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Autore: Malvagiuo    28/05/2015    1 recensioni
La morte di Roigkal val'Rundor precipita la valle di Askold in una situazione drammatica. L'inverno grava ancora sulle tribù del nord, che contano sul ritorno della loro divinità, Grijndir, per sopravvivere. Solo la possente Bestia del Mare, infatti, può spezzare l'immensa banchisa di ghiaccio che congela le acque di Askold, aprendo la via dell'oceano e della salvezza. Due uomini si disputano la successione, e con essa il dovere di richiamare Grijndir dalle profondità degli abissi. Da una parte il suo unico figlio, Volgrim, giovane e temerario, che dovrà convincere la sua gente a vederlo non più come ragazzo ma come uomo. Dall'altra, Iorig, fratello di Roigkal e zio di Volgrim, guerriero ambiguo e dalle mille risorse, i cui reali propositi costituiscono un mistero per chiunque.
Genere: Drammatico, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il fuoco scoppiettava vivace nell’incavo di pietre che Volgrim aveva costruito per circoscrivere le sterpi da bruciare. La grotta era umida, e l’askarl aveva faticato non poco per dare vita alle fiamme. L’antro in cui aveva trovato rifugio doveva essere stato interamente ricoperto di ghiaccio fino a poco tempo prima e solo l’intervento della misteriosa creatura aveva reso possibile il suo accesso là dentro.

La donna era stesa a terra a poca distanza dal fuoco. Era viva, ma ancora priva di coscienza. Il respiro era debole e le ferite erano le più gravi che Volgrim avesse mai visto su un corpo umano. Dubitava che avrebbe passato la notte. Nonostante la sua convinzione, aveva deciso di portarla in salvo con sé dentro la caverna. Non sapeva perché l’avesse fatto. A guidarlo era stato probabilmente un istintivo senso di riconoscenza: si rendeva conto che la donna gli aveva salvato la vita. Non aveva validi motivi per continuare a vivere, ma l’istinto era prevalso sulla ragione, e aveva deciso di prendersi cura di lei finché non si fosse rimessa. Ammesso che ciò fosse possibile.

Volgrim soffiò alla base del fuoco per alimentarlo. Era rimasto a torso nudo, poiché la sua pelliccia faceva ora da coperta e giaciglio per la donna. Il freddo tornava a farsi pungente, se non fosse riuscito a incrementare le fiamme entro breve l’intervento della sua misteriosa salvatrice sarebbe stato inutile.

Dopo quella che parve un’eternità, il falò cominciò a emanare calore. Volgrim protese le mani verso le fiamme, soffiandovi dentro per riscaldarle. Non sentiva più i polpastrelli, per non parlare delle dita dei piedi. Gli stivali erano fradici, li rimosse e avvicinò le punte dei piedi congelati alle pietre calde del focolare. Rimase così per molto tempo, finché non avvertì le estremità di mani e piedi tornare sensibili. Si voltò un paio di volte per osservare la donna, ma le sue condizioni non sembravano mutare. Quando rivolse nuovamente lo sguardo alle fiamme, un turbinio di pensieri prese vita nella sua mente.

Aveva forse perduto la ragione? Che senso aveva quello a cui aveva assistito? Ciò che aveva visto non era opera di un mortale, ma di un dio. Chi altri sarebbe sopravvissuto a un vortice di fiamme di quell’intensità? Volgrim non aveva dubbi sul fatto che il fuoco fosse stato generato dal corpo stesso della donna: il ricordo dell’incendio che divampava dalle carni era più vivido che mai, era stato come osservare la coltre di nebbia che nasce dal ghiaccio appena riscaldato. Il fuoco che aveva visto le apparteneva. Per quanto assurda fosse quell’idea, era la verità.

Era evidente che quel fuoco non era benevolo. Volgrim gettò l’ennesimo sguardo al corpo martoriato della donna, alle ustioni e alla pelle carbonizzata che la faceva gemere nel sonno.

Che razza di divinità era quella in cui si era imbattuto?

