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Autore: zappolo70    29/05/2015    17 recensioni
ATTENZIONE: storia già pubblicata fino al capitolo VII ora completata (12 capitoli). Si avvisa che TUTTI i capitoli sono stati rimaneggiati e sono stati aggiunti riferimenti temporali per aiutare a seguire più agevolmente il dispiegarsi della storia.
La storia propone un what if inusuale e grande come una casa. Una rilettura personale della storia di Oscar e Andrè che mantiene grossomodo l’ossatura della storia e l’evoluzione temporale, anche se non fedelmente per esigenze narrative, stravolgendone però l’interpretazione alla luce di un presupposto nuovo.
Buona lettura a chi vorrà cimentarsi.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Disclaimer: I personaggi di Lady Oscar non mi appartengono e sono proprietà esclusiva di Ryoko Ikeda.

V – 25 Marzo 1775

Ricorda tutto come fosse ieri. Era scesa nelle cucine che albeggiava, il profumo fragrante del pane appena sfornato l’aveva investita già nel corridoio facendole pregustare la baguette accuratamente spalmata di confettura di fichi, la sua preferita, che aveva tutta l’intenzione di concedersi prima di lanciarsi in una lunga cavalcata solitaria con Caesar.

Accadeva di rado in verità che non invitasse Andrè ad accompagnarla, ma la sera precedente avevano fatto tardi e ci erano andati giù pesante con il Bordeaux, come peraltro succedeva spesso nelle loro serate casalinghe.

Una cavalcata ristoratrice era quello che le ci voleva dopo una sbornia, non altrettanto si poteva dire del suo amico che - sapeva bene - avrebbe preferito smaltirla indugiando quanto più possibile sotto le coperte, ragione per cui per questa volta aveva evitato di coinvolgerlo, lasciando che si concedesse qualche ora di riposo in più. L’avrebbe comunque raggiunta più tardi per recarsi a Versailles, impeccabile come sempre nella sua straordinaria capacità di recupero.

Giunta in prossimità dell’arco in pietra che dà accesso alle cucine, si era sorpresa di non udire l’allegro tramestio delle stoviglie che solitamente animava questa parte del palazzo a tutte le ore, connotandolo di fatto ai suoi occhi come il cuore pulsante della casa.

Ma era davvero molto presto, l’alba non era ancora fatta, e anche per la servitù la giornata non era ancora incominciata, seppure non doveva mancare molto a che il vocio concitato che si accompagnava all’operosità delle mani impegnate nelle varie incombenze si riversasse nell’ambiente.

Eppure c’era qualcuno, nella luce fioca di poche bugie e del grande camino, riusciva chiaramente a distinguere il chiacchiericcio sommesso di due voci, una delle quali avrebbe riconosciuto ad occhi chiusi, l’altra sconosciuta.

Stava giusto per varcare la soglia quando aveva sentito pronunciare il nome del suo amico di sempre, nipote di lei, con un tono un po’ troppo accorato, che l’aveva messa sul chi va là e le aveva imposto di fermarsi.

Non vista, si era appiattita come poteva contro l’ampia rientranza della parete alla sua sinistra e si era soffermata ad ascoltare.

La posizione le offriva una visuale solo parziale del tavolo da lavoro in legno massello che dominava la stanza con la sua imponenza. All’estremità sedeva Nanny, mentre rimaneva nascosta alla vista l’identità del suo interlocutore del quale riusciva solo a scorgere le mani femminili, benché segnate dall’età. Mani intente, come quelle di Marie, a sgranare fagioli secchi che sentiva tintinnare allorché, privati del baccello in un unico abile gesto, venivano lasciati ricadere nella capiente ciotola di rame sui cui bordi opposti poggiavano i polsi di entrambe.

«Ti ringrazio della visita Therése, ma non è affatto necessario che mi aiuti».

