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Autore: EleEmerald    29/05/2015    1 recensioni
 Dal decimo capitolo:
"Io vi maledico" disse. "Maledico tutti gli uomini di questo mondo. Tutti gli uomini che si metteranno sulla strada di mia figlia e delle sue nipoti. Quando ingannereto loro, come avete ingannato me, esse vi uccideranno. Sarà l'ultima azione sbagliata che compirete perché le mie figlie vi perseguiteranno, vi inganneranno e saranno la vostra rovina. E poi vedremo, come ci si sente a stare dall'altra parte del manico."
.
Quando Matthew Williams, un tranquillo ragazzo di diciassette anni, incontra Elizabeth, di certo non si aspetta che quella ragazza lo porterà incontro a tanto dolore. Ma, dopo averla ritrovata in un bosco ricoperta di sangue, non rimanere implicato nelle sue faccende è quasi impossibile. Le prove che dovrà affrontare si riveleranno più complicate di come sembrano e, inesorabilmente, si ritroverà a perdere molto di più che la sua semplice normalità. Implicato tra leggende e antiche maledizioni, vivrà, oltre ai momenti più brutti, anche quelli più belli della sua vita.
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 12: Rotture e riappacificazioni

Per svegliarmi non bastarono tre sveglie. Thomas dovette togliermi le coperte e trascinarmi per terra. Quando aprii gli occhi, vidi le piastrelle del bagno. Mi tirai su e mi guardai in torno, domandandomi se ero sonnanbulo.

Alla mattina visitammo alcuni musei molto noiosi e al pomeriggio sistemammo le valigie per la partenza. La mattina seguente, arrivati all'aeroporto di Phoenix in grande anticipo, i professori ci lasciarono un'ora libera.

Thomas propose di visitare la città e tutti approvarono. Ci stavamo dirigendo verso di lì, quando sentii una bambina chiedere insistentemente a suo padre di poter vedere un aereo decollare. L'uomo la prese in braccio e le disse che si vedevano volare dal bosco, così mi voltai verso i miei amici e proposi di fare la stessa cosa: - Andiamo a vedere gli aerei!

Thomas storse il naso. - Dove?

- Al bosco - disse Iris indicandolo. - Mi sembra un'ottima idea.

Alcuni ragazzi che erano venuti con noi al luna park preferirono seguire il consiglio di Thomas e dirigersi verso la città. Anche Hannah andò al centro di Phoenix.

- Io vengo con voi. - Elizabeth si infilò un cappellino rosso e mi sorrise.

Soltanto Iris, Thomas ed Elizabeth mi vennero con me attraverso il bosco. Seguimmo l'uomo con la bambina fino a quando non fummo dietro all'aeroporto, vicino ad una rete enorme che ci divideva dalle piste di decollo e atterraggio.

Ci appoggiammo alla rete.

Dopo pochissimo vidi un aereo blu atterrare davanti a me, a pochi metri da un altro, e mi mancò il fiato.

- Credevo che gli sarebbe finito addosso - sussurrò Elizabeth.

Avvicinai la mano attraverso la rete e gliela strinsi, provando ancora quel calore. Mi sentii stupido, non avevo mai desiderato tenere la mano di nessuno. Lei mi faceva uno strano effetto.

L'aereo che era fermo si iniziò a muovere, posizionandosi davanti alla pista di atterraggio. Cominciò a rullare e a fare rumore e poi partì. Corse attraverso la pista e la mano di Elizabeth iniziò ad agitarsi. Infine la macchina volante uscì dalla mia visuale a da quella della ragazza. Fu come se mi avessero strappato un cerotto: Elizabeth tolse la mano dalla mia senza preavviso e seguì il percorso dell'aereo correndo lungo la strada fermandosi soltanto quando decollò.

Mi avvicinai a lei a la guardai in volto. Era felice.

- Non ho mai visto niente di simile. - Si sistemò il cappello.

- Ma ci sei stata - cercai di dire.

