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Autore: Rei_    27/05/2015    6 recensioni
(!) Attenzione! Questa storia parla di bullismo, saranno presenti alcune scene di violenza! (!)
Michele, 27 anni, è appena entrato in un mondo a lui ancora sconosciuto: palazzo Montecitorio.
Lui, giovane insicuro, nasconde un lato fragile causato da un passato buio che vuole dimenticare. A differenza di Nicolò, che invece non ha mai perso nella sua vita e anche nel mondo politico a breve acquisterà una crescente leadership causata dal suo forte carisma naturale.
Due persone di partiti diversi, che inevitabilmente finiranno per scontrarsi, ma se è vero che l'odio è una forma d'amore allora il loro rapporto è destinato presto a cambiare...

Spalancò le braccia nella neve e allargò le gambe. Sarebbe dovuta uscire disegnata la figura di un angelo, ma mentre Michele chiudeva lentamente gli occhi, vinto da quell'insolita stanchezza, pensò che era impossibile che uno come lui potesse essere capace anche lontanamente di assomigliarci.
Perchè gli angeli non finiscono nudi nella neve.
Non vengono chiusi negli sgabuzzini.
Gli angeli sono luminosi, e lui invece era fatto di buio.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lemon, Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
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Nicolò inforcò la sua moto, godendo dell’aria fresca del mattino.
In quei giorni sentiva l’adrenalina a mille. Era la settimana del voto alla riforma delle pensioni, la prima occasione di opposizione. Come gruppo del Fronte avrebbero presentato diversi emendamenti, tra cui quello che avrebbe abolito le pensioni d’oro. Nel momento in cui la maggioranza del governo avrebbe dato il suo voto negativo, sarebbero stati pronti a bombardare tutti i media per attaccarli. Era un giochino che lo divertiva sempre molto.
«Grandi notizie, collega» Chiarelli lo raggiunse all’ingresso di Montecitorio, «delle fonti mi dicono che alcune correnti di SD stanno ribollendo per la riforma e vogliono presentare degli emendamenti.
Se ce li votassimo a vicenda avremmo possibilità di fare passare i nostri».
«Davvero?» rise Nicolò «e perché dovrebbero farlo? Il loro governo andrebbe sotto».
Chiarelli fece un gesto circolare con la mano.
«Giochi di potere interni. Questa riforma è poco in vista rispetto ad altre questioni, è il terreno perfetto in cui la minoranza di sinistra può dare segnali alla segreteria di Marchesi».
«Capisco» rifletté Nicolò, «beh e come funziona in questi casi?»
«Ci si incontra e si contratta. Ovviamente al riparo da occhi indiscreti. Siamo convocati alle nove nell’ufficio di Greco».
«Quello!» rise il capogruppo, «sì, l’ho smerdato un po’ di tempo fa in televisione. E così vorrebbe cambiare la riforma?»
«Sì, lui e il vecchio Costa fanno parte della corrente opposta a Marchesi. Non sono pochi, Costa è molto influente sui deputati di lungo corso. Andremo insieme a contrattare con loro».
«Posso andare benissimo da solo» obiettò subito Nicolò, squadrando l’altro con sospetto. Chiarelli gli aveva ceduto il posto da capogruppo con troppa gentilezza, e non faceva altro che chiedersi se quel gesto non avesse altri scopi nascosti.
 
«È meglio sempre essere più di uno in questi casi. Senza contare che tu sei nuovo e non hai mai contrattato. C’è qualche problema?» Chiarelli gli rivolse uno sguardo di sfida. Nicolò rispose allo sguardo, ma restò in silenzio. In altre occasioni avrebbe risposto a tono. In quel momento, però, non era il caso di litigare. In fondo aveva bisogno dell’esperienza di Chiarelli, anche se non gli piaceva il tono con cui gli si stava rivolgendo.
«No, nessuno. A dopo, allora».
E girò i tacchi, nascondendo la sua aria stizzita.
 
