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Autore: amimy    07/01/2009    6 recensioni
Il mio nome è Isabella. Solo Isabella. Non ho un cognome, o se l’avevo l’ho scordato da tempo; una come me non ha bisogno di un cognome. Sono una nomade senza casa ne famiglia, una predatrice. Vivo da sola, viaggiando di nascosto d città in città ormai da più di mille anni. Lo so, io non dovrei esistere, nessuno di noi dovrebbe esistere. Ma esistiamo, esistiamo fin dall’inizio di tutto, siamo parte di questo pianeta da sempre. È semplicemente sbagliato che io viva, se la mia si può chiamare vita, ma forse quest’esistenza è la giusta punizione ad una vita fatta di scelte sbagliate come quella che ho vissuto prima di tutto ciò.Quando scoprirete cosa sono penserete che sono un mostro. E avrete ragione. Perché se voi umani pensavate di essere la specie più evoluta e più pericolosa del pianeta, vi sbagliavate. So cosa vi state chiedendo: cosa sei? Semplice: sono un vampiro.
Isabella Marie Swan nacque il 13 Settembre 1009. Adesso vive ancora, ma è come se non fosse mai esistita . Di lei nessuno ha ricordi, solo un nome risalente a mille anni fa. Ha iniziato la sua vita da sola, l’ha continuata con l’uomo sbagliato e l’ha terminata quando ha incontrato un ragazzo misterioso che l’ha cambiata. Ora Isabella è un vampiro. Vive uccidendo gli umani, senza aver mai conosciuto davvero il significato della parola Amore e senza aver un motivo valido per continuare a esistere. Eppure non ha altra scelta: vivrà per sempre. Ma forse c’è una speranza anche per lei: durante i suoi viaggi, riuscirà a trovare qualcuno che darà un senso alla sua vita?
Genere: Romantico, Avventura, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: Alternate Universe (AU), OOC, What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Passato e presente


"La nostra vita scaturisce dalla morte degli altri
[ Leonardo da Vinci]


La bambina volse lo sguardo confuso verso l’uomo che si apprestava a lasciare la stanza. << Padre, chi è quell’uomo? >> domandò la piccola. I capelli castani le ondeggiavano sulle spalle, mentre allungava una manina paffuta per prendere la bambola di pezza che giaceva sul pavimento. Sgranò gli occhi color cioccolato, attendendo una risposta. Nei suoi sei anni di vita aveva imparato ad aspettare che il suo interlocutore rispondesse prima di parlare nuovamente. Il padre la guardò distratto, facendo un gesto vago con la mano. << Torna a giocare, Isabella. Chi fosse ora non ti riguarda. Non puoi ancora comprendere certe cose. >> detto questo si voltò, senza riservare nemmeno un’ultima occhiata alla figlia, che lo guardava ferita. Isabella sentì le guance umide. Si passò un dito sul viso per asciugare la calde lacrime che le rigavano il volto, sapendo che se sua madre l’avesse vista piangere sarebbe stata molto delusa e l’avrebbe rimproverata per quel suo comportamento infantile; ma in quel momento era sola nel grande salone, sola e triste, e lasciò che le lacrime cadessero a terra, nella speranza che non tornassero più. Le era stato insegnato che suo padre era un uomo importante per il regno, ma ormai la persona che chiamava padre era quasi uno sconosciuto e questo la faceva soffrire, anche se non le era permesso stare male. Strinse a sé la bambola, un regalo della madre, l’unico legame che le era rimasto con la famiglia. S’illudeva che un giorno il padre le sarebbe andato incontro abbracciandola, dicendole quanto l’amasse e che tutto ciò che era accaduto in quei giorni era stato solo un enorme malinteso. Naturalmente non accadde. Ma lei viveva nel suo luminoso mondo caldo e ovattato, credendo ingenuamente che per tutto ci fosse un lieto fine. Come poteva sapere che quell’uomo le avrebbe rovinato la vita? Era solo una bambina, del resto. Una bambina in lacrime, nel mezzo di un salone, non ancora pronta per affrontare il mondo. Ma certe cose devono succedere…
