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Autore: Agapanto Blu    31/05/2015    4 recensioni
Partecipante al Contest "Progetto Ripopola Fandom - Seconda Edizione" indetto da __Bad Apple__ sul Forum EFP.
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Parings: AKAKURO - MayuMibu - MidoTaka - AoKise - AlexMomo.
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Dal prologo: Che cosa doveva fare?! Una parte di lui voleva chiamare Akashi e dirgli tutto, ma la sua mente gli urlava che in quella storia Seijuro non aveva proprio colpa. Era solo lui che aveva deciso di tenergli segreto quel piccolo particolare della sua vita quando si erano messi insieme per la prima volta alle medie, e poi di non dirglielo nemmeno alle superiori nonostante fossero una coppia ormai da due anni; il rosso non meritava di essere tirato in mezzo per la sua sola stupidità.
“Kami-sama, ti prego…” scivolò fuori dalle sue labbra prima che potesse fermarsi, “Ti prego…!”

***
Dal primo capitolo: Kuroko pianse ininterrottamente per i successivi tre giorni, con le mani saldamente strette al suo ventre lievemente arrotondato, ma non venne meno alla sua decisione.
Akashi non richiamò.

***
ATTENZIONE: M-PREG! e Transgender!Character. Non piace, non leggete. v.v
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yaoi | Personaggi: Nuovo personaggio, Seijuro Akashi, Tetsuya Kuroko, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender, Mpreg
Capitoli:
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Sei pronto?


 
-CAPITOLO II
 
“Sei pronto?”
Tetsuya indossava la sua espressione apatica con una giacca nera e un paio di blu jeans infilati in degli scarponcini neri. Inginocchiato sul marciapiede, finì di aggiustare i capelli rossi del bambino in piedi di fronte a lui, che attese pazientemente che l’operazione fosse finita prima di rispondere.
Nonostante il sole e il cielo azzurro, l’aria di Aprile era ancora fredda e si divertiva ad infilarsi nei pertugi delle due gemelle sciarpe bianche che avvolgevano protettive i colli di padre e figlio. Gli alberi di ciliegio del cortile accanto a loro allungavano verso l’alto i rami coperti di fiori rosa e sembravano voler così accogliere festosamente i bambini che, chi ridendo e chi con le lacrime agli occhi, superavano inesorabilmente l’alto cancello di ferro verde che li avrebbe protetti fino all’arrivo del pomeriggio e al ritorno a casa.
“Seiji non è preoccupato per la scuola.” disse all’improvviso l’interessato, la voce infantile salda come lo sguardo nelle iridi eterocrome e le mani strette – forse un po’ più del necessario – sulle spalline dello zaino rosso che portava sopra la sua giacchetta blu scuro, “È preoccupato per Otou-san.”
Kuroko sgranò gli occhi appena un pochino, sorpreso, ma poi posò le braccia sulle proprie ginocchia piegate e si concesse un mezzo sorriso.
“Per…Otou-san?” chiese.
Kuroko Seiji osservò il padre per un po’ prima di rispondere.
“Otou-san non è tranquillo se non vede Seiji.” borbottò, un’espressione seria e un po’ offesa sul viso piccolo, “Otou-san controlla sempre dov’è e come sta Seiji, anche se ci sono gli zii. Otou-san starà bene anche se Seiji è a scuola?”
Un soffio di vento frizzante scompigliò i capelli di padre e figlio, ignorandone la diversa colorazione, e portò sopra di loro uno stormo piccoli fiori di ciliegio dal rosa pallido e timido, ma i due continuavano a guardarsi e non vi prestarono troppa attenzione.
Tetsuya sorrise un po’ di più.
“Otou-san sarà preoccupato per tutto il giorno.” ammise e intanto allungò una mano a carezzare la guancia del bambino, “Perciò, Seiji deve fare una promessa al suo papà.”
“Cosa?” chiese immediatamente il piccolo, le iridi illuminate all’idea di avere un compito così importante, e Kuroko sorrise ancora.
“Seiji deve promettere a papà che starà attento.” ordinò, con una gentile fermezza nella voce, “Se Seiji promette questo, allora papà promette di portarlo a prendere un milk-shake dopo la scuola, va bene?”
A quella corruzione, Seiji scoppiò a ridere e alzò le braccia al cielo, festeggiando, poi scappò rapido nel cortile, voltandosi per salutare con un braccio il padre in attesa.
Kuroko rispose al gesto finché suo figlio non fu svanito oltre le porte dell’asilo, quindi sospirò. Si rialzò lentamente, sforzandosi di ignorare i sussurri interessati delle madri che attorniavano i cancelli della scuola, e infilò le mani in tasca voltandosi e sbrigandosi ad allontanarsi in direzione della fermata dell’autobus. Non risparmiandosi un paio di occhiate ansiose all’edificio che si stava lasciando alle spalle, ovviamente.
Attese il mezzo con la testa bassa e lo sguardo ostinatamente puntato sui propri piedi e quando questo finalmente arrivò, si affrettò a salire prima che gli altri avventori, praticamente ignari della sua presenza, lo spintonassero. Cercò il posto più lontano da tutti gli altri passeggeri e si sedette con il viso voltato verso la finestra, tentando di ignorarli. Una volta li avrebbe studiati con attenzione, allenandosi, ma ora l’unica cosa che gli importava era non essere notato e sparire in fretta dalla circolazione.
Sei fermate dopo, Tetsuya scese rischiando di essere spinto giù per i gradini da un’anziana signora munita di buste della spesa che non l’aveva notato. Borbottò delle scuse, ignorando il fatto che non fosse colpa sua, e si affrettò a sparire tra la folla, marciando inesorabile fino a raggiungere la sua meta, un locale dalle grandi vetrate e sopra la cui porta in legno capeggiava la scritta “The Clock – Butler Café”.
Kuroko sospirò.
Seiji aveva tre anni ora, ma solo uno quando Tetsuya aveva avuto un secondo attacco di cuore. Lui non lo ricordava bene, sapeva solo che suo figlio si stava divertendo a mostrare a tutti la sua nuova capacità di camminare, ridendo nel correre da Kise ad Aomine e viceversa mentre suo padre lo guardava da appoggiato allo stipite della porta, bevendo piano il proprio tè; poi all’improvviso un dolore allucinante lo aveva preso al petto, senza motivo, e tutto era diventato nero. Si era svegliato in ospedale il giorno successivo, solo per sentirsi dire da Midorima che il suo cuore si era fermato, esausto, un’altra volta e che, anche se per fortuna il massaggio cardiaco era stato sufficiente a rianimarlo, non era poi così scontato che le cose gli andassero bene in caso di un terzo attacco. In seguito a quel fatto, le cose erano andate sempre peggio.
Con le conseguenti spese mediche da affrontare – le visite continue dal cardiologo e i farmaci, in particolar modo – unite a quelle per il bambino che cresceva, la famiglia Kuroko aveva dovuto affrontare parecchie difficoltà che avevano spinto Haru e Sakura a riprendere ad accettare anche lavori di parecchi mesi all’estero e Tetsuya a trovarsi un impiego. Nonostante la storia della nascita di Seiji fosse stata tenuta pressoché segreta, l’azzurro aveva dovuto presto fare i conti con la sua condizione di padre single e sprovvisto di diploma, cosa che aveva limitato di molto le sue possibilità di lavorare. I suoi amici avevano tentato di permettergli di fare le scuole serali occupandosi loro di Seiji, ma la cosa non aveva funzionato perché le spese crescevano senza che lo facessero anche le entrate e alla fine era diventato inevitabile rinunciare. Lavorare al Butler Café “The Clock” non era certo mai stato il suo sogno, ma Tetsuya sapeva di non avere altra scelta: i proprietari non richiedevano titoli di studio particolari ma solo un aspetto piacevole e un’educazione impeccabile, gli avevano permesso di fare solo i turni serali nei due anni precedenti, così da passare il giorno con Seiji, e ora che il piccolo aveva iniziato l’asilo si erano detti disposti ad ampliargli il contratto alle ore del mattino.
Midorima aveva storto il naso a quell’aumento di stress, ma Kuroko aveva spostato la sua attenzione sul rispettivo aumento di stipendio, costringendolo a mettere a tacere le proprie obiezioni riguardanti il cuore dell’azzurro.
Sospirando un’altra volta, Tetsuya si avvicinò alla porta di ingresso, pronto a scivolare silenziosamente nei suoi panni da maggiordomo, ma la suoneria del suo cellulare lo interruppe.
Aggrottò la fronte leggendo il mittente, ma alla fine rispose.
“Midorima-kun, sto andando al lavoro. Se non è qualcosa di urgente…”
È urgente.
Tetsuya sollevò appena un sopracciglio, pur sapendo che l’altro non poteva vederlo, nell’essere interrotto a quel modo e iniziò a frugare nelle tasche con la mano libera fino ad estrarne le chiavi del locale.
“Sarebbe?”
Akashi. È tornato in Giappone.
Un tintinnio sottile accompagnò lo schiantarsi del mazzo sull’asfalto.
 
