Disclaimer:
I personaggi di Lady
Oscar non mi appartengono e sono proprietà esclusiva di
Ryoko Ikeda.
V
– 25 Marzo 1775
Ricorda
tutto come fosse ieri. Era scesa nelle cucine che albeggiava, il
profumo fragrante del pane appena sfornato l’aveva investita
già nel corridoio
facendole pregustare la baguette accuratamente spalmata di confettura
di fichi,
la sua preferita, che aveva tutta l’intenzione di concedersi
prima di lanciarsi
in una lunga cavalcata solitaria con Caesar.
Accadeva
di rado in verità che non invitasse Andrè ad
accompagnarla, ma la
sera precedente avevano fatto tardi e ci erano andati giù
pesante con il
Bordeaux, come peraltro succedeva spesso nelle loro serate casalinghe.
Una
cavalcata ristoratrice era quello che le ci voleva dopo una sbornia,
non altrettanto si poteva dire del suo amico che - sapeva bene -
avrebbe
preferito smaltirla indugiando quanto più possibile sotto le
coperte, ragione
per cui per questa volta aveva evitato di coinvolgerlo, lasciando che
si
concedesse qualche ora di riposo in più. L’avrebbe
comunque raggiunta più tardi
per recarsi a Versailles, impeccabile come sempre nella sua
straordinaria
capacità di recupero.
Giunta
in prossimità dell’arco in pietra che
dà accesso alle cucine, si era
sorpresa di non udire l’allegro tramestio delle stoviglie che
solitamente
animava questa parte del palazzo a tutte le ore, connotandolo di fatto
ai suoi
occhi come il cuore pulsante della casa.
Ma
era davvero molto presto, l’alba non era ancora fatta, e
anche per la
servitù la giornata non era ancora incominciata, seppure non
doveva mancare
molto a che il vocio concitato che si accompagnava
all’operosità delle mani
impegnate nelle varie incombenze si riversasse nell’ambiente.
Eppure
c’era qualcuno, nella luce fioca di poche bugie e del grande
camino,
riusciva chiaramente a distinguere il chiacchiericcio sommesso di due
voci, una
delle quali avrebbe riconosciuto ad occhi chiusi, l’altra
sconosciuta.
Stava
giusto per varcare
la soglia quando aveva sentito pronunciare il nome del suo amico di
sempre,
nipote di lei, con un tono un po’ troppo accorato, che
l’aveva messa sul chi va
là e le aveva imposto di fermarsi.
Non
vista, si era appiattita come poteva contro l’ampia
rientranza della
parete alla sua sinistra e si era soffermata ad ascoltare.
La
posizione le offriva una visuale solo parziale del tavolo da lavoro in
legno massello che dominava la stanza con la sua imponenza.
All’estremità
sedeva Nanny, mentre rimaneva nascosta alla vista
l’identità del suo
interlocutore del quale riusciva solo a scorgere le mani femminili,
benché
segnate dall’età. Mani intente, come quelle di
Marie, a sgranare fagioli secchi
che sentiva tintinnare allorché, privati del baccello in un
unico abile gesto,
venivano lasciati ricadere nella capiente ciotola di rame sui cui bordi
opposti
poggiavano i polsi di entrambe.
«Ti
ringrazio della
visita Therése, ma non è affatto necessario che
mi aiuti».
«Non
dire sciocchezze
Marie, sai che non è nella mia indole starmene con le mani
in mano, altrimenti
cosa ci farei nella tua cucina a quest’ora del mattino? In
fondo mi conosci,
abbiamo lavorato anni insieme prima che tu prendessi servizio a Palazzo
Jarjayes, sai come sono fatta. Ma non voglio parlare di me, lo trovo un
argomento noioso, come noioso è tutto ciò che
riguarda la vecchiaia. Piuttosto,
mi stavi parlando di tuo nipote. Si chiama Andrè se ricordo
bene, vero?».
«Già,
Andrè. L’ultima volta che l’hai visto
avrà avuto cosa, tre anni
forse? S’è fatto uomo ormai il mio ragazzo, e
vedessi che pezzo d’uomo!».
