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Autore: chiara_raose    31/05/2015    4 recensioni
PruAus
Gilbert sbirciò in quella immensa libreria, fin quando non fu attirato da una copertina priva di titolo: un libro con poche pagine ingiallite e che al loro interno rivelarono le parole "Caro diario".
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NdA • Ed ecco l'ultimo capitolo. Nulla di pretenzioso questa storia, in fondo, spero solo che vi sia potuta piacere! Vorrei ringraziare Rapidash che finora ha recensito tutti i capitoli della storia e tutti quelli che l'hanno seguita in anonimato(?)! In parte confesso di dedicarla alla mia partner di Roleplay che mi ha regalato, dopo tanto tempo, la possibilità di non perdere le speranze con questa coppia che adoro tanto! Grazie! Grazie e grazie ancora!
Ne approfitto per dire che, per cause esterne mi prenderò un breve momento di pausa dal pubblicare cose più complesse; ma, spiacente, non vi libererete di me!
Intanto grazie ancora e buona lettura dell'ultimo capitolo <3





Il suo sguardo misto a stupore ed irritazione lascia intendere non poche domande; domande che soffoca in gola come sempre per una strana buona educazione che solo l'austriaco conosce. Sorridi, semplicemente, a modo tuo, pronto ad aprire bocca e sparare tutte le frasi che, durante il tragitto, hai preparato ed imparato a memoria; un po' come una mitragliatrice. La sua mano si alza fermando le parole sul nascere, prima di piantare le ametiste incastonate negli occhi nei rubini che l'osservano interdetti.
« Hai il diario, vero? »
Stringi le labbra prendendo un profondo respiro; uno di quelli che gonfiano il petto fino a farlo esplodere o quasi. Un angolo delle labbra si solleva leggermente, istintivamente e nervosamente, prima di alzare la mano col diario, stringendolo tra le dita. In fondo, non sei un bambino, inutile insistere come un poppante sul non sapere di cosa stia parlando. Lo sguardo del quattrocchi giura vendetta e lo riconosceresti lontano miglia quel modo di guardarti. La nostalgia ti porta a sorridere maggiormente, inarcando le sopracciglia, sbeffeggiante dinanzi ad un possibile pericolo: quello che l'austriaco decida di sbatterti la porta sul naso. Senza rischio, però, non ti divertiresti così tanto, vero? Roderich pare scegliere l'opzione più basilare: quella di porgersi per provare a riprendersi quel piccolo tesoro mentre tu lo allontani con calma. Sogghigni, divertito dalla sua faccia, da quell'affanno e quell'irritazione che lo rende elettrico ed incapace di star fermo, agitandosi anche per le piccole cose. Fermi il suo petto con una mano, ribadendo che non è cosa da farsi, per un signorino come lui; in fondo, per farglielo notare, ti basta una sola espressione, accompagnata dal sollevarsi leggero del mento. Il tentativo altrui di calmarsi con un sospiro, fermando le mani in due pugni lungo i fianchi dura ben poco. Le sue gambe esitano palesemente con la volontà di rientrare e lasciarlo lì ad arrangiarsi, nonostante l'esser tornato indietro; ma, al contempo, non può lasciarti quel diario e lo sai. Stai giocando molto su questa ambiguità e non riesci a negarlo neppure a te stesso con una bugia. Potresti addirittura scommettere che, ora come ora, l'austriaco sta pensando a quanto ti odia, dandosi ragione per averti detestato finora e che non cambierai mai. Sei sicuro del fatto che Roderich stia vedendo in te la figura di chi si diverte a torturare e fare il bulletto, tra tutti, proprio con lui. Se solo potessi, ti divertiresti anche a dargli ragione.
