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Autore: _A m a l i a_    28/05/2015    3 recensioni
Milano, Seconda guerra mondiale.
Una storia d'amore più forte del tempo. Più forte della guerra e delle proibizioni.
Clarissa è la giovane figlia di un sostenitore del partito fascista. Cesare è l'uomo di cui s'innamora. Un uomo che combatte la dittatura e mette a repentaglio la propria vita per salvare quella degli altri. Un eroe silenzioso.
La loro storia cammina di pari passo con la disperazione, con la morte e cresce nascosta dagli occhi indiscreti di chi non potrebbe accettarla.
***
Dal 13esimo capitolo:
«Prometti di gridarmi che mi ami e che il suono delle tue parole mi arrivi anche sopra gli spari e lo scoppio delle bombe. Prometti di custodire una parte della mia vita nella tua, così che saprò che non ti lascerai mai morire, per non uccidere anche me.»
Genere: Drammatico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Guerre mondiali, Dopoguerra
Capitoli:
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Come d'autunno le foglie



~ prima parte ~




 
13.


14 gennaio, 1945

Clarissa raggiunse il sottoscala della sua antica villa, poco dopo l’alba, quando le strade erano troppo dormienti per accorgersi di lei. Cesare non voleva vi rimanesse per troppo tempo, da quando, tre mesi prima, era stata nascosta la famiglia Moscato, insieme al piccolo Paolo Spizter.


Se malauguratamente qualcuno avesse scoperto ciò che accadeva in quel sottoscala e avesse trovato anche Clarissa lì.. quella era l’unica cosa che riusciva a tormentarlo. Molto più delle bombe, molto più delle minacce fasciste e dei rastrellamenti tedeschi.
 


Il giorno in cui abbandonarono il primo rifugio, l’auto che trasportava gli zii di Paolo, Gilda Spizter e Igor Basevi, imboccò una strada traversa e fu tradita da un blocco di controllo dell’occupazione tedesca.

Poche ore dopo vennero destinati ad un treno diretto ai campi di sterminio, dove i loro corpi si sarebbero spenti lentamente, prima della fine della guerra. I due coniugi che si erano offerti di accompagnarli al nuovo luogo segreto, vennero fucilati nell’immediato con l'accusa di alto tradimento.
 


Clarissa avrebbe voluto ci fossero stati anche loro, in quel giorno così importante; avrebbe voluto persino lo scorbutico Gastaldi; avrebbe voluto la dolce Denise e lo sguardo confortante che solo lei poteva darle...


Non c’era tempo da perdere. Cesare voleva concludere il tutto prima di mezzogiorno, così che Clarissa fosse già di ritorno a casa per quell’ora. Era stata la sua unica pretesa, quando si era arreso alla testardaggine della ragazza, che non sembrava comprendere quanto incredibilmente pazzo fosse ciò stavano per fare.

Il sottoscala, al suo arrivo, era un tripudio di candele, fin tanto che ogni finestra doveva rimanere barricata.

In una delle piccole camere, Carla, con il suo meraviglioso pancione e la sorella minore Francesca, si occuparono di Clarissa. Le diedero il calore che mille doni non le avrebbero mai trasmesso; pettinarono le onde dei suoi capelli, le sistemarono le pieghe del vestito bianco, che tempo addietro aveva incoronato l’amore dei loro genitori. La signora Moscato aveva trascorso giorni interi a ricucirlo perché entrasse nel corpicino della nuova giovane sposa.

«Sei pronta, Clarissa?» le chiese Francesca, stringendole forte la mano.

Non era pronta e non lo sarebbe mai stata, ma lo desiderava come niente al mondo. Come se fino a quel momento ogni suo desiderio passato si rivelasse frivolo, incapace di reggere il paragone.

Allo specchio vide il volto di una ragazza talmente emozionata da perdere il controllo del respiro. Si tranquillizzò solo quando, pochi istanti dopo, aprendo la porta della camera, trovò lo sguardo di Cesare.

L’attendeva, in piedi, in fondo alla stanza che faceva da cucina, da salotto e da camera da letto; la stanza, dove pochi anni prima, quando Clarissa era una solo ragazza ingenua, si rifugiava a fumare le sue prime sigarette e dove correva per sfuggire alle ramanzine del padre; la stessa stanza dove cinque silenziose anime erano state relegate per salvaguardare la propria vita e ora si giravano ad ammirare una ragazza, vestita di semplici abiti nuziali, dimenticando improvvisamente quanto male ci fosse, lontano da tutto quell’amore.

