Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Mary P_Stark    01/06/2015    2 recensioni
Anno 2034. Cameron e Domenic Van Berger, rampolli della famiglia omonima e giovani di brillante talento, si ritrovano loro malgrado nel mezzo di un intrigo internazionale. Sarà Cameron a farne le spese in prima persona, e Domenic tenterà di tirarlo fuori dai guai, utilizzando tutte le sue conoscenze tecniche... e non. Un segreto che, ormai da anni, cammina con lui, si rivelerà determinante per la salvezza del fratello. E della donna che ama. Antiche amicizie si riveleranno solo meri inganni, e questo porterà Domenic e Cameron a confrontarsi con una realtà che non avrebbero mai voluto affrontare. Chi è veramente il nemico, di chi possono fidarsi, i due gemelli? - SEGUITO DI "HONEY" E "RENNY" (riferimenti nelle storie precitate)
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Honey's World'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
XIII. Ghosts.
 
 
 
 
 
Le lacrime agli occhi le impedivano di essere veloce nel preparare le valige, ma sapeva che, entro breve, avrebbero bussato alla porta di casa sua per portarla via.

Dove, ancora non lo sapeva e, anche se le era sempre piaciuto viaggiare, dubitava che quest’ultima avventura l’avrebbe entusiasmata.

Era stanca, dolorante per il viaggio e per la frenetica fuga tra le vie di Tokyo.

E voleva parlare con suo padre.

Non aveva mai desiderato veramente mentirgli ma, vedere come avesse sempre malvisto i ragazzi che le ronzavano attorno, l’aveva spinta a mantenere il segreto.

Ora che voleva parlargliene, le mancava il tempo.

«Scricciolo…»

Quella voce baritonale, che l’aveva sempre chetata fin da piccola, la portò a sobbalzare per la sorpresa.

Nel volgersi a mezzo, scrutò oltre il velo di lacrime la figura imponente e forte del padre.

Lasciando perdere immediatamente la valigia, corse da lui per abbracciarlo e, nello stringersi a lui, mormorò contro il suo petto: «Scusa, scusa, scusa… non avrei dovuto mentirti anche su questo, ma non potevo davvero rimanerne fuori.»

Un bacio sfiorò i suoi capelli arruffati e Beau, scostandola da sé per asciugarle gli occhi, replicò sorridente: «Pensavi davvero che non mi sarei aspettato qualcosa del genere, da te? E dopo una simile uscita? Per Cameron l’amico, avresti messo tutto l’impegno possibile. Per Cameron l’amato, avresti messo in gioco tutta te stessa.»

Lei reclinò il capo, colpevole, e sospirò.

«Non volevamo davvero farvi soffrire, o arrabbiare. Avevo sedici anni, quando mi sono dichiarata a Cam, e pensavo non avresti accettato la cosa, visto che ero così giovane. E in seguito, beh… siamo stati come risucchiati dalla nostra stessa segretezza.»

«Cosa che va a braccetto con la famiglia Van Berger, a quanto pare» ironizzò Beau, avvicinandosi al letto della figlia, dove si trovavano le sue valige aperte.

La figlia annuì, esalando: «Non me lo sarei mai aspettato, da Dom. Cioè, certo, ha sempre avuto un alto senso del dovere e quant’altro, ma addirittura legarsi a doppio filo con la CIA? No, mi ha davvero sorpresa. E, soprattutto, mi ha sorpreso scoprire cosa sono in grado di fare lui e i suoi amici.»

Beau sorrise spontaneamente e, annuendo, le parlò di Minami e di come l’avesse sorpreso vederla comparire con quei suoi abiti così fuori dall’ordinario.

Lei ridacchiò, annuendo di rimando.

Nel sistemare gli ultimi abiti nella valigia, asserì: «E’ davvero brava, ma sembra matta come un cavallo.»

«Già» rise sommessamente Beau.

Gli occhi gli caddero inevitabilmente su una fotografia di alcuni anni prima e, nell’osservare la figlia, Cameron e Domenic sulle sponde del lago Tahoe, sospirò.

«Sembrate così innocenti, in quella foto. E ora siete invischiati in un affare così pericoloso che… che io…»

«Papà, andrà tutto bene. Ho fiducia in Dom e nei suoi amici. Come ci hanno tirato fuori dal Giappone con le loro diavolerie, così elimineranno il problema Tashida» lo rassicurò lei, sfiorandogli un braccio.