- È visto da un'altra prospettiva - mi zittì. - Non sembra affatto che qualcuno lo stia pilotando da qui. Era come un'uccello o...o come Peter con la polvere di Trilly.

Sorrisi in modo buffo ed Elizabeth me lo fece notare.

- Mi piace stare con te - disse.

- Anche a me piace stare con te.

- Con te sto meglio che con chiunque altro.

- Anche meglio di quando stai con Hannah?

Lei ci pensò un attimo e poi annuì. - Si. Io e Hannah siamo amiche da tantissimo tempo ma...siamo diverse. Da piccole non lo eravo, sai? - Alzò il viso su di me. - Stavo così bene con lei che non mi credeva strana. Sapeva sempre di cosa avevo bisogno. Mi faceva ridere. Ora non è più così. L'anno scorso mi sono accorta che non eravamo più come prima ma credevo fosse un periodo che sarebbe passato. Non lo ha fatto.

- Mi dispiace.

- Anche a me.

Mi avvicinai e le misi una mano sulle spalle. - Le persone cambiano. Fa parte del crescere.

- Odio crescere.

Rimanemmo in silenzio per un po', osservando due aerei decollare, poi mi voltai e vidi Iris che rideva vicino a Thomas. Si girò verso di lui e gli pizzicò una guancia.

- Andiamo prima che Iris ripeta ad alta voce quello che mi ha appena detto - disse Thomas prendendola in braccio e caricandosela in spalla.

- Cos'ha detto? - domandò Elizabeth.

- Thomas, ti ho detto che era uno scherzo. Non prendertela.

Guardai Iris di traverso e lei mi fece l'occhiolino dalla spalla dell'amico. Anche lui sorrise senza rendersi conto che lo vedevo.

 

 

Arrivati all'aeroporto di Louisville, mia madre corse a prendermi la valigia e a salutarmi. Mi diede un bacio sulla fronte e poi salutò i miei amici. Quando ci girammo per andare mi accorsi che Elizabeth stava salutando sua madre.

Vestita normalmente e senza quel cappuccio che le copriva la testa, la madre di Elizabeth non metteva affatto inquietudine. Era una donna esile e minuta con un grande sorriso sul viso. In effetti assomigliava molto a sua figlia. Le due donne ci sfilarono a fianco e mia madre, riconoscendo la più giovane, la salutò.

- Salve, sono Lisa Thompson, la mamma di Matt - si presentò mia madre.

- Isabelle Lane, la madre di Elizabeth. - Non mi guardò negli occhi. Non sapeva che conoscevo la sua identità e sperava quindi di non farsi scoprire. Aveva una voce normale, quasi strana su di lei.

- Ci tenevo a presentarmi - continuò mia madre. - Elizabeth è stata davvero gentile quando è venuta a trovarci.

Io e la ragazza trattenemmo il fiato. Isabelle non lo sapeva. Merda.

- Sono davvero contenta che siano diventati amici. Mi scusi, sono davvero in ritardo per un progetto di lavoro! Dirò ad Elizabeth di lasciarle il mio numero. - Prese Elizabeth per un braccio e la trascinò via.

- Peccato. Sembrava molto simpatica. - Mia madre alzò le spalle e mi guidò fuori dall'aeroporto.

Non sapeva di aver appena scatenato un altro litigio. Mi chiesi, anche se era quasi una certezza, se dopo quella conversazione, Isabelle avrebbe fatto ancora qualcosa per separarmi da sua figlia.

 

 

Il sabato dormii fino a tardi e la domenica pomeriggio decisi di andare da mio padre per fargli sapere cosa avevo deciso su mio fratello.

Bussavo alla porta insistentemente da circa un minuto quando Charlotte venne ad aprirmi. I riccioli castani le ricadevano con grazia sulle spalle. Portava un grembiule bianco e aveva le mani sporche di farina.

- Matt! - esclamò, chinandosi ad abbracciarmi.

Era una reazione totalmente diversa da quella che mi aspettavo. Avevo fatto tutta la strada per arrivare fin lì sperando di non incontrarla. Non sapevo se sarei riuscito a reggere il suo sguardo.