L’aria fredda gli scompigliava i capelli, ma Kuroko non riusciva proprio a preoccuparsene. Onestamente, non riusciva a preoccuparsi nemmeno dei rinnovati bisbigli delle madri alle sue spalle o degli sguardi dubbiosi, alcuni anche un po’ guardinghi, che si posavano sulla sua figura mingherlina ma chiaramente maschile ferma davanti all’asilo, troppo giovane per essere un genitore. Non riuscì a concentrarsi assolutamente su nulla che non fosse l’immagine di capelli rossi come fuoco, scompigliati dal vento come i suoi, quasi fosse lì, perché era tornato, fino a che il suono di una campana non gli fece rialzare gli occhi sul giardino di fronte a lui e infine un’altra massa di ciocche rosse arruffate attirò la sua attenzione completamente.
“Seiji!” chiamò, sollevando una mano per farsi notare, ben sapendo che altrimenti sarebbe stato difficile per il piccolo trovarlo.
Il bambino però, stranamente, aveva già gli occhi puntati su di lui e si aprì in un enorme sorriso nel vederlo. Un attimo dopo, già correva veloce verso il padre, con la cartella che gli ballonzolava sulla schiena ad ogni falcata.
Tetsuya si inginocchiò per terra e allargò le braccia appena in tempo perché suo figlio ci si gettasse dentro, allacciandogli le sue piccole dietro il collo e ridendogli dritto in un orecchio.
Kuroko lo strinse forte, d’istinto, mentre le parole di Midorima riprendevano a ronzargli nel cervello; si aggrappò al bambino come fosse la sua unica ancora di salvezza e, al contempo, come se temesse di vederlo sparire da un momento all’altro, con la sensazione che qualcuno avrebbe potuto portarglielo via senza lasciargli scampo.
“…Otou-san?” chiamò piano, sorpreso, Seiji nel notare che il padre non accennava a interrompere l’abbraccio.
Kuroko si scostò immediatamente, nascondendo dietro un piccolo sorriso dolce la propria preoccupazione, e con le mani sulle spalle del bambino si concesse un attimo per osservarlo dritto in volto.
“Gomen, Seiji. Papà non è riuscito a non preoccuparsi.” mentì – solo in parte, perché nessuno avrebbe potuto negare quanto fosse andato in panico dopo la notizia del ritorno di Akashi –, ma poi si affrettò a cambiare argomento, “Com’è andata?”
Il piccolo rosso sfoderò un enorme sorriso, lasciando che i propri occhi brillassero d’entusiasmo.
“Seiji ha giocato a nascondino e ha vinto sempre!” esclamò, chiaramente orgoglioso e impaziente di vedere la reazione del padre, “Seiji trovava sempre tutti, ma nessuno trovava Seiji!” Per un attimo si fece pensoso e sollevò gli occhi verso il cielo, chiaramente inseguendo i ricordi. “Seiji ha spaventato per sbaglio la maestra perché lei non lo vedeva…”
Kuroko sbatté le palpebre un paio di volte a quel marasma di informazioni che, onestamente, proprio non era in grado di accettare nella sua situazione mentale. Quella che Seiji potesse avere ereditato la sua scarsa presenza era una certezza più che una possibilità, ma l’idea che potesse in qualche modo avere ottenuto anche solo in minima parte l’Occhio dell’Imperatore che era di Seijuro… Tetsuya doveva ammettere che la prospettiva era un po’ inquietante.
“Che bravo.” lodò comunque, sorridendo al bambino mentre gli sfilava piano lo zainetto dalle spalle e si rialzava in piedi, “Adesso però dobbiamo andare: questa mattina papà ha promesso un milk-shake a qualcuno.” Si portò una mano al mento e alzò gli occhi al cielo, fingendo di stare pensando, “Non mi ricordo proprio a chi, però… Forse a Murasakibara-kun? A lui piacciono molto i dolci.”
“No!” Tetsuya abbassò la testa con un sorriso quando Seiji si aggrappò ridendo alla sua gamba, “A Seiji, a Seiji!”
“A Seiji? E chi è?” provocò l’azzurro. Midorima-kun gli aveva assicurato che non c’era nulla di strano nel fatto che il piccolo parlasse di sé in terza persona e che il contatto con altri bambini lo avrebbe presto aiutato a prendere dimestichezza con le varie coniugazioni verbali e così Tetsuya lo lasciava fare, ma a volte cercava comunque di stuzzicarlo per vedere come fosse capace di cavarsela.
“Io, io!” saltellò infatti il rosso e Kuroko lo premiò scompigliandogli i capelli, cosa che a Seiji faceva piacere quanto a lui dava fastidio.
“D’accordo, d’accordo.” annuì, prendendo il figlio per mano e incamminandosi con lui, “Gusto vaniglia?”
“Cioccolato!” scosse la testa il piccola, con una smorfia al sentir nominare l’altro sapore.
Kuroko sospirò, fintamente sconsolato, ma il sorriso fu rapido a rifiorire sulle sue labbra.
 
Come previsto, il frappè al cioccolato era finito ovunque oltre che nello stomaco di Seiji.
Tetsuya ignorò bellamente gli strepiti scioccati di Midorima, ormai ospite fisso di casa Kuroko ma in quell’occasione presente più per assicurarsi della salute mentale del padre che di quella fisica del figlio, e portò il bambino che ancora rideva con sé nel bagno.
“Kuroko…!”
“Midorima-kun, dopo.”
E la sua voce era così stanca e desolata che Shintarou non osò ribattere altro se non un ‘Torno alle nove’.  Un brivido corse giù lungo la schiena di Tetsuya a quelle parole, ma l’azzurro fece finta di niente e si limitò a vagare per la casa alla ricerca di abiti puliti con Seiji fedelmente appollaiato su un braccio.
Come aveva sempre fatto sin da piccolo – sin da più piccolo – Seiji dimostrava una capacità di attenzione al di fuori del normale e un’incredibile abilità nel cogliere le sfumature più nascoste delle emozioni delle persone, seppur spesso neanche lui riuscisse a comprenderle o anche solo a riconoscerle. Non era in grado di distinguere dolore o perdita o malinconia, ma sapeva coglierle come un falco e il suo istinto di bambino le catalogava tutte come tristezza spingendolo ad agire per cancellarle. L’ultima volta che Aomine e Kise avevano litigato, il rosso aveva cercato di regalare il proprio pallone da basket al primo ed era volontariamente salito in braccio al secondo per baciargli affettuosamente la guancia. Il blu e il biondo avevano fatto pace in meno di mezz’ora da quegli avvenimenti.
Per questo, Kuroko fu solo in parte sorpreso quando il figlio gli strinse più forte le braccia al collo e nascose il viso contro la sua scapola.
“Otou-san può fare il bagno con Seiji?” chiese piano.
Kuroko sorrise a quel blando tentativo di tirargli su il morale, quindi annuì, staccando un po’ il figlio da sé per sfregargli il naso con il proprio.
“Per forza, un piccolo mostriciattolo mi ha riempito di milk-shake al cioccolato.”
“Seiji non è un mostriciattolo!”
 