«Dovrei essere io a proteggerti, a vegliare su di te… non altre persone.»

«Lo hai sempre fatto. Solo, questa è una cosa che travalica un pochetto i compiti di un padre» replicò Phie, cercando di ironizzare.

Lui non abboccò e, avvolto il viso della figlia tra le mani, sussurrò: «Starai attenta, vero? E non parlo solo delle persone che vi seguono.»

«Sono sempre stata attenta, papà. E anche Cam» sorrise, e lo abbracciò. «Non ti parlerò di cose che ti farebbero venire certi pruriti alle mani, ma sappi che Cameron è l’uomo giusto per me, io lo amo e lui ama me.»

«E tanto mi basta. Ora, dovrò solo farmene una ragione» ironizzò a quel punto lui, chinandosi per darle un bacio sulla fronte. «Finisci le valige e vai dalla mamma. Vuole salutarti.»

«D’accordo, papà.»

 
§§§

«Come sarebbe a dire che sei un agente della CIA?!» sbottò Berenike, puntando le mani sui fianchi con aria dispotica. «E’ per questo che, spesso e volentieri, i casi che seguivi erano lontano da casa? Non stavi affatto lavorando per l’agenzia. Non per la nostra, almeno!»

Todd ridacchiò di fronte al cipiglio della moglie mentre Bryce, instancabile e pacato, finiva di preparare la sua valigia.

Sapeva che quel momento sarebbe ben presto arrivato e, quando Eriksson gli aveva concesso il benestare per parlare del suo impegno con l’Intelligence, non aveva atteso oltre.

Con i risultati che si era aspettato fin dall’inizio.

«Mamma, se urli un po’ più forte, potrebbero sentirti anche in Cina. Ho le orecchie ancora buone, sai?» replicò serafico, chiudendo la zip della sua sacca con un gesto veloce.

«Urlo perché sono furibonda. Da quando in qua, mio figlio fa qualcosa alle mie spalle?!»

«E’ un tantino più complicato di così, mamma, e comunque non faccio il trafficante di droga. Sono un rispettabile dipendente statale.»

«Già. Peccato che sei perennemente in zone ad alto rischio, e sei sempre sotto mentite spoglie!» sbottò la donna, perdendo di colpo ogni desiderio di apparire tosta e determinata.

Sospirò e, appoggiandosi totalmente al marito, aggiunte mesta: «E’ davvero necessario fare un mestiere così pericoloso?»

Bryce non si lasciò scoraggiare; era preparato anche alla fase remissiva di Berenike Preston Kendall. Sua madre era una maga, nel far sentire in colpa la gente.

«Ho le mie ragioni per farlo e forse, un giorno, ve ne parlerò. Ma di certo, non ora. E’ un discorso troppo lungo, ma sappiate che sono motivato e convinto di quello che faccio, non rischio mai più del necessario e, con l’aiuto di Domenic, sono sempre riuscito a tornare a casa indenne.»

Berenike fece per ribattere ma il marito, azzittendola con uno sguardo dolce ma determinato, scosse il capo.

«Parti pure tranquillo, Bryce. Ci parlerai di tutto a tempo debito, se potrai. Sappi solo che siamo molto orgogliosi di quello che hai fatto, e di quello che farai.»

«Grazie, papà» gli sorrise grato, avvicinandosi per un rapido abbraccio.

Berenike fu lesta ad abbandonare il fianco del marito per un suo abbraccio personale e, dopo aver dato un pizzicotto sul naso al figlio, borbottò: «Non dimenticarti di noi, mentre sei in capo al mondo, d’accordo?»

«Lo farò» assentì Bryce, tornando al suo letto per recuperare le sue cose.

Un attimo dopo, era fuori di casa, pronto per una nuova missione.

Berenike, sospirando, lo scrutò dalla finestra della camera mentre, tranquillo e sicuro di sé, saliva su un’auto scura e dai vetri blindati.

Todd, al suo fianco, mormorò: «Te lo saresti mai aspettato?»

«No. E ho intenzione di detrargli un bel po’ di trasferte dalla prossima busta paga, a quel traditore di mio figlio» brontolò la donna, facendo scoppiare a ridere il marito.

 
§§§

I sedili dell’aereo, su cui erano saliti poco meno di un’ora prima, erano decisamente più comodi di quelli che li avevano ricondotti in patria.

