ai semafori. Neanche se rossi. E non mi risponde.
Sudando freddo, mi chiedo se sia il caso di mettersi la cintura quando, con una frenata da “fronte-finestrino-bum”, il ragazzo inchioda di colpo.
Mi guardo intorno. Siamo circondati da palazzi tanto anonimi e grigi quanto alti, bidoni della spazzatura mezzi scassati popolano gli angoli delle case; solo un piccolo lembo di cielo stellato si intravede, soffocato com'è da tetti claustrofobici.
«Perché mi hai portato qui?» domando, seccata. So di essere meno di niente, sono consapevole di svendere me stessa per una miseria, ma ancora non riesco a far tacere il mio orgoglio. Il giovane si volta, fulminandomi con i suoi occhi nocciola carichi di prepotenza
«Io ho pagato, io detto le condizioni» risponde con tono duro. Poi, senza aggiungere altro, mi prende per i fianchi, mi stende sul sedile, mi bacia il collo, mi spoglia, si spoglia. Anche se i sedili sono incredibilmente scomodi, anche se la luce è insufficiente e tutto appare confuso, non posso fare a meno di rimanere incantata dalla perfezione di quel corpo che cerca il contatto col mio, da quelle mani così rudi che, sfiorando la mia pelle di fuoco, diventano gentili come piume, e da quel collo così forte ed elegante, e da quelle spalle, e da quel petto, e da quei muscoli che si rilassano e si contraggono e si adattano così bene ai palmi delle mie mani. Tutto in lui sembra essere stato creato per sfiorare la perfezione.
L'abitacolo diventa insopportabilmente caldo, il vetro si appanna, l'auto scricchiola. Mi sembra di essere ubriaca mentre mi aggrappo forte alle sue spalle, per impedirgli di lasciarmi e di lasciarlo. Vorrei durasse in eterno, perché stavolta provo solo piacere.
Invece, dopo poco, decisamente troppo poco tempo, raggiungiamo entrambi l'orgasmo e, sfiniti, ci accasciamo, ancora abbracciati, contro il volante. Avevo dimenticato questa sensazione...
Ansimiamo. Tutto sudato, con gli occhi chiusi e il petto che si alza e si abbassa ritmicamente, il ragazzo rimane sempre ciò di più vicino a un dio greco che abbia mai visto. Per una volta vorrei illudermi di aver fatto l'amore, e non semplice sesso, ma sono consapevole che sarebbe, appunto, solo un'illusione.
Non so dire per quanto tempo osservo il giovane misterioso, che seguita a tenere le palpebre serrate anche dopo che il respiro è tornato regolare, secondi, minuti, ore, giorni, ma chi li conta più?
Ad un certo punto apre gli occhi, facendomi fremere.
«Grazie» soffia in un sussurro roco.
Il cuore perde un colpo e poi comincia a battere velocissimo. Sento gli occhi brillare. Nessuno mi aveva mai ringraziato per ciò che faccio, prima d'ora.
«Grazie a te» rispondo distogliendo lo sguardo, per la prima volta, dal suo viso. Mi sorprendo ad arrossire. Proprio io che ho esplorato e conquistato i confini più reconditi dell'umanità, proprio
io arrossisco?
Il ragazzo sospira, si raddrizza e mi fa accomodare dolcemente sul posto accanto al suo.
«È così che finisce tutto?» mormoro, incapace di trattenermi.
«O forse è così che tutto inizia...» risponde enigmaticamente il ragazzo, guardando fisso il nulla fuori dal parabrezza. La luce della luna trapassa il velo di vapore che si è depositato sul vetro e pennella d'argento e oro il corpo nudo del giovane accanto a me. Avrei mai potuto sperare in una punizione tanto bella?
«Posso... posso... posso chiedere come ti chiami?» mi lascio sfuggire in un sussurro.
Lo sconosciuto mi guarda. I suoi occhi imprigionano i miei per un momento infinito.