«Non dire sciocchezze Marie, sai che non è nella mia indole starmene con le mani in mano, altrimenti cosa ci farei nella tua cucina a quest’ora del mattino? In fondo mi conosci, abbiamo lavorato anni insieme prima che tu prendessi servizio a Palazzo Jarjayes, sai come sono fatta. Ma non voglio parlare di me, lo trovo un argomento noioso, come noioso è tutto ciò che riguarda la vecchiaia. Piuttosto, mi stavi parlando di tuo nipote. Si chiama Andrè se ricordo bene, vero?».

«Già, Andrè. L’ultima volta che l’hai visto avrà avuto cosa, tre anni forse? S’è fatto uomo ormai il mio ragazzo, e vedessi che pezzo d’uomo!».

«Beh, non fatico a crederlo avendo conosciuto tuo figlio. Suppongo gli somigli molto».

Lei aveva fissato lo sguardo davanti a se, assorta, le mani che si erano arrestate a mezz'aria nello sforzo di richiamare alla mente immagini dai contorni sbiaditi che si facevano via via più vivide e definite fino a restituirle i visi amati con una nitidezza che l’aveva commossa.

«Si, ha molto di suo padre. Da lui ha preso l'altezza e la prestanza fisica, i lineamenti del viso e senza dubbio il senso dell'ironia. Mio figlio era solito condire la vita con l'ironia, anche nei momenti più duri. Diceva sempre che la vita è una cosa seria, ma che non serve un’espressione seria per viverla. Mi manca sai. Ma in Andrè c'è anche molto della madre. Il colore incredibile degli occhi e la dolcezza dello sguardo sono gli stessi che ho sempre visto in lei».

A lei, che ascoltava dal suo nascondiglio, si era aperto il cuore nel riconoscere ognuna delle qualità che la nonna attribuiva al nipote, e pur sentendosi in un certo qual senso un'intrusa nell'intimità di quel momento, aveva pensato che fosse stata una fortuna poterlo condividere.

«Chissà quante ragazze gli gireranno intorno allora!».

Nanny ridacchiava mentre passava ripetutamente l'avambraccio sulla superficie liscia del tavolo in movimenti fluidi a radunare i baccelli ormai vuoti in un mucchio che poi sospingeva con attenzione e precisione oltre il bordo del tavolo per raccoglierli nel secchio di legno ai suoi piedi.

«Praticamente non c'è inserviente qui a Palazzo che non si contenda le sue attenzioni. Fanno a gara ad avvicinarlo, si può dire che gli girino attorno come api sul miele. Poi lui è sempre molto gentile, del resto l'ho educato io, e qualcuna a volte scambia la sua gentilezza per interesse e si illude, e lui si imbarazza. Sophie, per esempio. Sia chiaro, non sono cose che mi vengano riferite direttamente, ma dietro ai miei occhiali spessi gli occhi ci vedono ancora bene».

"Sophie". Rammenta che non era riuscita a trattenersi dal ripetere sottovoce quel nome, per ricordarselo. Si era fatta un appunto mentale di scoprire chi fosse questa Sophie innamorata del suo amico.

«Vuoi dire che fra tutte quelle che gli ronzano intorno non gli interessa nessuna? Se non ricordo male dovrebbe avere circa vent’anni, l'età giusta per cominciare a guardarsi in giro».

Oscar non era riuscita a reprimere un istantaneo moto di antipatia verso quest'ospite che d'un tratto trovava estremamente invadente. La distrazione durò poco più di un attimo, poi un pianto sommesso di singhiozzi soffocati attirò la sua attenzione tanto da indurla a sporgersi un pochino oltre la parete.

Marie si era tolta gli occhiali e strofinava le lenti con una pezzuola che doveva aver trovato a portata di mano, e che poi aveva portato al viso ad asciugarsi una lacrima solitaria.

«Cosa succede amica mia? Se ho detto qualcosa che ti ha offesa, ti prego di perdonarmi. La mia linguaccia a volte non ha freni».