 
*
 
 
«Contrattare con il Fronte?»
Michele ascoltava i discorsi concitati nel cortile. I deputati dalla parte di Thomas, quelli più schierati a sinistra che al congresso non avevano votato Marchesi, erano radunati tutti lì e si scambiavano parole sottovoce.
«Loro presenteranno degli emendamenti, sicuramente vorranno abolire le pensioni d’oro. Ma anche noi ne presenteremo, e di sicuro almeno con uno saranno d’accordo. Se anche uno dei nostri passerà daremo un segnale forte a Marchesi. Non se lo aspetterà, alzerà la nostra capacità di influenza».
Thomas era parecchio su di giri. Sembrava non riuscisse a stare fermo o zitto e con la giacca arancione addosso svolazzava da un gruppetto all’altro.
«E loro accetteranno?» chiese Michele, scettico. Non ce lo vedeva proprio uno come Andreani a mettersi d’accordo con qualcuno.
«Ma certo!» gridò giulivo Thomas, «è la loro grande opportunità di mettere sotto il governo! Gli altri partiti d’opposizione sono già d’accordo, perciò i nostri voti saranno decisivi!»
Michele annuì. Era abbastanza contento di quella prospettiva. Se i loro emendamenti sarebbero stati approvati la riforma poteva essere sicuramente migliore di quella che aveva dovuto difendere nel salotto televisivo. Sarebbe stato fiero della prima riforma approvata dalla Camera con il suo voto.
«Beh, che dici Miché?» ammiccò Thomas, «ci vieni con me a contrattare, così vedi come si fa?»
Michele abbozzò un sorriso. Sapeva che Thomas stava cercando di farsi perdonare per le parole dell’altro giorno, ma non si sentiva così pronto a trovarsi di nuovo faccia a faccia con il capogruppo del Fronte.
«Non lo so…»
«Dai, sarà divertente!» insistette Thomas, «non dovrai parlare per forza, sarà una roba di dieci minuti».
Arturo gli aggiunse una pacca sulla schiena.
«Vai, compagno Michele!» Non riuscì a rifiutare.
 
 
L’orologio appeso alla parete segnava le nove in punto.
Michele si trovava dentro l’ufficio di Thomas. Mentre aspettavano quelli del Fronte, aveva avuto il tempo di osservare a lungo le particolarità di quella stanza.
Le pareti erano ricoperte di una carta da parati gialla a pois, con diversi quadri astratti appesi da ogni lato. Da una parte, in un angolo, vi era una bandiera del PCI, mentre dall’altro quella di SD. La scrivania era piena di fogli sparsi ed evidenziatori colorati. C’erano numerose foto incorniciate ritraenti manifestazioni e assemblee di varia data, ma due in particolare troneggiavano sulla scrivania.
In una vi era un giovane Thomas che stringeva una bambina più piccola, con i suoi stessi occhi e lunghi capelli biondi. Nell’altra c’era un Thomas un po’ più grande che rideva con il pugno alzato, steso su quello che sembrava un letto d’ospedale, circondato da tanti ragazzi.
«La mia sorellina Chiara» disse Thomas, notando la sua curiosità,
«una matta scatenata. Sapeva tirare sempre fuori un gioco divertente da quella testolina. Per scherzare mi nascondeva sempre i fiori dentro i vestiti. Io facevo finta di non accorgermene e mentre camminavo mi spuntavano delle margheritine dai pantaloni. Era un vero spasso».
Michele sorrise.
«Quanti anni ha?»
«Adesso ne avrebbe trentadue. Ma sicuramente è rimasta una giocherellona come allora. Ce la vedo proprio a nascondere i fiori sotto le vesti degli angeli».
Scoppiò in una risata serena, e Michele rimase impietrito, più per la tranquillità con cui Thomas stesse parlando della sorella morta che per l’imbarazzo di aver fatto una gaffe.
«Scusa, non lo sapevo» balbettò.
«E di che ti scusi?» sorrise Thomas, «sono contento di avertela presentata, sarebbe stata simpaticissima anche a te».
Prima che Michele potesse replicare, dalla soglia d’ingresso entrarono i deputati del Fronte, Chiarelli e Andreani.
«’sera» salutò il capogruppo.
Michele iniziò a provare una certa agitazione vedendo quegli occhi verdi che lo squadravano con aria di sfida. Al contrario, Thomas fece un largo sorriso mentre li invitava a sedersi.
«Buonasera. Questi cinque sono i nostri emendamenti».
Andreani e Chiarelli si accomodarono e presero i fogli dalle mani di Thomas. Il primo li lesse attentamente, mentre il secondo li sfogliò in fretta, come se sapesse già il contenuto.
«Il due e il tre possiamo votarveli senza problemi, in cambio dei nostri sulle pensioni d’oro, naturalmente» disse Chiarelli.
«Solo il due» lo interruppe subito Andreani, «il tre non mi convince. Toglierà fondi alle pensioni minime».
«Beh, quei fondi serviranno per altre categorie svantaggiate» intervenne Thomas.
«Non sono d’accordo su questo. Ci sono già altri tipi di aiuti per le categorie svantaggiate» ribatté Andreani.
Il vicecapogruppo lo guardava di sottecchi, cercando di comunicargli qualcosa, ma l’altro lo ignorava.
«Votiamo un emendamento vostro per un emendamento nostro» intervenne Michele, cercando di imporsi anche lui.
 
