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Autore: Somriure    01/06/2015    0 recensioni
Una vacanza per abbattere ogni pregiudizio.
Una vacanza per dimostrare la propria personalità.
Una vacanza per cambiare.
Harry, diciassettenne timido e impacciato con le ali tarpate dai genitori troppo severi e oppressivi.
Louis, ventunenne ribelle e solo, allontanato da tutti per stupide credenze e pregiudizi.
Sotto la luce del grande Faro si incontreranno e diventeranno amici.
Forse dalla loro amicizia nascerà qualcosa di più; forse la luce del Faro li farà scottare e allontanare per sempre.
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-Louis, alzati ragazzo! Sono le 4:00 il tuo lavoro ti aspetta.-

Il vecchio Nathan anche quella mattina, con una pipa in bocca e il suo immancabile cappello da marinaio, era salito per la lunga scala a chiocciola che portava nella camera di suo nipote per svegliarlo. Louis era un ragazzo molto volenteroso, però amava anche dormire, cosa più che giusta a quell'ora del mattino.

Erano sempre stati loro due, Nathan e Louis.

Nathan ricordava benissimo la notte che aveva visto per la prima volta il piccolo Louis.

Quella notte il Faro non era stato acceso, Nathan aveva passato la notte a bere Tequila dimenticandosi di accendere il segnale per le navi. Così era accaduto l'impensabile.

Una nave di dimensioni considerevoli, non potendo vedere in alcun modo l'isoletta che senza Faro risultava del tutto invisibile, si era scontrata con la terra provocando la distruzione di molte case sulla riva e la morte di moltissime persone.

Nathan non riuscendo a sopportare il dolore per aver creato così tanto scompiglio era salito sul punto più alto del faro. Voleva buttarsi, se fosse caduto da lì si sarebbe di certo schiantato con gli scogli appuntiti che erano posizionati proprio sotto di lui.

Mentre stava facendo il passo che l'avrebbe portato a miglior vita, notò un baule tra le acque.

Non era un baule comune, era un baule che gorgheggiava e ridacchiava; da quel baule spuntavano due manine grassocce che si muovevano e applaudivano.

Nathan abbandonò immediatamente la sua pericolosa postazione per andare a recuperare quel bagaglio.

Come aveva immaginato nel grande contenitore c'era un bimbo di poco più di un anno. Aveva due immensi occhioni blu e un sorriso molto dolce. Appeso al collo aveva un medaglione d'oro. Sulla parte esterna c'era inciso elegantemente il nome Louis e al suo interno c'erano le foto di due persone, probabilmente i suoi genitori.

Quel bimbo sorrideva spensierato, quando magari la sua famiglia era appena morta annegata. Nathan provò da subito un amore sconfinato verso quel batuffolino salvato dalle acque che allo stesso modo aveva salvato lui.

Dapprima decise solamente di tenerlo per un po' aspettando che qualcuno tornasse a prenderlo, ma dopo un anno, visto che nessuno era andato a reclamarlo, decise di prendere con se il piccolo Louis.

Non sapeva come si dovesse educare un bambino. Lui non si era mai sposato e di conseguenza non aveva mai avuto figli.

I primi giorni potrebbe o non potrebbe avergli dato della carne bollita per cena, accorgendosi solo più tardi che i pochi dentini che il bimbo aveva non bastavano per sminuzzare un cibo così duro.

Ma alla fine Louis era cresciuto bene. A 19 anni era un ragazzo sano, forte e sveglio, frequentava con ottimi voti la scuola e il nonno Nathan era molto fiero di lui.

-No nonno, ancora 5 minuti!- borbottò il ragazzo con la voce impastata dal sonno.

-No Louis, il mondo non si crea dormendo! Alzati e splendi raggio di sole! È mattina.-

-Se vogliamo essere precisi fuori è ancora buio pesto!- puntualizzò il ragazzo mettendosi seduto sul letto e infilandosi svogliatamente le scarpe.

D'estate, quando non andava a scuola, aiutava il nonno con il lavoro. Si recava in mezzo al mare con la sua barchetta e pescava i pesci che poi suo nonno avrebbe rivenduto al mercato.