Ma, soprattutto, a rendere ben differente quel viaggio rispetto al precedente, alemno agli occhi di Cam, era la presenza di Domenic.

Abituato fin dalla culla ad averlo accanto, vivere un’esperienza così agli estremi come quella, gli aveva fatto sentire terribilmente la sua mancanza.

Averlo lì, ora, seduto al suo fianco, era per lui una immensa fonte di sicurezza.

Gli occhi color dell’oceano di Dom si levarono dal libro che stava leggendo sul suo kindle e, sorridendo al gemello, disse: «Che c’è? Non ti ricordi più che faccia ho? Eppure dovresti saperlo, visto che è spiccicata alla tua.»

Cam sorrise, lieto che i recenti eventi non avessero spento la famigliarità che c’era tra loro.

«Mi stavo solo chiedendo come ho fatto, in questi anni, a essere così cieco. Avrai pensato che ero un maledetto idiota.»

Domenic, allora, mise via il kindle e, scuotendo il capo, replicò serio: «Non lo penserei neppure tra cento anni, Cam. Sono io che ho tentato il tutto e per tutto di tenerti fuori dalla cosa, sperando di allontanare da te pericoli di ogni genere. Poi, come uno sciocco, ti ho dato Asclepio senza pensare che qualcuno avrebbe potuto trovarlo così allettante da uccidere per averlo. Anche se ancora mi chiedo perché i Tashida si siano spinti a tanto. Non sapevano ancora nulla, sulle sue potenzialità. O almeno così pensavo. Ora non ne sono poi così sicuro.»

Sospirò, scosse il capo e rammentò ciò che aveva provato quando, recatosi dalle famiglie di Leon e Sebastian, aveva abbracciato entrambi i loro genitori per le perdite subite.

Anche solo per loro, avrebbe ridotto la Tashida Group a un cumulo di macerie.

«Eravamo tutti coinvolti, Dom, e tutti ci fidavamo di Noboru. Io per primo» mormorò in risposta Cam, storcendo il naso per il fastidio. «Ho dato a quell’uomo la mia fiducia, l’affetto di un amico sincero, e sono stato ripagato con la moneta che ben sai. Anche se tu sei convinto che, dietro a tutto, ci sia in primis Nobu, questo non toglie che suo padre sa tutto… e ha cospirato contro di me e sua figlia per avere Asclepio

Sentir menzionare Yuki portò Dom a irrigidirsi e Cameron, sorridendogli comprensivo, sfiorò il suo braccio per confortarlo.

«Starà bene, Dom. Non temere per lei. E’ la donna più forte che io conosca e, viste la mamma, Serena e Phie, direi che è un complimento.»

Il gemello gli sorrise grato e Cam, non contento, gli domandò: «Da quanto va avanti?»

«Che cosa?» replicò per contro il fratello, serafico.

Cameron lo fissò scettico e Dom, per tutta risposta, sorrise contrito.

«Scusa. E’ l’abitudine a non dire le cose. Vuoi sapere di Yuki-necchan

«Solo se ti va di parlarne» sottolineò il fratello.

Domenic gli sorrise e, nel chiudere gli occhi, poggiò il capo contro la spalla del fratello.

«Vorrò sempre parlare con te, fratellino, e credimi… mi doleva il cuore, a non dirti tutto quello che facevo. Ora che sai, mi sento molto meglio.»

«Anch’io… anche se continuo a chiedermi se, impegnandoti in un’impresa simile, tu non ti sia sentito ancor più solo.»

Sorpreso da quell’uscita, Domenic risollevò il capo per guardare il fratello negli occhi di colomba.

Diceva sul serio, perciò sorrise.

«Ma io non mi sono mai sentito solo. C’eri tu, c’era Phie, c’erano mamma e papà, i nonni, gli zii, i nostri cugini, gli amici. Come avrei potuto sentirmi solo?»

«Sai benissimo cosa intendo» gli ritorse contro il gemello, accigliandosi.

«E’ proprio quello che sto dicendo, Cam. Aver proceduto qualche passo avanti a te non mi ha mai dato fastidio, credimi, né mi ha mai dato fastidio vedere ragazzi più grandi di me ai corsi cui partecipavo. E sai perché?»

Cameron scosse il capo e Dom, tornando a poggiare il capo contro la spalla del gemello, mormorò: «Perché sapevo che a casa ci sareste stati tu e Phie, la mamma, il papà, tutti quanti. E, quando ero all’università, voi eravate lì con me, sempre.»

