Lo so.. non dovrei nemmeno avere il
coraggio di tornare a farmi viva dopo un mese intero senza aggiornamento, e vi
assicuro che mi dispiace da morire.. è solo che la scuola mi distrugge, non
riesco a trovare neanche un secondo di pace, quasi quasi non riesco più a
mangiare.. sembra esagerato ma è la verità.. ed è solo la 3° superiore.. non
immagino nemmeno cosa dovrò patire all’università! Mi hanno completamente
riempita di compiti… fai questo saggio breve, fai il riassunto di questo libro,
oh.. anche di quello, ripassa la parabola e le equazioni di secondo grado, e
anche Boccaccio già che ci sei!!! Okay.. so che non ve ne frega assolutamente
nulla!! XD XD
Comunque veramente scusatemi! E per
rispetto nei vostri confronti devo avvertirvi che non so quando riuscirò a
postare.. di certo non questa settimana, magari la prossima. Spero di riuscire
a postare il più presto possibile, considerando che il prossimo sarà il
dolcissimo incontro padre-figlia.. =) e mi dispiace informarvi che oltre a
questo ci saranno solo 2 capitoli… forse 3, perché volevo fare il prossimo
oltre che dal punto di vista di Bella, anche da quello di Edward.. ma devo
vedere cosa ne viene fuori! E voi cosa mi dite?! Vi piacerebbe leggere un
capitolo del genere?! Un bacione a
tutti!
Ora per la gioia (spero! XD) di tutti
coloro che continuano a seguirmi e soprattutto per simlyme che non voglio
diventi minacciosa, e alla quale lo dedico, ecco a voi il capitolo!! =)
Capitolo 13
Chiamate, famiglia e congetture...
Quando Jacob andò via Esme venne verso di
me con il telefono in mano. Sillabando con le labbra mi informò che era
Charlie.
Non mi disse nulla di nuovo. Era
preoccupato per me e io cercai di essere il più convincente possibile. Ma
infondo parlare al telefono mi permetteva più facilmente di mentirgli, e lui
sembrava crederci. Mi chiese se per caso avevo chiamato Renèe.
“No, papà. L’ho chiamata agli inizi della
malattia per dirle che stavo male ma poi basta. Parla ogni tanto con Carlisle
per sapere come sto, ma lui preferisce non passarmela mai perché dice che poi
capirebbe che sto troppo male e andrebbe nel panico.”
“Ah, okay, piccola. Allora io ho fatto bene
a non dirle che mi chiamavi tutti i giorni.”
“Ti ha chiamato?” chiesi sorpresa; ma non
più di tanto. Doveva essere molto preoccupata la mia mamma. Ma era meglio per
lei non sentirmi così. Charlie invece era più forte. Non sarebbe scoppiato in
una crisi isterica.
“Si, qualche giorno fa. Mi ha chiesto se ti
avevo mai parlato, ma dal tono ho capito che con lei non l’avevi fatto perciò
le ho detto di no.”
“Grazie, papà!” gli risposi profondamente
grata.
“Bhe piccola, io adesso vado a trovare Sue,
le faccio un po’ di compagnia.”
“Certo, papà. Non preoccuparti. Ci sentiamo
il più presto possibile.”
“Ti voglio bene, piccola.”
“Anche io.” E misi giù, passando il telefono
a Esme.
Mi sentivo bene quando parlavo con lui. Mi
sentivo normale.
“Bella, hai fame?” mi chiese Rose.
“Un po’. Ma io la chiamerei sete.” E feci
una mezza risatina, a cui si aggiunsero brevemente e un po’ nervose quelle
degli altri.
Rose scomparve in cucina, e tornò poco dopo
con il solito bicchiere coperto in mano, che più che ad un bicchiere somigliava
ad un secchio, tanto era grande. Me lo
mise tra le mani, e iniziai a bere dalla cannuccia che sporgeva. Restammo tutti
in silenzio, e mi accorsi che mancavano Jasper ed Emmett. Ogni tanto mi
accorgevo della loro assenza. Stavano via svariate ore, ma non avevo mai
chiesto dove andassero o cosa facessero.
“Edward?” volevo un minimo di contatto con
lui. Da quando avevamo scoperti che il sangue umano mi faceva stare meglio, lui
era tornato l’Edward calcolatore e freddo di quando avevo scoperto di essere
incinta.
“Si, Bella?” voce che non cambiava mai di
una virgola.
“Ecco, ehm.. mi chiedevo dove vanno Emmett
e Jasper quando non sono con noi.”