-E' mattina già da un pezzo per chi vuole lavorare. Scendi giù che ti ho preparato lo zabaione.-

Louis fece un'espressione disusata.

-Ma nonno! Perché non posso fare colazione come i comuni mortali!-

-Louis, vuoi forse morire? Vuoi forse farti mettere in testa quelle idee del diavolo dalle multinazionali? Noi siamo i padroni del mondo, Louis, non loro. Per quanto possano provarci, non riusciranno mai a cacciarci dalle nostre terre, non riusciranno mai a toglierci la natura. Non abbiamo bisogno di stupidi prodotti tutti uguali, noi abbiamo quello che gli alberi, il mare, e gli animali ci offrono! Non abbiamo bisogno di altro!- disse il vecchio scendendo le scale.

Louis sbuffò ridacchiando e seguì il nonno giù per le scale.

Loro vivevano all'intero del Faro, quindi la loro casa si erigeva verticalmente. Al pianoterra c'era una sorta di magazzino che conteneva tutti gli attrezzi della pesca e le cose che era inutile trasportare ogni volta in casa. La vera parte abitata iniziava dal primo piano con un piccolo salottino provvisto di angolo cottura, al secondo piano c'era la camera di nonno Nathan e al quarto la camera di Louis, ogni stanza poi era provvista di un piccolo bagnetto riservato. Ovviamente il quinto piano era riservato alla lampada del Faro, che Louis o il nonno dovevano controllare e pulire ogni giorno.

Dopo aver fatto colazione, il ragazzo scese nel magazzino e prese tutti gli attrezzi che gli servivano per pescare, più il suo immancabile libro di poesie che gli serviva per ammazzare il tempo.

Poi, aiutato dal nonno, fece partire la sua barca e si addentrò nel mare.

La luna e la luce del Faro illuminavano benissimo la via e Louis non aveva bisogno di altra luce.

Il mare quella mattina era piatto come una tavola da surf, non avrebbe avuto tante difficoltà a pescare.

Quando fu in un punto considerevole ancorò la barca e, con un gesto secco e forte, fece cadere la rete nel mare. Intanto iniziò a preparare delle canne da pesca nel lato opposto.

Dopo aver sistemato tutto si accomodò in una posizione confortevole e chiuse gli occhi per un po', cercando di recuperare il sonno perso.

Si svegliò come al solito dopo un'ora al garrito dei gabbiani, ora sarebbe iniziata la vera battaglia.

Louis vs Gabbiani.

Accuratamente tirò su la rete colma di pesci azzurri che erano rimasti intrappolati. Il mise in un secchio pieno d'acqua per mantenerli freschi, poi lo coprì con uno straccio per tener lontani gli uccelli che sennò avrebbero rovinato tutto il suo lavoro.

Dopo di ciò controllò le canne da pesca. Due stavano tirando, segno che dei pesci avevano abboccato, così con forza e precisione iniziò a riavvolgere il filo.

Aveva pescato due tonni di grosse dimensioni, sicuramente suo nonno ci avrebbe ricavato un bel po' al mercato.

Non avevano problemi di soldi, con il lavoro al Faro e con la vendita del pesce al mercato riuscivano a ricavare il giusto per vivere bene in due. In più suo nonno era un capitano della marina in pensione per cui aveva accumulato per la vecchiaia abbastanza soldi.

Il nonno Nathan non gli aveva fatto mai mancare nulla; loro non avevano televisioni o altri apparecchi elettronici, non ne avevano bisogno, la natura offriva loro tutto ciò che serviva. Ed erano felici così.

Quando tirò su anche il secondo pesce e poi un altra rete di sarde e alici, decise che era ora di tornare verso la riva.

Il sole era spuntato rendendo tutto il paesaggio di un piacevole colore rossastro. Louis amava l'alba, decise quindi di smettere di controllare la barca per stendersi un po' e farsi abbracciare dai raggi del tiepido sole.

Dopo qualche minuto però rimise in moto per raggiungere finalmente suo nonno che si sbracciava per farlo tornare al più presto. Il ragazzo abilmente raggiunse la spiaggia.

