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Autore: Caladan Brood    06/01/2009    0 recensioni
Se potessi tornare indietro, se potessi ripetere i miei passi, sarebbero molti gli errori con cui dovrei confrontarmi. E anche se, con ogni probabilità, a molti non saprei ancor oggi porre adeguato rimedio, sono convinto che, almeno in quell’occasione, saprei come agire. Nulla sarebbe successo. Il 2005 mi sarebbe scivolato tra le dita, un semplice granello in più sul fondo della clessidra, uguale a tutti i precedenti… e ora non saremmo a questo punto.
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3
Giro di visite


Ore 20:00

Percorrendo di malavoglia l’ampio corridoio l’unica cosa che veramente gli stava a cuore era concludere quella schifosissima giornata il prima possibile. I capelli arruffati, la camicia stropicciata e impolverata, i pantaloni che nemmeno più erano del loro colore originale, Ray si faceva strada verso l’ufficio del proprio collega. Aprì la porta senza nemmeno disturbarsi a richiuderla e immediatamente si lasciò cadere su una delle due sedie nella stanza. Con i piedi appoggiati alla scrivania rimase in attesa, le mani intrecciate dietro la schiena, gli occhi chiusi. Alex non sarebbe arrivato tanto presto, preso da una voglia ormai morbosa di risolvere in qualche modo quel caso era andato a informarsi personalmente degli sviluppi ottenuti dalla scientifica sulle prove raccolte il giorno prima. Se anche gli altri due giorni che restavano dovevano essere come quello che era appena trascorso non vedeva l’ora che fosse mercoledì. Aveva buttato una domenica che doveva essere di riposo, seduto sul divano con una birra in mano a guardare le partite di campionato, a piantare bacchette di plastica. Per non parlare delle porcherie che Jim gli aveva fatto fare dopo. Aveva passato l’intera giornata in quel maledetto magazzino, non sopportava nemmeno l’idea.
«Come procedono le indagini?» una voce interruppe i suoi pensieri. Senza nemmeno voltarsi Ray rispose:
«Sparisci prima che ti prenda a calci Ian»
«E che ho fatto di male?» chiese candidamente Brooks fermo nei pressi della porta aperta.
«Non dovevi scrivere niente su quel cretino senza un braccio che pensi di aver visto»
«Ma io l’ho visto sul serio»
«Si si, come vuoi, ma non dovevi scriverne nulla comunque»
«E perché?»
«Senza quel cazzo di particolare questo caso se lo sarebbe beccato subito la polizia, sarebbe morto prima ancora di nascere, e io non sarei qui»
«Ti faccio notare che se non fosse stato per il tuo collega sarebbe morto comunque»
«Difatti ho in programma di ucciderlo non appena avrò sufficienti forze per farlo»
«Scoperto niente alla fine?»
«Ma che! Anzi, siamo messi peggio di prima. I colpi sembra quasi che siano stati sparati da un elicottero che volava tutto attorno al magazzino, i cardini della porta che tu hai detto essere stata sfondata davanti ai tuoi occhi sono d’acciaio e tutto meno che deboli e intorno a quello stabile non c’è una sola, schifosa, macchia di sangue che sia una. Se il tuo uomo senza un braccio è veramente esistito mi spieghi dove cazzo è andato a sanguinare?»
«Questo purtroppo era anche un problema mio, prima che assegnassero il caso a voi due» Ian non diede certo l’idea di rimpiangere il giorno precedente «Ma non avevano già controllato l’esterno alla ricerca di tracce di sangue?»
«Già che c’era Jim mi ha fatto fare un altro giro, tanto per non lasciarmi sfaccendato»
«Siete da capo, non è così?»
«Non ci resta che sperare che su quel nylon la scientifica trovi un’impronta di Allen»
«Che nylon?»
«Quello che hanno messo sulla porta sfondata, quando Alex è arrivato era a terra, forse qualcuno è entrato nel magazzino ieri notte»
«E tu pensi ad Allen»
«Alex pensa ad Allen» Ray lo corresse subito «Io no sinceramente, non sono nemmeno sicuro che effettivamente qualcuno si sia intrufolato nello stabile. Certo è, però, che se si trovano le impronte le cose cambiano. Allen lo possiamo arrestare e un mandato per casa sua lo otteniamo senza problemi»
«Se invece non succede?»
«Cosa che di certo accadrà ovviamente… avremmo ancora due giorni per trovare qualcosa che convinca Lockwood a tenere viva quest’indagine che non ha speranza di portare da nessunissima parte»
«Ne sembri convinto»
«Qualunque cosa sia successa in quel magazzino non abbiamo modo di capire come si siano svolti effettivamente i fatti»
«Ma allora pensi che…»
«Non ci allarghiamo Ian» lo interruppe Ray «Da qui ad ammettere l’esistenza del tuo storpio ce n’è di strada! Dico solo che Alex ha ragione, qualcosa lì dentro è successo, una lite, una rissa, qualcosa. Se le sono date, ed erano certamente più di due, per fare un simile disastro bisogna essere in tanti»
«Ma non avete trovato indizi che lo provino»
«E non esiste nessuno così bravo a pulire le tracce»
«Penso anch’io»
«Ed è tutta colpa tua»
«Ma dai che t’ho movimentato la domenica pomeriggio»
In uno scatto Ray afferrò una delle palline da golf che Alex teneva sopra la scrivania come ornamento e la gettò alle sue spalle schivando Ian di pochi centimetri, e solo perché quest’ultimo fece in tempo a scansarsi. La pallina rimbalzò contro il muro di fronte alla porta aperta e ritornò rotolando nell’ufficio. Ridendo Brooks salutò per poi andarsene, l’altro rispose con un grugnito di scontento per poi ritornare ad attendere.