Oscar aveva osservato prima il braccio dell'ospite misterioso protendersi e appoggiarsi sulla spalla di Nanny in un gesto protettivo, poi fu l'intera figura a entrare nel suo campo visivo. Era una donna più anziana di Nanny, minuta, il viso solcato da rughe profonde che testimoniavano una vita di duro lavoro, la statura ridotta dall'evidente incurvatura della schiena. La luce della bugia appoggiata sul tavolo rivelava un'espressione di autentico dispiacere per il dolore dell'amica, qualunque esso fosse, e Oscar ricorda di essersi sentita improvvisamente in colpa per il giudizio poco lusinghiero azzardato poco prima.

«Ti prego Marie, siediti e cerca di calmarti. Ora ti preparo un infuso mentre tu raccogli le idee e mi racconti cosa ti angustia tanto. Le buone amiche servono a questo no? Anche quelle impiccione tornano utili sai?».

Seguirono minuti di silenzio, inframezzati solo dal rumore discreto di poche stoviglie che l'anziana signora aveva trovato con la dimestichezza di chi nelle cucine doveva aver passato gran parte della propria vita. Infine fu Nanny a ritrovare la parola.

«Lui ha ventun anni. E sono preoccupata Therése».

L'altra era rimasta in silenzio in un tacito incitamento a proseguire.

«Come sai, anche lui è a servizio qui a Palazzo. E' l'attendente personale dell'ultima figlia del Generale Jarjayes. Madamigella Oscar».

«Certo. E' la figlia che il Generale ha scelto di crescere come un maschio. Ne hanno parlato tutti. Ho saputo che è a capo delle Guardie di Sua Maestà la Regina Maria Antonietta. La ragazza deve avere della stoffa e non può che essere una donna molto intelligente per essere riuscita a farsi largo in un contesto esclusivamente maschile».

Marie l’aveva guardata sorpresa, probabilmente non si sarebbe aspettata un giudizio così fuori dagli schemi da una donna persino più anziana di lei.

Oscar, dal canto suo, non aveva nemmeno ascoltato le parole di Therése. Aveva capito che Marie era seriamente preoccupata per suo nipote e l'unica cosa che le importava era scoprire che cosa fosse successo di tanto grave da ridurla in un tale stato di prostrazione.

«E' anche molto bella, Therése. Dovresti vederla per capire. Ha solo un anno in meno del mio Andrè e sono cresciuti insieme da quando l'ho portato qui con me, aveva sette anni».

Si era presa una pausa, lasciando alla perspicacia dell’amica il tempo di elaborare i pochi indizi e giungere all’inevitabile conclusione.

«E una volta cresciuto si è innamorato di lei, non è vero?».

Oscar, gli occhi sgranati e la bocca aperta senza fiato, era restata quasi sospesa, fissando il volto di Marie in attesa, finché l’aveva vista annuire lentamente. Allora la portata di quella rivelazione l’aveva investita come un pugno in pieno volto, facendola vacillare. Le gambe avevano ceduto ed era stata costretta ad appoggiare i palmi aperti alla parete dietro di lei per mantenersi in equilibrio. Avrebbe voluto avere il potere di fermare il tempo, come Orfeo al suono della sua lira, per poter fuggire da lì e non ascoltare oltre. Ma quello che fino a un attimo prima era stato un punto di osservazione privilegiato che le aveva regalato emozioni piacevoli, ora era divenuto un nascondiglio angusto in cui si sentiva prigioniera. Non poteva permettersi di farsi scoprire.

Almeno Nanny aveva smesso di piangere, come se condividere il peso del suo segreto con l'amica l'avesse in qualche modo sollevata. L’aveva sentita sospirare prima di proseguire.

«Lui non me lo direbbe mai. Ma io non sono nata ieri. Lui vive nella sua ombra, le offre una dedizione totale».