“Sono nello studio di Carlisle, a tradurre
antiche leggende.”
“Che tipo di leggende?”
“Cercano prove dell’esistenza di qualcosa
di simile a quello che ti sta succedendo.”
“Ah, ci sono novità?”
“No.” Ma all’improvviso l’espressione del
suo viso si fece dura, come se stesse ricordando qualcosa di tremendamente
spiacevole.
“Okay.” E così chiusi la discussione. Non
che lui si mettesse d’impegno per farla continuare. Così ricominciai a bermi la
mia dose giornaliera di sangue.
Dopo poco sentii la mia vescica piena. Ecco
uno dei difetti di bere un sacco di litri al giorno.
“Rose, dovrei andare in bagno, mi
accompagneresti?”
Fece un sorrisetto sarcastico, ma non disse
nulla. Mi prese in braccio delicatamente, e mi portò al bagno di sopra. Per
quanto ogni volta mi prendesse delicatamente, sentivo un dolore fitto alla
schiena e al ventre, ma mi trattenevo sempre dall’emettere qualche gemito; non
riuscivo a controllare invece la smorfia che mi appariva sul viso, e che
perennemente non sfuggiva ad Edward.
Entrammo in bagno, mi abbassò i fuseaux e
mi fece sedere sul water. Dopo che ebbi finito, mi alzò i pantaloni e mi prese
nuovamente in braccio. Sulle scale mormorò.
“Meraviglioso. Mi pareva di aver sentito un
cattivo odore.” Disse con un ghignò.
Mi voltai verso colui che aveva provocato a
Rosalie quelle parole, sicura al 108% che fosse Jacob. E infatti non mi
sbagliai.
Ero felicissima di vederlo, e non potei
trattenermi dal rivolgergli un enorme sorriso, che però lo fece un po’
oscurare.
Cercai di parlare normalmente, ma il dolore
che sentivo non me lo permise.
“Jacob, sei venuto.”
“Ciao, Bella.”
Esme ed Edward si alzarono dal divano, su
cui probabilmente si erano seduti dopo che ero andata in bagno.
Rosalie, mi fece stendere sul divano, ma
non potei fare a meno di trattenere il respiro. Notai una coperta ai miei
piedi. Me l’aveva fatta Esme nel suo immenso tempo libero. Era veramente
bellissima, color crema con vari fiori di tutti i tipi e di tutti i colori.
Edward mi sfiorò delicatamente la fronte e
poi il collo, e mi scostò i capelli. Ad ogni suo tocco non potevo fare a meno
di reagire esattamente come la prima volta: il cuore iniziava a battere
all’impazzata, con l’unica differenza che adesso non arrossivo a causa della
mia magrezza.
“Hai freddo?” mormorò.
In effetti un po’ si, ma non
esageratamente.
“Sto bene.”
Ma Rose sembrò capire che un po’ di freddo
lo sentivo.
“Bella, hai sentito cos’ha detto Carlisle.
Non devi minimizzare. Non ci aiuta a prenderci cura di voi.”
Giusto. Non volevo che il mio piccolo
brontolone stesse male.
“Okay. Ho un po’ di freddo. Edward, mi
passeresti quella coperta?”
A quel punto s’intromise Jacob.
“Sbaglio o è il motivo per cui sono qui?”
“Sei appena arrivato, dopo aver corso per
tutto il giorno, immagino. Perciò riposati un attimo. Probabilmente mi scalderò
nel giro di niente.”
Povero Jake. Sempre così esausto e sempre a
pensare a farmi stare bene. Perciò degno del suo nome, fece finta di non avermi
sentito, si sedette sul pavimento e stese il suo braccio vicino al mio e mi mise l’altra mano sul mio viso.
Rabbrividii.
“Grazie, Jake.”
“Già.”
Edward si sedette sul bracciolo del divano
accanto ai miei piedi, e non allontanava lo sguardo dal mio, mentre Alice era
seduta dietro la spalliera del divano.
“Rosalie, perché non vai in cucina a
prendere qualcosa per Jacob?” disse Alice.
“Grazie, Alice, ma non credo di voler
mangiare qualcosa in cui ha sputato la bionda. Scommetto che il mio organismo
non reagirebbe tanto bene al veleno.” Le rispose Jake.
“Rosalie non metterebbe mai Esme in
imbarazzo, dando prova di una tale mancanza di ospitalità.”
“Certo che no.” Rispose Rose, ma con una
voce dolcissima che non le avevo mai sentito usare, e mi fece pensare a qualche
sua trovata.
