Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: DonnaEliza    29/05/2015    3 recensioni
Non eri una persona comune: non è comune nascere in una famiglia ricca, e ancora meno comune allontanarsene. Non è comune diventare una ballerina classica.
Invece, le persone comuni vedono le loro case distrutte. Vedono i Titani vagare per le strade. Le persone comuni muoiono, vengono terrorizzate, vengono divorate. Questo è comune, nel tuo mondo.
Quando quel muro ti è crollato addosso, nello spazio di un momento, sei diventata una persona comune.
Non lascerai che succeda di nuovo.
La mia prima fanfiction! Sporca, dura e piena di stress post traumatico. Critics are welcome!
oO°I clean for Heichou°Oo
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hanji Zoe, Mikasa Ackerman, Nuovo personaggio, Rivaille, Un po' tutti
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
Capitoli:
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Quando gli eroi partono per un’impresa, il loro contegno è esemplare: le loro schiene sono dritte, le loro teste levate; nei loro occhi c’è la calma di chi ha già accettato il proprio destino.
Quando gli eroi partono, ritti sullo scafo della nave che solcherà le onde ignote, i loro capelli si agitano al vento e il sole si specchia nelle loro armature.
C’è folla, quando partono gli eroi: chiasso ed acclamazioni li accompagnano ad ogni passo, finché scompaiono all’orizzonte. Donne innamorate gettano loro fiori e pegni di devozione; gli anziani, silenziosi, indirizzano loro cenni di benedizione, di rispetto.

La folla c’era davvero, quando siete usciti, in colonna, dai cancelli della caserma fino al cancello del Muro Rose: persone di ogni età vi hanno salutato, hanno chiamato i vostri nomi e vi hanno augurato ogni fortuna. I bambini vi hanno fatto ciao con la mano, le ragazze vi sorridevano, e poi si nascondevano dietro le schiene degli astanti, ridacchiando emozionate. C’era anche la banda della città.

Nessuno di voi può sentirsi meno eroico di così: siete terrorizzati. Siete eretti sulle selle, è vero, ma le vostre spalle sono così contratte dall’ansia da toccarvi le orecchie. Qualcuno trema e ci sono molti occhi sbarrati. Non avete armature scintillanti, ma l’uniforme della Legione Esplorativa: stoffa e cuoio, e i pesanti elementi del DMT che vi pendono dai fianchi sono di acciaio satinato, perché la luce che ci batte non vi dia fastidio agli occhi. Niente luccica, sotto il sole che continua a fare nascondino con le nubi. C’è vento oggi, e le nuvole viaggiano veloci. Con i tuoi capelli impomatati ti sembra di avere un casco in testa. Non avevi mai usato della pomata, prima, e ne hai messa troppa: si è seccata in una massa lucida e troppo profumata. Jean, incrociandoti fuori dai dormitori, ha riso tanto da mandarsi la saliva di traverso. Quando ha smesso di tossire, ti ha spiegato che avresti dovuto inumidire la testa, prima di applicare la pomata.
-Vieni- ha detto. –Ti sistemo io.-
Prima che potessi reagire, ti ha preso per un braccio e ti ha trascinato ai lavatoi, dove ti ha piegato la testa sotto l’acqua corrente gelata. Una serie d’insulti strozzati ti è uscita di bocca e hai anche bevuto più di quanto non avresti voluto, ma Jean non si è lasciato impietosire e ti ha sfregato la cute con le sue mani grandi e dure. Poi ha chiuso il rubinetto e tu sei rimasta piegata sul bordo della grande vasca di pietra, mentre dalla punta dei tuoi capelli incollati veniva giù una cascatella d’acqua.
-Jean, e adesso come mi asciugo?
-Giusto. Bel problema - ti ha dato una pacca sulla schiena. –Beh, io vado a sellare il cavallo.