«Beh,
non fatico a crederlo avendo conosciuto tuo figlio. Suppongo gli
somigli molto».
Lei
aveva fissato lo sguardo davanti a se, assorta, le mani che si erano
arrestate a mezz'aria nello sforzo di richiamare alla mente immagini
dai
contorni sbiaditi che si facevano via via più vivide e
definite fino a
restituirle i visi amati con una nitidezza che l’aveva
commossa.
«Si,
ha molto di suo
padre. Da lui ha preso l'altezza e la prestanza fisica, i lineamenti
del viso e
senza dubbio il senso dell'ironia. Mio figlio era solito condire la
vita con
l'ironia, anche nei momenti più duri. Diceva sempre che la
vita è una cosa
seria, ma che non serve un’espressione seria per viverla. Mi
manca sai. Ma in
Andrè c'è anche molto della madre. Il colore
incredibile degli occhi e la dolcezza
dello sguardo sono gli stessi che ho sempre visto in lei».
A
lei, che ascoltava dal
suo nascondiglio, si era aperto il cuore nel riconoscere ognuna delle
qualità
che la nonna attribuiva al nipote, e pur sentendosi in un certo qual
senso
un'intrusa nell'intimità di quel momento, aveva pensato che
fosse stata una
fortuna poterlo condividere.
«Chissà
quante ragazze gli gireranno intorno allora!».
Nanny
ridacchiava mentre passava ripetutamente l'avambraccio sulla
superficie liscia del tavolo in movimenti fluidi a radunare i baccelli
ormai
vuoti in un mucchio che poi sospingeva con attenzione e precisione
oltre il
bordo del tavolo per raccoglierli nel secchio di legno ai suoi piedi.
«Praticamente
non c'è inserviente qui a Palazzo che non si contenda le sue
attenzioni.
Fanno a gara ad avvicinarlo, si può dire che gli girino
attorno come api sul
miele. Poi lui è sempre molto gentile, del resto l'ho
educato io, e qualcuna a
volte scambia la sua gentilezza per interesse e si illude, e lui si
imbarazza.
Sophie, per esempio. Sia chiaro, non sono cose che mi vengano riferite
direttamente, ma dietro ai miei occhiali spessi gli occhi ci vedono
ancora
bene».
"Sophie".
Rammenta che non era riuscita a trattenersi dal
ripetere sottovoce quel nome, per ricordarselo. Si era fatta un appunto
mentale
di scoprire chi fosse questa Sophie innamorata del suo amico.
«Vuoi
dire che fra tutte quelle che gli ronzano intorno non gli interessa
nessuna? Se non ricordo male dovrebbe avere circa vent’anni,
l'età giusta per
cominciare a guardarsi in giro».
Oscar
non era riuscita a
reprimere un istantaneo moto di antipatia verso quest'ospite che d'un
tratto
trovava estremamente invadente. La distrazione durò poco
più di un attimo, poi
un pianto sommesso di singhiozzi soffocati attirò la sua
attenzione tanto da
indurla a sporgersi un pochino oltre la parete.
Marie
si era tolta gli occhiali e strofinava le lenti con una pezzuola che
doveva aver trovato a portata di mano, e che poi aveva portato al viso
ad
asciugarsi una lacrima solitaria.
«Cosa
succede amica mia? Se ho detto qualcosa che ti ha offesa, ti prego di
perdonarmi. La mia linguaccia a volte non ha freni».
Oscar
aveva osservato prima il braccio dell'ospite misterioso protendersi e
appoggiarsi sulla spalla di Nanny in un gesto protettivo, poi fu
l'intera
figura a entrare nel suo campo visivo. Era una donna più
anziana di Nanny,
minuta, il viso solcato da rughe profonde che testimoniavano una vita
di duro
lavoro, la statura ridotta dall'evidente incurvatura della schiena. La
luce
della bugia appoggiata sul tavolo rivelava un'espressione di autentico
dispiacere per il dolore dell'amica, qualunque esso fosse, e Oscar
ricorda di
essersi sentita improvvisamente in colpa per il giudizio poco
lusinghiero
azzardato poco prima.