Quando Alex entrò nel proprio ufficio erano passati più di venti minuti. Tra lo stizzito e il demoralizzato, a passi ampi colmò la distanza che lo separava dalla propria sedia, ci si sprofondò quasi controvoglia, la testa incassata tra le spalle, i gomiti appoggiati alla scrivania e rimase ad osservare il collega che, con gli occhi ancora chiusi dava l’idea di essersi addormentato. Dovette smentirsi un attimo dopo, Ray parlò:
«Sento puzza di brutte notizie»
«Appunto» riprendendo una posizione eretta Alex si passò le mani tra i capelli «Come peggio non poteva andare»
«Il nylon?»
«Impronte di venti persone diverse, ma ovviamente non c’è quella che cerchiamo»
«Il sangue?»
«Abbiamo solo i primi risultati, fino ad adesso tutti di Allen»
«Che culo!»
«Quello che stavo per dire io»
«E certo la giornata di oggi non ci ha aiutato a far luce sulla faccenda. Si sono alzate solo nuove domande. Come diavolo me le spieghi le traiettorie dei proiettili?»
«Non le spiego» Kent non poté che ammettere la realtà.
«È bello sentire che siamo arrivati alle stesse conclusioni»
«Le traiettorie dei proiettili sono l’ultimo dei nostri problemi. Io speravo di scoprire la dislocazione di quelli che sparavano ma poco importa. Al punto in cui siamo il nostro obiettivo principale non è risolvere il caso, è tenerlo aperto. Una cosa alla volta»
«Abbiamo una seppur vaga, sbiadita, parziale, buona notizia?»
«Una»
«Tirami su il morale Alex» stiracchiandosi Ray incrociò nuovamente le mani dietro al testa.
«Hanno analizzato le impronte digitali sulle armi»
«E…?»
«Anche lì speravo molto meglio, quasi tutte le armi non hanno impronte recenti»
«Non mi sembra una buona notizia»
«Ho detto quasi. Una delle pistole ne aveva di talmente evidenti che potevano essere viste a occhi nudo, e da lontano»
«Come mai?»
«Il genio aveva le mani sporche di qualcosa, olio lubrificante forse»
«Certo che bisogna essere idioti»
«E a quanto pare il nostro nuovo amico è un pregiudicato» precisò Alex.
«Musica per le mie orecchie»
«Un certo Knight, il nome non me lo ricordo, Earl forse, per domani sapremo su di lui tutto quello che c’è da sapere»
«Non è male come buona notizia, perché così demoralizzato?»
Kent esitò un attimo prima di parlare: «Ha praticamente due giorni di vantaggio… se fossi in lui me la sarei già squagliata da un pezzo»
«Non ne avrebbe motivo. Che io sappia non ha commesso alcun reato degno di questo nome»
«Aggressione, per esempio»
«E con quali prove?»
«Non si sparano cinquecento colpi come manifestazione di giubilo» continuò Alex.
Passandosi stancamente una mano sulla faccia. Ray sbuffò lievemente:
«Andiamo a fargli una visitina subito?»
«Se non è già partito certo non lo farà stasera» il sergente non parve aver dubbi a riguardo.
Il collega tirò un visibile sospiro di sollievo. L’idea di ritardare il ritorno a casa di almeno un altro paio d’ore non l’attirava per niente:
«Vedi il lato positivo socio, almeno adesso abbiamo qualcosa, il che è un bel passo avanti»
«Abbiamo un altro nome oltre ad Allen quantomeno» Alex non parve altrettanto ottimista.
«Dunque domani andiamo a caccia di questo tizio?»
«Precisamente. Poi voglio fare un giro a trovare quelli che avrebbero dovuto confermare la storia di Allen»
«Intendi quello che vive con lui e il suo amico di Bank»
 «Parker e O’Brian, precisamente. Così possiamo anche dare un’occhiata a casa Allen»
«Dunque per oggi abbiamo finito?»
«Sì, nel complesso penso di sì»
«Buonanotte collega» Ray era già quasi arrivato alla porta quando salutò.
«Se aspetti dieci minuti andiamo via insieme» lo informò Alex avvicinandosi ulteriormente alla scrivania «Devo solo controllare una cosa sul…» si limitò ad aggrottare le sopracciglia senza portare a termine la frase. Scostò alcuni dei fascicoli che gli stavano davanti, si guardò un attimo in giro «Dov’è finito il rapporto?»
Ray ritornò sui propri passi «Che rapporto?»
«Quello sul caso, lo avevo lasciato sulla scrivania» Kent continuava a cercare.
«Sicuro?»
«Sì! Beh, oddio, quasi. È successo stamattina non è che me ne ricordi benissimo»
«Buonanotte» lo liquidò Ray senza aspettare altro.
«Chissà dove l’avrò buttato?»
«Auguri per la ricerca» Raymond era già in corridoio.
«Domani alle nove!» gli urlò Alex quando il collega si stava già allontanando «Puntuale per una volta»
«Stupirò me stesso» ribatté l’altro, già a qualche metro dall’ufficio.