Il collo della tua blusa è ancora umido, mentre i cavalli percorrono al passo le vie del distretto di Trost. I tuoi capelli non sembrano più un elmetto, ma te li senti comunque strani e rigidi.
La processione sembra interminabile: la apre il comandante Smith con i quattro capisquadra, poi segue la Squadra Operazioni Speciali e i soldati semplici a cavallo. In coda, i carri dei rifornimenti e la loro scorta. Un centinaio d’anime in tutto e la folla ha trovato fiato per acclamare fino all’ultimo, che fossero figli, sposi o sconosciuti tutti i soldati hanno ricevuto un pezzetto di speranza, di coraggio, di fiducia dai cittadini di Trost, e voi sapete che non ne hanno abbastanza neanche per sé, ma a voi nessun onore è stato negato:
Tornate vittoriosi!
Contiamo su di voi!
Siete la nostra salvezza!
Grazie! Grazie! Grazie…


Grazie, ancora e ancora, fino alle porte del distretto e ancora mentre il cancello veniva aperto e lo sentite ancora mentre i cavalli rompono al galoppo e vi lasciate il Muro Rose alle spalle. Quando siete abbastanza lontani da non sentirlo più vi sentite tutti lontani da casa.

Attraversate le zone abitate a tutta velocità, perché non potete mettervi in formazione tra le rovine delle case nelle vie cittadine. Sono passati cinque anni da quando il distretto è stato evacuato e la vegetazione si è già ripresa quello che era suo: senza più traffico per le strade, tra le pietre del lastrico sono spuntate alte erbacce; le piante nei vasi, sui davanzali delle case abbandonate, sono morte e altre, selvatiche, hanno preso il loro posto. Rampicanti salgono sui muri, e gli uccelli sfrecciano dentro e fuori dagli edifici attraverso le finestre sfondate.

Cambiate spesso direzione, allontanandovi dalla strada principale, a causa delle macerie che ingombrano le vie. Dopo il disastro, non c’è stato tempo di sgombrarle. I varchi lasciati dalle case crollate lasciano vedere scorci di altre vie, altre mura, altre piante e tetti crollati, come finestre inaspettate. Gli zoccoli dei cavalli rimbombano sonori sull’acciottolato. Nessuno parla. Vi guardate attorno continuamente, ansiosi.
Senti delle grida lontano, alla tua destra, mentre attraversate una zona di campi incolti e casolari: è stato avvistato un Titano. Parte un razzo rosso, altri lo seguono, man mano che le squadre ricevono il messaggio e lo trasmettono. Vi ordinano di proseguire, lasciarlo alle pattuglie più vicine. Da quel momento ti aspetti che ne appaiano altri da un momento all’altro, ma la situazione resta calma. Viene ordinata una tappa per ricomporre la formazione.
Vi distribuiscono un pasto leggero, al sacco. Non hai fame, ma mangi lo stesso; a giudicare dalle facce che ti circondano, tutti stanno pensando la stessa cosa. Si vedono un sacco di mascelle masticare a fatica. Ti chiedi se anche Sasha avrà lo stomaco chiuso. Ti chiedi come mai non sei con nessuno dei tuoi compagni. Ti senti isolata, nel fianco destro della formazione. Non conosci neanche il capo divisione.
Viene fatto un appello, per controllare eventuali dispersi. Ci siete ancora tutti. Non ci sono feriti. Bene.
Ti accorgi di stare sperando che succeda qualcosa, qualunque cosa che interrompa la missione, che vi faccia tornare indietro. Non sei ancora pronta; non è possibile affrontare una cosa come questa. Quale addestramento, e quanto lungo, può preparare un essere umano alla prospettiva di buttarsi in campo aperto, nel territorio dei Titani? Come fanno i veterani? E’ davvero possibile abituarsi all’idea di poter morire ad ogni missione? Guardi le facce che ti circondano e ti chiedi in quanti desiderino segretamente ritirarsi. Quanti codardi come te ci sono, nella Legione Esplorativa?

Ripartite. Occorre attraversare una vasta zona rurale per arrivare al distretto di Shingashina. La formazione si allarga; presto ti sembra che a cavalcare per i campi ci siate solo tu e la ventina di  persone che compongono l’ala destra. L’aria sa d’estate, di erba e frumento selvatico scaldate dal sole, della torba tiepida che gli zoccoli dei cavalli sollevano al galoppo dal suolo, ancora umido dalle piogge dei giorni scorsi. Riesci a sentire il ronzio degli insetti al di sotto del rumore ritmato del galoppo: finimenti sbattuti contro la pelle tonica del cavallo, il respiro roco della bestia e il rimestare del morso nella sua bocca, contro i denti. Schiuma di bava equina vola in aria in brevi spruzzi e ti sfreccia di fianco. Ti fissi sulle orecchie appuntite del tuo cavallo, guardi come le inclina, come le ruota per seguire i rumori, come le appiattisce quando qualcosa lo spaventa.