L’aria calda del bagno, il sottile strato di vapore e la sensazione dell’acqua sulla pelle riuscirono a rilassare un po’ i muscoli tesi del corpo di Tetsuya, lasciandolo accasciato nella vasca con la schiena contro un bordo e il piccolo Seiji tra le proprie gambe incrociate, intento a giocare con un pulcino di gomma azzurro e un mucchietto di schiuma.
Kuroko lo lasciò fare, limitandosi a tenergli le mani sui fianchi giusto per sicurezza e ad osservarlo in silenzio dalla sua posizione accasciata, e il piccolo rimase tranquillo senza schiamazzare né agitarsi nell’abbraccio largo del padre, forse consapevole della stanchezza di quest’ultimo.
Per essere un bambino di tre anni, era tanto maturo in certe cose quanto era infantile in altre: parlava di sé in terza persona, ma giocava nel più assoluto silenzio solo per permettere al papà di riposarsi; andava a scuola senza versare una lacrima e nascondendo abilmente la sua preoccupazione, ma poi non era in grado di bere il suo milk-shake senza rovesciarsene tre quarti addosso. In quei momenti, Kuroko vedeva in lui molto di Akashi, dalla forza intrinseca che il rosso aveva sempre indossato agli atteggiamenti a volte immaturi che sapeva tenere con lui, e non riusciva a fare a meno di immaginare come sarebbe stato se questi si fosse trovato con loro. Flash di Seijuro che si inginocchiava per augurare a Seiji una buona giornata all’asilo o che gli puliva la bocca sporca di cioccolato, che se lo caricava sulle spalle facendolo ridere o che gli lavava con cura i capelli…
Seijuro sarebbe stato un buon padre, Tetsuya ne era certo, ma non a diciotto anni, non con tutta una vita davanti da costruirsi e non con il suo, di padre, pronto a rovinargliela per aver ‘infangato’ il nome di famiglia con un figlio bastardo nato da un altro maschio che in realtà era solo uno scherzo di natura che non avrebbe dovuto potersi riprodurre.
Come al solito, quella catena di pensieri portò un pungolo di dolore al cuore dell’azzurro che iniziò a scuotere la testa con forza, deciso a cancellarla dalla sua mente. Di tutte le sere, proprio quella non poteva permettersi di pensare a quel genere di cose.
“Otou-san?” Tetsuya alzò gli occhi e Seiji rispose allo sguardo piegando un po’ la testa da un lato, confuso. “Va tutto bene?”
Kuroko annuì, fingendo tranquillità, e allungò una mano a scompigliare i capelli bagnati del figlio, ma così facendo aprì una breccia nel muro di bolle e il bambino protestò, offeso. Tetsuya si preparò ad un borbottio senza fine – troppo in stile Midorima, per i suoi gusti –, ma invece Seiji si interruppe prima ancora di iniziare a parlare, attirato da qualcosa sotto la superficie dell’acqua.
Stava per chiedere, quando suo figlio lo precedette.
“Otou-san, cos’è quello?”
Il dito indice di Seiji era piccolo e sottile mentre puntava ingenuamente, con curiosità infantile, il grosso segno bianco sul ventre pallido di suo padre, lo squarcio sottile e bitorzoluto che come una mezzaluna storta si incurvava docile sotto l’ombelico, la cicatrice di un taglio cesareo che sembrava il sorriso stilizzato di una faccina.
Tetsuya fece passare lentamente la propria mano, sotto la superficie dell’acqua, su quel marchio e il bambino alzò istintivamente gli occhi verso il suo viso, osservando attento il sorriso che gli stava incurvando un po’ le labbra.
“Qui” rispose l’adulto, prendendo il piccolo in braccio per portarselo a sedere su una coscia e poter incrociare le gambe e indicare meglio il segno, “è da dove sei uscito tu.” Le iridi cerulea e scarlatta seguirono il movimento della sua mano, ma poi si fermarono sulla cicatrice anche mentre le dita più grandi salivano a carezzargli la testa. “Gomen,” concluse Kuroko con un vago alone di amarezza nella voce, “papà non era molto bravo ad aiutarti e così zio Midorima ha dovuto tirarti fuori.”
Seiji accolse pensosamente quelle informazioni e per un lungo istante rimase in silenzio a contemplare la sua scoperta. Quindi, aggrottando la fronte, sollevò la testa e cercò con gli occhi il volto del padre.
“Se Seiji è uscito dalla pancia di Otou-san, questo significa che Otou-san è l’Okaa-san di Seiji?”
Per un attimo, Tetsuya fissò confuso il viso di suo figlio. Poi scoppiò a ridere.
“Immagino” commentò tra un riso e l’altro, portandosi una mano davanti alla bocca per non offendere con la sua ilarità il suo permalosissimo figlio, “che tu abbia ragione.”
“Allora chi è l’Otou-san di Seiji?”
Come era nata, la risata di Kuroko morì. I suoi occhi, grandi e cerulei, scivolarono sul viso rotondo di Seiji, ma portarono alla testa un’immagine completamente diversa. I capelli scarlatti più lunghi, gli occhi entrambi rossi, i tratti del viso affilati ed eleganti, il ghigno malizioso e soddisfatto, la pelle chiara…
Tuo padre è l’uomo migliore che abbia mai conosciuto, a volte testardo e un po’ prepotente, ma buono e protettivo, forte e determinato come crescerai tu.
Sarebbe stato bello poter dire quelle parole, poter mostrare al piccolo una foto dell’uomo che come lui lo aveva concepito, indicargli tutti quei tratti che avevano in comune e raccontargli che persona strana e impossibile eppure meravigliosa fosse Akashi Seijuro.
Sarebbe stato bello e Kuroko si era ripromesso, alla nascita di suo figlio, di farlo un giorno, ma quel giorno non gli riuscì di trovarne la forza dentro di sé. Non quando sapeva che da un paio d’ore a quella parte avrebbe avuto di nuovo di fronte il rosso in persona.
“Vuole vederci. Tutti.”
“Midorima-kun…”
“Kuroko, se non ci sarai, si insospettirà, lo sai, nanodayo.”
“…Non posso… Non posso, Midorima-kun, non posso! Non posso, io…!”
“Farà dei controlli, Kuroko, lo conosci anche tu! E non gli ci vorrà molto per scoprire del tuo indirizzo, forse addirittura…”
“…di Seiji. … Midorima-kun, Akashi-kun non deve sapere di Seiji! Assolutamente!”
“Kuroko…”
“Midorima-kun, ti prego!”
“…”
“Ti prego…”
“Akashi vuole vederci e se non vieni si insospettirà, ma se ti presenti e ti comporti normalmente…”
“Posso farlo.”
“No, non puoi, nanodayo. Chiamo Takao e gli dico di recuperare Mitobe-san o Himuro-san, meglio ancora se tutti e due. Non basterà a tenerti tranquillo, ma almeno sappiamo che si ricorderanno di mandarti un messaggio ogni ora per tenerti aggiornato su Seiji.”
“…E Takao-kun terrà aggiornato anche te.”
“Tsk, solo per prevedere le tue reazioni e sapere come agire per evitare che tu lo insospettisca, nanodayo.”
“Midorima-kun.”
“Cosa, nanodayo?”
“Grazie.”
“Non ringraziarmi, Kuroko. Non sarà una bella serata.”
“Lo so. Grazie lo stesso.”
Una morsa fin troppo debole per essere definita tale strappò Tetsuya ai suoi pensieri facendogli sbattere la schiena contro il bordo della vasca. Gli occorse un attimo, ma alla fine l’azzurro piegò la testa e abbassò lo sguardo sul proprio ventre, trovando Seiji premuto contro la sua pelle, le braccia corte che cercavano di circondargli la vita e il viso rivolto verso l’alto coperto da un’espressione spaventata. Gli occhi eterocromi si bagnarono in fretta di lacrime.
“Gomen, papa!” esclamò il piccolo, ricorrendo al nomignolo più affettuoso che usava solo in casi eccezionali, quando aveva combinato qualcosa di grave o quando voleva mostrare il suo affetto in modo particolare. Sembrava così spaventato che Kuroko non riuscì a comprendere cosa fosse successo finché la sequela di scuse non glielo spiegò involontariamente. “Seiji non voleva far diventare papa triste! Seiji è dispiaciuto! Seiji chiede scusa!”
Tetsuya capì. Immediatamente, avvolse la braccia attorno al figlio e se lo strinse al petto posandogli una mano sulla schiena ed una sulla testa e così, abbracciandolo, sospirò.
“Seiji, non devi scusarti per nulla.” assicurò sussurrando piano, cercando con la propria voce bassa e tranquilla di calmare il piccolo, “Papà stava pensando, non volevo farti preoccupare.” Un respiro profondo, un po’ di auto-delusione e un po’ per farsi forza, si aprì strada tra le sue labbra, ma l’azzurro alla fine allentò un po’ la stretta dell’abbraccio e cercò di osservare il volto del rosso staccandolo un po’ da sé, “Seiji, riguardo tuo padre…”
“Seij-…Io non voglio saperlo!” Kuroko rimase fermo, basito, di fronte al bambino che scuoteva la testa con forza e tentava di usare la prima persona, come per distrarre il padre dai suoi brutti pensieri offrendogli un nuovo traguardo da festeggiare. “Io non voglio saperlo.” ripeté poi più piano, posando entrambi i pugnetti sul petto di Kuroko e alzando lo sguardo per osservarne il viso, “Io ho un papà che mi ha fatto uscire dalla sua pancia come una mamma, quindi va bene così.”
E prima che Tetsuya potesse dire qualcosa, Seiji lo aveva di nuovo abbracciato e aveva nascosto il viso contro la sua pelle. Dopo un attimo, con un sorriso mesto sulle labbra, anche lui ricambiò la stretta.
“Ti voglio bene, Seiji.” mormorò contro la testa di suo figlio, baciandone i capelli rossi, “Come un papà ed una mamma messi assieme. Ti voglio tanto bene.”
Seiji ridacchiò nel sentirsi scompigliare le ciocche dal viso del padre.
“Anche Seiji vuole tanto bene al suo mamma-papà!” dichiarò, rivolgendo a quest’ultimo un’enorme sorriso luminoso quanto il sole stesso.
E Kuroko sorrise ignorando il ritorno della terza persona.
 
