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Autore: indiceindaco    28/05/2015    4 recensioni
Quando cala il sipario, ed il pubblico abbandona le poltroncine in velluto rosso, ed il brusio della gente si fa fioco, sempre più fioco, cosa succede dietro le quinte? Ad ormai quattro anni dall'uscita dell'ultimo libro, dall'ultima pagina voltata con emozione, aspettativa, malinconia, da quell'ultima frase che ha commosso tutti, nel bene e nel male. Il sipario è calato, il teatro è già stato ripulito, eppure no, non è finita qui.
Harry, Ron ed Hermione, ancora insieme si trovano ad affrontare la vita, quella vera, quella oltre le quinte di scena. E tanti cambiamenti si prospettano all'orizzonte. Scelte da prendere, scelte da rimandare, scelte in cui perdersi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Un po' tutti | Coppie: Draco/Harry, Remus/Sirius, Ron/Hermione
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo, Più contesti
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XXXII. Il settimo piano.
 
“Quella che il bruco chiama fine del mondo,
il resto del mondo chiama farfalla.”
Lao Tse
 
 
Harry, seduto svogliatamente su una delle due grandi poltrone, osservava in silenzio Malfoy, che faceva quietamente roteare il cucchiaino all’interno della tazza candida, rimestando il proprio thé ormai tiepido, come si rimestassero dei pensieri troppo torbidi.
-Quello che mi stai dicendo, fammi capire bene, è che questa casa dovrebbe essere tua?
Malfoy, senza sollevare lo sguardo dalla superficie ambrata del thé annuì lievemente. Harry si portò una mano alle tempie e, data una lunga sorsata alla pozione antidolorifica, continuò:
-E quindi che l’eredità di Sirius è nulla?
-Black è stato diseredato, per cui non aveva più alcun diritto sul patrimonio. Questo è chiaro. Perché l’eredità sia comunque passata a te, così come i vincoli magici che ti legano all’Elfo Domestico, rimane un mistero.- disse Malfoy, portando la tazza alle labbra: -A proposito, dov’è?
Harry svuotò la boccetta di pozione, pregando facesse effetto presto sul mastodontico scalpitare nella sua testa, ed alzò le spalle.
-L’ho liberato e mandato ad Hogwarts, nelle cucine.- disse lapidario, incrociando le braccia al petto.
-Potter, questa storia non piace neanche a me, ma parliamoci chiaro, vuoi? Prima di Natale, ovvero tra poco meno di un mese, il Ministero mi darà lo sfratto dal Manor. Pensavo avessi a disposizione un fondo per le emergenze, prontamente predisposto dai miei genitori, che potesse consentirmi un iniziale sostentamento, quindi di affittare un appartamento. Questo fondo s’è rivelato essere un’eredità.- Malfoy fece una pausa, portando finalmente lo sguardo su Harry. Nei suoi occhi c’era come un velo di disagio e inadeguatezza, ben nascosto dietro al suono determinato della sua voce.
-Cosa mi stai chiedendo esattamente, Malfoy?
-Il patrimonio dei Black, e tutti i loro fondi, sono a tuo nome, adesso. Ciò mi porta a credere tu sia il proprietario della loro camera blindata alla Gringotts. Se trasferissimo l’eredità su un fondo a mio nome, il Ministero risalirebbe alla cosa molto facilmente, e non solo requisirebbe il denaro, ma si rivarrebbe anche su questa casa.