E si volatilizzò in cucina.
Anche Jake sembrava del mio stesso avviso.
“Se lo avvelena me lo dici?”
Chiese Jake rivolto ad Edward, e questo gli
rispose. “Si”
In cucina si sentii un fracasso
incredibile, non riuscivo ad identificare cosa si stesse distruggendo.
Poi tornò Rose e si riuscì a scoprire
l’arcano mistero. Aveva un ghignò in faccia che faceva accapponare la pelle, e
una ciotola in metallo in mano. Sembrava una di quelle ciotole per cani che
vendevano nei negozi. Dentro c’era una grossa bistecca e una patata al
cartoccio. La mise accanto a Jacob.
“Buon appetito, bastardo.”
“Grazie, bionda.” Le rispose Jacob. Poi
sembrò ripensarci e continuò. “Ehi, sai come si chiama una bionda con il
cervello? Golden retriver.”
“Ho già sentito anche questa.” Ribatté lei.
“Ci riproverò.” Annunciò prima di fiondarsi
sul cibo, che ingurgitò come se potesse scomparire. Aveva imparato ad abbassare
la guardia in questa casa infestata di vampiri, finalmente iniziava a fidarsi.
Poi l’occhio mi cadde sui suoi capelli, più lunghi del normale. Chissà da
quanto tempo non si prendeva cura di se stesso. Sempre qui ad aiutare me. O
come era meglio dire adesso che ero la Signora Cullen, ad aiutare noi. Ormai
facevo parte della famiglia ufficialmente, nonostante fossi ancora umana, a
differenza dei miei progetti iniziali. Mi chiesi cosa sarebbe successo una
volta nato il mio piccolo brontolone. Magari sarei potuta restare umana per un
altro po’.. giusto qualche mese, per non essere costretta ad allontanarmi dal
mio bimbo con la paura di doverlo uccidere. Il MIO bambino.. mi faceva strano
dirlo, o meglio, pensarlo. Io che non ci avevo mai pensato mi ritrovavo a
diventare mamma tra poco. Sorrisi mentalmente e mi concentrai di nuovo sui
capelli di Jake. Aveva finito di mangiare perciò potevo farlo parlare.
“E’ ora di tagliarli?” gli chiesi infilando
una mano nei suoi capelli. “Ti sta crescendo il pelo. Forse..” volevo dire che
forse uno della famiglia avrebbe potuto tagliarglieli, ma m’interruppe.
“Fammi indovinare. Qui c’è qualcuno che
tagliava i capelli in un salone parigino?”
Ridacchiai. “Probabile.” Sinceramente non
lo sapevo. Nessuno mi aveva mai accennato di aver svolto questa professione, ma
sapendo che tutti erano in grado di fare tutto, avrebbero tagliato i capelli di
Jake meglio di qualsiasi stilista di acconciature al mondo.
“No, grazie. Sono a posto ancora per qualche
settimana.”
Uffa. Era inutile discutere con lui. Però
ricordai quanto agli inizi della sua trasformazione li aveva tagliati, e non
stava esattamente bene con i capelli corti. Lo preferivo con i capelli lunghi.
Addolcivano i tratti scuri del suo viso Quileute.
Parlò e mi prese di sprovvista con la sua
domanda.
“Allora.. uhm.. quel è la, ehm, data? Cioè,
la data prevista per il mostriciattolo.”
Non risposi e preferii colpirlo alla nuca
per aver chiamato il mio bimbo ‘mostriciattolo’. Come si permetteva? Mi venne
in mente il bimbo del sogno. Bellissimo. Assomigliava ad Edward, perciò non
sarebbe stato un ‘mostriciattolo’. Speravo solo che non prendesse nulla da me.
Soprattutto la mia goffaggine. Doveva essere identico al padre. Bellissimo.
Divino. Magnifico. Splendido. Non avevo altre parole per descrivere la bellezza
di Edward. Era.. bhe.. semplicemente era.
“Dico sul serio. Voglio sapere per quanto
dovrò restare qui.”
Colpita e affondata. Sapevo che in realtà
avrebbe voluto chiedere quanto sarei rimasta IO qui. Ma grazie al cielo non
l’aveva fatto. Avrebbe solo fatto stare male Edward. Anche se ricordando il suo
potere extra, se l’aveva pensato, Edward lo aveva sentito comunque. Mi decisi a
rispondere. Secondo i miei calcoli, ovvero di una che con la matematica andava
a braccetto solo quando a Forks c’era il sole, il mio piccolo brontolone
sarebbe nato tra all’incirca 4-5 giorni. Perciò decisi di dirgli solo i vari
dati, sperando che almeno lui non riuscisse a fare il calcolo.