«Ti
prego Marie, siediti e cerca di calmarti. Ora ti preparo un infuso
mentre tu raccogli le idee e mi racconti cosa ti angustia tanto. Le
buone
amiche servono a questo no? Anche quelle impiccione tornano utili
sai?».
Seguirono
minuti di silenzio, inframezzati solo dal rumore discreto di
poche stoviglie che l'anziana signora aveva trovato con la
dimestichezza di chi
nelle cucine doveva aver passato gran parte della propria vita. Infine
fu Nanny
a ritrovare la parola.
«Lui
ha ventun anni. E sono preoccupata Therése».
L'altra
era rimasta in silenzio in un tacito incitamento a proseguire.
«Come
sai, anche lui è a servizio qui a Palazzo. E' l'attendente
personale
dell'ultima figlia del Generale Jarjayes. Madamigella Oscar».
«Certo.
E' la figlia che il Generale ha scelto di crescere come un maschio.
Ne hanno parlato tutti. Ho saputo che è a capo delle Guardie
di Sua Maestà la
Regina Maria Antonietta. La ragazza deve avere della stoffa e non
può che
essere una donna molto intelligente per essere riuscita a farsi largo
in un
contesto esclusivamente maschile».
Marie
l’aveva guardata sorpresa, probabilmente non si sarebbe
aspettata un
giudizio così fuori dagli schemi da una donna persino
più anziana di lei.
Oscar,
dal canto suo, non aveva nemmeno ascoltato le parole di
Therése.
Aveva capito che Marie era seriamente preoccupata per suo nipote e
l'unica cosa
che le importava era scoprire che cosa fosse successo di tanto grave da
ridurla
in un tale stato di prostrazione.
«E'
anche molto bella, Therése. Dovresti vederla per capire. Ha
solo un
anno in meno del mio Andrè e sono cresciuti insieme da
quando l'ho portato qui
con me, aveva sette anni».
Si
era presa una pausa, lasciando alla perspicacia dell’amica il
tempo di
elaborare i pochi indizi e giungere all’inevitabile
conclusione.
«E
una volta cresciuto si è innamorato di lei, non è
vero?».
Oscar,
gli occhi sgranati e la bocca aperta senza fiato, era restata quasi
sospesa, fissando il volto di Marie in attesa, finché
l’aveva vista annuire
lentamente. Allora la portata di quella rivelazione l’aveva
investita come un
pugno in pieno volto, facendola vacillare. Le gambe avevano ceduto ed
era stata
costretta ad appoggiare i palmi aperti alla parete dietro di lei per
mantenersi
in equilibrio. Avrebbe voluto avere il potere di fermare il tempo, come
Orfeo
al suono della sua lira, per poter fuggire da lì e non
ascoltare oltre. Ma
quello che fino a un attimo prima era stato un punto di osservazione
privilegiato che le aveva regalato emozioni piacevoli, ora era divenuto
un
nascondiglio angusto in cui si sentiva prigioniera. Non poteva
permettersi di
farsi scoprire.
Almeno
Nanny aveva smesso di piangere, come se condividere il peso del suo
segreto con l'amica l'avesse in qualche modo sollevata.
L’aveva sentita
sospirare prima di proseguire.
«Lui
non me lo direbbe mai. Ma io non sono nata ieri. Lui vive nella sua
ombra, le offre una dedizione totale».
«E
lei? Si è accorta dei
suoi sentimenti? Pensi che li ricambi? Forse le cose non sono poi
così
drammatiche. Se lei non prova le stesse cose, tutto si
ridimensionerà a
un'infatuazione passeggera. Prima o poi si deciderà a
volgere lo sguardo
altrove. Nessuno può resistere per sempre senza essere
corrisposto».
L’altra
le aveva restituito un sorriso amaro.