Senza abbassare lo sguardo, risponde.
«Tom».
Tom. Tom. Tom. Annuisco distrattamente, rigirandomi in bocca quel nome semplicemente complesso, e poi lo modello su di lui, facendolo aderire bene alle sue forme. Sì, è perfetto. Non avrebbe potuto essere altrimenti.
«E il tuo nome, qual è?».
Il respiro mi si spezza. Come mi chiamo io?
Frugo disperatamente nella mia memoria, ma è inutile. Buio. Buio più totale.
«Rose» mormoro infine.
Rose. Un'altra identità, l'ennesima. E quando tutti i miei petali cadranno, con essi avvizzirà anche il fiore che quegli occhi di cioccolato fuso hanno fatto sbocciare in me; solo le spine rimarranno, provocanti e letali.
«Rose...» ripete Tom con aria pensierosa. «È proprio adatto a te» sorride. Nell'oscurità della notte, il bagliore dei suoi denti è accecante; ne rimango incantata.
Rimaniamo in silenzio per qualche secondo, riflettendo. È Tom a parlare per primo.
«Da quanto fai... da quanto sei...?».
«Una prostituta?».
«Sì».
«Avevo quindici anni».
Lo vedo abbassare lo sguardo.
È dispiaciuto?
«Mi spiace».
Sì.
«No, non dispiacerti».
I suoi occhi catturano di nuovo i miei.
«Si vede che era destino. Almeno, io ho un lavoro» continuo. Sto cercando di mostrarmi forte...
«E sei felice?» domanda.
Sento gli occhi farsi lucidi. Sono fragile, troppo, e questo mondo non sopporta la debolezza.
«No». Sbatto le palpebre; io
devo essere forte, devo... «Tanto, a chi importa di una puttana?».
Non risponde. È chiaro che non può contraddirmi.
«Parlami di te» dice invece.
«Non hai una famiglia con cui festeggiare l'Ultimo dell'anno?».
«Sì, ma... ho litigato con mio fratello» ammette a denti stretti. Lo guardo senza capire.
«E allora?».
«E allora?! Non posso tornare, voleva... lui voleva cacciarmi di casa!» esplode.
«Quando si è sconvolti si dicono tante cose che non si pensano veramente» borbotto quasi a me stessa.
È furioso, lo sento, colmo di rabbia repressa. Non ho paura.
«Tu non... non...». Respira profondamente. «Tu non sai chi sono io?».
Scuoto la testa.
«Dovrei conoscerti?». Mi sforzo per ricordare se avessi mai visto qualcuno come lui.
Sorride, e ride piano.
«No, non importa». Abbandona la testa contro il sedile, il suo collo vibrante di una risata silenziosa è una tentazione per me.
Lascio cadere il discorso.
«Come mai avete litigato?» chiedo, sinceramente curiosa. Tom mi fissa, scruta il mio viso serio, poi si rilassa e comincia a raccontarmi di liti domestiche che io non ho vissuto e non vivrò mai. Quanto sembra insignificante una scaramuccia con un fratello, quando il mondo è la tua prigione e l'unico colpevole...
Finito il racconto, il ragazzo cerca di riportare la conversazione su di me.
«La mia vita non è nulla di speciale o di già non sentito» taglio corto. So che con un comportamento simile non faccio altro che aumentare le probabilità di non vedere mai più quegli occhi e quel corpo, ma non m'importa: non voglio rattristarlo.
Sta per ribattere, lo precedo.
«Andiamo fuori». Non è una domanda. I miei occhi però lo supplicano. Annuisce.
In silenzio, ci passiamo i vestiti, poi apriamo le portiere e saltiamo giù. Tom vuole aiutarmi, ma io rifiuto la sua mano e scendo da sola.
«Da qui si vedono le stelle» mormoro alzando gli occhi al cielo. Senza tutte quelle luci artificiali, l'aria è pulita e le costellazioni ci sorridono da lassù.