Lunedì  15 agosto 2005
Ore 10:30

Fermi, davanti a quella porta, nel corridoio di quel condominio, erano lì da almeno cinque minuti, e da almeno due Ray stava tormentando il campanello senza sosta, anche se ormai cominciava a sorgergli il dubbio:
«È questo l’indirizzo?»
Dopo una seconda occhiata Alex confermò «Sì, è questo»
«Allora mi sa proprio che il ragazzo ha levato le ancore»
«Comincio a crederlo anch’io. Continua a suonare, se ha mantenuto il posto all’ospedale e fa ancora il turno di notte forse starà dormendo»
«Se è così ha bisogno di un apparecchio acustico»
«Tu saresti più facile da svegliare?» Kent cominciò a bussare sempre più rumorosamente alla porta. Ottennero risposta, ma dall’appartamento sbagliato.
«Non è in casa, è inutile»
Smettendo di martellare il campanello Ray andò incontro alla donna di mezza età che li aveva appena informati:
«Buongiorno, io sono Raymond, un amico di Earl. Lei è la signora…» aguzzò la vista per identificare le lettere scritte sul campanello «Briggs? Piacere di conoscerla». Le porse la mano, la donna la strinse quasi con gioia
«Piacere mio, dunque lei conosce Earl?»
«Non le ha mai parlato di me?»
«A dir la verità quel ragazzo non parla mai con nessuno, abito accanto a lui solo da qualche mese, è vero, ma non l’ho mai ne visto ne sentito aprir bocca in tutto questo tempo. Certo esistono anche le persone taciturne ma socializzare un minimo coi vicini non mi sembra un gran fatica. Ad ogni modo…»
Come unica reazione Ray si limitò a chiudere gli occhi un istante, un gesto di abbattimento. Perché proprio la vecchia pettegola doveva capitargli? La lasciò finire senza interromperla. In una delle rade pause in quello che già si stava figurando come un soliloquio in piena regola, pose la propria domanda:
«Come mai è così sicura che non sia in casa?»
«Oh, non lo vedo da tre giorni ormai e dall’appartamento non si è mai sentito alcun rumore, anche se, in verità è piuttosto normale. Il ragazzo fa il turno di notte all’ospedale, di giorno dorme, ma quando si sveglia verso il tardo pomeriggio è parecchio rumoroso. Sa che penso, deve essere partito per le ferie, d’altro canto è il periodo giusto e si sa, questi ragazzi…»
«Ma certo, certo» questa volta Ray la interruppe «La ringrazio infinitamente, arrivederci» si voltò e con rapidità si avvicinò ad Alex, lo prese sotto braccio e subito lo trascinò via quasi di peso con ancora nelle orecchie l’irritante vocina della signora Briggs che gli augurava una bellissima giornata. Lasciò il collega solo quando ebbero percorso un’intera rampa di scale per ritornare all’entrata.
«Che ti ha preso?» l’altro era quasi stupito da quel comportamento.
«Mi avrebbe mandato al manicomio»
«Sai quante cose ti avrebbe detto una del genere?»
«Mi aveva già detto tutto quello che sapeva, non hai sentito, Knight l’ha sempre evitata, e capisco pure il perché»
«Ma valeva la pena tentare»
«Le scale sono quelle» Ray gli indicò la rampa che avevano appena percorso «Accomodati, io ti aspetto qui. Solo un consiglio, non entrare in casa, potresti non essere più in grado di uscirne»
«Se Knight non c’è la vicina è pur sempre meglio di niente» continuò Alex pur glissando sull’invito ad andare.
«Sarebbe tempo buttato, fai prima a cercare Knight in persona»
«Con più di quarantott’ore di vantaggio? A quest’ora potrebbe essere in Cina e noi avremmo solo un paio di giorni per trovarlo. Senza contare che non abbiamo un’eccessiva sovrabbondanza di personale a nostra disposizione»
«Sfido io, siamo soli»
«Ma anche dando per scontato che avessimo i mezzi e una motivazione valida per avviare la ricerca… resta pur sempre che se la Briggs non si è sbagliata e il ragazzo manca da casa da così tanto non c’è speranza di ritrovarlo in tempi brevi»
«Knight manca da casa da tre giorni» Ray non ne dubitò nemmeno per un attimo «La signora Jefferson, la mia vicina, è la copia esatta dell’adorabile Mrs. Briggs e ti posso assicurare che quell’arpia ne sa anche più di me di cosa accade in casa mia. Come farà poi non si sa, passerà la giornata con il bicchiere appoggiato al muro divisorio. Se la vecchia pettegola dice che non c’è da tre giorni, vuol dire che Knight non mette piede in casa da settantadue ore»
«Il nostro amico Earl ha preso il volo» dovette constatare Alex.
«Ma?» Ray aveva percepito anche troppo bene la nota possibilista nel tono del collega.
«Ma casa sua è ancora al suo posto» proseguì Kent.
«Vuoi tornare con un mandato?»
«Ma che mandato! Abbiamo meno di due giorni»
«Ah, abbandoniamo le vie della legalità vedo»
«La serratura non è niente di speciale, sarebbe una cosa di pochi minuti, basta solo che qualcuno tenga impegnata la cara signora»
«Ma nemmeno per idea» Ray rispose quasi senza pensarci «Io in casa dalla Briggs non ci entro»
«Così potresti scoprire anche quello che non ti ha ancora detto»
«Non se ne parla»
«Knight era in quel magazzino, qualcosa dentro quella casa troverò»
«E se al nostro uomo saltasse improvvisamente in testa di tornare?»