Quando il campanello di casa suonò una volta sola, Kuroko era già dietro alla porta, pronto ad aprire.
Salutò con un cenno del capo i tre ragazzi dai capelli neri che entrarono silenziosamente, ma poi prese per un braccio Takao.
“Dorme già.” sussurrò, “Gli ho detto che sarei dovuto andare al lavoro, quindi se si sveglia e chiede di me…”
“…gli diciamo che sei al locale, va bene.” annuì Kazunari con serietà, poi però rivolse all’azzurro una compassionevole pacca sulla spalla, “In bocca al lupo.”
Tetsuya annuì con un sospiro, salutò piano gli altri due e scoccò un’occhiata ansiosa alla camera da letto dove dormiva suo figlio, ma poi si affrettò ad uscire e a chiudersi l’uscio alle spalle, consapevole che altrimenti sarebbe corso indietro per rannicchiarsi accanto al bambino – che prima di andare a letto di era comportato in modo alquanto irrequieto – e tenerselo stretto fino a quando Akashi non fosse partito di nuovo chissà per dove.
Midorima lo aspettava oltre il cancello del giardino e lo fissò raggiungerlo con occhio critico.
“Ti sei messo la camicia.” commentò, “E la cravatta, nanodayo.”
Tetsuya azzardò un’occhiata al proprio out-fit. Scarpe da ginnastica nere, un paio di jeans con alcuni strappi qui e là sulle cosce, la camicia azzurra che faceva paio con i suoi occhi e una cravatta nera indossata larga. Strinse istintivamente la presa sul giacchetto nero, che portava a braccio approfittando dell’aria già tiepida della sera.
“Non sapevo cosa fare.” mormorò, un po’ sulla difensiva, “Il libro sacro di Kise-kun sulla moda non aveva un capitolo su cosa indossare per incontrare dopo tre anni il padre, che non sa di essere tale, del tuo figlio illegittimo e segreto.”
Midorima sospirò solo, in risposta, ma poi fece cenno all’altro di seguirlo e i due si avviarono lungo la strada che li avrebbe portati al locale dove Kise, organizzatore dell’evento, aveva dato loro appuntamento. Il biondo aveva scelto di proposito un luogo vicino a casa Kuroko, in modo che questi si tranquillizzasse sapendo che in caso di emergenza sarebbe potuto correre rapidamente dal figlio.
Avevano appena superato l’isolato, quando Tetsuya osò parlare.
“Seiji mi ha chiesto chi è suo padre, oggi.” rivelò, “Ha visto il segno del taglio cesareo.”
Midorima si paralizzò, fermandosi in mezzo alla strada, e Kuroko se ne accorse solo dopo averlo superato di un paio di passi. Se fermò e si voltò verso il verde.
“Cosa gli hai risposto?” chiese questi, rispondendo con uno sguardo serio ad uno apatico.
“Nulla. Si è accorto che non volevo parlarne e mi ha detto di non volerlo più sapere, che non ne aveva bisogno.” Le palpebre calarono sulle iridi dell’azzurro, nascondendone il dolore. “Sono un pessimo genitore, se mio figlio deve preoccuparsi così per me.”
“Baka, nanodayo.” Tetsuya aprì di nuovo gli occhi, ma solo per vedere il verde superarlo, riprendendo a camminare. Si voltò e si affrettò a raggiungerlo, ma Shintarou continuò a guardare avanti anche nel continuare. “Quel bambino è davvero come te.”
“Come me?”
“Osservante, intelligente e dannatamente altruista, nanodayo.”
Kuroko si concesse un piccolo sorriso, poi accettò il silenzio teso ma quasi complice che accompagnò lui e Midorima fino al locale dove lo attendeva l’inferno.
 