Gli occhi verdi di Andreani fiammeggiarono nella sua direzione.
«Proprio tu parli! Quanto sei falso! In trasmissione hai difeso le pensioni d’oro dicendo che sono diritti acquisiti, e ora voterai il nostro emendamento solo per uno stupido tatticismo! Ma non ti vergogni?»
Michele abbassò istintivamente lo sguardo, sentendo le guance in fiamme. Avrebbe voluto ribattere, gridargli in faccia, ma riuscì solo a tacere.
«Restiamo al nostro accordo» si intromise Thomas, «come dice Martino, voteremo un emendamento per un emendamento. Se non ne trovate un altro votabile, restiamo a uno a testa».
«Va bene così» concluse Chiarelli prima che il capogruppo potesse aprire bocca, «è sufficiente. Grazie e buona serata».
Si alzò e strinse le mani a entrambi. Anche Andreani si alzò, ma strinse solo per mezzo secondo il palmo di Thomas, ignorando Michele.
«Lascialo perdere» gli disse il deputato romano quando i due deputati del Fronte furono usciti, «non tutti sono fatti per la politica».
Michele si morse il labbro, pensando che quell’affermazione si adattava perfettamente anche a lui.
 
 
Passò una settimana e arrivò il giorno della votazione.
Arturo era eccessivamente euforico. Non la smetteva di sorridere, incurvando le labbra sottili sul volto scavato dalle rughe. Salutava tutti calorosamente e si fermava a parlare anche con i deputati di destra, che fino al giorno prima non considerava nemmeno.
Lo sguardo di Michele si perdeva tra i banchi del Fronte. Si erano di nuovo messi in divisa, come succedeva durante le sedute più importanti. Notò Andreani e Chiarelli in piedi, nel pieno centro dello spicchio dei banchi del loro gruppo, come dei generali prima della battaglia. Andreani si stava divertendo a fare gesti plateali e a mandare cenni di vittoria. Sembrava gli piacesse da morire farsi vedere.
 