Quando stava per attraccare notò che seduto sulla riva c'era il ragazzo che aveva salvato da un probabile annegamento il giorno prima.

Harry era intento a disegnare con un carboncino su un blocco. Era concentratissimo, non si era minimamente accorto che Louis era ormai molto vicino, continuava a tracciare linee e a cancellare con la lingua in mezzo a i denti e con delle graziose rughette in mezzo alla fronte.

Il vento gli scompigliava i capelli interrompendo ogni secondo il lavoro del ragazzo che era costretto a portare quei ricci ribelli dietro le orecchie. Louis si ritrovò a ridacchiare per quella scena curiosa e buffa.

Così dopo aver fissato bene la barca al piccolo paletto del molo e dopo aver portato i pesci pescati al nonno, entrò in magazzino e prese una bandana con la bandiera dell'America, la arrotolò su se stessa formando una specie di fascia e si diresse silenziosamente verso il ragazzo che ancora non si era accorto di nulla.

Con un gesto rapido legò quella specie di fermacapelli intorno ai ricci di Harry.

Il ragazzo sussultò dalla paura. Credeva di essere solo con i gabbiani. Quando incontrò lo sguardo di Louis si tranquillizzò e accennò un lieve sorriso. Il ragazzo dagli occhi blu invece sfoderò uno dei suoi sorrisi migliori.

-Così i capelli non ti daranno più fastidio!- esclamò alzando le spalle. Poi si voltò e tornò all'interno del Faro.

Il riccio lo fissava, mentre si allontanava, con la bocca spalancata e rosso come un peperone.

Quella mattina Harry si era alzato presto, si sentiva soffocare in quella casa piena di gente pronta a giudicarlo; così, anche se sapeva che se suo padre l'avesse scoperto lo avrebbe di certo punito a vita, decise lo stesso di disubbidire ai suoi ordini uscendo dalla casa senza permesso.

Si era portato due pacchetti di patatine e il suo immancabile blocco da disegno, l'unico mezzo che aveva per esprimersi e si era allontanato dall'abitazione.

Voleva trovare un soggetto da rappresentare. Iniziava sempre così: prendeva qualcosa come spunto e poi lasciava volare la fantasia mettendo in quel disegno tutti i suoi sentimenti e tutto quello che provava.

Uscì di casa e la prima cosa che vide fu il mare. Il grande, immenso, sconfinato mare. Troppo calmo per essere credibile. In mezzo al mare c'era una barchetta e sulla bacchetta il suo salvatore a torso nudo. Trovò che fosse un bel punto di partenza.

Così si era seduto sulla sabbia ancora umida e aveva iniziato a disegnare. Le patatine erano ancora tutte quante nella bustina, quando si sentiva ispirato non aveva bisogno di schifezze nel suo corpo.

Il mare piatto nel foglio di Harry era diventato un mare in tempesta, e la barca che navigava senza difficoltà, era piccola e sola in mezzo alle acque.

Harry osservò meglio il suo disegno e si accorse che forse era proprio quello il suo stato d'animo attuale. Solo e piccolo in mezzo alla devastazione.

Quando Louis gli portò la bandana rimase sorpreso, non gli capitava spesso di avere a che fare con persone che non fossero i suoi genitori e le sue sorelle. Non sapeva bene come comportarsi in queste occasioni, era sua sorella quella che riceveva attenzioni, non lui.

Quando Louis gli voltò le spalle con il suo meraviglioso sorriso provò un enorme senso di vuoto. Provò a rimettersi a disegnare ma la sua mano tremava, non aveva provato mai una sensazione del genere. Era come se 1000 farfalle ubriache volavano nel suo stomaco sbattendo tra loro come macchine a scontro.

Aveva sentito una volta che sua sorella Eleanor parlava di questa sensazione con Lindy la sua migliore amica.

Stava forse diventando una ragazza? Harry si preoccupò e istintivamente aprì il primo pacchetto di patatine sperando che con il cibo che entrava nel suo stomaco la sensazione si placasse.