Il ristorante non era nulla di esagerato, con tavolini bassi di legno scuro e pareti di carta di riso ma nessuna musica di sottofondo se non lo sfrigolio basso dei fornelli, e, trattandosi di un giorno feriale, vi erano anche poche persone, così da creare un’atmosfera tranquilla e rilassata. Almeno per qualcuno.
Tetsuya, invece, strinse i pugni sulle cosce e prese un respiro profondo, l’ennesimo, per calmarsi. Midorima, alla sua sinistra, e Aomine, a capotavola alla sua destra, lo spiarono discretamente, ma non gli dissero nulla. Murasakibara, all’altro capo del tavolo mangiava nervosamente da un pacchetto di patatine, ma il più palese di tutti era certamente Kise, seduto di fronte all’azzurro, con il suo sorriso tirato sulle labbra, il viso pallido e le mani nascoste sotto il tavolo perché vittime di tremori infermabili.
Daiki grugnì sbattendo una mano piano sul tavolo. Nonostante la delicatezza, Tetsuya e Ryouta sobbalzarono lo stesso.
“Dove diavolo è?!” ringhiò il blu, nervoso, “Doveva essere qui dieci minuti fa!”
“Te l’ho già detto, nanodayo.” sibilò piano Midorima aggiustandosi gli occhiali sul naso, “Ha trovato traffico, sarà qui a momenti.”
“Neh, ma cosa facciamo se Aka-chin scopre di…” Murasakibara non poté finire la sua frase perché la porta del locale, alle sue spalle, si aprì facendolo voltare e attirando tutti gli sguardi del tavolo.
Anche Tetsuya sollevò gli occhi sul nuovo arrivato e mentalmente ringraziò il cielo per non aver mai smesso di nascondere le proprie emozioni.
Akashi Seijuro era cambiato nei tre anni che aveva speso in America. Era diventato più alto anche se non troppo, mantenendo il suo vantaggio di cinque centimetri sull’azzurro, e le sue spalle si erano allargate un po’; la pelle pallida era appena abbronzata, ma faceva comunque contrasto con la tinta fiammeggiante degli occhi e dei capelli. Le labbra sottili erano un po’ arrossate, forse per via del vento freddo che si era alzato improvviso, ma si aprirono comunque in un vago sorriso quando le sue iridi si posarono sui cinque ragazzi seduti al tavolo ad aspettarlo. Era meraviglioso, a dir poco; ancora più di quando fosse partito.
Iniziò a togliersi il giacchetto di pelle nera e Kuroko desiderò morire quando lo riconobbe, perché gliel’aveva regalato lui, anche se ormai addirittura quattro anni fa.
Sotto, Seijuro indossava una camicia rossa su un paio di jeans neri e una cravatta dello stesso colore portata larga.
Tetsuya puntò immediatamente gli occhi sul tavolo, rifiutando di continuare l’ispezione e sentendosi un grandissimo idiota.
Midorima si voltò verso di lui fingendo di sistemare il suo oggetto fortunato del giorno, un enorme peluche a forma di leone, mentre Kise si alzava e raggiungeva di corsa Akashi.
“Sembra che vi siate messi d’accordo, nanodayo.” disse piano, “Ha anche tenuto il giacchetto che…”
“Midorima-kun, per favore.” sussurrò pianissimo l’azzurro, interrompendo l’altro, ma poi il rosso raggiunse il tavolo ed entrambi si sentirono costretti a spostare gli occhi su di lui.
“Minna.” disse, la voce calma ed educata. Aveva un’espressione placida sul viso, come se fosse perfettamente a suo agio, come non provasse assolutamente nulla all’idea di trovarsi davanti l’amante con cui aveva progettato di andare a vivere assieme e che lo aveva tradito durante la sua lontananza, usando come scusa la madre malata. “Scusate il ritardo.”
E Kuroko quasi perse la propria espressione apatica in favore di una scioccata quando Akashi si accomodò dove prima era seduto Kise, proprio di fronte all’azzurro.
Un attimo di panico percorse tutti, ma il rosso sembrò, o finse di, non accorgersene e si limitò a sorridere a tutti.
“È passato del tempo.” commentò, “È bello rivedervi.”
I quattro Miracoli rimanenti si scambiarono un’occhiata, ma Kuroko mantenne il suo sguardo fisso e apatico su Seijuro. Non che potesse fare altro quando quest’ultimo a sua volta lo fissava così palesemente, il fantasma di un sorriso sulle labbra.
Non guardarmi. Non guardarmi così, ti prego., Kuroko sentiva il bisogno di scappare, uscire dal locale e correre fino a raggiungere casa, fino a trovare Seiji, fino ad avere di fronte il bambino e ricordarsi così del perché non potesse semplicemente allungarsi sul tavolo e reclamare per sé quella bocca pregando di non trovarvi sopra un gusto diverso.
Tre anni… Aveva trovato qualcun altro?, c’era stato qualcun altro in quel tempo?, chi era?, perché proprio quella persona? Centinaia di domande simili vorticavano nella mente del fantasma, ma Kuroko impedì loro di specchiarsi nei suoi occhi.
Invece, immaginò il sorriso luminoso di Seiji quel giorno nel bagno e disse: “Bentornato in Giappone, Akashi-kun.”
Probabilmente quella non era la risposta che Akashi aveva immaginato perché il suo sorriso tremò per un istante, come indeciso se rivolgersi verso il basso, ma così com’era nata l’esitazione scomparve.
“Grazie.” rispose, riservandogli un sorriso prima di rivolgersi agli altri.
“Aka-chin, non ti sei fatto vedere per tre anni.” stava borbottando Murasakibara, “Avresti almeno potuto chiamare.”
Seijuro voltò tutta la testa per rispondere al viola e lo spostamento d’aria di quel movimento gettò sul viso di Kuroko la più fievole delle tracce del profumo del rosso.
L’azzurro si trattenne appena dallo scuotere la testa. Non era possibile che da quella distanza e con tutti gli aromi della cucina avesse potuto sentire l’odore di Akashi, era sicuramente solo la sua mente che si divertiva a rendergli la vita difficile come punizione per aver lasciato Seiji solo a casa.
Istintivamente, Kuroko sfilò il cellulare dalla tasca e ne controllò la schermata, ma non erano passati nemmeno tre quarti d’ora da quando aveva lasciato casa quindi nessun messaggio dei tre baby-sitter era ancora arrivato. Sospirò, iniziando già a sentirsi ansioso, e rialzò la testa in tempo per sentire Akashi parlare con Murasakibara.
“Lo so,” stava spiegando, incrociando le braccia davanti al petto, “purtroppo le regole del convitto erano davvero severe. A malapena mi era dato il tempo per telefonare a mio padre, chiamare altri era completamente impensabile.”
Tetsuya aggrottò la fronte.
“Convitto?” chiese, confuso, ma la risposta di Akashi gli fece desiderare di essere rimasto in silenzio.
“L’appartamento che avevo comprato era troppo grande per una persona sola.” disse solo, ma con uno sguardo fisso e intenso. Non era accusatorio né di scherno, solo…sembrava in attesa di una reazione. Reazione che Tetsuya si costrinse a mascherare.
“Ho sentito che non sei tornato neanche una volta durante le vacanze.” cambiò – poco discretamente – argomento Aomine dopo un secondo, fingendo di sbirciare il menù prima di passarlo a Kuroko, che lo prese resistendo a malapena all’urgenza di nascondervisi dietro, “Che è successo? Non ti lasciavano fare neanche quello?”
“Ho lavorato per i rami americani di alcune delle aziende di mio padre, durante i giorni liberi.” spiegò il rosso, scuotendo la testa, “Era una buona occasione.”
“Immagino…” bofonchiò Daiki, ma prima che potesse aggiungere altro una cameriera si avvicinò per le ordinazioni e fortunatamente l’aria pesante di quell’ultima parte di dialogo fu spazzata via.
Quando la donna si fu allontana, Akashi si voltò verso il blu.
“Invece ho sentito dire che ti sei unito alle forze dell’ordine, Aomine.” disse, calmo, e Kuroko si sentì ancora più in tensione all’uso dei cognomi. Non che fosse strano, in realtà: dopo la scomparsa dell’Imperatore, il vero Akashi aveva ripreso quella consuetudine, ma aveva continuato a chiamare lui ‘Tetsuya’ dal momento che uscivano insieme. L’azzurro non era sicuro di come avrebbe reagito se si fosse sentito chiamare in…uno qualsiasi dei due modi, onestamente. Il primo lo avrebbe ferito facendogli sentire la distanza ma il secondo lo avrebbe fatto a pezzi costringendolo a crearne di nuova, quindi non riusciva proprio a scegliere per cosa pregare gli dèi.
Ascoltò solo per metà la discussione di Aomine e Akashi e mangiò distrattamente mentre Kise raccontava della sua carriera di modello e Murasakibara di come lui e Himuro continuassero a lavorare alla pasticceria. Quando infine ebbero terminato di mangiare, Midorima stava rivelando la sua intenzione di specializzarsi in ostetricia o pediatria alla fine del corso di studi di medicina generale.
“Questa è una sorpresa.” commentò Akashi, stranamente almeno all’apparenza non irritato dal non aver previsto quello scenario, sbattendo appena le palpebre, “Credevo che i bambini ti irritassero, Midorima.”
Gli occhi di Kuroko scivolarono discretamente sul verde, ma questi si stava aggiustando gli occhiali con la mano sinistra fasciata e non lo notò. O forse fece solo finta.
“Di recente, alcuni eventi mi hanno fatto cambiare idea.” fu la risposta diplomatica del verde che fece sollevare un sopracciglio scarlatto ad Akashi, ma il rosso non indagò oltre.
Invece, si voltò nuovamente verso Tetsuya.
“E tu?” chiese, fissandolo con serietà, “Tu cosa fai, ora?”
“Sarai un grande insegnate d’asilo, Tetsuya.”
“Sei-kun, se mi stai prendendo in giro, ti tirerò un cuscino in faccia usando il mio Ignite Pass Kai.”
“Ammettendo anche che la tua minaccia sia terribile, Tetsuya, posso assicurarti che non sto scherzando affatto. Lo penso davvero.” Il sorriso di Seijuro era caldo e accogliente quanto le sue braccia, “Dopo esserti preso cura di tutta la Generazione Dei Miracoli, un gruppo di bambini sarà certamente una passeggiata, per te.”
Kuroko deglutì.
“Lavoro part-time in un Butler Café.” E faccio la madre a tempo pieno.
Tetsuya abbassò gli occhi sul dolce ancora intatto nel suo piatto. Era sicuro che mai parole uscirono con più difficolta dalle sue labbra. Dopo tutti i suoi compagni, così pronti a realizzarsi nella vita, l’umiliazione crebbe nel suo petto e nella sua mente, tentando anche di arrossargli le guance. Ed era strano perché di fronte agli altri non si era mai sentito così, inutile e fallito e vergognosamente disperato, ma davanti ad Akashi… Avrebbe voluto mostrarsi diverso al rosso, più forte e più meritevole della sua attenzione.
Seijuro rimase in silenzio a fissarlo, come in attesa di altro, e quando finalmente comprese che altro proprio non c’era, sembrò spiazzato per un secondo.
“Credevo volessi…” iniziò, ma lo squillare improvviso del cellulare di Kuroko fece sobbalzare tutti, spezzando l’improvvisa tensione.
Nel leggere ‘Himuro-san’ sul display, Tetsuya afferrò immediatamente l’oggetto aprendolo di scatto e rispondendo lì, di fronte a tutti, prima di ricordare di non poter parlare di fronte ad Akashi.
“Scusate…” sussurrò frettolosamente, alzandosi e uscendo quasi di corsa dal locale per poter parlare.
Aveva appena messo piede sul marciapiede quando la voce calma di Tatsuya che diceva “Kuroko-kun, per prima cosa, non agitarti…” gli raggiunse le orecchie, preoccupandolo ancora di più.
“Che cosa è successo?!” domandò ansiosamente, pur sforzandosi di tenere la voce bassa. Sapeva che non sarebbe dovuto uscire, non avrebbe dovuto lasciare Seiji da solo! Per andare da Seijuro, per di più!
Il senso di colpa montò prepotente nel suo petto, portandogli quasi le lacrime agli occhi, anche se non aveva idea di cosa fosse successo per davvero.
Nulla! Nulla di grave, Kuroko-kun, te lo assicuro!” esclamò il moro dall’altro capo della cornetta, “Solo che siamo andati a controllare Seiji e potrebbe avere un po’ di febbre quindi abbiamo pensato fosse meglio dirtelo a voce, piuttosto che in un messaggio.
“… Febbre.” La mano di Tetsuya salì involontariamente alla camicia e la strinse, proprio sul petto, proprio sopra il cuore, nel tentativo di cancellare le stilettate di dolore che stavano iniziando ad accompagnare le pulsazioni. L’azzurro deglutì, tentando di calmarsi. “Quanto è alta?” chiese.
Non molto,” rispose immediatamente Himuro, “però sapendo come sei…
Tetsuya annuì, pur sapendo di non poter essere visto e si costrinse a prendere un altro respiro profondo.
“Tanto abbiamo finito di mangiare.” assicurò passandosi una mano sulla fronte, “Prendo le mie cose e arrivo. In una ventina di minuti dovrei essere lì.”
Non devi farlo per forza, Kuro-…
“Per favore.” Tatsuya tacque, in attesa, e così udì bene il tremolio nel respiro dell’azzurro, “Tra venti minuti sono a casa.”
…D’accordo.
Kuroko annuì, tra sé e sé, togliendosi il cellulare dall’orecchio e chiudendo la chiamata.
Era colpa sua, sapeva sin dall’inizio che quella serata sarebbe stata un disastro, ma una parte di lui desiderava vedere di nuovo Akashi così tanto che la sua avarizia si era fatta prepotente, insopprimibile, e lui era uscito lo stesso. E adesso suo figlio era a casa con la febbre senza di lui.
Si voltò, deciso a tornare dentro e prendere la sua roba e andarsene…e sobbalzò all’indietro quando si trovò davanti due grandi occhi scarlatti.
“Ti ho spaventato?” chiese Akashi piano, con un sorriso amaro sulle labbra e la mano istintivamente allungata verso il suo fianco per paura che cadesse. Kuroko si allontanò dal contatto, ma il rosso fece finta di niente. “Perdonami, non era mia intenzione.”
“No, no, è colpa mia…” mormorò Tetsuya, abbassando lo sguardo per sfuggire a quello del rosso. Strinse il cellulare al petto come a volerlo usare per difendersi e deglutì un’altra volta. “Non mi ero accorto fossi qui, ero preso dalla telefonata.”
Seijuro annuì, ma intanto ritrasse la mano con cui non aveva osato nemmeno sfiorare l’azzurro.
“Sì, ho sentito.” ammise, senza un briciolo di vergogna, “Tua madre non sta ancora bene?”
Kuroko si strofinò la fronte. Troppe, troppe cose tutte assieme, e Seiji che stava male…
“No, è…” Si morse la lingua appena in tempo prima di dire la cosa sbagliata, “…un’altra persona.”
La sua correzione dell’ultimo minuto non passò affatto inosservata a Seijuro e il sorriso del rosso si tinse di malinconia mentre le sue iridi correvano a nascondersi sotto le palpebre. Prima che potessero farlo, comunque, Kuroko riuscì a leggervi una vaga sofferenza.
“Quest’altra persona” mormorò il rosso, “è la ragazza di tre anni fa, vero?”
Per un attimo, uno solo, Tetsuya fu sul punto di mandare all’aria tutto chiedendo ‘Quale ragazza?’, ma fortunatamente la bugia utilizzata anni prima gli corse alla memoria, umiliante in quel momento come allora, e l’azzurro si sentì uno schifo ma la usò di nuovo ugualmente.
“Sì.” rispose, senza la minima esitazione, sforzandosi di tenere gli occhi puntati sul viso di Akashi anche se questi teneva i propri chiusi.
A quella parola, comunque, li riaprì.
“So che desideri andare da lei, quindi ti prometto che farò in fretta.” mormorò il rosso e la voce bassa, morbida, aveva una nota triste che costrinse Kuroko a rimanere in silenzio ad ascoltare, invece di correre a prendere le proprie cose e scappare da Seiji come una voce nella sua testa gli stava urlando di fare.
Seijuro esitò per un attimo e Tetsuya lo osservò prendere un respiro profondo, chiudere di nuovo gli occhi, sospirare ancora e poi, infine, come una farfalla che esce dalla crisalide, far fiorire di nuovo sulle proprie labbra un piccolo sorriso e riaprire le palpebre per mostrare i rubini attraverso cui guardava il mondo e il fantasma di fronte a sé.
Quando sentì le parole che uscirono dalle labbra di Akashi, Kuroko seppe che qualcosa dentro di sé si stava spezzando ancora.
 