 
Era la prima volta che vedeva Cesare in abiti eleganti e ad ogni passo sentiva il peso dell’amore che covava dentro. Sentiva che niente, mai, sarebbe riuscito ad allontanarlo. Davanti a lei, appariva meravigliosamente bello. Gli abiti grigi richiamavano le sfumature sui suoi capelli scuri e i suoi occhi le parevano quasi emozionati, alla luce povera delle candele.

Cesare allungò una mano e raccolse le sue piccole dita.

Si guardarono, durante l’intera cerimonia, scambiandosi promesse per cui ancora non erano state inventate parole.

Sapevano che niente di tutto ciò sarebbe mai stato riconosciuto. Le leggi razziali vietavano la celebrazione di matrimoni ebraici, senza contare che Dante Moscato non era un rabbino, non esistevano documenti, né le firme di testimoni ufficiali. Eppure a loro bastava immaginare che qualcuno li guardasse da lassù e che giudicasse puro il loro amore, tanto da permettergli di unirsi da lì all' eternità.


 
«Sia consacrato il vostro legame, per mezzo di questi umili anelli. Secondo la legge di Mosè e d' Israele.»


 
Paolo porse loro gli anelli nunziali. Piccoli pezzi di ferro, modellati dal fuoco rovente della stufa e dalle doti di Dante Moscato. Era tutto ciò che la loro condizione di marginalità poteva donargli.

 
Nella quiete mite e quasi surreale di quelle mura, vennero dichiarati marito e moglie.

«Signora Poggi.» disse solamente Cesare, chinandosi verso di lei.

«Signor Poggi.» disse Clarissa e si ritrovò a baciarlo.

La signora Moscato pianse e Paolo corse ad abbracciare le lunghe gambe di Cesare. Aprirono una bottiglia di vino rosato che Cesare era riuscito a rimediare e festeggiarono quanto più silenziosamente riuscirono.

 

Accanto alla porta d’ingresso, i due sposi clandestini si accontentarono di pochi istanti di intimità.

«Mi guardi come non mi merito, mia bellissima moglie.» le disse sottovoce, prendendole il viso gioioso tra le mani.

«Ti amo.» sussurrò anche lei, per non guastare le parole. «Non puoi nemmeno immaginare quanto.»

Sorrise. Uno dei suoi rari sorrisi, che coglievano sempre di sorpresa. «Posso, invece.» le accarezzò il singolare anello e si girò verso gli altri, sperando di trovarli occupati in altre faccende. Tornò a guardare lei, la sollevò per portarla alle sue labbra e baciarla con passione.

«Detesto dovermene andare, perché non posso restare ancora un po’?» le chiese, lasciandogli baci sul mento, sul collo. Inspirando il suo profumo.

«Perché conosco i tuoi ‘ ancora un po’ ’, finiresti per rimanere qui fino a domani.» la allontanò con delicatezza. «Sai bene che faccio uno sforzo enorme a dirti di no, ma ti voglio al sicuro e qui non lo sei.»

Clarissa alzò gli occhi al cielo, certa di non poter vincere contro la razionalità di quell’ uomo. Non le restava che stringerlo forte, un’ultima volta.
 
«Non mi hai ancora detto cosa desideri come regalo di nozze, amore mio.» le sussurrò, prima di lasciarla andare.

«Posso chiedere qualunque cosa? Prometterai di esaudirla?»

Cesare sorrise, scompigliandole i capelli. «Sì, qualunque cosa, piccola matta.» …
 


Quella sera, mentre Clarissa riposava tra le coperte del suo letto, senza riuscire a smettere di toccare l’anello che le riempiva l’indice e mentre Cesare, lontano chilometri dalla sua sposa, non pensava che alla bellezza del suo pallore e alla dolcezza delle sue labbra, una nuova vita avrebbe riempito il silenzio del sottoscala.
Carla aveva partorito un’ incantevole bambina.
 


…  «Prometti di gridarmi che mi ami e che il suono delle tue parole mi arrivi anche sopra gli spari e lo scoppio delle bombe. Prometti di custodire una parte della mia vita nella tua, così che saprò che non ti lascerai mai morire, per non uccidere anche me.»
 

  
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