La lasciai fare, seppur con molto sforzo. Era sempre stata gentilissima con me e mi voleva bene. A volte mi chiedevo come ci riusciva quando io le rispondevo in malo modo. Mi capitava di non riuscire ad odiarla come volevo quando le stavo vicino e di provare sentimenti negativi verso di lei soltanto lontano da quella casa. Dall'ultimo giorno in quel posto e per tutto l'anno e mezzo in cui non ero più andato a trovarla, ero riuscito ad odiarla come mai prima ma, in quel momento, tra le sue braccia, tutto andò in fumo. Come faceva a volermi bene dopo quello che le avevo detto?

- È da così tanto che non ti vedo. Vieni.

Dopo averla seguita fino alla cucina, dove infilò le mani in un impasto per torte, le chiesi di mio padre.

- Patrick - chiamò Charlotte.

Sentii dei passi provenire dal salotto e mio padre comparve sulla soglia. Indossava vestiti pratici e comodi e aveva tutta l'aria di essersi appena alzato dal divano. La barba era più lunga rispetto a come la teneva di solito e immaginai che avesse dimenticato di radersi. A volte lo faceva ed era mia madre a dovergli ricordare quel compito.

- Matt, come mai qui? - domandò lui.

- Volevo scusarmi per la mia reazione. Sarò felice di avere un fratello - dissi.

Charlotte si mise una mano sul ventre e sorrise.

- Da quanto tempo sei incinta?

- Dieci settimane.

Impallidii. - È tantissimo.

Charlotte rise. - No, Matt. Non ho ancora la pancia.

Indugiai con lo sguardo sul suo ventre, che non mostrava segni di gravidanza, e annuii.

- Avremmo dovuto dirtelo prima, lo so.

Dopo che ebbero insistito perché rimanessi con loro, chiesi di poter rivedere la mia vecchia stanza. Loro acconsentirono. Salii le scale che portavano al primo piano e aprii una porticina di legno che conduceva alla mia stanza. Vi trovai ancora tutto come l'avevo lasciato: le cuffiette sulla scrivania, un cd sul letto e un unico quaderno di scuola sullo scaffale. Sembrava che il tempo si fosse fermato. Non c'era un solo acaro di polvere perché Charlotte puliva sempre al meglio la mia camera.

Mi sedetti sul letto e, chiusi gli occhi, sentii di stare rivivendo l'ultimo giorno in quella casa. La rabbia e la frustrazione che avevo provato tornarono in me. Rividi mio padre entrare in camera e urlarmi contro di chiedere scusa a Charlotte per quello che avevo detto. Osservai me stesso chiudergli la porta in faccia e inserirmi le cuffiette nelle orecchie, guardando l'orologio fisso, sperando che arrivassero le sei. Poi mi ricordai di come avevo preso la sacca e messo via tutto. Avevo quasi finito, mi restavano solo le cuffie, un cd e un quaderno, quando mia madre aveva suonato alla porta. Era corso giù dalle scale senza guardarmi indietro, senza salutare niente o nessuno, senza prendere ciò che mi mancava. Mi ero ripromesso di non tornare mai più lì dentro.

Riaprii gli occhi e i ricordi sfumarono.

Mi sentii ancora peggio. Ero stato uno stronzo.

Scesi le scale e mi sedetti di fianco a mio padre. Era molto tempo che non lo facevo.

- Congratularmi per la gravidanza di Charlotte non è l'unico motivo per cui sono qui - dissi.

Mio padre rimase in silenzio.

- Devo chiederle scusa per una cosa che ho detto tempo fa. - Sapeva benissimo a cosa alludevo.

- Vai.

Mi avvicinai lentamente alla cucina ed entrai con un timido sorriso. Poi mi sedetti su uno sgabello a guardare Charlotte che impastava. Si sporcò la fronte con della farina.

- Scusa per tutti questi anni e in particolare per quello che ti ho detto l'ultimo giorno - mormorai.