«Tu
non conosci mio
nipote. E' caparbio come un mulo e le poche volte che mi sono
arrischiata a
metterlo in guardia senza espormi esplicitamente, ha sempre trovato il
modo di
sviare il discorso, come se sapesse già dove volevo
arrivare. Non ho motivo di
credere che Oscar provi gli stessi sentimenti per lui. Non ancora
almeno. Ma
temo che prima o poi succederà ed è la cosa che
mi spaventa di più. Perché
allora sarà troppo tardi e le conseguenze
inimmaginabili».
Therése
aveva posato una
tazza fumante di fine porcellana di fronte all’amica, poi
aveva provato a
mitigare la drammaticità dei toni.
«Marie,
non ti sembra di
esagerare? Stai precorrendo i tempi, nemmeno tu puoi sapere cosa
succederà. Non
ci sono ricette che regolino gli affari del cuore».
L’altra
aveva scosso energicamente la testa.
«Vorrei
poter
condividere il tuo ottimismo Therése, ma tu non li hai mai
visti insieme. Io
invece li ho sotto gli occhi tutti i giorni, e li vedo capaci di
parlarsi senza
parole in una complicità che può derivare solo da
un affetto profondo. E Oscar
è ormai cresciuta e andrà incontro, se non
è ancora successo, ai turbamenti
tipici della sua età. Quanto pensi che le ci
vorrà perché arrivi a dare un nome
diverso all’affetto che prova per mio nipote? Non dimenticare
che vive una vita
complicata, atipica, divisa tra l’uniforme e la sua natura,
difficile da
accettare per la maggior parte degli uomini, ma una condizione che per
Andrè è
assolutamente naturale, perché è sempre stato
così da che si conoscono».
Aveva
immerso il cucchiaino da tè nel barattolo di miele e
l’aveva portato
alla tazza guardandolo colare lentamente, il colore ambrato che veniva
inghiottito dal liquido più scuro, quasi torbido, della
bevanda.
«Nonostante
le mie
reprimende perché mantenesse le distanze che si convengono
nel rapporto tra
servo e padrone, quando sono insieme sono semplicemente loro stessi,
Oscar e
Andrè, senza titoli né posizioni. Alla mia
età ne ho viste di cose, concedimi
una certa esperienza nelle faccende umane, a maggior ragione quando si
tratta
dei miei bambini, perché li ho cresciuti io e li conosco
come le mie tasche».
Therése
rimase assorta,
impegnata ad assorbire le dinamiche di quella relazione così
speciale che
l’amica le stava dipingendo. Non riusciva a fare a meno di
sentirsene
affascinata.
Oscar
dal canto suo
aveva pianto lacrime silenziose, e si era sentita pervadere da una
paura
crescente che le aveva provocato un dolore quasi fisico, le mani
premute
all’altezza dello stomaco che sentiva chiuso in una morsa.
«Però
dimmi amica mia,
proprio perché uno dei pochi vantaggi della nostra veneranda
età è di poter
dire di conoscere le cose del mondo, se anche tra tuo nipote e
madamigella
accadesse ciò che temi, non sarebbe la prima volta che lo
vedi succedere, mi
sbaglio? Di questi tempi è quasi una consuetudine per le
nobildonne
intrattenere relazioni amorose con membri della servitù e
nessuno se ne
scandalizza granché. Se poi questa relazione in particolare
fosse animata da
sentimenti sinceri più che da semplici pruriti della carne,
non farebbe grande
differenza agli occhi del mondo che tende solitamente a fermarsi alla
sintassi
dei fatti».
L’espressione
sconsolata
di Marie si era accompagnata al movimento nervoso delle mani che teneva
in
grembo torturandosi l’orlo del grembiule,
nell’attesa che il decotto si
freddasse un pochino.