«E lei? Si è accorta dei suoi sentimenti? Pensi che li ricambi? Forse le cose non sono poi così drammatiche. Se lei non prova le stesse cose, tutto si ridimensionerà a un'infatuazione passeggera. Prima o poi si deciderà a volgere lo sguardo altrove. Nessuno può resistere per sempre senza essere corrisposto».

L’altra le aveva restituito un sorriso amaro.

«Tu non conosci mio nipote. E' caparbio come un mulo e le poche volte che mi sono arrischiata a metterlo in guardia senza espormi esplicitamente, ha sempre trovato il modo di sviare il discorso, come se sapesse già dove volevo arrivare. Non ho motivo di credere che Oscar provi gli stessi sentimenti per lui. Non ancora almeno. Ma temo che prima o poi succederà ed è la cosa che mi spaventa di più. Perché allora sarà troppo tardi e le conseguenze inimmaginabili».

Therése aveva posato una tazza fumante di fine porcellana di fronte all’amica, poi aveva provato a mitigare la drammaticità dei toni.

«Marie, non ti sembra di esagerare? Stai precorrendo i tempi, nemmeno tu puoi sapere cosa succederà. Non ci sono ricette che regolino gli affari del cuore».

L’altra aveva scosso energicamente la testa.

«Vorrei poter condividere il tuo ottimismo Therése, ma tu non li hai mai visti insieme. Io invece li ho sotto gli occhi tutti i giorni, e li vedo capaci di parlarsi senza parole in una complicità che può derivare solo da un affetto profondo. E Oscar è ormai cresciuta e andrà incontro, se non è ancora successo, ai turbamenti tipici della sua età. Quanto pensi che le ci vorrà perché arrivi a dare un nome diverso all’affetto che prova per mio nipote? Non dimenticare che vive una vita complicata, atipica, divisa tra l’uniforme e la sua natura, difficile da accettare per la maggior parte degli uomini, ma una condizione che per Andrè è assolutamente naturale, perché è sempre stato così da che si conoscono».

Aveva immerso il cucchiaino da tè nel barattolo di miele e l’aveva portato alla tazza guardandolo colare lentamente, il colore ambrato che veniva inghiottito dal liquido più scuro, quasi torbido, della bevanda.

«Nonostante le mie reprimende perché mantenesse le distanze che si convengono nel rapporto tra servo e padrone, quando sono insieme sono semplicemente loro stessi, Oscar e Andrè, senza titoli né posizioni. Alla mia età ne ho viste di cose, concedimi una certa esperienza nelle faccende umane, a maggior ragione quando si tratta dei miei bambini, perché li ho cresciuti io e li conosco come le mie tasche».

Therése rimase assorta, impegnata ad assorbire le dinamiche di quella relazione così speciale che l’amica le stava dipingendo. Non riusciva a fare a meno di sentirsene affascinata.

Oscar dal canto suo aveva pianto lacrime silenziose, e si era sentita pervadere da una paura crescente che le aveva provocato un dolore quasi fisico, le mani premute all’altezza dello stomaco che sentiva chiuso in una morsa.

«Però dimmi amica mia, proprio perché uno dei pochi vantaggi della nostra veneranda età è di poter dire di conoscere le cose del mondo, se anche tra tuo nipote e madamigella accadesse ciò che temi, non sarebbe la prima volta che lo vedi succedere, mi sbaglio? Di questi tempi è quasi una consuetudine per le nobildonne intrattenere relazioni amorose con membri della servitù e nessuno se ne scandalizza granché. Se poi questa relazione in particolare fosse animata da sentimenti sinceri più che da semplici pruriti della carne, non farebbe grande differenza agli occhi del mondo che tende solitamente a fermarsi alla sintassi dei fatti».

L’espressione sconsolata di Marie si era accompagnata al movimento nervoso delle mani che teneva in grembo torturandosi l’orlo del grembiule, nell’attesa che il decotto si freddasse un pochino.