«Meglio, ci facciamo due chiacchiere»
«E in questo condominio non c’è solo la Briggs comunque»
«Non ho mica detto di andare adesso infatti»
«Non se ne parla»
«Sai che giorno era tre giorni fa?» insistette Alex.
«Lo sappiamo che Knight è implicato in questa faccenda, non occorre che me lo ricordi»
«Non è quello il punto. Se la signora Briggs ha ragione il nostro uomo non torna a casa da sabato e nella notte tra venerdì e sabato era in quel magazzino, ciò vuol dire che dopo la sparatoria non è più tornato. Non ti sembra strano?»
«Se avessi scoperto di aver lasciato le mie impronte alla polizia e fossi stato un pregiudicato forse avrei avuto una reazione simile»
«Ma per identificare le impronte ci vogliono ore, poteva prendersela con calma»
«Il ragazzo non è un genio a quanto pare»
«Dunque qualcosa in quell’appartamento si sarà dimenticato!»
«Qualcosa che non potrai mai usare come prova perché non potresti entrargli in casa senza mandato»
«Sempre meglio che non aver niente in mano»
«E comunque, magari per casa c’è passato, solo che la vecchia non l’ha sentito»
«Ma se hai detto…»
«Ian e Steve sono arrivati al magazzino alle quattro» Ray non gli lasciò nemmeno il tempo di finire la frase «Diciamo che Knight lo ha lasciato alla stesse ora, se fosse stato in macchina sarebbe potuto tornare a casa in poco tempo, diciamo mezz’ora anche se ci avrà messo molto meno. Dunque al massimo per le quattro e mezza sarebbe potuto essere qui, vuoi che la vecchia megera fosse sveglia a ficcanasare anche a quell’ora?»
«Dì quello che vuoi, io voglio dare un’occhiata»
«Non contare su di me»
«Intanto facciamo il nostro giro di visite» lo incoraggiò Alex «Poi si vedrà»
«Ho già sacrificato un giorno di ferie sull’altare dell’inutilità» Ray era tutt’altro che accondiscendente «Io dalla Briggs non ci torno»

Ore 11:30

Ad accoglierli dopo pochi passi, una volta entrati nel condominio, fu il cartello di guasto affisso avanti a loro, sulle ante scorrevoli d’accesso all’ascensore. Non avevano altra alternativa se non le scale. Sfilando di mano al collega il biglietto con su scritto l’indirizzo che avrebbero dovuto raggiungere Ray, dopo averlo letto, lo riconsegnò storcendo la bocca in una smorfia di disgusto. Cominciò a salire i gradini con lentezza quasi eccessiva. Già alla seconda rampa Alex gli passò davanti facendo l’andatura, che risultò decisamente più spedita. Si fermarono in corrispondenza del quarto piano, alle loro spalle la via per il quinto, avanti a loro uno stretto corridoio lievemente in penombra. In un gesto meccanico Ray accese le luci e cominciò ad avanzare verso gli appartamenti:
«L’ultimo?»
«Così pare»
Si lasciarono alle spalle tre porte prima di arrestarsi di fronte alla più lontana dalle scale, il nome sul campanello li incuriosì leggermente, Wiesel.
«Sicuro sia questa?» chiese conferma Ray.
«Si» il compagno controllò il foglietto brevemente prima di suonare. Il trillo oltre l’uscio fu chiaramente udibile anche dall’esterno. Tempo pochi secondi e si sentì la serratura della porta scattare due volte, subito dopo venne loro aperto. Come era prevedibile, e come d’altronde quasi si aspettavano, i due agenti non riconobbero colui che era venuto a riceverli. Si trovarono davanti un uomo di pochi centimetri sopra il metro e ottanta, piuttosto esile, all’incirca sui cinquant’anni, o almeno questo lasciavano intendere i corti capelli brizzolati ormai completamente bianchi.
«Desiderate?» chiese quest’ultimo ai nuovi arrivati.
«Il signor Wiesel?» Alex vide il compagno fare un passo avanti mentre prendeva la parola.
«Si, esatto»
«Sono il detective Richards…» continuò Ray dopo essersi frugato brevemente le tasche, quando la ricerca sembrava aver avuto termine.
«Le credo agente» lo interruppe il padrone di casa porgendogli la mano «Non occorre il distintivo, non sono sorpreso dal vostro arrivo»
Raymond gliela strinse, subito dopo toccò ad Alex che si presentò a propria volta.
«Possiamo rubarle un minuto?» chiese Kent.
«Non vedo perché no» Wiesel lasciò libero l’uscio facendo cenno agli altri due di entrare. Li invitò ad accomodarsi nella stanza che si presentò alla loro destra dopo aver percorso un paio di metri del corridoio che sembrava continuare verso le camere da letto, poi prese una diversa direzione domandando:
«Una tazza di caffè?»