Harry spalancò gli occhi, incredulo. Requisire Grimmauld Place? Non aveva idea di come funzionassero i diritti di successione nel mondo Babbano, figurarsi in quello magico, ma che Sirius avesse combinato uno dei suoi casini con quelle intricate mansioni burocratiche non era da escludere. Dopo tutto, Malfoy poteva anche avere ragione.
-Ma se l’eredità è sempre stata tua, come ti spieghi che tutto sia passato a me?
-Non ho spiegazioni certe, solo supposizioni. Black ha disposto di un patrimonio che pensava essere proprio, intestandolo a te, con effetto immediato alla sua morte. Il mio diritto d’accesso è sorto al compimento dei diciassette anni. Ciò significa che tu hai raccolto l’eredità prima che il mio diritto sorgesse.- disse Malfoy, ravviandosi i capelli, con fare pensieroso: - E avendola raccolta, ne sei diventato proprietario, dato che nessun diritto era venuto ad esistere in quel momento.
Harry sospirò profondamente, sprofondando ancora di più nella poltrona, prima di dire:
-Tipo la storia del trovare una roba per strada, no?
-Esattamente: possesso vale titolo, dato che il diritto non era ancora sorto.
-Ma adesso puoi rivendicarlo.- disse Harry titubante.
Malfoy riportò lo sguardo nei suoi occhi, e lo scrutò serio. Abbandonò la tazza ormai vuota sul tavolino di fronte al divano, e si sporse solo un po’ verso la poltrona alla sua sinistra, dove sedeva Harry.
-Se lo rivendicassi il Ministero me ne priverebbe, Potter. Per questo è di vitale importanza che tu rimanga il proprietario, perché solo così potrò averne accesso.
-Quindi è questo che mi stai chiedendo?- disse Harry perplesso. Non aveva idea di cosa stesse succedendo in quel momento tra loro, sembrava esserci un’aria spessa e grave, quasi solenne, e la cosa lo confondeva e spaventava allo stesso tempo.
-Potter, non credevo di poter mai dire una cosa del genere, ma…so che di te ci si può fidare. So che non denuncerai la cosa al Ministero, e so che manterrai il patrimonio a tuo nome, garantendomi ciò che mi spetta. Non ho avuto dubbi su questo, nemmeno per un attimo. Sei un Grifondoro, ed è esattamente quello che mi aspetto tu faccia.- disse Malfoy, sporgendosi lievemente verso di lui ancora di qualche centimetro, in un gesto estremamente misurato. La sua voce era ferma, e accomodante, quasi docile, ed Harry ne era ipnotizzato, a tal punto da sollevarsi dallo schienale della poltrona e raggiungere quel punto astratto che lo avrebbe avvicinato a Malfoy. Rimase in silenzio, mentre l’altro alzava il sopracciglio e lo scrutava curioso, di nuovo con quell’espressione d’aspettativa. Quando Malfoy si umettò brevemente le labbra, ad Harry mancò un battito. Non aveva potuto far a meno di lasciar scivolare lo sguardo sulla bocca dell’altro, in un gesto istintivo, seguendo un richiamo che gli intimava adesso di agire, di smettere di girarci intorno, di prendersi quello che dolorosamente gli infuriava nel petto.
-Allora cos’è che vuoi da me, Malfoy?- la voce di Harry suonò solo lievemente roca, mentre le parole gli si impastavano in bocca, frementi di frustrazione.
Malfoy lo guardava adesso con quel suo ghigno beffardo, seguendo attentamente ogni più lieve espressione del viso di Harry, ogni sfumatura nei suoi occhi, in quelle pupille appena un po’ più dilatate. Poi, con un’estenuante lentezza, allungò una mano, portandola sul ginocchio di Harry, che al contatto bruciò piacevolmente.
-Solo ciò che mi spetta, Potter. Nient’altro che non sia già mio.
 