«Se quello che dici succedesse tra Andrè e una qualsiasi altra figlia del generale, sarei portata a darti ragione. Come hai ben detto, non siamo nate ieri per ignorare come va il mondo. E c’è stato un momento in cui questa mi è parsa una possibilità. Del resto Hortence, maggiore di Oscar di appena due anni, non ha mai nascosto una certa attrazione per il mio ragazzo. Delle sei, è sempre stata la più disinibita. Ma qui si tratta di Oscar, che il generale ha investito della gravosa responsabilità di portare alto il buon nome del casato. Se mai dovesse scoprire una relazione tra loro due, peserebbe solo la macchia del disonore e del tradimento. Per quanto io gli sia affezionata, è sempre stato alquanto ottuso in fatto di comprensione dell’animo umano e delle sue dinamiche. Ne è la prova il fatto stesso che abbia messo mio nipote accanto a sua figlia per tutti questi anni senza avere nemmeno mai pensato all’eventualità che la loro vicinanza potesse avere certe conseguenze».

Si era portata infine la tazza alle labbra a sorbire un sorso cauto, saggiando la temperatura. Lavanda, anche se l’olfatto aveva già preceduto il gusto nel riconoscere l’aroma familiare. Davvero brava Therése a ricordare ancora le sue preferenze dopo tanti anni.

«Intendiamoci, non è un uomo cattivo, è capace di grande generosità ed è una persona leale. Gli sarò eternamente grata per quanto ha fatto per me e per mio nipote, accogliendolo in questa casa e offrendogli privilegi che alle persone del nostro rango sono preclusi. Ha riservato a lui un'educazione identica a quella della figlia, ed è merito suo se il mio ragazzo ha ricevuto un’istruzione di tutto rispetto, che la gente del popolo non potrebbe nemmeno sognare. Paradossalmente, questo li ha resi più simili di quanto le loro rispettive posizioni nella società vorrebbero, ne ha assottigliato le distanze, permettendogli di percepirsi pari in tutto e per tutto».

La tazza produsse un tintinnio discreto quando venne posata ormai vuota sul piattino.

«Ma il generale è anche una persona molto rigida, che vive secondo i suoi principi, sbagliati o giusti che siano, da cui non prescinde. Vivo in questa casa ormai da molti anni e ti posso assicurare che se Oscar dovesse macchiarsi di disonore, non esiterebbe ad alzare la spada su di lei. Credi che riserverebbe un trattamento diverso a un semplice servo? Non risparmierebbe nessuno dei due, Therése, no…nessuno dei due. E purtroppo sappiamo bene che la prudenza non va mai a braccetto con l’impetuosità dell’amore. Prima o poi finirebbero per fare un passo falso e farsi scoprire».

Era scoppiata in un pianto accorato la povera Marie, mentre Therése aveva sussultato a quelle parole lapidarie, cominciando a convincersi della fondatezza dei timori dell’altra.

«Marie, mi dispiace molto. E mi spiace ancor più per questi due ragazzi che mi pare ormai quasi di conoscere, così puri nel loro volersi un bene dell’anima, ciascuno a modo suo, avulsi dalle dinamiche crudeli di questa società. Se davvero fossero destinati ad innamorarsi, dovrebbero essere liberi di poterlo fare. Ma non viviamo in un mondo perfetto, questo te lo concedo, e capisco che tu abbia motivo di essere preoccupata. Vorrà dire che se e quando dovesse accadere, faremo tutto il possibile per tenere all’oscuro il generale, per proteggerli. Ti aiuterò anch’io, non so come, ma potrai contare su di me. Non so dirtene la ragione, ma il destino di questi due ragazzi ora sta a cuore anche a me. Più di questo non possiamo fare, amica mia».

«Ti ringrazio Therése, sei molto cara e confidarmi con te mi ha dato sollievo. Poter dividere il peso del mio tormento con qualcuno è già molto. Non farmi aspettare troppo prima di tornare a trovarmi».