Tetsuya corse via, lungo la strada, senza giacca e senza nulla. Non si fermò una volta, a malapena prestava attenzione al traffico nell’attraversare gli isolati, e per quanto Akashi fosse rimasto fermo a fissarlo diventare sempre più piccolo e sfocato, fino a sparire dalla sua vista, non si voltò mai indietro.
Seijuro sospirò.
“Ti riconosco il tentativo,” Il rosso si voltò, incrociando le iridi smeraldine che lo fissavano dall’alto, ma Midorima non si zittì, “però se ti aspettavi di ottenere qualcosa, sarei deluso dalla tua ingenuità, nanodayo.”
Akashi sorrise amaramente a quella constatazione.
“Immagino che avrei dovuto aspettarmi di essere scoperto da te.” ammise, annuendo come non fosse una gran cosa. “Ho tentato.” continuò scrollando le spalle, “Vuoi biasimarmi per questo?”
Shintarou rimase in silenzio, senza offrire una risposta.
Onestamente, era sorpreso che gli altri non avessero notato il palese obiettivo dietro al comportamento strano di Seijuro, il suo mostrarsi aperto, disponibile, fin troppo amichevole trattandosi di lui, e tutto quanto. L’abbigliamento che gli donava e il giacchetto che Kuroko gli aveva regalato anni prima, ormai consumato al punto da stonare con la perfezione del resto, uniti al fatto che avesse messo della colonia, cosa che non faceva mai, erano stati indizi più che chiari per lui, ma che Aomine, Kise e Murasakibara non sembravano aver colto.
Quanto a ciò che Tetsuya aveva appena detto al rosso… Beh, poteva essere giustificato. Midorima non riusciva nemmeno ad immaginare in che stato fosse la mente dell’azzurro. E nonostante questo, chi lo preoccupava di più in quell’istante era proprio il ragazzo di fronte a lui.
Di fronte al silenzio dell’amico, Akashi sospirò, ma annuì.
“Non preoccuparti, Midorima.” offrì, come un sacrificio a qualche crudele divinità, “Sapevo di non potermi aspettare troppo e avevo comunque già deciso che se questa sera non avessi ricevuto alcun segnale da parte sua, mi sarei tirato indietro definitivamente. Certo non mi aspettavo questo finale, ma non cambia molto le cose. Non mi accade spesso, ma so riconoscere quando perdo.”
Shintarou non se la sentì di annuire né di fare nulla. Kuroko aveva preso la sua decisione, aveva scelto di proteggere Seiji e Seijuro tenendoli lontani l’uno dall’altro, difendendoli entrambi dallo stesso mondo e dalla stessa persona, Akashi Seito, rinunciando a parte della propria felicità e lui non aveva diritto di interferire.
Nel silenzio che li avvolse dopo quell’ultima dichiarazione, un’auto nera e chiaramente costosa accostò a fianco del marciapiede e l’autista che ne uscì rivolse loro un inchino prima di aprire la portiera del passeggero, in attesa.
Seijuro si concesse un minimo ‘tsk’ amaro, ma poi oltrepassò Midorima per dirigersi alla macchina.
“Le cose di Tetsuya.” mormorò, fermandosi per un attimo.
“Gliele porterò io, nanodayo.”
“Siete diventati molto uniti, un’altra cosa che non mi sarei mai aspettato oltre alla tua recente scelta di specializzazione.”
Midorima si irrigidì, conscio dell’errore. Nell’istante in cui Akashi lo spiò con la coda dell’occhio, il verde seppe che il rosso stava forse collegando quella nuova amicizia alle sue parole sul diventare un pediatra. Seijuro era sempre stato troppo bravo nel leggere le persone.
“Io e Takao ci siamo trasferiti nell’appartamento sopra il suo.” mentì, “Ci vediamo molto spesso, è solo logico che sia io a restituirgli le sue cose, nanodayo.”
Akashi non disse niente a lungo e Shintarou non osò aggiungere nulla, per paura di essere scoperto. Alla fine, il rosso riprese a camminare verso l’auto.
“Alla prossima volta.” salutò a bassa voce, ma quando Shintarou trovò il coraggio di rispondergli, di rispondere a quell’amico a cui stava tenendo segreta l’esistenza di un figlio, questi se n’era già andato.
 