«Volentieri» entrambi gli agenti accettarono di buon grado l’offerta mentre mettevano piede nell’ampio salotto decisamente fuori dal comune nella sua ampiezza per un appartamento. C’erano due divani e tre poltrone sistemati in un anomalo semicerchio attorno ad un basso tavolino, nei pressi della televisione piazzata a ridosso del muro dirimpetto alla porta da cui erano entrati. Si accomodarono facendo attenzione a poter tener d’occhio l’uscio con un certo agio e aspettarono il padrone di casa che di lì a poco ritornò con un vassoio di plastica su cui portava tre tazze fumanti. Adagiò il tutto sul tavolino e, sedendosi su di una poltrona, di fronte ai suoi ospiti, li invitò a servirsi dopo averlo fatto lui stesso.
«Che volete sapere?» esordì sorseggiando il suo caffè quando ancora gli altri due dovevano aprir bocca.
«Non è minimamente sorpreso da questa visita?» indagò Alex, quasi perplesso dal comportamento di quell’uomo.
«Avrei dovuto lasciarvi fuori?»
«Era suo diritto quantomeno»
«Se mi sono fatto il giusto quadro della situazione a indagare su questo caso c’è ben poco da stare allegri, se posso in qualche modo contribuire a facilitarvi il lavoro…»
«È molto gentile»
«È mio dovere di cittadino in fin dei conti. Immagino vogliate parlare con Victor»
«È in casa?»
«Sì, lui sì, ora ve lo vado a svegliare» dopo aver appoggiato la tazza sul tavolino Wiesel si alzò dalla poltrona per dirigersi verso il corridoio.
«Turno di notte?» tirò ad indovinare Kent.
«Doposbornia»  lo corresse l’altro quando ormai se n’era già andato.
 I due restarono soli. Alzandosi Alex fece un rapido giro della stanza. Con rapidità e ben attento che non arrivasse nessuno diede anche una rapida occhiata nei vari scaffali che gli si presentarono a tiro.
«Sarebbe tecnicamente illegale, lo sai vero?» gli bisbigliò all’orecchio Ray dopo averlo raggiunto.
«In questa casa c’è la risposta alle nostre domande»
«Certo non la troverai tra i liquori» osservò Richards puntando l’occhio sulle numerose bottiglie all’interno della credenza che il suo collega aveva appena aperto.
«Già! Chissà dove»
«Ammesso che ci sia qualcosa da trovare non penso quell’uomo sia un’idiota, se ci ha lasciati qui da soli vuol dire che in questa stanza non c’è niente. Torna a sederti» lo lasciò ritornando al suo posto imitato pochi secondi dopo dal collega che prima volle finire il proprio, sommario, giro di controllo. Il padrone di casa ritornò dopo qualche minuto, forse un tempo eccessivo per svegliare un persona, o almeno così si trovò a pensare Alex.
«Scusate, ma è stata più dura del previsto» si giustificò Wiesel ritornando a sedersi mentre riprendeva la tazza tra le mani «Stanotte quando è tornato insieme all’altro nemmeno si reggevano in piedi»
«Con John?» la domanda di Kent fu quasi involontaria.
«No, o perlomeno, ieri sera no. Si è dato alla pazza gioia insieme al suo amico del cuore, Markus, volete che svegli anche lui?»
Alex si limitò a scuotere il capo prima di continuare:
«E Allen?»
«Lui e Kate se ne sono andati ieri sera, non sono ancora tornati»
«E dove…»
«Non lo so» lo anticipò Wiesel «O, per essere più precisi, non ho chiesto. Di tanto in tanto capita che non tornino, penso sia un problema di privacy, non ce n’è molta in questa casa»
«Dunque la figlia non è con loro?»
«No, ma, al momento, nemmeno lei è in casa. È uscita con una sua amica un paio d’ore fa»
«In quanti abitate qui?» la domanda di Alex fu del tutto spontanea, la situazione era del tutto singolare.
«Otto» rispose l’altro con semplicità «Io, i due che stanno smaltendo la sbornia, Frank che sta dormendo anche lui, i coniugi, loro figlia e un altro»
«Che…»
«È uscito anche lui, mi spiace» il padrone di casa gli tolse le parole di bocca.
«Lei è stato il primo a venire ad abitare qui?»
«Sì, esatto. Come fa a saperlo?»
«Il nome sul campanello»
«Poco più di dieci anni fa» confermò Wiesel «Gli altri sono arrivati poi, sarebbe lunga spiegare come»
«Conosce John da molto allora»
«Parecchio tempo, sì» confermò Wiesel «Praticamente da quando era bambino»
«E…» Alex si interruppe non appena vide apparire Victor sulla porta. Un uomo di forse trent’anni, capelli neri spettinati, barba incolta, una mano al volto a sorreggersi la testa nel tentativo di non cadere a terra. Riservò a tutti i presenti un’occhiata priva di entusiasmo, poi si soffermò sulla poltrona occupata dal suo coinquilino:
«Frank ti vuole, Dardai»
Limitandosi ad annuire Wiesel posò la tazza sul tavolino e si alzò per lasciare la stanza. Pochi attimo dopo Victor rimase solo in compagnia dei due detective, andò a prendere il posto di Dardai e dopo aver trangugiato due generose sorsate del caffè che si trovò davanti, quasi incapace di tenere gli occhi aperti, disse:
«In che posso esservi utile signori?»

Ore 12:30

«E anche in quest’occasione riassumerei questa visita con “un buco nell’acqua”» ormai alla terza rampa di scale, qualche passo avanti al collega, Ray si limitò a constatare l’ovvio.