Non voleva diventare una ragazza! Certo, adorava i vestiti colorati e aveva sempre sognato di potersi truccare, sia per nascondere le sue imperfezioni che per avere un aspetto diverso, alcune volte quando la sua famiglia si recava fuori città per promuovere le collezioni si divertiva anche a mettere un po' di smalto rosso ciliegia di sua sorella, ma non avrebbe mai potuto sopportare il ciclo ogni mese, la ceretta e i tacchi alti. No, decisamente. Non poteva diventare una ragazza!

Quando aprì anche il secondo pacchetto di patatine gli venne una fantastica idea: quella sera avrebbe chiamato sua sorella Gemma, lei stava studiando medicina, gli avrebbe potuto dare qualche farmaco per fermare il processo di trasformazione. Sì, era un ottima idea.

Abbandonò il blocco sulla sabbia, non sarebbe più riuscito a disegnare quel giorno, aveva troppi pensieri per la testa, così si concentrò solo ed esclusivamente sulle patatine.

Dopo qualche minuto, quando oramai, finite le patatine, era intento a leccarsi le dita, perché come aveva sentito il TV “Se non ti lecchi le dita godi solo a metà”, una persona che conosceva molto bene si sedette acanto a lui.

-Sono entrata in camera tua e non c'eri.- disse sua madre fissando il mare.

-Mi dispiace.- rispose Harry cortesemente. -Non riuscivo a respirare mi sentivo troppo oppr...-

-Per questo devi usare il tuo inalatore, Harry!- disse lei preoccupata.

-No, non si trattava di quello, era diverso, era più una cosa psicolo...- borbottò lui.

-Diverso? Come diverso? Harry cosa c'è che non va! Fai un colpo di tosse, non farmi preoccupare!- urlò la donna in panico.

-No mamma non è....-

-No Harry! Ora chiamo subito il dottor Chan, lo faccio venire qui d'urgenza!-

-Ma mamm...-

-No, zitto! Sto al telefono!- detto questo si allontanò di qualche passo.

Harry non captò bene tutta la telefonata, sentì solo frasi sconnesse come “ Si tratta del piccolo Harry.”, “Sta molto male”, “Deve venire subito”, “Non baderemo a spese”.

Quando la donna attaccò il telefono fece un grande sospiro. Poi guardò Harry con compassione.

-Pulcino della mamma, il dottor Chan sarà qui oggi pomeriggio non ti preoccupare, verrà in elicottero. Ha consigliato il massimo riposo. Vieni, la mamma ti aiuta a rientrare a casa.-

-Sul serio mamma, non ne ho bisogno! Non sto male fisicamente!- provò Harry.

Anne lo guardò con pietà, poi gli accarezzò la guancia paffuta.

-Andiamo pulcino.- disse porgendogli la mano.

Harry sospirò, nessuno lo ascoltava in quella casa. Era invisibile.

Arrivò a credere che per qualche strano motivo per i suoi genitori era meglio tenerlo a casa che farlo uscire.

Si alzò, si pulì i pantaloni dalla sabbia e si incamminò verso casa. Subito Anne corse accanto a lui e gli cinse i fianchi facendogli mettere un braccio sulla sua spalla.

-Pulcino, potresti non essere stabile e cadere. Il dottor Chan mi ha raccomandato di non farti fare sforzi più del dovuto.- Harry sospirò nuovamente.

Quando furono a casa Eleanor era sul divano mentre sorseggiava il suo solito tè mentre Des li aspettava alla porta con le braccia conserte.

Appena vide Harry gli mollò un ceffone sulla guancia.

-Ti avevo detto che non dovevi muoverti da qui!- sbraitò con il suo alito che sapeva di menta e tabacco. Eleanor sogghignò dal divano ed Harry iniziò a massaggiarsi la guancia rossa bollente con gli occhi colmi di lacrime.

-Des, ma sei impazzito!? Non hai mai picchiato i tuoi figli!- esclamò Anne indignata.

-Le mie bimbe erano delle ragazze non le avrei picchiate mai e poi mai, e poi non mi hanno mai dato delusioni come mi dà in continuazione questo qui! Guardatelo! Piange! Sei un uomo, Harry! Solo le femmine piangono!- disse indicando Harry con disgusto.