***
 
Hermione, sorridendo, controllò la spessa cartella ai piedi del lettino candido.
-Buongiorno, signora Bennet. Come andiamo oggi?
La vecchina esile le sorrise dolcemente e stringendo gli occhietti vispi, le rispose con la sua vocina stridula e traballante:
-Hermione! Che felicità vederti, cara! Fai il turno tu oggi?
-Sì, signora, i pazienti del Medimago Dixon sono affidati a me oggi. Sono venuta a controllarla.
-Ma non siete sempre in due, cara? Dov’è quel bel giovanotto, oggi? Come si chiama…?
Hermione si lasciò sfuggire una leggera risata, affiancando il lettino della donna, per controllare le dosi delle pozioni sul comodino, e porgendole una boccetta rispose:
-Zabini arriverà a breve, signora.
-Oh, sia ringraziata Morgana. È un ragazzo così a modo, e di bell’aspetto anche. Una gioia per questi occhi stanchi, mia cara. Una gioia.
Hermione annuì sempre sorridendo, e lasciò scivolare lo sguardo verso l’orologio sulla parete. Blaise non era mai in ritardo durante i suoi turni, ma d’altra parte era domenica, e quello era solo un turno straordinario, che non incideva sul progetto formativo. Quando il loro capo reparto aveva proposto il volontariato, travestendolo da turni extra, tutti i suoi compagni s’erano velocemente defilati, eccetto Blaise, che aveva accettato di buon grado. Che fosse in ritardo di per sé era insolito, che il ritardo fosse ormai di due ore, cominciava a preoccuparla. Non poté far a meno di chiedersi se fosse successo qualcosa, ma cercava di nascondere la proprie preoccupazioni, come ogni buon Medimago dovrebbe fare: mai lasciare che il privato si mescoli con il lavoro, era uno dei primi avvertimenti di Dixon.
Il Medimago la raggiunse che Hermione stava ancora somministrando le diverse pozioni all’arzilla paziente, tra cui diverse con effetti tranquillanti, che l’avrebbero addormentata, sollevandola dai dolori del trattamento. Dixon la guardava con approvazione, mentre lavorava, e una volta finito le fece cenno di seguirla fuori dalla stanza, con aria grave.
-Granger, ottimo lavoro con la signora Bennet. Adesso devo chiederLe di raggiungere il settimo piano.
Hermione strabuzzò gli occhi, stranita, il settimo piano era un reparto al quale nessuno di loro tirocinanti aveva accesso. Tra i tirocinanti correvano voci su quel particolare reparto, nessuna delle quali rassicurante. Alcuni dicevano fosse dedicato alle malattie infettive, altri che fosse solo un intero piano vuoto e mai utilizzato, altri ancora che fosse il regno delle più ardite e amorali sperimentazioni.
-Il settimo piano, Signore?- sussurrò, tentando di non suonare troppo allarmata.
-Sì, Granger. Temo ci sia bisogno di Lei laggiù…
-Ma, Signore, devo ancora finire il giro dei Suoi pazienti, vede…Zabini è in ritardo oggi, e da sola ci ho messo più tempo del dovuto e…
-Zabini non è in ritardo, Signorina Granger. Per oggi, Lei ha finito il turno. Vada al settimo piano, e lo raggiunga. Il suo amico ha bisogno di Lei.
Detto questo Dixon le voltò le spalle e se ne andò, lasciandola con l’apprensione a corroderle la bocca dello stomaco.
 