«Ma dopo aver ascoltato Parker sono sempre più convinto che quel venerdì sera le cose non siano andate come ci è stato raccontato»
«La versione dei fatti che abbiamo appena sentito non coincide con quella di Allen?»
«Al contrario, coincide tutto alla perfezione. Dall’arrivo di Parker a casa di O’Brian a inizio serata a quando i due si sono separati verso l’una di notte perché Victor aveva adocchiato una ragazza in quel locale»
«Ho annotato il nome»
«Non ha importanza, sarà stato talmente pieno di gente che risulterebbe del tutto normale che nessuno si ricordi di loro»
«In effetti è un posto che ho già sentito nominare»
«Ecco, appunto»
«Perché sei tanto convinto che abbiano mentito?»
«Sono identiche» Alex continuò a scendere le scale «Due versioni l’una la fotocopia dell’altra, non è mai così, in caso contrario i testimoni oculari avrebbero molto più peso nelle indagini. La gente reinterpreta ciò che vede, quello cui assiste. Se interroghi due persone che hanno assistito allo stesso evento te lo descriveranno in modo diverso e quasi sicuramente ci saranno dei dettagli che non combaceranno, minuzie senza importanza magari, ma qualcosa ci sarà. Qui era tutto identico, la stessa storia raccontata due volte. Niente di quello che hanno detto è mai successo»
«Ma non ne hai le prove»
«Ovviamente»
«E con otto persone ad abitarci in quell’appartamento non penso sia il caso di farsi venire in mente strane idee come per Knight»
«Il pensiero non  mi ha nemmeno sfiorato difatti. Non ci resta che andare a far visita al nostro ultimo uomo»
«È mezzogiorno e mezzo» contestò Ray rifilando una rapida occhiata all’orologio.
«Arrivare fino a Bank non è lunghissima» quasi si giustificò Alex «E poi, a fan culo, non abbiamo tempo da perdere, non è che possiamo aspettare l’ora del tè per andare a far visita a O’Brian»
«Se ci va male arriviamo a l’una»
«Speriamo sia in casa»

Ore 13:00

«Ancora non ho capito perché sei qui» affacciandosi dalla cucina il padrone di casa si rivolse all’uomo seduto sul divano davanti alla televisione. Pur aspettando invano per qualche secondo non ricevette risposta. Ritentò:
«Era una domanda che richiedeva una risposta»
Ancora niente.
«Lev, mi senti? C’è nessuno in casa?» avanzando verso di lui andò a piazzarsi giusto davanti allo schermo «Si può sapere come fa a piacerti questa porcheria, sembri ipnotizzato»
«Ti sto solo ignorando» tagliò corto l’altro allungando il collo nel tentativo di tornare a seguire il film.
«Sei venuto solo a veder questa roba?»
«Se ti fa schifo perché l’hai comprato?» Lev ora cercava di guardare attraverso lo spiraglio lasciato dalle gambe semidivaricate dell’amico.
«Errore di valutazione»
«Non è male, vorrei sapere come fanno a convincere i coltelli da lancio a far le curve ma si lascia guardare, e poi ormai ne ho visto più di tre quarti voglio vedere come…»
«Lei muore» il padrone di casa spense in rapida successione televisore e lettore dvd.
«E ma allora sei un cane!» protesto l’altro che sulle prime fece per alzarsi e andare a riaccendere la tv salvo ripensarci un attimo dopo, valutando che il risultato non valeva la fatica. Si lasciò sprofondare nuovamente nel divano, un attimo dopo rispose alla domanda:
«Pare che debba starmene lontano da casa per un po’»
«Tanto ci voleva?»
«Che ti aspettavi?»
«C’è un motivo?»
«Limitiamoci a dire che sarebbe nel mio interesse»
«Litigato con la signora?»
«Liz non c’entra niente, è semplicemente andata a casa quando io sono venuto qui»
«Qualcosa di importante?»
«Assolutamente no, lo archivierei semplicemente sotto la voce “fastidiose seccature”»
Limitandosi ad annuire il padrone di casa non andò oltre, pensava di aver capito perché il suo amico fosse lì. Mentre si avviava nuovamente verso la cucina chiese:
«Spaghetti?»
«Ottimo» Lev intanto si era alzato per andare a riaccendere la televisione. Pigiò il tasto e ritornò al divano dove impugnò il telecomando aspettando di capire che programma stessero trasmettendo sul canale a cui l’apparecchio si era sintonizzato automaticamente. Non aveva ancora deciso se cambiare frequenza o meno quando il campanello suonò.
«Aspetti qualcuno?» domandò mentre si passava con aria annoiata il telecomando da una mano all’altra intento a fissare il giornalista che elencava i fatti salienti della giornata.
«No» abbandonando la cucina l’altro si diresse verso la porta. Diede una rapida occhiata attraverso lo spioncino ma non riconobbe i due che vide. Con una leggera alzata di spalle aprì l’uscio per metà e vi si piazzò davanti.
«Buongiorno» anticipò i suoi visitatori.
«Buongiorno» ricambiò uno dei due «Il signor O’Brian presumo»
L’altro si limitò ad annuire mentre il suo interlocutore estraeva dalla tasca dei jeans il portafogli e lo apriva rivelando di essere un detective di Scotland Yard.