Mentre formulava queste domande nella sua mente, un pensiero scosse le fondamenta del suo essere. Qualcosa di sconvolgente, eppure sensato.
Quella donna era padrona di un fuoco soprannaturale. Forse non lo dominava, ma ne era portatrice.

E se fosse stata in grado di scatenarne la furia contro la barriera di ghiaccio che imprigionava il mare?

Volgrim sobbalzò. Il potere di quel fuoco sarebbe stato sufficiente? Sì, non c’erano dubbi. Le valanghe... era stata lei a provocarle. Con quel fuoco divino aveva sciolto nevi secolari, ghiacciai che resistevano sulle montagne da prima che il popolo di Grijndir si stabilisse nella valle. Perché non avrebbe potuto sciogliere anche la banchisa?

Quella creatura, donna o déa che fosse, concedeva un’opportunità straordinaria a lui e al suo popolo. Poteva tornare a essere un askarl! Il crimine di cui si era macchiato uccidendo Bjorik sarebbe stato perdonato, tutto ciò che contava era la salvezza che portava loro!

Ma un nuovo pensiero spense subito l’entusiasmo di Volgrim. La donna era in fin di vita. Chi poteva sopravvivere a ferite del genere? Un uomo dalla tempra più forte non ce l’avrebbe fatta. Quella donna era esile, non mostrava molti anni più di lui. Anche senza l’insulto delle fiamme, doveva essere stata una ragazza gracile: era incredibile che fosse arrivata fin lì attraversando a piedi i valichi.

Volgrim si alzò. Aveva preso una decisione. Se esisteva una remota possibilità che la sua salvatrice, la sua déa, sopravvivesse, avrebbe fatto di tutto per realizzarla. Uscì dalla caverna e si inoltrò nella pianura scongelata, non prima di averle rimboccato la coperta ed essersi assicurato che l’ingresso al rifugio fosse ben nascosto. Il calore poteva aver attirato degli animali: Volgrim ci contava. Trovare selvaggina nelle regioni montuose, in pieno inverno, era un’impresa disperata. Anche Algwi il Boscaiolo si sarebbe dato per vinto. Ma Volgrim doveva riuscire, si rese conto. Se non riusciva a rimettere in sesto la donna, ogni speranza di ricostruire la sua vita, e quella del suo popolo, sarebbe morta con lei.

 
***
 
Il buio era calato da diverse ore quando Volgrim fece ritorno. L’interno della grotta era caldo e accogliente come l’aveva lasciato. Di questo fu grato, perché il gelo all’esterno era tornato rapidamente, una volta svanita la cappa di calore sprigionata dalla déa. Lei ancora dormiva, le sue condizioni non erano migliorate. Forse non sarebbero migliorate nemmeno dopo l’intervento di Volgrim, ma doveva tentare.

In mezzo alle nevi rese morbide dall’improvvisa folata di caldo, Volgrim aveva scovato una tana di marmotte. Il letargo le aveva rese vulnerabili, una di loro era diventata la facile preda di Volgrim. L’askarl aveva scavato nel terreno baciato dal fuoco fino a trovare delle radici, infine aveva raccolto dell’acqua dai canali prodotti dal passaggio delle fiamme nella calotta di ghiaccio. Suo padre non sarebbe stato affatto contento di vederlo cucinare nell’elmo che gli aveva donato, ma non c’era scelta. La donna – e lui stesso – avevano bisogno di mangiare qualcosa di caldo, e la sorte li aveva già favoriti concedendo loro della carne e il fuoco per cucinare.

Versare il brodo tra le labbra screpolate della donna non fu facile. A ogni sorso, Volgrim la sentiva gorgogliare come se stesse affogando. Una sorsata dopo l’altra, riuscì a farle bere almeno metà del contenuto dell’elmo. Lui trangugiò il resto, e subito si sentì ristorato, anche se la fame continuava a mordergli lo stomaco.

Avevano abbastanza cibo per un paio di giorni, poi sarebbe dovuto tornare all’esterno. Entro due giorni, Volgrim era certo, il ghiaccio si sarebbe riformato. Se la donna non si fosse ripresa, c’erano scarse probabilità di uscire vivi dal valico. Ma in fondo, che importava? Senza di lei, anche se fosse sopravvissuto, la sua sorte sarebbe stata comunque segnata.