***
 
Gli occhi di Potter erano spalancati e smarriti, Draco poteva vedere la paura agitarsi in fondo a quello sguardo, mista a qualcos’altro, come un desiderio impronunciabile. Gli sarebbe bastato sporgersi un po’, catturare di nuovo quelle labbra piene fra le sue, concedersi lo spazio di un respiro, e voleva farlo, tanto da star male, ma sapeva di non potere. Non poteva reclamare nulla da Potter, non quando la confusione dell’altro era così palpabile, quando aveva giurato ad entrambi che avrebbe avuto pazienza, che avrebbe aspettato e concesso il tempo necessario. Eppure Potter stava lì, inerte, facile preda con una spiccata sindrome di Stoccolma, con le labbra socchiuse, che mute gli sussurravano parole accoglienti. E sentiva un calore frustrante ed intimo che si irradiava nel suo palmo, che involontariamente aveva raggiunto la gamba di Potter, in un gesto che a Draco voleva suggerire rassicurazione, ma che aveva adesso solo il gusto dello spasmodico bisogno di toccarlo.
S’era ripromesso d’essere cauto, di non fare nulla di avventato, e di lasciare a Potter i propri spazi, ma inspiegabilmente aveva rinnegato quella promessa. Come se fatalmente non riuscisse a tenersi lontano dall’altro, come ci fosse un eterno richiamo famelico che lo spingesse sempre più vicino all’epicentro dell’entropia. Potter gli faceva quell’effetto, e in fondo, da qualche parte, Draco sapeva che quella dell’eredità e tutto il resto non erano stati che l’ennesimo pretesto per riportarlo lì, in bilico, a quel momento di pura ed esatta bellezza. Il momento prima del contatto, quando le labbra di Potter fremevano ancora lontane dalle proprie, e negli occhi dell’altro si poteva cogliere indistinto il desiderio, la curiosità e l’attesa. Era inebriante, e Draco ne era inconsapevolmente ed irrimediabilmente succube.
-Solo ciò che mi spetta, Potter. Nient’altro che non sia già mio.- disse infine, con un enorme sforzo, per mantener salda la propria voce. Potter si avvicinò impercettibilmente, come ipnotizzato, senza mai distogliere lo sguardo dal suo. Sembrava non aver sentito le sue parole, sembrava distante, concentrato su nient’altro che non fossero gli occhi di Draco.
-Ciò che ti spetta…- mormorò Potter assorto, portando gli occhi sulle labbra di Draco, con una sfumatura diversa nello sguardo, più cupo, sebbene ancora smarrito. Se non lo avesse baciato subito, Draco ne era certo, gli sarebbe mancato il fiato, e avrebbe finito per smettere di respirare, ma qualcosa dentro di lui gli sussurrava di ritrarsi, prima che fosse troppo tardi. Poi Potter si sporse appena un altro po’, seguendo un impulso sconosciuto, e senza che Draco avesse il tempo di accorgersene, successe. Potter, gli occhi aperti sui suoi, aveva fatto combaciare i loro respiri, in una carezza quasi invisibile, e con una lieve pressione aveva impresso le sue labbra su quelle di Draco, che a quel contatto s’era arreso, chiudendo gli occhi. Prima ancora che potesse bearsi della perfezione di quel tocco, e che potesse domandare e concedersi di più, Potter si era ritratto in fretta, come ustionato, portandosi una mano alle labbra, gli occhi nel panico. Draco sobbalzò contrariato a quel repentino dietro front, aggrottando la fronte: che diavolo gli prendeva, adesso?
-I-io…non avrei…scusami…
Potter era tornato a sprofondare nella poltrona, la mano tremante sulla bocca, gli occhi sbarrati, fuggiti dai suoi, come a cercare una qualche rassicurazione. A Draco ci volle parecchio autocontrollo per non tirarselo addosso, e invaderlo senza ritegno, in quel momento. Spostò la mano dal ginocchio dell’altro, ritirandosi a sua volta, sempre debolmente. Potter era come un animale selvatico, in quel momento agli occhi di Draco. Uno di quegli animali schivi, che non appena venivano accarezzati si ritraevano, spaventati dall’infrangersi naturale delle cose, ma che subito dopo si sporgevano di nuovo, titubanti, per cercare la stessa mano, e lo stesso piacevole contatto. E con gli animali selvatici, Draco lo sapeva, bisognava essere estremamente cauti e non fare movimenti troppo bruschi, o si rischiava di metterli in fuga.
-Non hai niente di cui scusarti, Potter.
Potter lo guardò, corrucciato. Sembrava quasi un bambino colto in fragrante mentre affondava le dita nel vasetto di marmellata, imbrattato fino al gomito. Uno slancio di tenerezza portò Draco a sorridere e a reclinare il capo di lato, comprensivo. Decise di lasciar passare sotto silenzio l’accaduto, senza aggiungere altro, per non mettere a disagio Potter, ancora lì con quell’aria colpevole.