«Sergente Kent» continuò il nuovo arrivato mentre anche Ray si presentava con una stretta di mano «Possiamo entrare? Non le ruberemo molto tempo»
«Ma certo» replicò O’Brian a voce appena più alta del normale «Prego agenti, accomodatevi»
«Molto gentile signore»
«Gabriel» li corresse il padrone di casa che per qualche secondo non accennò a volersi muovere «non occorre chiamarmi signore»
Si fece da parte lasciando via libera ai due detective che entrando si trovarono subito di fronte ad un salotto alquanto spazioso al cui centro videro un ampio divano di fronte alla televisione che, ancora accesa, in quel momento era sintonizzata sul telegiornale.
«Accomodatevi prego» O’Brian indicò il sofà «Posso offrirvi qualcosa?»
«La ringrazio, ma non vorrei farle perdere troppo tempo» rispose Alex.
Con sguardo interrogativo il padrone di casa passò a Ray che declinò l’invito garbatamente. Li accompagnò al divano e prendendo una sedia che si trovava nei pressi di un tavolino rotondo, anch’esso a pochi metri dal televisore, la piazzò di fronte ai due agenti e vi si sedette in attesa delle inevitabili domande.
Il sergente Kent non si fece pregare prendendo la parola, a differenza di Ray che come al solito da quando era cominciata quell’indagine, non aveva alcuna intenzione di prendere l’iniziativa:
«Immagino sappia perché siamo qui»
«Intuibile quantomeno» ammise Gabriel «John mi ha raccontato dell’incidente di venerdì notte, se così lo possiamo chiamare. Solo non riesco a capire in cosa potrò esservi d’aiuto, se n’è andato da casa mia molto prima che succedesse ciò per cui voi state indagando»
«Non ce la sentiamo di tralasciare nulla» si giustificò Alex «Prima di formulare delle eventuali accuse vogliamo ascoltare chiunque possa fornirci eventuali dettagli aggiuntivi»
«Accuse? Sarà incriminato di qualcosa?»
«Non dico questo…» Kent prese una sigaretta dal taschino della camicia per poi portare la mano alla tasca posteriore dei jeans. Dopo qualche attimo di ricerca ne estrasse un accendino. «Posso?» chiese già con la fiamma accesa.
Gabriel annuì.
«Come stavo dicendo» continuò Alex dopo un’ampia boccata «Non dico questo, ma ciò che è successo dentro quel magazzino ancora non ci è chiaro, non me la sento di escludere nessuna possibilità»
«La versione dei fatti di John non vi ha convinto ne deduco»
«Non necessariamente» Alex sorrise amabilmente «Cerchiamo di trovarne conferma»
«Purtroppo resto dell’idea che non potrò esservi molto d’aiuto» si ripeté O’Brian «John se n’è andato da casa mia verso le dieci insieme a Victor. Non li ho più visti né sentiti fino a due giorni dopo, domenica»
«Cos’erano venuti a fare quella sera a casa sua?»
«Bè, John sarà arrivato qui alle nove lamentandosi della moglie, tanto per cambiare, ma dopo cinque minuti si è piazzato davanti alla televisione a guardare un film» Gabriel indicò la custodia aperta sul tavolino davanti al divano «Questo almeno fino ad un’ora dopo quando è arrivato Victor e se l’è portato via. Sono andati in un locale, adesso il nome mi sfugge»
«Perché non si è unito a loro? Se posso chiedere ovviamente»
«Avevo altri impegni» O’Brian cercò di restare sul vago salvo ricredersi un attimo dopo, incrociando lo sguardo sospettoso di Alex «Avevo un appuntamento». Non vedendo il sergente ancora soddisfatto precisò ulteriormente «Con una donna, vuole anche l’indirizzo?»
Kent non cambiò espressione, se ne rimase in silenzio per qualche secondo poi fece per alzarsi:
«La ringrazio per l’aiuto»
Si avviò alla porta seguito dal collega, Gabriel li accompagnò.
«Tutto qui?» si informò il padrone di casa mentre gli altri due uscivano dall’appartamento.
«Le avevo detto che sarebbe stata breve» gli fece notare Kent
«Non pensavo così tanto»
«Non vale la pena farle perdere altro tempo» si congedò il sergente salutando cordialmente, imitato da Ray, per poi avviarsi lungo le scale.
Tra i due vi fu silenzio fino a che non uscirono dal condominio e solo dopo essersene allontanati di un centinaio di metri Alex cominciò:
«Stava mentendo»
«A me sembrava di no»
«Nemmeno a me, in effetti. Anzi, mi sembrava così tanto che stesse dicendo la verità che mi sono convinto del contrario»
«Come prego?»
«Sul serio! Ma forse mi sono spiegato male. Quando gli ho chiesto il perché non fosse andato con loro la sua risposta è stata perfetta. Il tentativo di tenere privati i suoi affari, la giusta indecisione nell’ammettere che doveva vedersi con una donna, la battuta per sdrammatizzare, nemmeno una sbavatura»
«E dunque?»
«Una certa qual nota di timidezza da parte di uno che per tutto il tempo in cui siamo stati lì non ne ha dimostrata nemmeno un briciolo»
«Siamo stati lì neanche tre minuti»
«Bastano»
«E poi non vuol dire niente» Ray non si trovò ancora d’accordo «Quando si parla di donne uno può avere un comportamento fuori dal suo modo comune di agire»
«Dava quasi l’idea di essere insicuro»
«E che c’è di male?»