Qualcosa lo spaventa.

I cavalli della Legione sono selezionati per mantenere la calma.

Accade in fretta, almeno all’inizio. Ti sembra che la gente cominci a gridare dopo che Lei è comparsa, e forse è vero, perché andava così veloce.
Un Titano femmina. Sai che ce ne sono, anche se sono molto rari e tu non ne hai mai visti, ma sei sicura che questa sia comunque diversa dalle altre. E’ senza pelle, come il Titano colossale che hai visto il giorno della breccia nel muro di Trost. E’ proporzionata, possente, senza i tratti infantili e grotteschi degli esemplari che hai visto finora. Corre. Corre come un’atleta, a lunghe falcate controllate, le braccia piegate a dare slancio ad ogni passo, il busto proiettato in avanti. E’ bionda in maniera abbagliante. E’… bella. Bella, distante e spaventosa come la statua di una dea. Passa tra le vostre file, gettando un’ombra terrificante sui cavalli, sui carri. Passa in un attimo. Uno schianto, e polverizza sotto un piede un carro di rifornimenti. Non l’ha nemmeno fatto apposta: era solo sul suo cammino.
C’è trambusto, i cavalli scartano, qualcuno viene disarcionato, partono razzi d’avvertimento. Razzi neri: non c’è dubbio che questo sia un Titano Anormale. Il caposquadra grida di mantenere la formazione, non perdere la calma e non fermarsi. Sproni il cavallo. Quando senti la terra tremare speri che sia la paura che ti romba nelle orecchie. Invece è il disastro.

Una frotta di Titani vi sta correndo addosso, dalla stessa direzione da cui è venuto il Titano Femmina. Alcuni saltellano, altri caracollano in avanti, le braccia tese come bambini che corrono incontro alla mamma. Tutti hanno la bocca spalancata, tutti hanno tanti, tanti denti.
Fai in tempo a contarne cinque, prima che si avventino su di voi. Il primo che vi raggiunge fa un passo all’interno della formazione e si accoscia, schiacciando la testa di un cavallo sotto di sé. Ti è passato alle spalle, perché sei all’estremo esterno del gruppo e hai superato i Titani, ma fai marcia indietro, al pari di tutti quelli con te, senza nemmeno pensare. E’ così che vi hanno addestrato, e per un momento tutto fila liscio, i tuoi sentimenti scompaiono sotto la programmazione e segui automaticamente gli ordini. Punti sul Titano che, piegato sulle ginocchia, allunga le braccia per afferrare i tuoi compagni, che spronano i cavalli per tenersi fuori portata. Ti alzi sulle staffe e molli le briglie, afferri le else delle spade e ti prepari a sganciare i cavi del DMT verso la spalla del gigante. Forse altri arriveranno prima di te. Non importa. Non c’è più ordine nella formazione, ognuno cerca di agire al meglio che può. Il Titano accosciato ha già un corpo nella mano che si sta portando alla bocca. Cerchi di non guardare. Ancora pochi metri.
Poi un’ombra invade il tuo campo visivo da sinistra. Senti un forte spostamento d’aria, un botto sordo e voli in aria insieme al tuo cavallo.