«Eppure, mi sembra di non aver mai fatto abbastanza per te.»

«Solo perché hai la mania di voler essere il mio eroe a tutti i costi» ridacchiò il gemello, ammiccando all’indirizzo di Cam. «Lo sei comunque, anche senza che tu faccia cose strane.»

«Oh, lo sei più tu, specialmente dopo il modo in cui ci hai tirati fuori da lì.»

Domenic sorrise, e disse con semplicità: «E’ così che, di solito, aiuto gli agenti sul campo come Bryce.»

Cam ridacchiò al pensiero e, con lo sguardo, andò a qualche poltrona di distanza, dove l’amico detective stava parlando con il supervisore di Dom, l’Agente Eriksson.

«Forse, quello che mi ha stupito più di tutti, è stato lui, alla fine.»

«Bryce ha la faccia giusta, e il mestiere giusto, per passare inosservato anche in piena vista» ammise Dom. «Lo scoprii per puro caso, due anni fa, quando dovetti riportarlo a casa dal Messico. Si era immischiato in un affare bello incasinato, e ho dovuto lavorare un bel po’. Fu così che venni a sapere come era entrato nella CIA.»

«E perché?»

Aggrottando la fronte, Domenic scosse il capo e replicò: «Te lo dirà lui, se vorrà. E’ una cosa parecchio privata.»

«Okay. Ma non ho dimenticato che ti ho chiesto di Yuki-necchan, sai?»

Domenic ridacchiò.

«Avevo sperato che tanto sparlare ti avrebbe confuso le idee. Comunque, è iniziato tutto durante il viaggio in Hokkaido di sette anni fa. Già da un po’ covavo dell’interesse, ma vederla assieme a Shinichi-san ha fatto saltare tutte le mie barriere. E fu proprio questo a convincermi a partecipare al progetto Elite

Cam annuì, rammentando quel bellissimo periodo, ora macchiato dalla verità più nera.

«E lei lo sa?»

«No. Non le ho mai detto nulla. Non l’avrei mai messa di fronte a una scelta simile, anche se vederla con quel tizio mi irritò parecchio» ironizzò Domenic, spallucciando.

Cameron ghignò a quel commento.

«Vorrei pure vedere il contrario, fratellone.»

Dom si limitò a sorridere e il fratello, scrollandolo appena, disse: «Perché non vai nel retro dell’aereo con lei? Casomai si svegliasse. Una faccia amica le farebbe di sicuro piacere.»

Domenic tentennò, restio ad allontanarsi dal fratello, ma Cam insistette.

«Vai da lei. Davvero. Da quel che ho capito di questa protezione testimoni, avremo un sacco di tempo da passare assieme.»

Annuendo, il gemello si alzò e, dopo averlo salutato con un cenno, si avventurò sul retro dell’aeromobile, seguito dallo sguardo di Cam e di Phie.

«Va da Yuki-necchan

«Sì» assenti Cameron, sorridendo leggermente.

Aveva idea che fosse l’unica persona che, al risveglio, la ragazza avrebbe voluto vedere.

 
§§§

Vedere Yuki stesa su una barella, per quanto tecnologicamente avanzata essa fosse, non gli piacque per nulla.

Il medico umano che era con lei gli sorrise, nel vederlo giungere.

Non c'erano biodroidi, a bordo con loro.

Potevano essere rintracciati con i satelliti, e un bravo hacker avrebbe potuto bypassare il loro sistema di controllo, esaminando l'interno della carlinga dell'aereo, smascherandoli.

Tutto era stato predisposto perché fossero irrintracciabili da cielo e terra, fin da quando avevano lasciato la base di Zama, e poi dall’aeroporto della base di Edwards.

Niente era stato lasciato al caso.

Se erano riusciti a rintracciare Yuki con così sconcertante precisione, qualcosa era andato storto nella catena di segretezza, e non potevano più rischiare tanto.

Salutato il dottore con un cenno della mano, Domenic si accomodò su una delle poltroncine libere dell'aereo e domandò: «Come sta?»

«La milza è stata asportata durante il viaggio da Tokyo a Los Angeles. Erano passate troppe ore e, anche se l'agente Kendall le ha salvato la vita, con il suo intervento di emergenza, non si è potuta evitare l'asportazione.»

Annuendo, Dom non se ne preoccupò.