-Des, piantala! Harry è stato male! È uscito per prendere una boccata d'aria. Sono preoccupata, ho chiamato il dottor Chan, verrà in elicottero oggi pomeriggio.-

Des spalancò la bocca.

-Oh. Mi... mi dispiace Harry. Non volevo. Dai vieni ti accompagno su.-

-Ce la faccio da solo. Grazie.- mormorò Harry.

-No Harry, lo sai il dottore ha detto che non devi fare sforzi!- disse Anne preoccupata.

-Dai andiamo, Pulcino!- disse il padre provando a sollevarlo come quando era piccolo. Dopo vari e inutili tentativi, sotto la risata di Eleanor, decise di scortarlo semplicemente.

Arrivati in camera Anne gli preparò il letto e Des lo fece accomodare.

-Harry, quello straccio che hai tra i capelli è osceno! Figlio mio tu non sai proprio cosa voglia dire buon gusto.- Harry arrossì. Se il padre avesse saputo che quello “straccio” l'aveva ricevuto dal ragazzo che tanto odiava, sicuramente non ne sarebbe stato così felice.

Louis. Quando pensava a lui la sensazione allo stomaco tornava più forte facendolo sudare freddo.

Con quel pensiero si ricordò di aver lasciato il suo blocco a terra, sulla sabbia. Lui ne aveva bisogno.

-Mamma.-

-Dimmi pulcino spennacchiato.- disse la donna accarezzandogli la fronte.

-Potresti andarmi a prendere quel...- Harry si bloccò di colpo. Se sua madre fosse scesa in spiaggia per prendere il suo blocco non avrebbe resistito a sfogliarlo e avrebbe scoperto tutti i suoi pensieri. Quel blocco era il suo diario segreto. Non voleva che la madre conoscesse la sua essenza più interna che non riusciva ancora del tutto a capire lui.

-Dimmi Harry, cosa vuoi?- lo incitò gentilmente.

-Una merendina. Sì, una merendina. Al cioccolato. E un bicchiere di cocacola. Grazie.- disse salvandosi proprio all'ultimo.

Sua madre uscì sorridendo. Tornò dopo qualche minuto con un vassoio colmo di leccornie, c'erano biscotti, merendine, patatine, pizzette e altre golose cibarie.

Anne si sedette sul letto di Harry e iniziò a fissarlo mentre mangiava felicemente tutto quello che gli aveva portato.

La donna amava vedere Harry felice, ultimamente non lo aveva visto molto sereno e quindi cercava di accontentarlo come poteva.

Harry passò in solitudine e in silenzio diverse ore, immerso nei propri pensieri. Voleva chiamare Gemma, ma con il fuso orario lei stava dormendo a quell'ora, quindi decise di aspettare la notte.

Improvvisamente la porta si spalancò e suo padre accompagnato da tre uomini entrò nella stanza con un pacco enorme.

-Harry ho deciso di prenderti questa per farmi perdonare per stamattina. Resta lì, non devi affaticarti. L'apro io!-

I quattro uomini iniziarono a scartare il grande pacco togliendo la carta argentata che lo ricopriva.

Quando aprirono la scatola tirarono fuori una televisione al plasma a 52 pollici. Harry rimase un po' deluso in verità, sperava di poter uscire fuori, voleva disintossicarsi dalla TV.

Des notò la sua espressione contrariata e chiese:

-Che c'è Harry? Se vuoi faccio in tempo a prenderne una più grande. Ne abbiamo presa un altra anche per il soggiorno.-

-No, va bene. Grazie!- disse il ragazzo tirando un sorriso.

Des batté le mani soddisfatto.

-Benissimo! Allora loro te la monteranno e poi potrai immergerti nel tuo mondo!- così dicendo uscì dalla stanza lasciando il figlio da solo.

Quando anche i tre uomini lasciarono la stanza, Harry si stese sul letto. Non aveva voglia di vedere la TV, decise di fissare il soffitto in silenzio.

Il forte rumore dell'elica di un elicottero lo destò dai suoi pensieri. Non si affacciò alla finestra, sapeva benissimo che era arrivato il dottor Chan. Chiuse le serrande, si infilò sotto le coperte e chiuse gli occhi.