Tutto passa davanti ai tuoi occhi come se sfogliassi un album illustrato: immagini ferme, che ritraggono attimi consequenziali. Vedi la criniera del cavallo piegarsi a destra e a sinistra nell’ascesa. Poi vedi il terreno, lontano sotto di te, inclinato come un soffitto storto; senti tutto il peso del corpo sulla testa, l’aria ti romba nelle orecchie. Vi capovolgete ancora e batti duramente il viso contro il collo del cavallo.
Devi sganciarti, sfilare i piedi dalle staffe prima di cadere e farti schiacciare dal cavallo. Scalci alla cieca mentre agiti la testa per trovare l’orientamento. I tuoi stivali si liberano e quasi nello stesso momento vedi il corpo del Titano che vi ha investiti. E’ enorme: un Classe Quindici Metri, probabilmente. Scorgi con la coda dell’occhio il corpo del tuo cavallo che ti sorpassa precipitando e lanci i cavi verso il Titano. Non t’importa dove lo prendi, purché possa frenare la tua caduta. Gli arpioni fanno presa. Il vento urla nelle tue orecchie mentre spingi disperatamente sul meccanismo di frizione per rallentare la discesa. Il Titano continua a muoversi e tu voli in arco come su un’altalena, i muscoli della schiena tesi allo spasimo per riportare la testa in alto. Senti che ti si seccano le gengive perché stai digrignando i denti da chissà quanto. Cominci a riavvolgere i cavi. Sali all’impazzata fino a che i tuoi stivali toccano le costole del gigante. Liberi un getto di gas dalle bombole, sganci i cavi, ti dai la spinta con le gambe e lanci gli arpioni verso il collo. Corri all’impazzata in verticale, i cavi d’acciaio ti graffiano gli zigomi quando ondeggi da un lato all’altro. Il fetore del Titano ti riempie le narici; ha un odore acido, di fermentazione. La pelle scotta tanto che la senti attraverso la suola degli stivali. Ti lacrimano gli occhi per le esalazioni. Spari di nuovo i cavi verso la nuca. La prendi, ci sei. Con un colpo di gas voli al di sopra del ganglio grasso e roseo; sotto di te il campo di battaglia è un formicaio scoperchiato da un bambino crudele, ma tu non senti alcun rumore. Atterri e affondi le lame nello stesso momento.
Un getto di sangue caustico ti investe come un geyser. D’istinto, getti la testa indietro e chiudi gli occhi; senti la gola e il mento bruciare, i guanti di pelle s’inzuppano e fumano, tutto diventa un turbine di vapori. Tossisci e barcolli, cieca, mentre il Titano cade in ginocchio. Non riesci a liberare gli arpioni, non riesci ad aprire gli occhi e vieni trascinata giù con lui mentre cade bocconi, aggrappata ai cavi come  fossero redini. Quando la testa colpisce il suolo, il contraccolpo ti proietta in avanti. Voli agitando gambe e braccia per un attimo prima di colpire il terreno. Rotoli, ingarbugliandoti nei cavi che non hai fatto in tempo a riavvolgere e che ti frustano le braccia e il viso. Sassi e sterpi ti bucano le mani. Ti rialzi immediatamente perché se riesci a rialzarti vuol dire che non sei ferita. Ti guardi intorno, occhi sbarrati e bocca spalancata. Brandisci ancora le spade, senza accorgerti che le lame sono spezzate.
Sono rimasti due Titani, sul campo: girando su te stessa, ne vedi due che hanno ripreso la loro corsa scoordinata, proseguendo verso destra. Intorno a te, l’erba è appiattita dai piedi dei giganti. Un cavallo morente urla, trascinando le zampe posteriori fracassate. Ci sono due carri, uno sfondato e un altro rovesciato, entrambi senza stanghe: i cavalli sono riusciti a spezzarle e scappare. Dal carro sfondato cola del sangue: qualcuno si era rifugiato al suo interno. Non ci sono molti cadaveri. Non ci sono molti sopravvissuti. Vedi una gamba, qualche metro alla tua sinistra; è calzata e fasciata nei calzoni dell’uniforme. Il sommo della coscia, tranciato di netto, imbeve di sangue il terreno.
Senti delle grida: un paio di soldati stanno dando l’assalto a uno dei due Titani rimasti, che passeggiano per il campo senza fretta. Vuoi correre da loro, ma non ti muovi. Il corpo non ti risponde affatto: continui a stare impalata, a gambe divaricate e con la bocca aperta. Provi a parlare e non ci riesci, e allora ti accorgi che non stavi tirando il fiato. E non ci riesci. Ti prendi a pugni il petto, la bocca dello stomaco: niente. Il panico ti sommerge. Il tuo addome è duro come una tavola, niente entra; niente esce. Ti butti in ginocchio e ti sbatti letteralmente a terra con tutto il busto. Batti la tempia e senti i denti sbattere tra di loro, ma funziona: qualcosa si sblocca e succhi un lungo respiro che sa di sale. Poi la bocca ti si riempie di bava e sputi conati schiumosi in terra. Ti senti le gambe bagnate e ti accorgi di esserti pisciata addosso. Cominci a tremare.
Senti uno schianto e giri gli occhi per vedere il Titano cadere su un fianco, ma di due che l’avevano attaccato vedi solo un soldato allontanarsi dalla sagoma che comincia a fumare. Sono ad un centinaio di metri da te, ma l’uomo è una tale maschera di sangue che non lo riconosci. Gira intorno al corpo del mostro caduto e scompare alla tua vista, ma le sue grida ti raggiungono. Chiama il compagno: dev’essere rimasto schiacciato dal gigante. Si chiamava Amos; lo impari nei minuti che il sopravvissuto spende a ripeterlo, gridandogli di resistere, pregandolo di rialzarsi, implorando le Mura di salvarlo. Ti imbamboli a fissare la sagoma del Titano che lentamente si sgretola, cullata dalla litanìa di grida, e quasi non ti accorgi dell’ultimo gigante rimasto sul campo, che viene attratto dalle urla e punta sul soldato nascosto ai tuoi occhi.
“Attento!” gridi, ma lui non ti sente, o forse non gridi forte come pensavi. Continui a chiamarlo, mentre il Titano si avvicina, e senza smettere ti alzi, puntando la testa in terra e spingendo con le gambe, corri piegata in due, scavalchi il corpo del Titano e la carne cede sotto i tuoi stivali; affondi fino all’inguine, i tuoi calzoni fumano e si corrodono. Ti districhi, sperando che le cinghie del DMT non si corrodano e continui ad avanzare, sempre gridando; piombi giù dal costato enorme a pochi passi da quel che resta di Amos: un braccio e una gamba che spuntano da sotto il torace del Titano. Riconosci il soldato: si chiama Kirk; si stringe nelle braccia e continua a gridare. Ha una mano rotta, le dita puntano nelle direzioni sbagliate. Lo prendi per le spalle e lo scuoti violentemente, poi la mano enorme del Titano cala su tutti e due voi. Senti una tremenda pressione alla testa e tutto diventa buio.

