CAPITOLO 7. ANDATA E RITORNO
“Credi davvero che funzionerà?” mormorò Uhura, sporgendosi per vedere con più chiarezza lo strano macchinario che aveva in mano l'uomo che aveva conosciuto, di cui non sapeva ancora il nome.
“E' tutta la vita che mi occupo di motori e macchinari. Se non funziona, inizierò a deprimermi.” mormorò Scott, sorridendo alla ragazza.
“E' solo che.. è così.. assurdo! Non sapevo esistessero oggetti così tecnologici.”
“Non ne esistono infatti. Il che è un bene, perché se esistessero, i pezzi grossi li userebbero male, come usano male qualsiasi altra risorsa.”
“Stai
dicendo che l'hai creato tu?!?”
“E' una lunga storia.”
“Non ho più un lavoro né una casa. Dove vuoi che vada?”
“Sono
stato.. sono stato il più giovane del mio paese a laurearmi
in
Ingegneria Aereo Spaziale. Erano tutti così orgogliosi di
me. La mia
famiglia che aveva speso chissà quanti soldi per la mia
istruzione,
i miei vicini, tutti quelli che conoscevo. Anch'io ero orgoglioso di
me stesso, e lo ero ancora di più quanto ottenni la carica
di Capo
Ingegnere in quella dannata istituzione. Sapevo come stavano le cose,
ero giovane ma non stupido, ma credevo, speravo, che con la mia
conoscenza avrei potuto cambiare le cose. Volevo passare il resto
della mia vita a testare nuovi motori per nuove astronavi il cui
scopo era scoprire nuovi mondi e allearsi con essi. Volevo ingegnarmi
per inventare apparecchi e altri oggetti che potessero facilitare la
vita dell'uomo..” Scott tirò un sospiro
malinconico, poi continuò
“.. e invece là mi hanno fatto diventare uno
zerbino. Una macchina
da guerra. Metta il motore nell'astronave militare, Scott. Renda i
colpi più forti, Scott. Renda le nostre astronavi sempre
più forti,
per permetterci di colonizzare sempre più pianeti e avere
sempre più
risorse, Scott. Al diavolo, non era questo che volevo.”
“Quindi
ti sei licenziato?”
Scott sorrise.
“Ho fatto di meglio. Ho manomesso i motori di un'astronave inviata in missione. Ora sta fluttuando nello spazio senza energia.” mormorò Scott, con un filo di sadismo.
“Geniale.” mormorò Uhura, sorridendogli.
“Adesso c'è una taglia sulla mia testa.”
“Fammi vedere. No, non hai niente.” scherzò Uhura, guardandogli il viso.
Risero entrambi per un po', poi a poco a poco tornarono seri: Scott doveva terminare il suo racconto.
“Comunque, usai il mio tempo libero per fare quello che volevo fare, anche perché se non l'avessi fatto avrei perso la mano e tutto ciò che sapevo sarebbe andato nel dimenticatoio, e questo non potevo permetterlo. Progettare nuovi oggetti, ma non sono andato molto lontano. Ho realizzato solo questo e un altro paio di cose. Il problema principale è che io ho le conoscenze meccaniche, ma mi mancano quelle matematiche, le formule e il resto. Se solo potessi incontrare qualcuno che le possiede, insieme potremmo fare tantissime cose. Pensa, sono sicuro che potremmo persino costruire un'astronave.”
“Una macchinetta che riesce a localizzare una persona solo infilandogli al proprio interno un qualcosa contente il suo DNA come un capello non la definirei una sciocchezza. Se funziona ti do un bacio!” esclamò Uhura di getto, senza pensarci.
Scott si voltò verso la ragazza e uno splendente sorriso si dipinse sul suo volto.
“Allora speriamo proprio che funzioni!”
Scott
lo azionò, e si sentì subito un bip che si
ripeteva ad una distanza
di qualche secondo.
“Che significa?” chiese subito Nyota, desiderosa di risposte.
“Che
la tua amica è.. là!” disse Scott,
indicando la campagna.
“Nel
bosco? Allora è ancora viva! Presto, andiamo!”
“No,
aspetta..” mormorò l'ex ingegnere, prendendola per
un braccio.
Guardò ancora lo schermo e poi continuò
“.. non occorre che ci
muoviamo. E' lei che sta venendo da noi.”
“Cosa?”
“La
macchinetta dice così! Sta venendo verso di noi. E ad alta
velocità.
Dubito sia a piedi. A questa velocità penso sia su un
veicolo, una
macchina o simili.”
Nel frattempo, Kirk girava avanti e
indietro per la stanza, ansioso come non lo era da tempo. Avrebbe
dato qualsiasi cosa per andare con Leila a cercare Nyota, ma non
poteva tornare. Anche se la città era distrutta per
quell'attacco di
cui ancora nessuno sapeva nulla, lui era ancora salvo perché
tutti
lo credevano morto. Se qualcuno lo avesse visto, era la fine. McCoy
era ancora troppo debole fisicamente, quindi anche lui era fuori
discussione, per non parlare di Spock, che con quelle caratteristiche
fisiche che lo rendevano diverso era quello più in pericolo:
se
l'avessero visto, lo avrebbero usato per degli esperimenti.
Quindi
tutti e tre erano bloccati in quella stanza, e Jim era sempre
più
nervoso.
Nyota.