-Non era esattamente quel che intendevo. Non fraintendermi, non mi è dispiaciuto, ma…Con “quel che mi spetta” non intendevo…- Draco si passò una mano sul viso, avvilito, e Potter distolse di nuovo lo sguardo.
-Non so che mi abbia preso, Malfoy io…
-Maledizione, Potter, piantala!- sbottò Draco alterato. Odiava quella situazione, quel temere di fare un passo troppo azzardato, quella confusione negli occhi dell’altro, e quel timore immotivato. Odiava non poter raggiungerlo ed inchiodarlo a quella poltrona, odiava non poter fare ciò che desiderava. Aveva vissuto tutta la propria vita così, e con Potter, per la prima volta, pensava di potersi finalmente permettersi di non seguire altro che il proprio istinto, così come aveva sempre fatto l’altro. Non era così, e lo odiava.
-Non devi scusarti, né giustificarti. Fa pure finta che non sia successo, se ti fa sentire meglio.
Potter lo guardò contrariato, stringendo i pugni sulle proprie gambe, come cercasse di contenere una rabbia inspiegabile. Poi scattò in piedi, sbottando:
-Fare finta di niente, Malfoy? Sentirmi meglio? Di che diavolo parli, per Godric. Non capisci…non capisci com’è che mi sento? Vieni qui, mi dici tutte quelle…cose. Dici che aspetterai. E il giorno dopo mi piombi in casa, chiedendomi Merlino sa cosa, e mi guardi a quel modo e…Fare finta di niente!
Potter aveva alzato all’improvviso la voce, e aveva preso a camminare avanti e indietro, febbricitante, senza riuscire a guardarlo, completamente preda di quella furia inspiegabile, di quell’incapacità comunicativa che sembrava frustrarlo ancora di più.
-Io non so…Non so come affrontare questa cosa, va bene? Non sono in grado di gestirla perché è…troppo. E prima vieni qui e mi dici di prendermi il tempo che mi serve. Poi mi coinvolgi in questo casino col l’eredità, poi vuoi quello che ti spetta. Insomma io…Quando sei qui non riesco a pensare a nient’altro che…e non riesco a starti lontano e…
Draco si alzò di scatto e lo raggiunse, mettendogli le mani sulle spalle, per fermarlo, mosso da un’inspiegabile volontà, che tutto quello sbraitare finisse, che non ci fosse più quella accozzaglia di parole a mezz’aria e quelle recriminazioni, quel reprimersi a vicenda. Fissò i propri occhi in quelli di Potter, avvicinando i loro visi con foga, e repentinamente portò le proprie labbra su quelle dell’altro, che lo fissava ancora sbigottito. Impresse con forza, chiudendogli rudemente la bocca, tutti quei sentimenti che le parole di Potter avevano portato a galla: l’inadeguatezza, i dubbi, le paure, i cambiamenti impietosi, e le regole da seguire, tutta quella rabbia, e il desiderio di allungare la mano e toccare quella dell’altro, di appartenersi, di meritare qualcosa di buono, e il bisogno ignorabile di sentire che l’altro era la migliore parte di se stesso. Potter, dapprima rigido a quel contatto improvviso, cominciò a rilassarsi, docile, contro quel bacio inaspettato quanto salvifico. Era come imparare a respirare di nuovo, rinascere un’altra volta, con quel suo effetto tranquillizzante e pacifico. Quando sentì la lingua di Potter, fremente, accarezzargli il labbro inferiore, reclamando di più, Draco si scostò bruscamente, poggiando la fronte contro quella dell’altro. Potter cercò di contenere il sommesso lamento di disappunto che gli sfuggì, facendolo sospirare. Quel maledetto Grifondoro aveva uno straordinario talento nel fargli dimenticare qualsiasi buon proposito, facendolo smettere di pensare, portandolo ad agire in maniera sconsiderata. Senza aprire gli occhi, rimase immobile, ancora troppo vicino a quelle labbra che tanto sembravano attirarlo, tramortirlo e affogarlo, talmente vicino che quando le sfiorò di nuovo quando mormorò:
-Non ci riesco neanche io, Potter. A pensare, a starti lontano, a resistere…- poi si scostò, dolcemente, prima di essere trattenuto dalle mani di Potter, che gli artigliavano i lembi del maglione scuro. Potter aveva abbassato il volto, e teneva gli occhi bassi, le guance imporporate e il respiro sospeso, come temesse di infrangere qualcosa. Draco mise le proprie mani su quelle dell’altro, stringendo solo un po’.
-Continuo a dirmi di doverti stare lontano, di lasciarti del tempo, i tuoi spazi, ma…ma non ci riesco. Sono stanco di negarmi quello che voglio.
Potter portò lo sguardo su di lui, sorpreso, un vago ed inconsapevole luccichio negli occhi che, Draco ne era sicuro, scaturiva solo dall’ennesima rassicurazione ricevuta.
-Voglio che tu sappia che da questo momento in poi ti renderò le cose più facili, Potter.
 