Vedi steli d’erba vicinissimi e gialloverdi. Minuscoli insetti si muovono a scatti nel microcosmo sotto di te. Senti solo il frinire delle cicale. Dovrebbe far caldo. Richiudi gli occhi.

Ti svegli di nuovo, perché hai sete e c’è rumore, delle voci, ma quando apri gli occhi l’erba ondeggia come prima. Tendi l’orecchio.

-Allora, ci sono sopravvissuti?
-Ne abbiamo trovati due, finora. Feriti.
-Dannazione, tre Titani hanno spazzato via un’intera squadra…

Non erano tre, pensi. Sei sdraiata bocconi. Hai la bocca aperta contro il terriccio; giri la testa e sputi, e questo riesce a farti dolere tutto il corpo. Hai la gamba sinistra piegata, il ginocchio ti schiaccia una mano. Sei ricoperta di qualcosa di soffice. Una coperta? Non riesci a girarti abbastanza da vedere…

-Dobbiamo sbrigarci, non possiamo restare ancora a lungo. Fate un altro giro e riportate i feriti al campo base.

Non possono lasciarti qui! La luce è cambiata, tra poco il sole tramonterà. Non puoi restare qui sola di notte!
Cerchi di tirarti in piedi; ti puntelli sui gomiti e sulle ginocchia e una morsa di dolore ti serra il corpo bloccandoti dove sei. La cosa che ti copriva si smuove e ti cade di dosso. E’ cenere. Cerchi di gridare e dalla tua bocca secca escono latrati rauchi. Non riesci ad alzare la testa per quanto ti fa male il collo e continui a mugolare, più forte che puoi, terrorizzata al pensiero che nessuno ti trovi, che essere sopravvissuta non sia servito ad altro che a lasciarti abbandonata fuori dalle Mura.

-Ce n’è un altro, quaggiù!