Quando Takao sentì la porta aprirsi e richiudersi, vi si avviò in fretta pronto per chissà quante domande ansiate da un certo padre iperprotettivo, ma certo non aspettandosi di trovare Tetsuya con la schiena pesantemente appoggiata alla porta e la testa bassa al punto che i capelli gli nascondevano il viso.
Kazunari sbatté le palpebre, scioccato, poi Tetsuya tremò e lui scattò.
“Cos’è successo?!” esclamò andando incontro all’azzurro, mettendogli una mano sulla spalla, ma questi scosse la testa per prendere tempo.
Con sgomento, il moro piegò la testa per spiare oltre le ciocche azzurre e quello che lo accolse furono calde lacrime che scivolavano sulle guance del viso pallido di Kuroko.
Mitobe e Himuro accorsero in quel momento, scioccati, appena in tempo per sentire Tetsuya mormorare: “Ha detto che mi perdona… Ha detto che mi perdona!
“Volevo solo che sapessi che ti perdono.”
“Perdonarmi…?”
“Per quello che è successo mentre ero in America, per aver trovato un’altra persona.” Un sorriso di sole labbra, elegante con le palpebre socchiuse, ma amaro fiorì sulle labbra di Akashi. No, per favore, no… “Anche se ‘perdonare’ non è il termine giusto, dal momento che non mi hai veramente ‘tradito’, anzi sei stato onesto nel dirmi la verità prima di scegliere definitivamente lei.” Uno sguardo caldo, gentile, fu tutto ciò che Tetsuya registrò quando gli occhi di Seijuro cercarono i suoi. Per favore, cosa vuoi dire? “Volevo solo che sapessi che non sono tornato per renderti la vita difficile o cose simili. Abbiamo sbagliato entrambi. Io, tra tutti, avrei dovuto capire che avevi bisogno di me, nonostante tutte le tue parole, e sarei dovuto rimanere quando tua madre è stata male.” Seijuro, ti prego, no… “La cosa peggiore è che sapevo che partire era la scelta sbagliata, ma l’ho fatto lo stesso e ti ho lasciato solo quando avevi più bisogno di me.” No, no, no! Non dirlo, non lo fare, per favore, no! “Per questo riconosco che è anche colpa mia. Sono stato egoista, anche se mi ci è voluto un po’ per capirlo e accettarlo.” No… No… “Quindi, vorrei solo chiederti di poter quantomeno restare amici. Il legame con te è uno dei più cari che abbia mai avuto, anche prima che diventasse di tipo romantico. Perderlo sarebbe molto triste, per me.” Seijuro… Per favore, per favore, no… “Allora? Kuroko?”
“… Mi dispiace, Akashi-kun.” Perché? Perché mi costringi a fare anche questo?! “Purtroppo, non riesco più a vederti come un amico, dopo quello che c’è stato tra noi. Sei stato il primo, per me, quando ancora ero forse troppo piccolo per capire bene cosa stessi facendo, ma ora che sto con una donna, il solo vederti” Perdonami. “mi” Perdonami. “disgusta.” Seijuro.
Nessuna esitazione, nella voce o nel viso, ma il cuore nel suo petto si contorse dolorosamente.
C’era tanto stupore, tanta sorpresa, ma anche tanto dolore sul viso di Akashi e Kuroko dovette voltargli le spalle per non gettarsi ai suoi piedi supplicando per quello stesso perdono che gli aveva appena tirato in faccia, un secondo dopo averlo ricevuto per le ragioni sbagliate.
“Capisco.” mormorò Seijuro dopo un attimo troppo lungo di silenzio.
Tetsuya non poteva più voltarsi, perché sentiva già le lacrime sul viso.
“Vorrei potessimo essere ancora amici, ma non ci riesco.” mentì e la sua voce, come una presa in giro, suonò apatica e indifferente nel recitare quella menzogna, “Mi dispiace.”
Poi non poté più trattenersi e si mise a correre.