 
***
 
Volgrim si svegliò di soprassalto. Non si era nemmeno accorto di essersi addormentato. Il fuoco era spento, e nell’oscurità totale della grotta non poteva distinguere nulla. Qualcosa produceva rumore, all’interno della grotta. Un suono acuto, raschiante. Era debole, ma insistente. Volgrim non riusciva a capire se provenisse dall’interno o dall’esterno.

Si orientò a tentoni nel buio, alla ricerca di due frammenti di roccia, che sapeva trovarsi nei pressi del focolare. Tastò la polvere delle braci, ancora tiepida, e di lì mise mano a ciò che cercava. Sfregò le pietre per un poco, batté ruvidamente una sull’altra, e una scintilla rischiarò l’oscurità per meno di un battito di ciglia. Volgrim continuò a sfregare le pietre focaie nel punto dove era probabile che si trovasse l’esigua scorta di sterpaglie raccolte il giorno prima, alla fine produsse un altro paio di scintille. Un bagliore prese vita all’improvviso, Volgrim si affrettò a soffiare accanto al mucchietto di erba secca dov’erano cadute le scintille. Soffiò a lungo e la luce tornò a rischiarare l’ambiente angusto nel quale avevano trovato rifugio.

Quando il fuoco fu di nuovo crepitante, Volgrim si voltò. Rimase sconvolto da ciò che vide. La donna era viva. Non solo era sopravvissuta, ma pareva dotata di una rinnovata energia, poiché era strisciata fino all’ingresso della grotta, chiuso da un mucchio di rami di pino, e si sforzava di passarvi attraverso, ansiosa di raggiungere l’esterno. Non aveva ancora recuperato le forze per stare in piedi, ma aveva abbastanza vigore da scavare con le mani nel fitto strato di legno e aghi di pino, alla ricerca di un passaggio.

«Che cosa fai?» esclamò Volgrim. «Sei troppo debole, non puoi...»

La donna si voltò con uno scotto. Gli occhi sbarrati, un’espressione di puro terrore sul volto. Volgrim decise di rimanere discosto, per non agitarla ulteriormente.

«Devi restare calma. Sei ferita.»

Il bianco degli occhi di lei circondava due iridi verdi come giada. Erano l’unica nota di colore su un viso e un corpo completamente neri.

«Capisci quello che ti sto dicendo?» chiese Volgrim. Un dubbio lo assalì all’improvviso. Si rese conto che esisteva la possibilità che la donna non parlasse la sua lingua.

«Mi capisci?» ripeté, ansioso di ricevere una risposta.

Un suono gorgogliò fuori dalle labbra screpolate di lei, pronunciato con voce talmente roca da sembrare ferro che raschia sulla roccia.

«Sì.»

«Se mi capisci, ascoltami. Sei al sicuro. Non voglio farti del male. Mi sono preso cura di te finché eri svenuta. Devi tornare a riposarti. Là fuori fa molto freddo, in queste condizioni moriresti quasi subito.»

«No... andare...»

«Dove devi andare?»

«Askoldir... valle... Askoldir!»

Volgrim rimase interdetto. Era sicuro di aver capito bene. Quella donna aveva pronunciato il nome del suo villaggio. Era quello il posto che voleva raggiungere con tanta determinazione.

«Conosco quel luogo. Ma perché vuoi andarci?»

Quello che uscì dalla sua bocca fu solo un farfugliare sommesso. Volgrim si sforzò di distinguervi delle parole o frasi di senso compiuto, ma fu tutto inutile. Sembrava che la donna inframmezzasse vocaboli nella lingua di Volgrim con altri di una lingua diversa. O forse erano davvero solo parole senza senso. Volgrim interruppe quel flusso di farneticazioni ponendole un’ultima domanda.

«Come ti chiami?»

La donna lo fissò, gli occhi ancora sbarrati, la paura impregnava il suo volto. Mormorò una sola parola, prima di perdere conoscenza.

«Kalig.»



 
   
 
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