Delle braccia ti cingono, ti sollevano. Il tuo corpo è completamente imbrattato di terra, sangue, urina, cenere; non si capisce dove finiscono gli stivali e dove iniziano i calzoni. Il tuo DMT è ancora agganciato e pesa una tonnellata. Qualcuno te lo slaccia e ti parla senza interruzione, ti esorta a tener duro, ti dice che hai fatto un buon lavoro, te la sei cavata bene, guarda: braccia e gambe sono ancora al loro posto! Ce la fai a camminare? Brava… no, va bene, aspetta qui, ti portiamo  una lettiga.
Afferri la manica del tuo soccorritore, non vuoi essere lasciata sola. Lui è costretto a chiamare aiuto da lontano. Svieni di nuovo.
Continui a svegliarti e ricadere nell’incoscienza per tutto il tragitto fino al campo. Ti danno dell’acqua da bere, ma te la tolgono troppo presto per paura che vomiti. A volte batti i denti dal freddo. A volte parti del corpo a caso ti fanno male da urlare per qualche secondo, poi il dolore sparisce misteriosamente. Al campo, ti stendono insieme ad altri sul prato, in attesa che il dottore faccia il giro di tutti. Ti puliscono le ferite esposte, ma non possono spogliarti per esaminare cos’altro hai. Ti fasciano la testa perché hai un brutto taglio alla cute che avrà bisogno di punti e ti spalmano una pomata contro le bruciature sul collo, il petto e polsi, dove ti ha colpito il sangue del Titano. Poi ti caricano su un carro coperto.
Rispetto al luminoso cielo estivo, nel carro è buio pesto. Qualcuno piange, piano. Senti la gente parlare, fuori. Il Titano Femmina ha raggiunto il centro della formazione. Le hanno teso una trappola per catturarla nella foresta di alberi giganti.
-E ci sono riusciti?- chiede qualcuno.
-Macché. Pare che abbia spazzato via tutto lo squadrone di Levi.
Batti le palpebre. Tutti, sono morti? Tutti? Le voci si allontanano, non riesci a sentire di più. Non riesci a calcolare lo scorrere del tempo. A volte ti riaddormenti, o svieni; non capisci la differenza. Nel carro c’è un puzzo bestiale; forse non sei l’unica ad essertela fatta addosso.
Ti risvegli ancora quando senti chiamare il tuo nome; riconosci la sagoma controluce di Sasha affacciata sul carro.
-Sei viva! Avevano detto che il fronte destro era stato tutto sterminato! Meno male!
-Ci siamo salvati in tre – bofonchi. Hai le labbra spaccate e le parole escono strane.
-Noi siamo tutti salvi! Riesci a crederci? Noi del 104°, intendo. Per il resto… è stato un macello. Torniamo indietro, al Quartier Generale. Levi e Erwin hanno dato l’ordine poco fa.
-Oh. Allora è vivo… Avevo sentito…- anche controluce vedi Sasha fare una smorfietta.
-E’ vivo; tutta la sua squadra è stata sterminata, però. Ma tranquilla, il tuo prezioso Capitano ha sette vite come i gatti. O nove. Non ho mai capito quante ne avessero. Ehi! Sai che Eren è stato mangiato dal Titano femmina? Ma poi Levi l’ha tirato fuori. Ormai è un’abitudine quella di farsi mangiare, secondo me.
Sasha continua a chiacchierare mentre il convoglio si mette in moto; ha dovuto lasciare il cavallo a un soldato ferito e si nasconde nel carro per non farsela a piedi. Ti chiedi come faccia a mantenere alto lo spirito dopo un fallimento e una carneficina simili. Dal fondo aperto del carro vedi i superstiti incolonnati dietro il carro, con i volti grigi e inespressivi. Qualcuno ha lacrime che rigano lo sporco sulle guance.

Non è per la causa: siete tutti nati dentro le Mura, e in pochi sognano davvero il mondo esterno. Quel che vi atterrisce è la nuova conferma della vostra impotenza. Siete umani, piccoli e inermi. Commestibili.
Nessuno parla, mentre sfilate di ritorno per le strade di Trost. Neanche Sasha.