Ricambio il sorriso. So che un giorno anch'io avrò uno spazio apposta per me, fra loro. Si tratta solo di tempo.
Un alito di vento gelido mi fa spuntare la pelle d'oca su gambe e braccia, ma porta con sé anche gli odori della notte: sento la puzza dei cassonetti lasciati aperti, il profumo della vernice fresca, l'odore degli abeti lungo le strade, l'aroma dei biscotti appena sfornati...
«Tom» chiamo, e mi volto verso di lui. Un altra folata e il
suo profumo mi stordisce, forte come non mai. Perdo per un momento il filo del discorso: voglio chiedergli perché passa questo tempo con me invece che andare a scusarsi con suo fratello, però mi accorgo che dai suoi occhi trapela già la risposta.
Chiudo la bocca. La riapro. La richiudo e la riapro ancora.
«Tom» ripeto. «Senti, volevo chiederti...
Ti piacciono i biscotti di natale?».
L'ho spiazzato. Boccheggia, ma si riprende subito.
Mi guarda dritto negli occhi, fiero, facendomi arrossire ancora, un accenno di sorriso muove le sue labbra.
«
Sì, mi piacciono molto». E so che quella frase è per me, per me soltanto, e resterà mia per l'eternità.
Incuranti della vernice nuova, ci stendiamo sul cofano lucente dell'auto e rimaniamo ad osservare il cielo per ore, parlando di tutto e di niente ed evitando accuratamente qualunque accenno possa ricondurre alla mia squallida vita.
Vengo a sapere molte cose su di lui. Che è un musicista, per esempio, un chitarrista per la precisione, piuttosto famoso; mi scuso per non aver mai sentito parlare di lui. Ride. Lo faccio divertire molto, dice. Lo sorprendo, lo affascino. È contento di essere con me, aveva bisogno di sfogarsi, e chi meglio può capirti se non un estraneo?
Mi racconta ancora dei suoi amici, dei concerti che hanno fatto, delle città in cui è stato: ne parla come se fossero i luoghi più belli del mondo, ognuno speciale, ognuno magico. Nomi che per me rimarranno solo nomi.
Anch'io sorrido molto, e rido anche. La sua voce è così piacevole... noto che gesticola molto e si anima per un nonnulla. Mi scopro ad invidiargli quella sua voglia di vivere.
«Sai» comincio. «Mi fa molto piacere parlare con te, sei una persona speciale».
Sorride.
«Con te riesco ad essere me stesso».
«Però credo che ormai sia ora di salutarci». Il suo sorriso si spegne.
«Perché?» ansima.
Mi stringo nelle spalle.
«Tu devi tornare a fare pace con tuo fratello, e non fare quella faccia, lo so che sei pentito» lo ammonisco agitandogli davanti l'indice. Riesco a strappargli un sorriso stiracchiato.
«E io...».
«E tu devi tornare ad essere una semplice puttana, vuota e fredda, insensibile ai sentimenti» conclude per me con voce cupa.
Mi mordo il labbro e annuisco.
«Non è giusto».
«Niente è giusto».
«Non puoi scappare?» chiede con lo sconforto negli occhi.
«Non posso» rispondo, senza voce. «Davvero, non posso...».
Una lacrima, una sola perché non mi piace piangere, mi solca la guancia, si nasconde sotto al mio mento e viene raccolta dal dito di Tom. Il ragazzo la osserva per un momento, poi la assaggia, la assapora ad occhi chiusi. In un lampo il suo sguardo torna a me. Saranno le lacrime attaccate alle ciglia, ma i suoi occhi mi sembrano più grandi. E più dolci.
«Questo è un addio, allora?».
«Se il destino vorrà» ribatto con voce rotta. «Altrimenti ci rincontreremo».
Mi prende il viso tra le sue grandi, morbide mani.
«Promettilo».
«Non posso».
«Promettilo». La sua stretta si fa più forte. «Ti prego» aggiunge più gentilmente.
Un groppo in gola mi impedisce di deglutire.