La milza non era un organo vitale e, se proprio Yuki ne avesse sentito la mancanza, avrebbe potuto farselo ricrescere.

«L'anamnesi attuale?» chiese poi, cercando di mantenere il controllo della sua voce.

Il dottore esaminò lo schermo del microcomputer collegato al corpo di Yuki e, dopo avervi dato una scorsa veloce, disse: «La cicatrizzazione della ferita è al settantatré percento. Prevedo che, entro domattina al massimo, potrò togliere le graffette. I nanobot stanno suturando la ferita per evitare cicatrici visibili. Abbiamo pensato lo avrebbe preferito.»

Sorrise cordiale, e Domenic assentì.

Non conosceva Yuki così bene da sapere se avesse una passione segreta per le cicatrici, ma dubitava che fosse il tipo.

«Non persistono infezioni di nessun tipo e, a parte la pressione un po' bassa – a cui sto lavorando grazie a una blanda somministrazione di stimolanti – il quadro generale è ottimo. Miss Tashida si riprenderà nel giro di due, tre giorni al massimo.»

«Molto bene. Grazie, dottor Arakawa.»

«Posso prescrivere a te un calmante, ora? Hai l'aria di averne bisogno. Soprattutto, devi dormire» lo informò bonariamente l'uomo, sorridendogli.

Domenic ridacchiò, si passò una mano tra i capelli e scosse il capo.

«Rimarrò un po' qui a riposare. Mi basterà» replicò il giovane, abbassando lo schienale della poltrona.

Immediatamente, i cuscini in acquagel si sagomarono attorno al suo corpo e Domenic, chiusi gli occhi, si assopì nel giro di pochi attimi.

Arakawa, allora, batté un paio di volte le mani per abbassare le luci nell'ambiente e, dopo aver preso con sé il sensore allarmante dal microcomputer – che lo avrebbe avvisato in caso di bisogno – si allontanò.

 
§§§

Il dolore era minimo, e ronzava in un angolo della sua mente come un memento che non riusciva ad afferrare.

Perché sentiva dolore? Non lo rammentava.

Tutto era oscurità, attorno a sé, e lei camminava in quell'ovattato silenzio senza riconoscere né odori né rumori.

Allungò una mano, cercando a tentoni qualcosa che le facesse capire dove si trovava e, quando essa sfiorò qualcosa di caldo, di familiare, la luce fece il suo ingresso in quel mondo oscuro.

Riaprì gli occhi.

Confusa, si guardò attorno, vide gli oblò di un aereo, file di sedili ergonomici, alcuni macchinari ospedalieri e, sorpresa delle sorprese, la sua mano stretta a quella di una persona.

Volse lo sguardo, curiosa, e si ritrovò ad affondare in due profondità oceaniche senza fondo, profondità che conosceva, ma che mai avrebbe pensato di rivedere tanto presto.

«Domenic-kun...» mormorò, la voce impastata e goffa.

Lui sorrise, stringendo maggiormente la sua mano, e rispose con ironia al suo mormorio.

«Devi essere guarita del tutto se, al primo colpo, mi riconosci da mio fratello. Ciao, Yuki-necchan

«Sei tu che hai l'oceano negli occhi...» rispose lei, accennando un sorrisino ironico.

«Non tutti notano i particolari al primo sguardo» sottolineò per contro il giovane, tornando serio. «Ma avrei dovuto sapere che tu, invece, sei abile proprio in questo.»

«Cos'è successo, Domenic-kun? Dove mi trovo? Cameron-kun, Sophie-chan e...»

Dom le poggiò un dito sulle labbra, azzittendola e, tornando a sorriderle, le spiegò ogni cosa.

Le disse del suo ferimento, della corsa rocambolesca per raggiungere la base di Zama, delle manovre ai limiti della fisica di Sophie lungo le vie trafficate di Tokyo.

A quell'accenno, Yuki ridacchiò.

Le spiegò, inoltre, della sua operazione, dell'asportazione della milza e dell'utilizzo dei nanobot per eliminare la presenza di cicatrici visibili dal suo corpo.

«Oh, bene. Non ci tengo a sembrare un rappezzo di fortuna. Ne ho già anche troppi, di rattoppi» ironizzò Yuki, prima di notare lo sguardo preoccupato di Domenic.

Lei allora sospirò, si passò una mano tra i capelli – avevano bisogno di essere lavati – e ammise: «Non ho detto tutto, a Tyler. Sorry

«Cam mi ha detto che pratichi il ninjutsu come una professionista. E che sei stata tu a salvarlo dagli uomini inviati in albergo per catturarlo.»