Al Quartier Generale, in infermeria, ti hanno spogliato e la tua uniforme è venuta via a pezzi. Solo gli stivali si sono salvati. Con quattro colpi di spugna hanno tolto il grosso dello sporco e ti hanno spennellato di disinfettante che bruciava e ti ha macchiato di giallo la pelle. Ha tagli e lividi dappertutto. Ti ricuciono lo scalpo e uno squarcio all’avambraccio, poi ti rimandano alle camerate.
Ti lavi sotto la doccia cisterna nei grandi bagni della caserma, e sembra che nessuna quantità d’acqua riuscirà mai a portar via tutta la terra che ti è rimasta nei capelli. Allo specchio, sopra i lavatoi comuni, vedi un viso stravolto: i capelli incollati dall’acqua ti fanno due occhi enormi e gialli. Hai un brutto taglio alla base del naso, le labbra bianche, la gola e il petto rossi e coperti di vescicolette. Di più non riesci a vedere, è uno specchio piccolo.
Ti metti sui capelli la pomata che ti ha dato il Capitano Levi e ti senti a disagio: Levi non è tornato in caserma con le truppe. La gente bisbiglia: dicono che sia distrutto per la perdita della sua squadra. Dicono di averlo visto parlare con il padre di Petra Ral. Dicono che fossero fidanzati, che si dovessero sposare. E tu ti senti triste e stupida.

E’ calata una notte calda e immobile, e tu ti senti ancora più stupida di prima: sei acquattata nell’ombra sotto i portici della piazza d’armi e tieni d’occhio il cancello d’ingresso.
Levi non è tornato per tutta la sera, è mancato a cena e nessuno l’ha più visto dal vostro rientro in città, e tu non sai darti pace. Devi trovare qualcosa da dirgli, anche solo fargli le condoglianze. Qualcosa che ti riqualifichi ai suoi occhi, ma soprattutto ai tuoi, come soldato fedele. Come soldato e basta. Nella tua mente, una vocetta virtuosa afferma che sei dispiaciuta per lui e vuoi solo essere a disposizione per confortarlo in questo momento difficile. Un’altra voce, ben più forte, non si spreca in chiacchiere e ride a crepapelle delle frottole dell’altra.
Alzi lo sguardo: affacciata alla finestra del dormitorio, Sasha ti saluta allegramente con la mano: ti ha visto scendere per le scale con gli stivali in mano e ti ha bisbigliato “tranquilla, ti copro io”. Non provi nemmeno a convincerla che si è fatta un’idea sbagliata: sospetti piuttosto che ci abbia visto molto più lontano di te.
Indossi solo la camicia da notte e gli stivali, che hai lasciato afflosciati alle caviglie: la tua uniforme è stata danneggiata in maniera irrecuperabile, e domani ne avrai un’altra. Per stanotte, comunque, è piacevole sentire l’aria fresca sulla pelle, specie quando la pelle è coperta di tagli e bende. Appoggi la guancia alla pietra fredda della colonna. Mentre i tuoi occhi perdono il fuoco sul cancello d’ingresso, ti ricordi di una delle storie che Armin raccontava sul mondo esterno: il mare, la grande distesa d’acqua salata che circonda il mondo, veniva solcata da grandi navi che lasciavano i porti verso l’ignoto anche per mesi. Le mogli dei naviganti, ogni giorno, si recavano al porto a pregare per il ritorno degli uomini. Per un attimo, senti di capire quelle donne, senz’altro potere che quello della speranza. Ma qui non c’è il mare, e tu non sei la moglie di nessuno.