La donna alzò la testa confusa, togliendo le mani dalla torta. - Matt, ti sei comportato come avrebbe fatto chiunque. Non mi devi delle scuse.

- Si invece. Non sei tu che ha tradito mia madre. È stato mio padre a farlo. Non è giusto che tu ti prenda le sue colpe e che io ti abbia fatto passare tutti quegli anni di inferno. - Quelle parole mi uscirono come un fiume in piena. - Scusa per averti rovinato il Natale, a 11 anni. Scusa per aver passato tutti quei giorni in camera. Scusa per avervi insultati entrambi ogni volta che scendevo in salotto.

Charlotte mi abbracciò, piangendo. - Smettila.

Scossi la testa. - Sei stata fin troppo buona con me tutte le volte che non hai badato agli insulti e mi hai difeso da mio padre.

Ricordai uno schiaffo, il più forte che mi avessero tirato nella mia vita. Non avevo pianto, ero corso in camera e avevo tirato un pugno alla scrivania, urlando.

Strinsi l'abbraccio, cercando improvvisamente affetto.

Tra le braccia della mia matrigna, notai mio padre sulla porta. Era appoggiato con un fianco e mi guardava con un'espressione infecifrabile. Sapevo che aveva sentito tutto. Si voltò e andò via.

Non dissi nulla. Il mio odio per Charlotte non aveva più motivo di esistere, me lo aveva detto più volte mio padre, che lei non era a conoscenza della nostra famiglia quando stava con lui, e finalmente avevo capito che aveva ragione. Era lui il colpevole, lui che non si era fatto scrupoli a portare un'altra donna in casa, lui che non aveva detto niente a mia madre per molto tempo. Strinsi i denti e chiusi gli occhi.

 

 

- Credevo che non sarebbe stato semplice per te uscire dopo che tua madre ha saputo che sei stata a casa mia... - dissi ad Elizabeth.

Eravamo davanti al negozio di Melanie. Portava un vestitino verde, corto abbastanza da farmi meravigliare che fosse suo.

- Già. Infatti mia madre mi aveva proibito di farlo. - Si sistemò una ciocca di capelli e mi sorrise.

- Come stai? - chiesi.

- Bene.

- Come hai fatto ad arrivare?

- Sono scappata - rispose lei guardandomi negli occhi.

- Come?

- Quante domande...zitto. - Lo disse abbassando la voce, quasi sussurrando.

La guardai confuso ma lei mi sorrise con gli occhi e si portò un dito alla bocca. - Shh.

Poi, lentamente, avvicinò le labbra alla mie e potei sentire il suo profumo inebriarmi i sensi. Chiusi gli occhi e socchiusi le labbra, ma non incontrai le sue.

Alzando le palpebre, vidi mia madre davanti a me. Aveva le braccia incrociate e il viso illuminato dalla luce che entrava dalle finestre.

- Quanto hai dormito! - esclamò.

Arrossii, cercando di coprirmi e immaginando ancora Elizabeth davanti a me.

Mi tolse le coperte di dosso. - Voglio vederti giù tra dieci minuti.

Uscì dalla mia stanza e io mi fermai a fissare il soffitto. Mi vergognavo così tanto di quel sogno. Non ne avevo mai fatto uno simile, soprattutto su una ragazza di cui non ero innamorato. Lei era solo un'amica e questo mi andava bene. O no? Mi bastava essere suo amico quando il calore mi pervadeva ogni volta che le toccavo le mani? Quando avrei dato di tutto per stringerla tra la mie braccia in ogni singolo momento? Quando, la prima volta che l'avevo vista, mi era mancato il fiato?

Trattenni il respiro. Non potevo innamorarmi di Elizabeth, non dopo quello che avevo scoperto.

Scesi le scale e, dopo aver fatto colazione ed essermi vestito, salutai mia madre per andare.

- Stai bene? - chiese lei scrutandomi.

Annuii vigorosamente e presi le chiavi della macchina. - Ci vediamo oggi pomeriggio.