Lo volevano malato? Li avrebbe accontentati. Tanto non aveva altra scelta.

Dopo una decina di minuti il dottor Chan aprì la sua porta.

-Buongiorno signorino Styles!- esclamò con un forte accento asiatico. Il dottor Chan era uno dei migliori dottori del mondo, era stato uno dei professori di Gemma e la sua famiglia lo chiamava per ogni piccola cosa pagandolo profumatamente.

Anne tirò su le serrande facendo entrare la luce del sole pomeridiano. Vide che Eleanor era seduta in modo scomposto sulla sedia della sua scrivania, Des era in piedi con le braccia conserte ed Anne gli accarezzava la fronte. Il dottor Chan aveva la sua 24h in mano e gli sorrideva con quel suo sorriso pieno di baffi scuri.

-Allora signorino, mi descriva i sintomi.-

-Dottor Chan, le spiego io.- intervenne prontamente Anne. -Questa mattina non riusciva a...-

Sua madre iniziò a sproloquiare ingigantendo enormemente la situazione. Aveva descritto Harry come un povero ottantenne in punto di morte.

Il dottor Chan ascoltava in silenzio e annuiva annotando tutti i sintomi su una cartellina.

-Molto bene, ti farò alcuni test.- così dicendo iniziò a sottoporre il povero ragazzo ai più svariati controlli, la sua famiglia lo osservava in attesa.

Infine arrivò alla conclusione che quello di questa mattina era stato solo un episodio sporadico, ma prescrisse ad Harry lo stesso delle pasticche da prendere quattro volte al giorno.

Detto questo tornò nel suo elicottero in più fretta possibile, dopo aver ricevuto il suo profumato compenso.

Harry rimase da solo nella sua stanza dopo che il dottore uscì. La sua famiglia scese in spiaggia per prendere un po' di sole. Il ragazzo rubò dal frigo una lattina di coca cola e un ghiacciolo, poi risalì in camera e si stravaccò sul letto con tutto il bottino.

Harry si sentiva inutile, un peso per tutti. Era un oggetto nelle mani dei genitori, non aveva alcun potere decisionale.

Accese la TV e iniziò a mangiare il suo ghiacciolo. Non aveva molta voglia di seguire un programma, la accese solamente per sentirsi meno solo. Mentre era intento a togliere la linguetta della coca cola facendo il giochino dell'alfabeto (non che ci credesse veramente, ma questo giochino lo faceva sentire desiderato, almeno per un po') sentì una vocetta che non c'entrava nulla con la TV.

-E' permesso?-

Harry si alzò di scatto guardandosi intorno. La porta era serrata, nessuno era entrato.

-Sono qui dietro Harry!- continuò la voce acuta ridacchiando. Harry si voltò e trovò arrampicato sul balcone proprio Louis.

Le farfalle tornarono nel suo stomaco più feroci che mai.

-Mi dai una mano, è un po' scomodo qui!- disse allungando il braccio verso di lui.

-Ce... certo!- Harry prese la mano di Louis e lo aiutò ad entrare in camera sua.

-Co..come hai fatto a salire?- chiese il riccio leggermente preoccupato.

-Mi sono arrampicato su quell'albero!- esclamò Louis come se fosse la cosa più normale del mondo.

-Ah, sì.- convenne Harry. -Che... che ci fai qui?-

-Ah giusto! Sono venuto per riportarti questo.- alzò leggermente la maglia a righe bianche e rosse scolorita che aveva addosso e tirò fuori il blocco di Harry.

-Grazie!- esclamò il riccio. -Non so veramente come ringraziarti! C'è la mia vita qui dentro!- esclamò il riccio con gli occhi sgranati.

-Lo immaginavo! Se avessi perso il mio diario segreto sarei caduto in depressione!- disse ridendo.

Harry sorrise beandosi del suo modo di ridere.

-Non l'ho sfogliato. Se qualcuno l'avesse fatto con il mio diario l'avrei ucciso. E... ci tengo alla mia vita. Ho visto solamene il disegno che stavi facendo questa mattina e, cavolo Harry, è meraviglioso!-

-No, non è niente di che. Non sono poi così bravo.- disse arrossendo. Le farfalle erano in preda ad una danza sfrenata e dionisiaca. Harry era veramente preoccupato.