« Restituiscimi quel diario. Non te ne fai nulla. »
« Se non me ne facessi nulla, non fremeresti per averlo, giusto? »
« Gilbert. Ti ordino di restituirmelo. »
« Fammici pensare... nein. » sghignazzi nuovamente, volteggiando col diario in mano.
« Fino a prova contraria è mio e tu non vorresti certo macchiare la tua splendida fedina penale per un furto »
« Quanto la fai complicata, damerino » brontoli ancora, facendoti aria con quelle pagine che non gli hai rivelato aver aperto e letto. Evidentemente ti pensa una persona migliore di quella che sei realmente. « Cosa ti costa rendermelo visto che sei anche tornato indietro? »
Colpito sul vivo, rimani in silenzio vedendolo porgerti la mano. Ne osservi il palmo e le dita esili, ripetendo a te stesso quanto esse apparissero adatte a tutt'altro che all'impugnare armi; come in passato lo hai visto fare. Hai timore di incrociare nuovamente le sue iridi questa volta, decidendo di evitare quelle lame di cui lo sguardo austriaco era inconsciamente munito.
« E permettere a qualcuno al di fuori di Me di avere un diario? »
« Devo forse avere il benestare di uno come te per avere un diario? »
« Uno come me, intanto, ha in mano i tuoi possibili segreti ed è tornato indietro dall'aeroporto per ricevere risposte. »
Per un momento non sai cosa abbia congelato lo sguardo di chi ti sta dinanzi; un momento che ti pare durare in eterno. « Lo hai letto... »
Non è una domanda ed il suo tono di voce, il suo smarrimento che, fino ad un attimo fa, ti aveva divertito, ora inizia a farti vacillare assieme a lui. Ti pare di renderti conto solamente ora di cosa hai realmente fatto e della crudeltà di quel banalissimo gesto. « Non tutto- »
« Non solo ti sei permesso di rubarmelo, ti sei anche azzardato a leggerlo! »
L'austriaco inizia ad alzare la voce, con le gote che si sono arrossate appena e, nel profondo del tuo animo, stai pregando che sia per imbarazzo e non per rabbia. Il tuo orgoglio, però, urla nel petto con la potenza di un ruggito incontrollato ed incontrollabile. Le dita si stringono attorno alla copertina di quel diario, premendolo di colpo contro il petto dell'altro dinanzi a sé.
« Gut, tientelo! Fanne quello che diavolo vuoi! Tanto "uno come me" non ha diritto di preoccuparsi e domandarsi cosa tu possa pensare. Mi odi e basta. Va bene, mi rassegnerò! Auf Wiedersehen! »
Brontoli voltandoti quando senti le gote pizzicare. Ti dai dell'idiota per la scenata appena fatta; ti senti un po' come un ragazzino che, illuso, finisce per fare la sfuriata degna di un libro rosa. La speranza di non esser odiato, la facciata di egocentrismo che ti sei dipinto addosso per una persona che, inevitabilmente, non cambierà mai davvero idea. Quel che scrive su delle pagine di diario, coinvolto dalla disperazione delle guerre e delle battaglie, non vale niente in fin dei conti.