Therése si era alzata dalla sedia mentre Marie aveva aperto la porta sul retro e aveva atteso l’amica reggendo il secchio con i baccelli vuoti. Un refolo d’aria gelida investì la stanza facendo tremolare le fiamme basse del camino che ritrovarono vigore e si innalzarono in una danza disordinata. Anche il bastone da passeggio, appeso al bordo del tavolo per l’impugnatura, prese a dondolare pigramente, come un metronomo che scandisca un tempo lento, finché la mano della padrona non lo raggiunse, interrompendone bruscamente il ritmo. L’anziana donna, dopo aver recuperato il pesante scialle di lana adagiato allo schienale della sedia, si diresse verso l’uscio con passo sicuro e battagliero tenendo il bastone sollevato da terra, di traverso, sotto lo sguardo attonito di Marie che, una mano al secchio e una mano al battente della porta a mantenerla aperta, l’aspettava per cederle il passo.

Non sfuggì alla donna lo sbigottimento dell’amica.

«Sai, questo me lo porto più che altro per difendermi da eventuali malintenzionati. Non si sa mai che a qualche mascalzone venisse in mente di attentare alla mia virtù».

E si lasciò andare a una risata che divenne contagiosa, facendo salire le lacrime agli occhi di entrambe.

«Visto? Sono riuscita a farti tornare il buon umore. Verrò a trovarti presto, vedrai. D’altronde l’insonnia non mi dà scampo e io a che porta potrei mai bussare a quest’ora del mattino se non alla tua che ora come allora ti ostini a sfornare il pane tutta da sola facendone quasi una questione d’onore?».

«Ho il mio tornaconto sai? Mi è sempre piaciuto avere le mani in pasta e poi questo è l’unico momento della giornata in cui posso stare sola a indugiare nei miei pensieri, a volte piacevoli, a volte meno».

E così dicendo si allontanarono insieme mentre la porta si richiuse con un cigolio e nella stanza ritornò a regnare il silenzio.

Oscar dovette usarsi violenza per obbligare i muscoli a muoversi. Le costò fatica mettere un piede davanti all’altro, ma imboccò il corridoio in senso contrario e si incamminò diretta alle sue stanze prima con passo incerto, poi quasi correndo. Si richiuse la porta della camera alle spalle e raggiunse il grande letto nell’ambiente attiguo. Vi si lasciò cadere pesantemente, prona, coprendosi poi la testa con un cuscino con il desiderio di estraniarsi dalla realtà che stava assumendo i contorni di un incubo ad occhi aperti.

Il cuore batteva ancora all’impazzata per le emozioni confuse e contrastanti annodate in un groviglio che le riusciva impossibile districare.

Dentro sentiva una cacofonia di voci discordi che gridavano nel tentativo di prevaricarsi senza che nessuna riuscisse ad avere il sopravvento, quasi che il suo io si fosse disaggregato in una moltitudine di sé, ciascuna alle prese con uno stato d'animo diverso, fino agli antipodi.

Si perse in questa moltitudine, fino a non riuscire più a ritrovarsi. Come avrebbe potuto ricomporre la propria integrità in quell'accozzaglia di sentimenti così disparati? Faticava a riconoscersi, lei sempre così netta, quasi rigida si potrebbe dire, nei suoi giudizi e nella valutazione delle situazioni, finanche delle persone.

Una cosa è giusta o sbagliata, bianca o nera, una persona è buona o malvagia, una strategia adeguata o inefficace. Non era masi stata brava coi mezzi termini lei, le veniva più semplice racchiudere ogni cosa in categorie ben definite.

Non come lui. Lui era diverso, sempre a farle notare le sfumature che a lei sfuggivano cercando di mitigare il sue essere sempre così drastica.

«Un ladro è un ladro Andrè! Una persona disonesta che merita di essere punita!».