«Se
quello che dici
succedesse tra Andrè e una qualsiasi altra figlia del
generale, sarei portata a
darti ragione. Come hai ben detto, non siamo nate ieri per ignorare
come va il
mondo. E c’è stato un momento in cui questa mi
è parsa una possibilità. Del
resto Hortence, maggiore di Oscar di appena due anni, non ha mai
nascosto una
certa attrazione per il mio ragazzo. Delle sei, è sempre
stata la più
disinibita. Ma qui si tratta di Oscar, che il generale ha investito
della
gravosa responsabilità di portare alto il buon nome del
casato. Se mai dovesse
scoprire una relazione tra loro due, peserebbe solo la macchia del
disonore e
del tradimento. Per quanto io gli sia affezionata, è sempre
stato alquanto
ottuso in fatto di comprensione dell’animo umano e delle sue
dinamiche. Ne è la
prova il fatto stesso che abbia messo mio nipote accanto a sua figlia
per tutti
questi anni senza avere nemmeno mai pensato
all’eventualità che la loro
vicinanza potesse avere certe conseguenze».
Si
era portata infine la tazza alle labbra a sorbire un sorso cauto,
saggiando la temperatura. Lavanda, anche se l’olfatto aveva
già preceduto il
gusto nel riconoscere l’aroma familiare. Davvero brava
Therése a ricordare
ancora le sue preferenze dopo tanti anni.
«Intendiamoci,
non è un
uomo cattivo, è capace di grande generosità ed
è una persona leale. Gli sarò
eternamente grata per quanto ha fatto per me e per mio nipote,
accogliendolo in
questa casa e offrendogli privilegi che alle persone del nostro rango
sono
preclusi. Ha riservato a lui un'educazione identica a quella della
figlia, ed è
merito suo se il mio ragazzo ha ricevuto un’istruzione di
tutto rispetto, che
la gente del popolo non potrebbe nemmeno sognare. Paradossalmente,
questo li ha
resi più simili di quanto le loro rispettive posizioni nella
società
vorrebbero, ne ha assottigliato le distanze, permettendogli di
percepirsi pari
in tutto e per tutto».
La
tazza produsse un
tintinnio discreto quando venne posata ormai vuota sul piattino.
«Ma
il generale è anche una persona molto rigida, che vive
secondo i suoi
principi, sbagliati o giusti che siano, da cui non prescinde. Vivo in
questa
casa ormai da molti anni e ti posso assicurare che se Oscar dovesse
macchiarsi
di disonore, non esiterebbe ad alzare la spada su di lei. Credi che
riserverebbe un trattamento diverso a un semplice servo? Non
risparmierebbe
nessuno dei due, Therése, no…nessuno dei due. E
purtroppo sappiamo bene che la
prudenza non va mai a braccetto con l’impetuosità
dell’amore. Prima o poi
finirebbero per fare un passo falso e farsi scoprire».
Era
scoppiata in un pianto accorato la povera Marie, mentre
Therése aveva
sussultato a quelle parole lapidarie, cominciando a convincersi della
fondatezza dei timori dell’altra.
«Marie,
mi dispiace molto. E mi spiace ancor più per questi due
ragazzi che
mi pare ormai quasi di conoscere, così puri nel loro volersi
un bene
dell’anima, ciascuno a modo suo, avulsi dalle dinamiche
crudeli di questa
società. Se davvero fossero destinati ad innamorarsi,
dovrebbero essere liberi
di poterlo fare. Ma non viviamo in un mondo perfetto, questo te lo
concedo, e
capisco che tu abbia motivo di essere preoccupata. Vorrà
dire che se e quando
dovesse accadere, faremo tutto il possibile per tenere
all’oscuro il generale,
per proteggerli. Ti aiuterò anch’io, non so come,
ma potrai contare su di me.
Non so dirtene la ragione, ma il destino di questi due ragazzi ora sta
a cuore
anche a me. Più di questo non possiamo fare, amica
mia».
«Ti
ringrazio Therése,
sei molto cara e confidarmi con te mi ha dato sollievo. Poter dividere
il peso
del mio tormento con qualcuno è già molto. Non
farmi aspettare troppo prima di
tornare a trovarmi».