Non
l'aveva mai dimenticata. E gli dispiacque molto di aver dovuto
rinunciare al suo caso, ma non poteva farci molto.
“Questo suo atteggiamento è illogico e privo di utilità. La prego, si segga.” mormorò Spock, senza neanche alzare lo sguardo, concentrato com'era ad apportare modifiche al suo computer, applicando una manovra in esso che avrebbe permesso all'oggetto di rilevare l'aria che li circondava e cosa accadeva a distanza di km. Sperava che un giorno avrebbe potuto allargare il raggio d'azione su cui lavorava.
Jim non seguì il suggerimento dell'amico, ma perlomeno smise di muoversi.
“Avete della roba davvero interessante qui.” disse McCoy, avvicinandosi di soppiatto a Spock, il quale si allontanò e lo guardò malissimo.
“Non tocchi nulla.” mormorò a denti stretti all'ex medico, con una voce che non poteva essere contra detta.
“Ma si può sapere che razza di problemi hai?” sbottò scocciato McCoy, stanco di essere trattato male da quel tizio senza una valida ragione.
Spock
non disse nulla, ma guardò intensamente negli occhi McCoy
come se
cercasse di ucciderlo con lo sguardo. L'altro fece altrettanto,
aspettando una risposta che tanto non arrivava.
Ci pensò Jim
a calmare un po' le acque. Se non lo avesse fatto chissà
cosa
sarebbe successo.
“Ehy
ehy va tutto bene. McCoy, sono sicuro che Spock non ha niente contro
di te.”
Spock alzò un sopracciglio mostrando disappunto,
come se con lo sguardo stesse dicendo “Oh sì
invece che ho
qualcosa contro di lui”, ma sia McCoy sia Jim lo ignorarono.
L'ex
medico respirò a fondo, cercando di calmarsi.
“D'accordo,
forse sono solo molto stress..”
Non riuscì a completare la
frase, perché nel frattempo aveva provato ad appoggiare la
mano
sulla spalla di Spock, ma questi fece un enorme balzo all'indietro e
lo guardò ancora peggio di prima.
Se c'era ancora un minimo
di diplomazia dentro McCoy, ora era andata allegramente a farsi
friggere.
“SI PUO' SAPERE CHE SUCCEDE ADESSO?!?”
urlò.
“Non si azzardi a toccarmi mai più.”
“Infatti non l'ho fatto genio, perché tu sei balzato indietro manco fossi un canguro!”
“Lui non.. non vuole essere toccato.” spiegò gentilmente Jim.
“Che?!? Ma è una cosa così.. non umana!”
“Grazie.”
disse gentilmente e sinceramente Spock, compiaciuto dal fatto che
quell'uomo avesse detto una cosa intelligente ai suoi occhi,
finalmente.
“Ma fa sul serio o mi prende per il culo?”
chiese McCoy a Jim, sempre più confuso.
Kirk sorrise quasi
divertito, e stava per rispondere, ma la porta sì
aprì, e sulla
soglia apparirono tre persone, Leila, un uomo di circa quarant'anni
dai capelli castani e gli occhi scuri e, Nyota.
Nell'istante in cui la vide, Kirk sentì i battiti del suo cuore farsi più forti e più veloci, come se qualcuno stesse suonando un tamburo. Era passato tanto tempo dall'ultima volta che l'aveva vista, troppo tempo. Ogni sera le mandava una piccola preghiera, affinché questa potesse aiutarla a vivere meglio. Essendo una donna e per giunta di colore, per lei era tutto più difficile e andare avanti doveva essere una sfida continua, ma in fondo, Jim sapeva che era viva. Lo sapeva perché l'ultima volta che l'aveva vista era solo una ragazzina, come lui del resto, ma comunque era così matura, così forte, così determinata. E ora era lì. Quell'incredibile sensazionale donna era lì, e non abbracciarla sarebbe stato da idioti.
“Nyota.”
mormorò, come se lo stesse ripetendo a sé stesso,
mentre la
stringeva tra le braccia.
“Agente Kirk! Quando Leila mi ha
detto che era ancora vivo non potevo crederci!”
esclamò lei,
ricambiando l'abbraccio. “hai ancora gli abiti di mio
padre.”
aggiunse, notandolo solo in un secondo momento.
“Mi hanno portato fortuna.”
Davanti a quel gesto affettuoso, Spock alzò nuovamente un sopracciglio alla sua maniera, mostrando più fastidio che disappunto, il che era parecchio strano, ma smise subito di pensarci.
Quando si sciolsero dall'abbraccio, Kirk si voltò verso l'uomo.
“Scusi, lei è..”
“Montgomery Scott!” esclamò McCoy, che si ricordò del servizio alla TV quando ancora era al manicomio.
“Sì.. aspetti.. lei come mi conosce?”
“Lunga storia.” mormorò McCoy, sorridendo.
“Per
caso avete del buon brandy? Ne ho un disperato bisogno.”
ecco un nuovo capitolo!!
volevo prendermi un momento per ringraziare tutti quelli che recensiscono e seguono la fanfic. Davvero, quando l'ho pubblicata pensavo sarebbe passata inosservata, quindi.. GRAZIE! Se potessi vi abbraccerei tutti!
E
niente, ho voluto aggiungere in questo capitolo le prime "discussioni"
tra Spock e McCoy, perché nella TOS sono stupende e le
volevo anche qui. Spero abbiate apprezzato.
Alla prossima!