«Hai ragione Oscar. Ma un ladro può essere anche un padre di famiglia disperato che non riesce a mettere in tavola abbastanza da sfamare la propria famiglia e ruba perché costretto a scegliere tra la sopravvivenza dei suoi figli e la propria onestà. Ci hai mai pensato?».

Ricorda che allora aveva incassato il colpo in silenzio, non aveva saputo ribattere. Non poteva che essere d'accordo con lui, ma non voleva certamente dargliela vinta, e aveva preferito tacere. Lui l'aveva interpretato come un momento di riflessione e si era sentito intitolato a reiterare il concetto.

Si era alzato e aveva colto una mela dall'albero sotto il quale stavano riposando in un pomeriggio ozioso. Le si era inginocchiato di fianco con il frutto maturo in bella mostra sul palmo della mano.

«Di che colore è?».

L'aveva guardato disorientata e un po’ divertita pensando a uno dei suoi soliti scherzi.

«Com'è Grandier? Hai forse problemi di vista? E' rossa naturalmente. Ora posso mangiarla?».

Aveva allungato la mano per prenderla ma lui gliel’aveva scostata con un buffetto neanche troppo delicato.

«Non ancora. Guarda meglio Oscar, sei sicura della tua risposta?».

Gliel’aveva portata a un palmo dal naso.

«Cosa vorresti farmi dire? E' rossa, non ci sono dubbi. E' una bella mela rossa matura… Così va meglio?».

«Io invece direi che sembra rossa, perché il rosso è il colore prevalente. Ma se tu la guardassi più attentamente, ne vedresti altri. Per esempio è costellata di minuscoli puntini bianchi e giallognoli, qui invece, intorno al picciolo, ci sono le sfumature del verde e del marrone. Se poi te la rigiri in mano, noterai che il rosso è più intenso da un lato, significa che da quella parte è rimasta più esposta alla luce del sole».

«Quindi ora dovrei chiederti se mi lasci mangiare quella mela rossa dai puntini bianchi e giallognoli e striature verdi e marroni? Non ti sembra un po’ troppo complicato?».

«Esatto Oscar, è troppo complicato, quindi per semplificare la definiamo una mela rossa. E va bene. Ma non dovremmo dimenticarci di tutti gli altri colori. I dettagli fanno la differenza. Sfumature diverse identificano varietà di mela diverse, per esempio. Perciò tutti i colori sono importanti, anche quando a predominare è uno solo. Si chiama policromia. La compresenza di più colori».

Lei aveva raccolto la mela dalla mano di lui e l’aveva addentata. Aveva capito benissimo dove voleva arrivare e cosa stava cercando di dirle, ma cercava di minimizzare, per non essere costretta a dargli ragione.

«Insomma, è una mela complicata. Però è buona lo stesso».

Lui l’aveva guardata sconsolato, scuotendo la testa e alzando le mani in segno di resa.

«Volevo solo farti capire che spesso le cose non sono ciò che sembrano, così come le persone o le situazioni che a volte liquidiamo frettolosamente con un giudizio sommario sulla base della prima impressione, senza sforzarci di andare oltre, senza cogliere tutte le sfumature».

Si era lascia scappare una risata quasi isterica. Policromia. Avrebbe voluto vedere lui al suo posto in quel momento, che cosa ci avrebbe fatto con tutti questi colori, così antitetici tra loro che le pareva impossibile anche solo accostarli!

Aveva perso la cognizione del tempo. Non avrebbe saputo dire quanto ne fosse trascorso, ma il sole stava già sorgendo, l'alba era passata da un pezzo e sapeva che di lì a non molto lui sarebbe venuto a cercarla. Aveva provato un'agitazione crescente all'idea. Sarebbe stata costretta a farci i conti stavolta con la varietà delle proprie sfumature, avrebbe almeno dovuto decidere quale fosse il suo colore prevalente.

  
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