“Non lo so. Non con precisione. Ovviamente,
non segue il corso dei nove mesi e,
senza ecografie, Carlisle deve calcolare a occhio, in base a quanto mi allargo.
Le donne normali di solito raggiungono i quaranta centimetri.” Dissi e mi
indicai il pancione. “quando il bambino ha completato la crescita. Un
centimetro a settimana. Stamattina ero a trenta, e prendo più o meno un paio di
centimetri al giorno, a volte anche di più..” mi fermai, sperando che non
riuscisse a calcolare. Ma dall’espressione del suo volto capii che i miei tentativi
erano stati vani.
“Tutto bene?” gli domandai.
Annuii. Sembrava che non fosse in grado di
parlare. Poi, improvvisamente, vidi gocce lente che gli scendevano sugli zigomi
ambrati.
“Andrà tutto bene.” Lo dissi per farlo
stare meglio, ma lui non si faceva imbrogliare dalle mie parole. Perché lui era
Jake. Il mio migliore amico, colui che aveva sacrificato se stesso pur di
vedermi felice, e colui che mi conosceva meglio al mondo, ad eccezione di
Edward.
“Si.” Mormorò.
Mi rannicchiai contro di lui.
“Non pensavo che saresti venuto. Seth
diceva di si, e pure Edward, ma io non ci credevo.”
“Perché no?”
“Qui non sei felice. Ma sei venuto
ugualmente.”
“Mi volevi.”
Certo. Che affermazione stupida. Lui era
parte della mia famiglia. Era ovvio che lo volessi in questo particolare
momento della mia vita.
“Lo so. Ma non eri obbligato. Non è giusto
che io ti voglia qui. Avrei capito.”
Non mi rispose. Sembrava concentrato a
pensare a qualcosa.
“Grazie per essere venuto.” Gli sussurrai.
Finalmente si decise a parlare.
“Mi dici soltanto una cosa?”
“Certo.” A lui era impossibile nascondere
qualcosa quando te lo chiedeva così esplicitamente.
“Perché mi vuoi qui? Seth potrebbe
riscaldarti e forse sarebbe meno in imbarazzo, il mocciosetto. Ma quando da
quella porta entro io, sorridi come se io fossi la persona a cui vuoi più bene
al mondo.”
Che sciocco. Ancora non riusciva a capire.
Certo, dopo quello che avevamo passato per lui doveva essere stato difficile
cercare di ignorare tutto per farmi stare meglio. Magari cercando di non
volermi più bene. Ma io gli volevo bene come se fosse mio fratello.
“Sei una di quelle persone.”
“E’ una grande fregatura, lo sai.”
“Si. Mi dispiace.” Sospirai.
“Ma perché? Non hai risposto alla domanda.
“Mi sento completa quando ci sei tu, Jacob.
Come se tutta la mia famiglia fosse riunita. Cioè, credo. Non ho mai avuto una
famiglia numerosa prima d’ora. È bello. Ma se tu non ci sei, manca qualcosa.” E
sorrisi brevemente.
“Non farò mai parte della tua famiglia,
Bella.”
Certo, aveva ragione in un certo senso. Non
sarebbe mai stato parte della famiglia come intendeva lui, ovvero come mio
fidanzato e magari marito. Se prima questo pensiero mi faceva male perché lo
vedevo come la vita che avrei potuto avere, adesso mi faceva male solo perché
lui ci soffriva per entrambi.
Perciò gli diedi quella che sarebbe sempre
dovuta essere la risposta.
“Hai sempre fatto parte della mia
famiglia.” Come migliore amico, fratello, cugino.
“Che cazzo di risposta.” Jake non si
smentiva mai. Perciò volevo sapere quale sarebbe stata secondo lui la risposta
giusta.
“E qual è la risposta giusta?”
“Per esempio: ‘Jacob, adoro vederti
soffrire’.”
Trasalii. Non volevo vederlo soffrire a
causa mia. Odiavo vederlo stare male. Come poteva solo pensare ad una cosa del
genere?
“L’avresti preferita?” biascicai.
“Sarebbe più facile. Mi sforzerei di
farmene una ragione. Potrei provare ad accertarlo.”
Chiusi gli occhi. Era ora di esporgli ad
alta voce quello che pensavo.