Therése
si era alzata
dalla sedia mentre Marie aveva aperto la porta sul retro e aveva atteso
l’amica
reggendo il secchio con i baccelli vuoti. Un refolo d’aria
gelida investì la
stanza facendo tremolare le fiamme basse del camino che ritrovarono
vigore e si
innalzarono in una danza disordinata. Anche il bastone da passeggio,
appeso al
bordo del tavolo per l’impugnatura, prese a dondolare
pigramente, come un
metronomo che scandisca un tempo lento, finché la mano della
padrona non lo
raggiunse, interrompendone bruscamente il ritmo. L’anziana
donna, dopo aver
recuperato il pesante scialle di lana adagiato allo schienale della
sedia, si
diresse verso l’uscio con passo sicuro e battagliero tenendo
il bastone
sollevato da terra, di traverso, sotto lo sguardo attonito di Marie
che, una
mano al secchio e una mano al battente della porta a mantenerla aperta,
l’aspettava per cederle il passo.
Non
sfuggì alla donna lo sbigottimento dell’amica.
«Sai,
questo me lo porto
più che altro per difendermi da eventuali malintenzionati.
Non si sa mai che a
qualche mascalzone venisse in mente di attentare alla mia
virtù».
E
si lasciò andare a una
risata che divenne contagiosa, facendo salire le lacrime agli occhi di
entrambe.
«Visto?
Sono riuscita a
farti tornare il buon umore. Verrò a trovarti presto,
vedrai. D’altronde
l’insonnia non mi dà scampo e io a che porta
potrei mai bussare a quest’ora del
mattino se non alla tua che ora come allora ti ostini a sfornare il
pane tutta
da sola facendone quasi una questione d’onore?».
«Ho
il mio tornaconto
sai? Mi è sempre piaciuto avere le mani in pasta e poi
questo è l’unico momento
della giornata in cui posso stare sola a indugiare nei miei pensieri, a
volte
piacevoli, a volte meno».
E
così dicendo si allontanarono insieme mentre la porta si
richiuse con un
cigolio e nella stanza ritornò a regnare il silenzio.
Oscar
dovette usarsi violenza per obbligare i muscoli a muoversi. Le
costò
fatica mettere un piede davanti all’altro, ma
imboccò il corridoio in senso
contrario e si incamminò diretta alle sue stanze prima con
passo incerto, poi
quasi correndo. Si richiuse la porta della camera alle spalle e
raggiunse il
grande letto nell’ambiente attiguo. Vi si lasciò
cadere pesantemente, prona,
coprendosi poi la testa con un cuscino con il desiderio di estraniarsi
dalla
realtà che stava assumendo i contorni di un incubo ad occhi
aperti.
Il
cuore batteva ancora
all’impazzata per le emozioni confuse e contrastanti annodate
in un groviglio
che le riusciva impossibile districare.
Dentro
sentiva una cacofonia di voci discordi che gridavano nel tentativo
di prevaricarsi senza che nessuna riuscisse ad avere il sopravvento,
quasi che
il suo io si fosse disaggregato in una moltitudine di sé,
ciascuna alle prese
con uno stato d'animo diverso, fino agli antipodi.
Si
perse in questa moltitudine, fino a non riuscire più a
ritrovarsi. Come
avrebbe potuto ricomporre la propria integrità in
quell'accozzaglia di
sentimenti così disparati? Faticava a riconoscersi, lei
sempre così netta,
quasi rigida si potrebbe dire, nei suoi giudizi e nella valutazione
delle
situazioni, finanche delle persone.
Una
cosa è giusta o sbagliata, bianca o nera, una persona
è buona o
malvagia, una strategia adeguata o inefficace. Non era masi stata brava
coi
mezzi termini lei, le veniva più semplice racchiudere ogni
cosa in categorie
ben definite.
Non
come lui. Lui era diverso, sempre a farle notare le sfumature che a lei
sfuggivano cercando di mitigare il sue essere sempre così
drastica.
«Un
ladro è un ladro Andrè! Una persona disonesta che
merita di essere
punita!».