«Ci incontreremo di nuovo» mormoro alla fine, afona.
Un sorriso stanco attraversa il suo viso di bambino cresciuto troppo in fretta.
«Vedrai...» sussurra accarezzandomi i capelli.
Abbasso il viso.

Dieci minuti più tardi sono di nuovo sotto quel lampione, il mio, in un certo senso.
Fa freddo. Dentro e fuori.
Un'auto scura è ferma a motore acceso davanti a me.
«Ti aiuterò» promette Tom guardandomi intensamente. «Non so come, ma ti strapperò a questa strada maledetta».
«Perché lo fai? Perché fai tutto questo per me?» chiedo, avvicinandomi. I suoi occhi brillano, sembrano volermi suggerire qualcosa di ovvio che mi è sfuggito.
«È l'Ultimo, no? Ci tengo a cominciare bene l'anno nuovo, e un'azione buona è quella che ci vuole» risponde invece il ragazzo con un sorriso sornione.
Ricambio il sorriso, un po' stancamente. Mi sento tutta intorpidita.
Da qualche parte, lontano, un campanile comincia a rintoccare una, due, tre... dodici volte. Mezzanotte.
Io e Tom ci fissiamo.
«Buon anno» auguriamo contemporaneamente, seri.
Con la speranza che sia buono davvero, penso.
Incuranti della gente che ci passa accanto osservandoci con disprezzo, rimaniamo fermi così, a fissarci senza sbattere nemmeno le palpebre. Sì, forse sarà davvero un buon anno...
«Allora...» esordisce Tom.
«... Ci vediamo» finisco, un po' insicura. Sorride.
«Puoi starne certa».
Inserisce la prima, il motore ruggisce. Prima di alzare il finestrino mi saluta un'ultima volta agitando la mano. Alzo il mento in risposta.
In breve, dell'auto nera non rimane alcuna traccia.


Il sacchetto che stringo è caldo. Me lo passo da una mano all'altra, tentando di combattere il freddo, ancora più insopportabile sul tetto di questo palazzo.
Accucciata accanto al bordo, osservo il brulicare di persone in festa, che come formiche scorrono sotto di me senza fermarsi mai. È inutile che continui a cercare, fra di loro non ci sei tu, Tom.
Chiudendo gli occhi, posso facilmente immaginarti tornare nella tua villa, aprire il cancello elettrico, troppo lento questa sera, spegnere l'auto lasciando la portiera aperta e schizzare in casa, senza fiato, con la giacca di traverso ma sempre bello come non mai.
Posso provare ad immaginare tuo fratello, sorpreso, sconvolto, sereno, felice, con te al suo fianco. Le scuse, gli abbracci, il perdono... Niente di più naturale. Fra fratelli è così.
E poi la festa per il tuo ritorno, i dolci, lo spumante, i regali. Sorrido, mio malgrado. Perché sono seduta su un cornicione di un palazzo e come uniche compagne ho le stelle. Ma va bene così.
Apro il sacchetto e ne tiro fuori un biscotto a forma di albero. Lo osservo bene prima di metterlo in bocca e andare in estasi: morbido, friabile, dal sapore intenso e persistente ma così delicato... mi sorprende ricordare che sono anni che non ne assaggio uno. Per una volta, i soldi del mio lavoro sono spesi bene.
Le auto rombano, scortesi e veloci, sotto di me, fremono per arrivare prime; non sanno che il vero premio non si trova nell'arrivare alla meta.
Il cielo è completamente nero, punteggiato di stelle troppo lontane perché possano accorgersi di me.
Pesco un altro biscotto, stavolta a forma di stella e coperto di glassa. Lo inghiottisco in un solo boccone. Buono.
Sarò io ad arrivare a loro
.





Fine.

Ringrazio tutti coloro che hanno recensito e che recensiranno. Un bacio e tanti auguri di un buonissimo anno nuovo. =) 

   
 
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