- Non sarò a casa. Devo finire un progetto - disse.

- Okay.

Mi chiusi la porta dietro le spalle ed entrai in auto, sistemandomi con calma sul sedile. Fu quando girai le chiavi che mi accorsi di un biglietto lasciato sul sedile vicino al mio: "Se ti avvicini ad Elizabeth, ti ammazzo".

Rilessi il foglio per altre cinque volte, per essere sicuro di averci visto giusto. Era una minaccia. Isabelle Lane aveva deciso di fare sul serio.

Strinsi i denti e azionai il motore. Ingranata la marcia, abbassai il finestrino e buttai il foglio per terra dopo averlo accartocciato. Non me ne importava niente.

La macchina procedeva tranquilla. Mi fermai a prendere Iris, che era di ottimo umore. Sistemò la cartella sulle sue gambe e mi salutò con una pacca sulla spalla.

- Vieni a vederci alle prove del coro oggi? - chiese.

- Quando?

- All'orario di pranzo. A proposito, io e Thomas non ci siamo oggi in mensa - disse tranquilla. - Fortuna che mi sono ricordata di portare del cibo, se no sarei morta di fame. - Tirò fuori dalla cartella due panini incartati con l'alluminio, su uno c'era scritto il suo nome con l'indelebile e sull'altro quello di Thomas.

Sorrisi. Si preoccupava sempre per lui.

- Vengo a vedervi sicuramente.

 

 

La mattinata passò tranquilla. Ascoltai più la voce nella mia testa, che quella reale dei professori. All'orario di pranzo, mi diressi in mensa e mi guardai in torno per cercare facce amiche. Non avevo voglia di stare da solo perché sapevo che avrei pensato di nuovo al sogno. Di Elizabeth non c'era traccia.

"Meglio così" pensai.

Appoggiai la cartella al tavolo e mi diressi a prendere un vassoio di cibo. Bess, la cuoca, aveva preparato delle bistecche che avevano un aspetto fantastico. Ne presi una e poi passai alla verdura.

Dopo aver riempito il vassoio, tornai al mio tavolo. La cartella era sparita. Imprecai. Iris me l'aveva detto più volte di lasciarla nell'armadietto, ma era sempre così pieno che mi riusciva impossibile ascoltare il suo consiglio. Appoggiai il piatto sul tavolo e cercai lo zaino. C'era davvero qualcuno che voleva rubare una cartella rotta piena di libri scolastici?

Sentii qualcuno ridere dietro di me e mi voltai. Hannah stringeva il mio zaino.

- Non è divertente - dissi riprendendo ciò che mi apparteneva.

- Era uno scherzo innocente. Sei da solo? - disse lei.

Annuii.

Mi fece segno di seguirla e mi guidò a un tavolo occupato da alcuni ragazzi. Riconobbi Henry e Margo, che erano venuti con noi al Grand Canyon.

- È il mio gruppo di fotografia - spiegò Hannah.

Salutai i miei due amici e mi presentai agli altri. - Sono quello che ha litigato con Hannah davanti a voi - spiegai.

- Ci ricordiamo - disse una ragazza con la treccia.

Tagliai la mia carne e me ne infilai in bocca un pezzo. Era buonissima.

- Hai visto Elizabeth? - chiesi ad Hannah masticando.

- Si, l'ho vista. Aveva lezione di fisica, al secondo piano.

- Grazie. - Non sapevo perché glielo avevo chiesto. Nell'ultimo periodo, la mia bocca non sembrava connessa al cervello, soprattutto se si parlava di Elizabeth.

Rimasi in silenzio ad ascoltare i discorsi degli altri ragazzi finché non finii quello che stavo mangiando. Buttai giù un bicchere d'acqua e poi mi voltai verso Hannah, che mi guardava con sospetto.

Le chiesi perché lo stava facendo.

- Sei disgustoso quando mangi. - Lo disse con convinzione.

- Sei innamorata di Thomas? - le domandai, ignorando il suo commento.