-Invece è molto bello. Non conosco nessuno disegnare così bene.- disse convinto. Harry abbassò il capo ancora più imbarazzato. Se c'era un'altra cosa che non sapeva fare era ricevere i complimenti. Di solito era sua sorella a riceverli, lui era solamente la figura di schermo, lui era il piccolo Harry, il bimbo che ancora sedeva nel tavolo dei piccoli alle riunioni di famiglia.

-Dai vieni!- lo incitò facendolo entrare in camera.

-Non so se è una buona idea. Se tuo padre mi becca mi scuoierà o peggio, mi denuncerà, e qui non ci penserebbero due volte a spedirmi in gattabuia!-

-Loro non ci sono, sono andati in spiaggia.- disse Harry tristemente. -Sono solo, come sempre.- sussurrò le ultime parole.

-Bene, in questo caso...- disse incerto Louis facendosi spazio per buttarsi sul letto di Harry.

-WOW questo letto è comodissimo!- esclamò.

-Gra...grazie, credo!- disse Harry imbarazzato.

-Posso farti una domanda?-

-Certo ragazzosenzanome!-rispose Harry rimarcando il fatto che Louis non si fosse ancora presentato ufficialmente.

Il ragazzo ridacchiò e poi fece la domanda.

-Come mai c'era un elicottero sul tetto? Non vorrei essere indiscreto, ma su quest'isola è molto raro vedere un elicottero così da vicino!-

-Il mio medico è venuto d'urgenza.- disse Harry non curante.

-Sei...sei malato?-

-No, assolutamente. I miei genitori sono solo estremamente ipocondriaci nei miei confronti e quando questo aspetto è accompagnato da soldi che ti escono da ogni poro della pelle è molto comune vedere arrivare un elicottero solo per misurarti la febbre.-

-Cavolo Haz, mi dispiace! Che vita del cavolo deve essere la tua?!-

-Haz? Sì, comunque non è molto piacevole.-

-Sì, ho deciso che Hazza sarà il tuo soprannome, ti piace?-

-No, per niente!-

-Ma come? A me sì!-

-Non.... non mi chiedi perché non mi piace?- chiese Harry titubante.

-No, non mi interessa, tanto ti ci chiamerò lo stesso.- disse Louis seriamente per poi scoppiare a ridere guardando l'espressione rattristata di Harry.

-E va bene piccolo Harold. Perché non ti piace?-

-NON MI CHIAMO HAROLD! Non mi piace perché io non conosco ancora il tuo nome e quindi non posso inventarmi un soprannome!-

-Ah, piccolo Harold, quante cose devi ancora imparare.-

-Ho detto niente Harold. Mi ci chiama solo mio padre quando è arrabbiato.-

-Va bene Hazzold, come vuoi tu.- disse, ridacchiando sotto i baffi, Louis.

Harry alzò gli occhi al cielo sbuffando, ma allo stesso tempo era estremamente divertito. Era da tanto che qualcuno diverso dalla sua famiglia non gli rivolgeva la parola senza l'intercessione di Eleanor.

-Va bene, ora è meglio che vada, devo assicurarmi che il Faro sia in ottime condizioni prima che venga acceso. E poi l'immagine i tuo padre con una mazza in mano mi perseguita.-

Entrambi i ragazzi risero. Harry dopo tanto tempo, forse per la prima volta nella vita si sentiva al posto giusto nel momento giusto. Ma allo stesso tempo la sensazione allo stomaco lo stava tormentando.

Il ragazzo scavalcò le grate del balcone e agilmente posò i piedi sul ramo dell'albero di fico adiacente alla camera di Harry.

-Comunque.... Louis!- disse prima di scendere speditamente verso la terra ferma.

Angoletto
Ecco qui il terzo capitolo. Qui si delineano meglio i caratteri delle famiglie dei nostri protagonisti.
Cosa ne pensate? Fatemi sapere, mi fa veramente piacere :)
Ora vado, a presto, Somriure ;)


 

  
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