La giovane annuì, non sapendo bene come sentirsi sotto quello sguardo colmo di gratitudine.

Non la voleva, la sua ammirazione, non dopo tutto quello che la sua famiglia aveva fatto contro di loro. Contro di lui.

«Sono un po' di anni che lo pratico e, visto che conosci mio fratello Nobu-chan, puoi anche immaginarti il perché. Mi faceva così paura che non ho trovato sufficiente saper difendermi solo con le arti marziali tradizionali. E sai che io non uso armi da fuoco.»

Domenic sogghignò per un attimo, annuendo.

La ricordava benissimo, ai campi di addestramento della CIA, quando avevano dovuto seguire quel corso base di autodifesa.

A quel punto, immaginò senza problemi che Yuki avesse nascosto molte delle sue abilità, all’epoca, e l’idea lo divertì parecchio.

Chissà quanti addestratori avrebbe potuto atterrare, solo volendolo.

«Tradizionale fino al midollo, lo so» chiosò a quel punto Dom.

«Ti da noia l'idea che io abbia ucciso quegli uomini?» gli domandò per contro Yuki, mettendosi un poco sulla difensiva pur non volendo.

Teneva molto all'opinione di Domenic e, il solo pensiero di deluderlo, la turbava più di quanto volesse ammettere anche con se stessa.

«Mi darebbe noia solo se ti avessero fatto del male, o ne avessero fatto a Cam» si limitò a dire lui, lapidario e scuro in viso.

Lei allora sorrise appena e, contrita, mormorò: «Mi spiace non essere arrivata in tempo per salvare le guardie del corpo di Cameron-kun

«Hai già fatto molto... Sakura

«L'hai visto» sussurrò soddisfatta, illuminando il viso con un sorriso speranzoso. «Speravo fossi stato tu a toglierlo dal programma. Sei riuscito a recuperare ciò che ho trovato? E' utilizzabile in qualche modo?»

«Lo scopriremo presto. Per ora, devi solo pensare a recuperare le forze e... ti piace sempre la neve, vero?»

Di fronte al suo sorrisino ironico, lei gli domandò confusa: «Perché?»

Lui allora la strattonò un poco, spingendola gentilmente a mettersi seduta, e Yuki acconsentì con qualche difficoltà.

Dopo un attimo di tentennamento, poi, mise giù i piedi dalla barella e si lasciò aiutare da Domenic a mettersi in piedi, nello stretto corridoio dell'aereo.

Lì, rimase qualche attimo con la mano destra poggiata sul petto del giovane, mentre la sinistra persisteva nella sua stretta.

Si sentì protetta, al sicuro, e questo le piacque.

Quei giorni passati in fuga l'avevano fatta sentire tremendamente sola, pur se era sempre stata in compagnia di Cameron.

«Guarda» le mormorò all'orecchio Domenic, facendola volgere leggermente verso gli oblò.

Fuori, in lontananza, un'immensa e apparentemente interminabile distesa di neve, si stendeva fin dove l'occhio poteva correre.

Il riflesso fu così forte che Yuki dovette stringere le palpebre.

«Wow. Dove stiamo andando?»

Domenic le avvolse la vita per sorreggerla, quando la sentì tremare lievemente e, sorridendo appena, disse: «Alaska. Stiamo andando ad Anchorage. C'è una casa protetta della CIA, lì. Per il momento, il direttore preferisce tenerci lontano dai guai e dai curiosi, almeno finché non verremo a capo di tutti i documenti cifrati che ho estrapolato dalla Tashida Group.»

Al solo sentir nominare il nome di famiglia, Yuki sospirò, reclinando colpevole il viso ma Dom, indispettito, glielo risollevò con un dito.

Lapidario, poi, asserì: «Non pensare mai, mai, che io possa confondere te con loro. Tu sei diversa. E hai salvato mio fratello. Questo, per me, è sufficiente.»

Ancora quella gratitudine.

Yuki sospirò nuovamente, annuì e tornò a scrutare il panorama, lasciando che Domenic pensasse a sostenerla.

Non le piaceva la gratitudine, soprattutto la sua, ma non era così egoista da dire agli altri quello che dovevano provare.

E, di sicuro, non lo avrebbe mai detto a Domenic.





 
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Mary P_Stark