«Hai
ragione Oscar. Ma un ladro può essere anche un padre di
famiglia
disperato che non riesce a mettere in tavola abbastanza da sfamare la
propria
famiglia e ruba perché costretto a scegliere tra la
sopravvivenza dei suoi
figli e la propria onestà. Ci hai mai pensato?».
Ricorda
che allora aveva incassato il colpo in silenzio, non aveva saputo
ribattere. Non poteva che essere d'accordo con lui, ma non voleva
certamente
dargliela vinta, e aveva preferito tacere. Lui l'aveva interpretato
come un
momento di riflessione e si era sentito intitolato a reiterare il
concetto.
Si
era alzato e aveva colto una mela dall'albero sotto il quale stavano
riposando in un pomeriggio ozioso. Le si era inginocchiato di fianco
con il
frutto maturo in bella mostra sul palmo della mano.
«Di
che colore è?».
L'aveva
guardato disorientata e un po’ divertita pensando a uno dei
suoi
soliti scherzi.
«Com'è
Grandier? Hai forse problemi di vista? E' rossa naturalmente. Ora
posso mangiarla?».
Aveva
allungato la mano
per prenderla ma lui gliel’aveva scostata con un buffetto
neanche troppo
delicato.
«Non
ancora. Guarda
meglio Oscar, sei sicura della tua risposta?».
Gliel’aveva
portata a un
palmo dal naso.
«Cosa
vorresti farmi
dire? E' rossa, non ci sono dubbi. E' una bella mela rossa
matura… Così va
meglio?».
«Io
invece direi che sembra rossa, perché il rosso è
il colore prevalente.
Ma se tu la guardassi più attentamente, ne vedresti altri.
Per esempio è
costellata di minuscoli puntini bianchi e giallognoli, qui invece,
intorno al
picciolo, ci sono le sfumature del verde e del marrone. Se poi te la
rigiri in
mano, noterai che il rosso è più intenso da un
lato, significa che da quella
parte è rimasta più esposta alla luce del
sole».
«Quindi
ora dovrei chiederti se mi lasci mangiare quella mela rossa dai
puntini bianchi e giallognoli e striature verdi e marroni? Non ti
sembra un po’
troppo complicato?».
«Esatto
Oscar, è troppo complicato, quindi per semplificare la
definiamo
una mela rossa. E va bene. Ma non dovremmo dimenticarci di tutti gli
altri
colori. I dettagli fanno la differenza. Sfumature diverse identificano
varietà
di mela diverse, per esempio. Perciò tutti i colori sono
importanti, anche
quando a predominare è uno solo. Si chiama policromia.
La compresenza di
più colori».
Lei
aveva raccolto la
mela dalla mano di lui e l’aveva addentata. Aveva capito
benissimo dove voleva
arrivare e cosa stava cercando di dirle, ma cercava di minimizzare, per
non
essere costretta a dargli ragione.
«Insomma,
è una mela complicata. Però è buona lo
stesso».
Lui
l’aveva guardata sconsolato, scuotendo la testa e alzando le
mani in
segno di resa.
«Volevo
solo farti capire che spesso le cose non sono ciò che
sembrano,
così come le persone o le situazioni che a volte liquidiamo
frettolosamente con
un giudizio sommario sulla base della prima impressione, senza
sforzarci di
andare oltre, senza cogliere tutte le sfumature».
Si
era lascia scappare
una risata quasi isterica. Policromia. Avrebbe
voluto vedere lui al suo
posto in quel momento, che cosa ci avrebbe fatto con tutti questi
colori, così
antitetici tra loro che le pareva impossibile anche solo accostarli!
Aveva
perso la cognizione del tempo. Non avrebbe saputo dire quanto ne
fosse trascorso, ma il sole stava già sorgendo, l'alba era
passata da un pezzo
e sapeva che di lì a non molto lui sarebbe venuto a
cercarla. Aveva provato
un'agitazione crescente all'idea. Sarebbe stata costretta a farci i
conti
stavolta con la varietà delle proprie sfumature, avrebbe
almeno dovuto decidere
quale fosse il suo colore prevalente.