«La sicurezza deriva dal successo, pensi che a uno del genere abbiano dato buca molte volte?»
«E tu basi le tue congetture su un aspetto gradevole?»
«Precisamente»
«Potrebbe essere noioso, antipatico, borioso, arrogante. Potrei continuare fino a domani. Tutte buone ragioni che potrebbero determinare una vita amorosa non proprio rose e fiori»
«Per un bell’aspetto la gente passa sopra a tutto»
Accennando ad allargare le braccia in segno di sfinimento, Ray si arrese:
«Per quello non hai continuato con le domande? Eri convinto che avrebbe mentito ancora?»
«No, ma ho tentato di farlo credere»
«Perchè allora?»
Senza rispondere Alex si limitò a portare una mano alla tasca posteriore dei jeans. Ne tirò fuori un telefono cellulare che sventolò davanti agli occhi del collega.
«Tu non sei normale» farfugliò Ray prendendo tra le mani il cellulare.
«Mi ci sono praticamente seduto sopra» spiegò l’altro «Poi mi sono fumato una sigaretta»
«E che pensi di concluderci con questo affare?»
«Sempre meglio averlo che non averlo» Alex glielo tolse di mano iniziando subito ad armeggiarci.
«Vediamo un po’» cominciò Ray «Furto, appropriazione indebita, violazione della privacy…»
«Non rompere le palle» lo zittì il collega mentre aveva già cominciato a sfogliare la rubrica «È solo un prestito, ho intenzione di restituirlo, e nessuno ne saprà mai niente, dunque nessun reato»
Scorrendo l’elenco in ordine alfabetico non trovò Allen sotto la lettera A, ma non se ne dette pensiero, in fin dei conti era normale catalogare gli amici per nome. Pigiò il tasto del cinque e si portò subito alla J, nemmeno lì niente. Incuriosito, Alex cominciò a scorrere la rubrica nome per nome.
«Sotto che voce sarà salvato?» si chiese quasi tra sé e sé.
Continuò a far scorrere i nomi sul display. Ben presto si rese conto dell’enormità della lista, ci volle del tempo solo per terminare la lettera A. Nomi di tutti i tipi, che non gli dicevano nulla e che probabilmente per il caso non avevano la minima importanza. Il primo di una certa rilevanza arrivò alla D. Sullo schermo apparve la scritta “Dardai”. Passò dritto, anche se con una certa soddisfazione. In quel momento gli premeva il numero di Allen. Arrivato alla F ne trovò un altro, Frank. Sempre più compiaciuto proseguì. Lo shock lo ebbe alla G, quando trovò il contatto Gabriel. Si bloccò sul posto, con gli occhi sbarrati fissi su quanto aveva appena letto.
«Trovato?» chiese Ray voltandosi verso di lui mentre si fermava a propria volta.
«Non è di O’Brian» quasi sussurrò Alex.
«E coma fai a dirlo?»
«È  tra i contatti»
«Parli sul serio?»
Kent si limitò a mostrargli il display per qualche attimo, poi tornò a fissarlo.
«Non è conclusivo di per sé, Gabriel è un nome piuttosto comune» osservò Ray.
Alex non parve nemmeno sentirlo.
«Devo parlare con Ian» disse tra sé e sé.

Stesso istante

«Me ne devi una, Lev» affermò Gabriel alzandosi dalla sedia dove si era accomodato una seconda volta usciti i due agenti.
Di nuovo seduto sul divano a seguire distrattamente il telegiornale l’altro si limitò a voltarsi verso l’amico, sorridendo:
«L’intima soddisfazione per aver salvato il collo al povero signor Allen non è sufficiente?»
«Se solo il povero signor Allen avesse fatto meno casino in quel magazzino i due cari signori di poco fa non sarebbero mai arrivati fin qui»
«Concordo che la questione poteva esser gestita meglio, tanto per cominciare evitando di entrare in quello stabile, non sarebbe stato difficile arrivare a capire che si trattava di un’imboscata»
«Ma…»
«Quel tizio era ferito, la sua fuga sembrava del tutto casuale e il suo entrare proprio in quel magazzino non prestabilito»
«Quanti dettagli»
«Ho parlato con Allen personalmente»
«Molto da vicino immagino»
«Non sai quanto…» il sorriso di Lev si allargò ulteriormente «A parte gli scherzi è proprio andata così, è stato un errore, John Allen ha sbagliato»
«Ti diverti?» chiese Gabriel tra lo seccato e il divertito.
«Sì. È un modo come un altro per distaccarsi. In fin dei conti, il buon vecchio John è vicino al suo pensionamento ormai»
«C’è poco da scherzare» dissentì O’Brian «Kent se n’è andato molto poco convinto»
«Pensi sia per quello che gli hai detto?»
«Forse, anche se non mi sembra di essermela cavata male»
«Magari avresti dovuto vantarti della tua conquista amorosa, non nasconderla»
«E perché?»
«Tanto per dire» Lev era già ritornato a seguire le notizie del giorno.
Con una leggera alzata di spalle Gabriel ritornò in cucina.
«Successo niente nel mondo?» si informò quando già dal salotto non lo si poteva più vedere.
«Il solito»
«Pensi di sopravvivere anche senza saperlo fino a stasera?»
«Quello di sicuro»
«Allora muovi il culo e vieni a darmi una mano»
  
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