Hannah scosse la testa, agitando le sue punte colorate. - Forse. Non che abbia importanza, visto il modo in cui mi ha rifiutato. "Non voglio ferirti." - lo schernii. - Ipocrita.

- Credo che Thomas dicesse sul serio. È un bravo ragazzo.

- Non esistono bravi ragazzi. Voi pensate ad una sola cosa e...

La fermai. - Scommetto che te l'ha detto Elizabeth.

- Me l'aveva detto, ma l'ho imparato da sola. - Alzò le spalle.

Far cambiare idea a quelle ragazze sarebbe stata una dura impresa.

Hannah era spesso l'opposto di Elizabeth, ma sapeva anche essere simile a lei.

Alzò gli occhi su di me, intuendo quello che stavo pensando. - È la mia migliore amica e l'unica persona che mi sopporti. Siamo diverse e il nostro rapporto non è più come quello di prima. Certe volte vorrei urlarle contro, dirle che non sono il suo strumento di sfogo, che non può buttare tutto contro me. Ma io faccio lo stesso. Mi lamento delle parti di Elizabeth che condivido e lei fa lo stesso. Non ci sopportiamo più. Siamo come quelle coppie sposate da cinquant'anni il cui unico desiderio é andarsene ed essere felici. Ma non lo fanno. E sai perché? Perché, nonostante tutto, vogliono ancora bene all'altra persona, con cui hanno condiviso tanti di quei giorni, che vivere un'avventura senza, sarebbe come farle un torto. Se io me ne vado, mi sento sollevata per un attimo ma poi...poi non ce la faccio e torno indietro.

Lasciai andare il fiato che avevo trattenuto per tutto quel tempo. - Cavolo.

Hannah sorrise e non aprì più bocca per tutto il pranzo. Quella ragazza era strana.

Ascoltai ancora i ragazzi per un po', infine mi alzai e mi diressi da Iris e Thomas.

Passai nei corridoi ed entrai nel piccolo teatro della mia scuola. Era una stanza grande come due classi, piena di poltroncine che potevano ospitare un centinaio di persone al massimo. Sul palco, una struttura in legno sulla quale si saliva da una scaletta mal messa, erano posizionate cinque sedie. Alcuni ragazzi stavano consultando uno spartito. Notai Iris e Thomas dietro di loro, che parlavano animatamente. Cercai di farmi vedere ma loro non si accorsero di me, così mi sistemai su uno dei posti a sedere in fondo e aspettai che Iris e Thomas provassero, se non l'avevano già fatto.

Dopo circa dieci minuti, fu il loro turno. Thomas si chinò a prendere la sua chitarra e Iris impugnò il microfono. Dopo essere stata accordata, la chitarra iniziò a produrre un suono bellissimo. La voce della mia amica sembrava più bella ogni parola di più. Non riconobbi la canzone.

Finito di cantare, Iris corse da Thomas, che le batté il cinque. Non mi sembrava il caso di interromperli, così uscii dal teatro e mi ritrovai davanti ad un gruppo di ragazzi che proveniva da un'aula.

Notai Elizabeth tra la folla, ma non si avvicinò. Fece finta di niente e andò via. Decisi di andare a parlarle.




Angolino dell'autrice: Lo so, lo so. La scuola mi stava soffocando negli ultimi tempi, verifiche e interrogazioni tutti i giorni. Ho dovuto studiare e non ho avuto molto tempo per scrivere, mi dispiace. Spero di avere più tempo d'estate se no pubblicherò ogni due settimane e mezza, scusate! Vorrei tanto pubblicare prima. Poi vorrei ringraziare Ciciolla26 perché è stata sua l'idea del sogno e mi serviva proprio qualcosa del genere♥ Comunque...vi è piaciuto il capitolo? Lasciate una recensione!
P.S. Se si vede con l'interlinea. Non so come ho fatto, ma non riesco più a sistemarlo e io odio l'interlinea! *piange* E' brutto da vedere così.

  
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