“Abbiamo perso la direzione, Jake. E
l’equilibrio. Tu fai parte della mia famiglia: io lo so, e lo sai anche tu. Ma
non così. Abbiamo commesso un errore. No, sono stata io. L’ho commesso io l’errore,
e abbiamo perso la direzione..” cominciai a perdere le forze, e ad una velocità
sovraumana mi ritrovai a dormire e russare.
I miei sogni erano solo figure sfuocate,
che grazie al cielo non riconoscevo, e colori, tanti colori, che mi ricordavano
meravigliosamente l’Isola Esme. Sentii un rumore improvviso, innaturale, e mi
contorsi. E se era stato il bambino? Se si era fatto male? Poi in lontananza
sentii una risata, tanto familiare quanto sconosciuta, perché non la sentivo da
tantissimo tempo.
Jake rideva.
Ancora mezza addormentata chiesi:
“Che c’è di tanto divertente?”
“Le ho gettato del cibo nei capelli.” Mi
rispose Jacob, e ricominciò a ridere.
“Non me ne dimenticherò, cane.” Sibilò
minacciosa Rose.
“Non ci vuole tanto a cancellare la memoria
di una bionda. Basta soffiarle in un orecchio.” Ribatte Jake.
Ma anche questa non sembrò intaccare
minimamente Rosalie.
“Aggiorna il repertorio.” Gli rispose.
“Dai, Jake. Lascia in pace Ro..” mi
interruppi e cercai di prendere aria. Sentivo un movimento fortissimo al centro
del mio corpo. Edward mi fu subito accanto e mi tolse la coperta. Avevo la
schiena curvata, mi muovevo come nei film si muovevano le persone con attacchi
epilettici. Ma io sapevo benissimo che non era perché soffrivo di epilessia.
“E’ lui. Si sta solo.. distendendo.” Questa
volta si mosse troppo velocemente. Cercai di trattenere l’urlo che stava per
uscirmi serrando le labbra, e direi che ci riuscii egregiamente.
Edward mi prese il viso tra le mani, come
di solito faceva quando voleva baciarmi, in tempi remoti, a confronti i
dinosauri sembravano nostri contemporanei. Mi concentrai sulla sua presa sul
mio viso per rilassarmi.
“Carlisle?” chiamò lui.
“Sono qui.” Ripose Carlisle.
Feci un piccolo respiro. Aveva smesso di
muoversi.
“Okay. Credo sia finita. Povero piccolo,
non ha abbastanza spazio, tutto qui sta diventando così grande.” Ero solo una
semplice umana in fondo. Non potevo contenere un bambino tanto grande
all’interno del mio corpo.
All’improvviso mi ricordai di una cosa che
avevo notato in uno dei miei tanti pomeriggi di nullafacenti.
“Sai, Jacob, mi ricorda te.” Gli dissi in
tono affettuoso.
“Non paragonarmi a quella cosa.”
…………. Non avevo altro per esprimere i miei
sentimenti in quel momento. Ma continuai imperterrita.
“Mi riferivo al tuo sviluppo velocissimo.
Sei cresciuto a vista d’occhio. Ti vedevo diventare più altro un minuto dopo
l’altro. Anche lui è così. Cresce in fretta.”
Sembrava cercare di non lanciare qualcosa
anche a me. E penso che preferii non rispondere.
“Mmm,” sentii mormorare Carlisle. E visto
che rispose Jacob, dovetti immaginare che si riferisse a lui.
“Sai che ero curioso di conoscere la
composizione genetica del feto, Jacob. Il numero di coppie di cromosomi.”
“Quindi?”
“Be’, tenendo conto le vostre analogie..”
“Analogie?” ringhiò Jacob.
“La crescita accelerata e il fatto che
Alice non riesce a vedere nessuno dei due. Insomma, mi chiedo se non significhi
che abbiamo trovato una risposta. Magari le analogie hanno radici genetiche.”
“Ventiquattro coppie.” S’intromise Edward.
“Non puoi saperlo.”
Iniziai a perdere di nuovo le forze.
“No, ma fare congetture è interessante.”
Disse Carlisle.
Iniziai di nuovo a dormire, perciò non
potei sentire la risposta che gli diede Jacob. Doveva essere stata colorita,
anche se Jacob non avrebbe mai mancato di rispetto a Carlisle. Da quello che
avevo potuto vedere lo stimava molto, forse perché lo aveva guarito, o forse
per la luce di bontà che emanava ovunque.
Mi abbandonai al sonno, con l’immagine del
mio bambino che spiccava dall’oscurità.