Temo la mia mente, i miei pensieri, i miei stessi sogni.
Vorrei potermi strappare il cuore dal petto per interrogarlo; affiancarlo al cervello in cerca di un compromesso. Finirò per impazzire.

Continuo a ripetermi che non è possibile, che non è fattibile e non solo più per l'essere un uomo. Continuo a convincermi dell'ossessiva ragione che mi circonda e mi ha sempre guidato; ma che, ora, mi ferisce.
Io non posso credere di essermi innamorato.


*


Osservi il telefono da ore. Hai lasciato da parte anche il lavoro e la cosa ha iniziato a preoccupare anche Ludwig. Cinque giorni, tre ore e venticinque minuti fa hai lasciato la capitale austriaca con un macigno sul cuore del quale non riesci a liberarti. L'orgoglio frena entrambi, ne sei più che sicuro; consapevole del fatto che basterebbe alzare la cornetta e digitare il numero che conosci a memoria per quante volte lo hai letto o anche solo guardato. La mano sostiene il volto stanco e perso in un mondo di illusioni e domande degne di un adolescente in piena crisi esistenziale: una serie di "se" ed ipotesi differenti si visualizzano nella tua mente in una successione rapida, incessante e costante. Un trapano nel cervello farebbe meno male, probabilmente; ma non riesci, per quanto ci provi, ad importi un termine a tutti quei filmini mentali. Inizi a percepire una certa stanchezza spingere e scivolare dalle spalle lungo la schiena e quella sgradevole sensazione ti strappa un sospiro. Gli occhi si chiudono, sul punto di crollare sotto la pesante assenza di sonno degli ultimi giorni, quando il suono di quello stesso telefono ti fa sobbalzare.
« Hallo? »
« Hallo, Gilbert... » Il respiro ti muore in gola e, in un tentativo disperato di recuperarlo, deglutisci e tossicchi seppur senza un risultato soddisfacente. Tutto ti aspettavi fuorché la sua voce e, al contempo, non avevi atteso altro.
« Damerino, quanto tempo »
« Neanche una settimana, Gilbert »
« Sottigliezze. »
Il silenzio che segue non ti rincuora molto. Hai il tempo di schiudere le labbra, che l'altro ti anticipa con un suono che cataloghi come un sospiro di stanchezza mista a rassegnazione. Tipica di lui. Ti rendi conto con disarmante certezza di quanto quella voce ti sia mancata, in quel breve periodo, e della nitidezza del suo viso che ti appare dinanzi agli occhi, dietro le palpebre.
« Neanche una settimana e fai preoccupare Ludwig come non mai; cosa hai combinato? » Fissi il tedesco -o meglio il vuoto dietro cui immagini ci sia lui- con le labbra arricciate e pensieri di vendetta che balzano da una parte all'altra del cervello, alternati dal battito cardiaco che inizia a farsi furioso, galoppante.
« E non hai saputo rispondergli? Che strano da parte tua Damerino »
« Non fare il simpatico »
« Non lo sto facendo. »
Le parole lette in quel diario ancora riecheggiano nella mente, nei ricordi, in gola, nel petto e scombussolando ed attorcigliando lo stomaco. Stringi le labbra in cerca di una forza ed una risolutezza per te familiare che, in questo momento, ti servirebbe come non mai in vita tua. Dov'è finita?
« … Gilbert, penso di dovermi... » « Ti amo anch'io » « scus-... eh? »
Che squallido dirlo per telefono, vero? Non è riuscito a controllarsi ed ora il mondo inizia a farsi stranamente più leggero. Improvviso come un fulmine a ciel sereno; proprio quando ti rendi conto che non hai bisogno di scuse, non hai necessità di riceverne o di farne. Non siete mai stati una coppia che segue le conformità e non è necessario esserlo; non per te. Non ti importa di star correndo, accelerare i tempi quando quelli che stai superando, tagliando, sono traguardi e mete che hai ricercato e cercato di comprendere da troppo tempo e che, con la distanza, stava esplodendo nel petto -specialmente dopo aver letto quelle confessioni. Hai tentato tutto, ma ogni volta ti trovavi dinanzi ad un muro, per te invalicabile ed apparentemente incomprensibile: per questo avevi preso quel diario, per questo avevi osato sfogliarlo e leggere, nel tentativo di capire se v'era una crepa tra quei mattoni o che, quel muro, potesse essere di vetro, trasparente. Sorridi, consapevole di aver messo l'austriaco in difficoltà e non riesci a non immaginarlo mentre sistema le lenti degli occhiali. Chiudi gli occhi per non vedere anche lo schermo del computer che riflette le tue guance colorate, dandoti del folle per essertene uscito così di punto in bianco dopo appena una settimana da quella sorta di solita lite.
« Sei una persona ignobile »
Ti sfugge uno sbuffo divertito. « Perché mai? Preferivi non te lo dicessi? »
« Speri di risolvere la lite così? »
« Vuoi forse parlarne faccia a faccia, quattrocchi? »
« … Vengo a prenderti all'aeroporto domani. » Sì; meglio così. Potrai guardarlo in viso e renderti conto che, anche dal vero, non è poi così impossibile da dire. Anche avendolo dinanzi, ora che lo hai espresso coperto dalla distanza ed aiutato da un tramite come il telefono. « E non mi rispondi? Non ti facevo così maleducato, signorotto »
« Che vigliaccheria attraverso un telefono. »
« Ho vinto in quanto originalità. Dal Grande Me cosa ti aspettavi? »
« Già... da uno come te, effettivamente... » Sorridi alle sue parole, sentendo il tono di voce differente che le pronuncia, dopo tanto tempo: una voce che dice, tacitamente, che quel qualcuno come lui è speciale e può esserlo, anziché essere un elemento escluso ed allontanato.
« Ich liebe dich, Österreich »
Silenzio.
« … Ich auch, Preußen »
Proprio no. Non saranno mai in grado di competere con il canone di una coppia normale.
   
 
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