Forse ti sei addormentata in piedi, perché quando senti il “chi va là” dato dalle guardie al cancello e le porte vengono aperte ti riscuoti di soprassalto. Aguzzi lo sguardo e nel cerchio di luce delle torce riconosci la snella figura di Levi che entra nella piazza d’armi, il cappuccio tirato in testa e il mantello che nasconde la parte superiore del corpo. Dalla sua finestra, Sasha si sta sbracciando per attirare la tua attenzione; quando la guardi fa una serie di gesti d’incoraggiamento e poi indietreggia di un paio di passi per non farsi vedere.
Aspetti che Levi sia ben lontano dal cancello d’ingresso prima di mostrarti. Quando è stato quasi inghiottito dalle stesse ombre in cui tu ti nascondi, fai un passo fuori dal portico e lo chiami piano.
Levi si ferma di botto. Nonostante il cappuccio, vedi la sua testa ruotare lentamente verso di te. Poi viene verso di te a grandi passi, com’era entrato.
Non ti viene incontro, ti viene addosso; ti investe con tutto il corpo e continua ad avanzare. Non ti esce una sillaba di gola, mentre incespichi all’indietro cercando di mantenere l’equilibrio. Non riesci a distinguere la sua espressione, sotto il cappuccio, e quando questo scivola indietro siete ormai nel buio fitto del loggiato e tu non lo vedi più. Senti solo il suo respiro, basso e secco, e il suono degli stivali sulle pietre. Ti spinge contro il muro e preme forte, tenendo le gambe salde. Non ti guarda: tiene la testa oltre la tua spalla; senti le sue ciglia farti il solletico all’orecchio. Alza una mano e la chiude sulla manica della tua camicia da notte; la tira in basso con uno strattone e ti scopre la spalla. Senti l’altra mano sulla vita, ti avvolge un’anca e ti tiene ferma contro il muro. Lo senti mordersi le labbra, vicinissimo alla tua pelle. Il cuore ti sta scoppiando e sei certissima che lo sentano in tutto il Quartier generale.
Non ti bacia: senti il suo fiato sul collo per un secondo, poi chiude un morso nello stesso punto in cui vi pugnala durante le esercitazioni. Gli esce un ringhio dalla gola. Vedi le sue spalle muoversi al ritmo del respiro. La sua mano sinistra ti lascia il fianco e scende a stringerti il polso. E’ la prima volta che senti le sue mani, e sono più ruvide di quanto pensassi. I morsi salgono sotto l’orecchio, tutti forti, tutti dolorosi. Ti tira la camicia sopra i fianchi, bruscamente. Lo senti armeggiare con la cintura, con i calzoni. Realizzi cosa sta per succedere da una grande distanza. I suoi respiri ti entrano in testa. Hai i suoi capelli negli occhi; sbirci le stelle attraverso.
Porta le mani dietro le tue cosce e ti alza di scatto, una gamba per parte, sempre tenendoti ferma con i denti. Gli pianti le dita nelle spalle e sbarri gli occhi mentre ti trova a tentoni e spinge, e fa male, fa male!

E poi, si ferma. Tutto, di scatto. La sua bocca allenta la presa, lentamente. Ti rimette a terra, piano. La camicia da notte scende di nuovo lungo le tue gambe e adesso ti guarda. Vedi il bianco dei suoi occhi, larghi come la tua mano. Non ti ha lasciato andare: ti tiene le mani sulle spalle, ma non stringe più. Ci mette tanto a chiedertelo.
-…Sei vergine.- In realtà, non lo chiede nemmeno.
Non gli hai ancora detto una parola e di sicuro non ci riesci adesso. Non volevi abbassare lo sguardo, ma la vergogna e l’imbarazzo ti annientano. Guardando fisso i gradi sulle sue spalline, annuisci.
Qualcosa si spezza in Levi. Prende un lungo respiro tremante. Quando alza le mani e ti prende il viso, vedi che tremano anche quelle. Senza una parola, ti preme le labbra sulla fronte e resta fermo. Lentamente, tutto il suo corpo comincia a tremare sempre più forte. Resti paralizzata mentre i singhiozzi lo scuotono con colpi duri che lo fanno sussultare a lungo. Vorresti toccarlo, ma trovi il coraggio solo di stringere un lembo del suo mantello nel pugno.
Dura tutto un pugno di secondi. Presto i tremiti cessano, il respiro ritrova il suo ritmo regolare. Levi si stacca da te e si ricompone. Fa per dirti qualcosa, invece gira sui tacchi e se ne va. Conti fino a cento e rientri anche tu, a testa bassa.

-Psst, Valeshka - bisbiglia Sasha più tardi, a letto.
-Che c’è?
-Ti ha baciato?
Ci pensi un attimo prima di rispondere.
-No – ammetti. Dopodiché, con tuo grande disappunto, scoppi a piangere.
   
 
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