Kuroko si era appena calmato quando il campanello di casa suonò piano, una volta sola.
L’azzurro era seduto sul divano accanto a Mitobe e Himuro, quindi fu Takao ad andare ad aprire, dal momento che era già in piedi, e onestamente non fu poi così sorpreso nel trovarsi davanti Midorima.
Il moro annuì.
“Prendo le mie cose e andiamo…” disse, ma poi abbassò la voce, “È stato davvero così terribile?”
Shintarou scosse la testa.
“Kuroko ha dovuto renderlo tale, nanodayo,” mormorò, “e questo l’ha fatto a pezzi.”
Kazunari non se la sentì di chiedere ancora e si voltò per raggiungere la cucina mentre Midorima entrava e si avvicinava al divano. In fretta, Mitobe e Himuro seguirono il terzo babysitter e i due ex-Miracoli rimasero soli.
“Che cosa ha detto?” domandò piano Tetsuya, la voce fragile di un uccellino, passandosi una mano sul viso per cancellare le tracce di pianto dalle guance.
Shintarou si aggiustò gli occhiali sul naso.
“Che si aspettava il tuo rifiuto, che non ti disturberà più e che gli siamo sembrati stranamente molto uniti.” Per un momento, aggrottò la fronte. “Non penso vorrà controllare, ma se dovesse chiederti qualcosa, io e Takao ci siamo trasferiti qui.” Kuroko aggrottò la fronte e Midorima sbuffò, “Mi serviva una scusa per giustificare il fatto che fossi io e non quell’imbecille di Aomine a riportarti le tue cose.”
“... Perché avreste fatto una cosa del genere?” Possibile che Akashi non si fosse insospettito?
Shintarou sospirò ancora di fronte a quella domanda, ma si avvicinò e si sedette sul divano, accanto all’azzurro.
“Mia madre…beh, non andrei fino al punto di dire che è ‘omofobica’ però…fatica molto ad accettare l’idea di me e Takao come coppia.” spiegò piano, serio ma senza drammaticità. “Credimi, si sta sforzando, e molto, quantomeno per fingere che non le dia fastidio, solo perché sa che così sono felice, ma noi due sappiamo che ci sta male quindi evitiamo di presentarci spesso a casa mia. La famiglia di Takao vive tutta in un appartamento minuscolo quindi non possiamo stare nemmeno molto lì. Akashi è un amico che rispetto profondamente e prima che partisse, quando mi ha detto che volevate andare a vivere assieme, gli avevo accennato la possibilità che anche noi facessimo una cosa simile, vista la situazione.”
Kuroko mantenne un’espressione apatica, sebbene un po’ arrossata dallo sfogo di poco prima, ma tacque per un lungo istante a quella confessione. Midorima sbuffò, aggiustandosi gli occhiali sul naso, e aprì bocca per dirgli di non preoccuparsi, quando invece fu preceduto.
“Fatelo davvero.” Shintarou aggrottò la fronte e, confuso, si voltò ad osservare Tetsuya, ma questi si limitò ad annuire di nuovo. “Venite a vivere qui.” spiegò con calma, per poi alzare una mano e interrompere Midorima a metà del suo confuso “Kuroko…?!” con un sospiro pesante. “I miei stavano comunque pensando di vendere l’appartamento qui sopra perché mantenerli entrambi durante l’inverno è troppo costoso, specialmente ora che Seiji ha iniziato la scuola.” Lentamente, l’azzurro si alzò in piedi. “Fino ad ora non l’hanno fatto perché l’idea di prendere in casa degli sconosciuti non li faceva sentire molto tranquilli,” spiegò piano, “ma se si trattasse di Midorima-kun e Takao-kun…”
Kuroko non finì la frase perché Kazunari rientrò in quel momento dalla cucina e lui ritenne opportuno lasciare che fosse Shintarou ad accennare l’idea al fidanzato per poterne poi discutere assieme, ma Midorima continuò a fissarlo con tanto d’occhi per un po’.
“Kuroko…” tentò di nuovo di dire, ma Tetsuya era deciso e lo interruppe di nuovo.
“Midorima-kun e Takao-kun hanno fatto molto per noi in questi anni. Se possiamo aiutare, nessuno di noi si tirerà indietro.” sussurrò piano ma con decisione, scuotendo la testa, quindi, senza aspettare una risposta, si avviò alla porta per accompagnare gli ospiti.
Salutò tutti piano, a bassa voce, ma Midorima gli scoccò un’occhiata che chiariva quanto la conversazione fosse ben lontana dall’essere conclusa, infine anche il verde scivolò fuori dalla porta chiudendosela alle spalle.
Il fantasma sospirò.
Silenzioso, come sempre era stato, scivolò attraverso il salotto e oltre la propria camera da letto, fermandosi di fronte alla porta della cameretta di Seiji. La aprì con delicatezza, stando attendo a non fare alcun rumore, e in un primo momento si limitò a spiare dentro facendo capolino con la testa.
La lama di luce dal corridoio carezzò piano l’involtino di coperte blu sopra il piccolo letto all’occidentale, posto con un lato contro il muro antistante l’entrata, e Kuroko, suo malgrado, sorrise appena nel vedere quest’ultimo alzarsi e abbassarsi al ritmo di un sottile respirare.
Sempre lentamente, entrò e si chiuse la porta alle spalle, dipingendosi lievemente il viso di amarezza nell’attraversare il campo di battaglia ora illuminato solo dalla luce della luna che faceva capolino dalla finestra sulla sinistra. Camminando sul tappeto morbido, si fermò ogni tanto a raccogliere qualche giocattolo o qualche peluche apparentemente caduto in combattimento, consapevole che quel genere di disastro suo figlio lo compiva solo quando malato mentre normalmente era invece ligissimo nel rimettere ogni cosa al proprio posto dopo averla usata, e infine raggiunse il lettino.
Dal pavimento proprio accanto al materasso, raccolse delicatamente il pupazzo di un cucciolo di leone dal pelo color miele, i grandi occhi dorati e un’orecchia strappata per metà da un litigio con Nigou e si fermò un attimo ad osservarlo. Kise, Momoi e Riko lo avevano portato in ospedale il giorno della dimissione di padre e figlio, come regalo per festeggiare l’arrivo ufficiale a casa di Seiji, e il piccolo vi si era talmente affezionato da non averlo più abbandonato. A meno che questo non gli cadesse dal letto durante il sonno.
Con un nuovo piccolo sorriso, più intenerito ma sempre un po’ malinconico, Tetsuya infilò di nuovo il peluche sotto le lenzuola, nell’abbraccio goffo di Seiji che vi si aggrappò immediatamente, seppellendo il volto nella sua pelliccia e mugolando tristemente nel sonno.
“…Papa…” chiamò un paio di volte e l’uso di quel nomignolo così infantile al posto del solito ‘Otou-san’ sconfisse subito Tetsuya, che con attenzione oltrepassò il piccolo per sdraiarsi al suo fianco, tra lui e il muro.
Immediatamente, nel sentire il calore della madre, Seiji smise di lamentarsi e rotolò per nascondere il viso nel petto di lui anziché nell’arido pupazzo. Che però tenne stretto a sé.
Tetsuya ridacchiò appena, ma posò la testa sul proprio braccio e questo sul cuscino appena sopra quella del figlio e allungò l’altra mano per posarla sul suo corpicino, guadagnando un mugugno soddisfatto in risposta. Gli baciò delicatamente la fronte, stando attento a non svegliarlo, e intanto pensò di nuovo ad Akashi, ma questa volta in modo diverso.
Con Seiji tra le braccia, capì di poterlo dimenticare di nuovo.
Per quanto avesse amato e amasse ancora Seijuro, pensò carezzando i capelli di suo figlio, dopo averlo visto così forte e realizzato e dopo averlo sentito parlare del college e di aziende e del lavoro che avrebbe fatto da lì a poco, poteva ribadire ancora la propria scelta. Nascondergli l’esistenza di suo figlio gli aveva permesso di diventare quello che era adesso – un uomo meraviglioso – e quindi, seppur con l’amaro in bocca, Kuroko accettò finalmente, definitivamente, di rinunciare a lui.
Si piegò in avanti e baciò la nuca scarlatta del suo bambino.
Dire la verità a quel punto, dopo tre anni, a cosa sarebbe servito? Il padre di Akashi non era cambiato e non avrebbe perdonato a suo figlio l’aver macchiato il nome di famiglia: Seijuro avrebbe perso tutto comunque, vanificando ogni singolo giorno che Tetsuya aveva speso da solo, nel segreto di un grembo che non avrebbe dovuto poter portare figli ma che l’aveva fatto e che l’azzurro ringraziava continuamente. E poi come avrebbe potuto rivelare tutto ora?, andare dal rosso e raccontargli quel segreto così grande, dirgli di Seiji, del parto, di quei trentasei lunghissimi mesi che aveva rubato a loro, a Seijuro e a suo figlio, senza permettere che si conoscessero? Akashi non l’avrebbe perdonato, anzi lo avrebbe odiato senza dubbio e a ragione – ma perché lui era fatto così, perché non avrebbe mai potuto accettare che qualcun altro decidesse per lui e lo proteggesse – e a quel punto sarebbe diventato tutto più miserabile, per lui ma anche per Seiji che avrebbe conosciuto entrambi i genitori solo per vederli odiarsi, anche se non a vicenda.
No, per dire la verità era ormai troppo tardi, farlo avrebbe solo distrutto quel fragile equilibrio così faticosamente costruito.
“Possiamo farcela anche da soli, non è vero?” sussurrò, a malapena udibile, Kuroko abbassando lo sguardo sulla testolina rossa che ancora accarezzava.
Seiji mormorò qualcosa nel sonno, ma tutto ciò che Tetsuya riuscì a comprendere fu il finale “…Papa…” che lo fece sorridere nonostante i pensieri cupi.
Sarebbe andato tutto bene, ne era certo. Non avrebbe più rivisto Seijuro, avrebbe reso quell’incontro e quella bugia crudele che gli aveva detto gli ultimi ricordi che avrebbero avuto l’uno dell’altro e da lì in poi avrebbe rifiutato tutti gli inviti, fingendo di non essere in casa o di avere degli impegni; avrebbe evitato l’altro come la peste, impedendo al proprio cuore di vacillare e alla propria mente di porgli domande di cui non voleva conoscere le risposte, mettendo ancora in pericolo la felicità di quelle due teste rosse per cui avrebbe venuto l’anima al diavolo e gli organi al mercato nero. Sarebbe andato tutto bene.
Finalmente chiuse gli occhi per dormire, accanto a quel figlio di cui ormai aveva assoluto bisogno.
 
Cinque mesi dopo, Seijuro divenne CEO di una filiale bancaria estera dell’Akashi Group e si trasferì a Londra, in Gran Bretagna, in modo permanente.



 
Scusate! Scusate, scusate, scusate! Sono in ritardo mostruoso -.-
Lascio delle note veloci perché sono proprio di corsa comunque non credo ci sia molto da dire... Seiji è un amore, Seijuro sparisce di nuovo e Tetsuya è il solito masochista; tutto nella norma XD
Scherzi a parte, ricordo come sempre che per qualasiasi cosa, visto che ultimamente su EFP appaio proprio di rado, potete contattarmi su Tumblr e farò del mio meglio per rispondervi, okay? ;) 
Tra l'altro, ho scoperto che ieri era la data designata e "ufficiale" -almeno per il fandom- per il matrimonio di Akashi e Kuroko! Congratulazioni! :D
Nel prossimo capitolo, prevedo di far apparire di nuovo Seijuro se non sbaglio, comunque vedrete ;)
Come sempre, grazie mille a tutti coloro che recensiscono, preferiscono, seguono, ricordano...LEGGONO in generale XD
A presto!


Agapanto Blu
  
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