Michele sorrise tra sé, pensando che Thomas aveva pienamente ragione: il capogruppo del Fronte non era portato per la politica. In politica le vere battaglie si fanno nelle segrete stanze, a bassa voce. Non fanno notizia, non hanno foto e titoli enormi. I veri uomini di Stato, i veri autori delle leggi, i veri pilastri del governo non hanno bisogno di farsi vedere. Stanno al loro banco e votavano, magari senza neanche parlare spesso. Era quella la politica, quella vera.
Ad un certo punto Andreani si voltò e incrociò i suoi occhi. Michele se ne accorse in tempo e si affrettò a distogliere lo sguardo.
Il segretario Marchesi era in un completo blu brillante, elegantissimo come al solito. Aveva stretto la mano ad alcuni deputati seduti a destra, del gruppo dei popolari. Poi aveva strizzato l'occhio a Pasqui, prendendo posto tra il capogruppo e Goffredo.
Michele prese in mano agenda e penna, iniziando ad appuntarsi di getto l'intervento del relatore, anche se gli importava poco in quel momento. Riuscì a limitare le distrazioni continuando a scrivere, mentre Thomas sbadigliava continuamente, chiacchierando con chiunque gli desse corda.
«Passiamo all'articolo quattro» la voce del presidente della Camera era stanca e monotona «c'è un emendamento a prima firma Marchesi. Ci sono interventi?»
Nessuno chiese di intervenire. Michele notò con la coda degli occhi Thomas sfogliare nervosamente la pila di fogli per arrivare a quello in discussione.
«Ma quando l’ha presentato? Questo non me lo ricordo proprio…» L’emendamento fu messo in votazione. Il capogruppo Pasqui alzò il pollice per dare indicazione di votare a favore.
Michele infilò la mano per votare, ma all’ultimo si astenne. Iniziava ad avere un sospetto su quell’emendamento.
«La camera approva» continuò il presidente, «con l’approvazione decadono gli emendamenti centocinquanta a firma Greco e centocinquantuno a firma Andreani».
«Che cosa?» Michele sgranò gli occhi, interdetto.
«Ci ha fregati» Thomas sbatté il pugno sul tavolo, «ha sicuramente saputo del nostro accordo con il Fronte e ha presentato un emendamento che cambiasse parte dell’articolo. È un trucco classico. Così i nostri emendamenti alla vecchia versione dell’articolo quattro decadono dalla votazione, perché ormai l’articolo è cambiato.» Michele restò di sasso. Non aveva previsto quella possibilità, e sentì montargli dentro una rabbia feroce.
Il presidente stava per chiamare il voto all’articolo quattro. Le luci del gruppo di SD e dei popolari iniziarono a illuminarsi di verde, mentre ai rami estremi dell’opposizione c'era un rosso uniforme.
«Michele, vota. Dobbiamo votare a favore lo stesso, o ci faranno il culo. Ormai è andata così» gli intimò Thomas.
Il giovane strinse forte la mano destra in quella sinistra, come se volesse impedirsi di farlo. Dopo tutta la fatica per concludere quell’accordo. Era stato contento, perché avrebbe potuto votare qualcosa che rispecchiasse le sue idee. E invece non gli era stato permesso di farlo.
«Michele? Che stai facendo?»
La voce di Arturo gli arrivò come da lontano, anche se era appena sopra le sue spalle. Thomas gli piantò gli occhi addosso.
«Vota! Non ti servirà a niente non farlo. Non farai la differenza con un voto solo!»
Michele guardò il tabellone. La sua era l'unica lampadina che non si era ancora accesa, e tutti intorno lo fissavano. Si aspettavano qualcosa da lui, e lui avrebbe dovuto mentire a se stesso per la seconda volta, fare di nuovo qualcosa in cui non credeva.
“Così si sta in un partito.”
Allungò la mano per votare, tenendo gli occhi bassi. Non voleva guardare in faccia nessuno mentre l'avrebbe fatto.
La sua mano tremava ancora quando la ritirò a votazione chiusa. Ma forse non era solo la mano, ma tutto il corpo a tremare, come se l'aria intorno si fosse abbassata di molti gradi.
Thomas gli toccò delicatamente una spalla. La sua espressione era un misto di pietà e sconcerto. Anche lui non si aspettava la mossa di Marchesi, ma a differenza di Michele aveva votato senza battere ciglio.
«Sei pallido. Vieni a bere qualcosa, ti accompagno».

Michele si alzò lentamente dallo scranno, bloccando subito l’altro.
«Vado da solo» sussurrò, «per favore» aggiunse poi, pensando di sembrare scortese.
Il deputato biondo restò in piedi a metà, non sapendo cosa fare. Michele uscì dall’aula, da solo e a testa bassa. Anche senza guardarsi attorno sapeva che qualcuno, in quel momento, lo stava fissando con assoluto disprezzo.
 
Cercò il bagno più lontano e si chiuse dentro. Le pareti erano bianche e strette, la porta chiusa a chiave. Non c'erano finestre in quel bagno, illuminato solo da una luce al neon in alto. In un'altra situazione simile non sarebbe stato nemmeno un secondo lì dentro, e non avrebbe di sicuro chiuso di sua volontà la porta. Ma in quel momento era come se si fosse dimenticato di aver paura.
Si sedette sul pavimento, appoggiato alla porta, immobile e in silenzio.
Sarebbe uscito solo quando avrebbe ritrovato, da solo, la forza per affrontare gli eventi.
   
 
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