***
 
Hermione, raggiunse il settimo piano di corsa, poggiando la targhetta col proprio nome sulla maniglia della pesante porta, così come faceva per tutti gli altri reparti, ma quella non volle saperne di aprirsi. In preda al panico, e ignorando cosa potesse essere successo, preoccupata a morte per Blaise, prese a battere il pugno sul legno chiaro.
-Ehi! C’è nessuno? Aprite!
Dopo qualche istante, prima che si arrendesse accasciandosi contro i battenti, la porta si aprì, cigolando e un omone massiccio fece capolino. Indossava una divisa da Auror logora, e la guardava con circospezione. Non non era molto alto più alto di Ron, constatò la ragazza, aveva il viso coperto da una barba ispida e una lunga cicatrice, ben visibile, sullo zigomo destro. Ad occhio e croce poteva avere una quarantina d’anni.
-Identificarsi, prego.- disse l’uomo, con una voce baritonale.
-Sono Hermione Granger, Signore. Il Medimago Dixon mi ha detto…dov’è Blaise? Cosa gli è successo?
L’uomo alzò una mano con stizza, come ad intimargli il silenzio.
-Non sono autorizzato a dare informazioni. Zabini sta bene, signorina Granger. La prego di seguirmi e di lasciare qui qualsiasi manufatto che le consenta di comunicare col mondo esterno, compreso il suo cartellino da tirocinante e la bacchetta.
-Ma…cosa diavolo?
L’Auror la ammonì con lo sguardo, incrociando le robuste braccia al petto e divaricando le gambe, come fosse pronto ad estrarre la propria bacchetta e ad attaccare.
-Segua le istruzioni, signorina Granger.
Hermione sbuffando si sfilò il camice e lo porse all’uomo, guardandolo sospettosa. Nella sua mente si accavallavano intanto le più disparate supposizioni, nessuna delle quali le risultava essere particolarmente credibile. L’uomo raccolse bruscamente il camice portogli, e lo ispezionò, requisendo un paio di pozioni, la bacchetta di Hermione, la targhetta e della pergamena. Poi si scostò per lasciarla passare, e subito dopo aver chiuso la porta con un incantesimo di sicurezza, le fece cenno di seguirlo.
Il corridoio era poco illuminato, se non per qualche raggio di luce che freddamente trafiggeva le pesanti tende alle finestre. Hermione notò che al contrario di qualsiasi reparto, il corridoio del settimo piano era spoglio di sedie, quadri o piante. Persino i muri non erano del solito verde pastello, ma completamente bianchi. C’erano delle porte, distanti pochi passi le une dalle altre, tutte chiuse, e tra una porta e l’altra c’erano delle vetrate, oscurate anche quelle da pesanti tende scure. Hermione suppose fossero stanze esattamente uguali a quelle del reparto nursery, e che quelle vetrate fossero come quelle che consentivano ai genitori di guardare i piccoli appena nati. Ma c’era qualcosa di sinistro, di irrequieto, nel tenere quelle vetrate coperte da quei teli neri, come a volerne nascondere il reale contenuto. C’era qualcosa di angoscioso in quel reparto, poteva percepirlo chiaramente, che sembrava essere uno dei più grandi. Hermione e l’Auror svoltarono prima a destra, poi a sinistra, e poi ancora a destra, seguiti solo dal rumore cupo e tormentoso dei loro passi.
Poi Hermione lo vide, la testa incavata tra le spalle, e lo sguardo assorto, perso aldilà di una delle spesse vetrate che inquadravano l’interno di una stanza.
-Blaise!
Senza badare né all’Auror che l’aveva accompagnata, ed ai suoi improperi, né all’altro Auror che affiancava Blaise e la osservava con disappunto, Hermione lo raggiunse concitata.
-Blaise, che diavolo sta succedendo! Ero spaventata a morte…
Zabini non distolse lo sguardo dal vetro quando con voce incolore mormorò:
-Quando sono arrivato, stamattina, gli Auror mi hanno scortato qui. Sono sempre rimasto nella lista delle persone da contattare. Una bella coincidenza che fossi di turno… Ha cercato di impiccarsi. Lo hanno portato stanotte.
Prima che Hermione potesse proferire una delle mille domande che le affollavano la mente, Blaise fece un piccolo cenno di fronte a sé, come ad invitarla a guardare attraverso il vetro, all’interno della stanza.
Incatenato su un letto candido, pallida come la neve di febbraio, e avvolta in un ammasso di stracci scuri, l’ombra di quello che doveva essere stato un uomo, una figura smunta che strideva con il contesto che la circondava.
Quando Hermione lo riconobbe, Blaise sussurrò:
-Theodore Nott.
 
 
 
 
 
 




Note:
 
Come qualcuno ha già indovinato, questo è un periodo un po’ denso di impegni, molti dei quali universitari. Ma nonostante questo, eccovi un nuovo capitolo, che spero possiate apprezzare!
A breve risponderò alle recensioni, ma mi sento in dovere di ringraziarvi, e dirvi che vi abbraccerei uno per uno, per i vostri commenti, che come sempre mi rassicurano molto. Ringrazio anche chi ha messo la storia tra le seguite, preferite o ricordate, grazie molte!
Come sempre alla prossima,
Indice.
 
PS: Ancora auguri Wing!
 
 
 
  
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