Scacciai il ricordo. Non era tempo di cedere ai fantasmi del passato che tornavano a tormentarmi ogni volta che cambiavo città. Perché anche se non era ciò che volevo, non ero più la bambina ingenua di una volta, e dovevo fare i conti con la cruda realtà. Non mi potevo rifugiare ancora in quel passato fatto di immaginazione e ingenuità. Quella me stessa risaliva a quasi mille anni fa, non potevo sperare di ritrovarla. Mi passai distrattamente una mano fra i capelli, ritirandola coperta di neve. I fiocchi turbinavano, volteggiavano, danzavano sospinti da un vento leggero che mi accarezzava il viso. Era scesa la notte sulla città, le strade erano deserte, le luci nelle case spente. Quasi potevo vedere ciò che succedeva nelle villette apparentemente perfette. Madri che dopo una giornata di lavoro consumavano un ultimo bicchiere di vino prima di andare a letto nell’illusione che tutto fosse perfetto; uomini che tradivano le mogli per credere di essere importanti; bambini felicemente ignari di ciò che stava succedendo tutto intorno a loro. Certo, poi c’era anche qualche rara famiglia in cui la madre dava la buonanotte al figlio, il padre gli rimboccava la coperte e poi entrambi andavano insieme a letto, preparandosi a un’altra giornata perfetta. Cercai di scrollarmi la neve di dosso. Non che risultasse fastidiosa, ma per quello che stavo per fare preferivo avere un aspetto normale. Per quanto normale io potessi risultare, naturalmente. I miei piedi affondavano nella massa bianca lasciando profonde impronte. L'unica traccia che sarebbe rimasta del mio passaggio per quella notte. Finalmente, ecco le luci deboli di un pub ancora aperto. Dall’interno provenivano schiamazzi e grida di chi usava la notte come unico rifugio per potersi sfogare. Che tristezza. Con passo misurato, entai nel locale. Come previsto, tutti gli uomini si voltarono a guardarmi, i loro sguardi bramosi e eccitati alla vista di quella che secondo loro poteva essere la loro nuova preda. Quanto si sbagliavano. Assunsi un’aria smarrita, facendo affidamento su secoli di pratica. Odiavo quella routine, ma non avevo altra scelta. Mi avvicinai fingendo timidezza al bancone, conscia che tutti gli sguardi degli uomini fossero puntati su di me. << Cosa desidera, signorina? >> domandò viscidamente il barista. Viscido. Era l’unico aggettivo che mi veniva in mente per definire quell’uomo dai capelli unticci e gli abiti costosi che avevano l’aria di essere appena usciti da una satoria. Gli lanciai un’occhiata volutamente smarrita. Uno sconosciuto, un uomo basso e tarchiato, sulla quarantina, mi si avvicinò con un ghigno che probabilmente lui considerava un sorriso furbo. << Le consiglio io qualcosa. Mi dica, quali sono i suoi gusti? E qual è il suo nome? >> chiese. Ma in quel posto tutti gli uomini erano così viscidi? << Marie. >> mentii, sviando l’altra domanda. << Signore, mi potrebbe accompagnare a casa? È così buio fuori. >> gli dissi, fingendo spavento. L’uomo si alzò, con un’espressione che lasciava intuire cosa avesse in mente. Prima di seguirlo fuori dal locale lanciai un’occhiata alla sua mano. Niente fede. << Signore, lei ha famiglia? >> gli chiesi. Lui scosse la testa << No, sono ancora un uomo libero! >> esclamò ridacchiando, con gli occhi lucidi per i troppi drink . Quasi mi dispiacque per lui. Ma almeno non aveva famiglia, il che era fondamentale. Avevo una regola: mai uccidere qualcuno con una famiglia. Perchè causare più dolore del necessario? << Che maleducato che sono! Non mi sono ancora presentato! Il mio nome è John! >> esclamò ancora. John proseguì per le strade, senza nemmeno fingere di voler sapere dove abitavo per accompagnarmi. All’improvviso, sentii il suo rispiro accelerare eccitato e John si fermò. Eravamo in un vicolo buio e deserto. Nella mia altra vita, quell’oscurita opprimente mi avrebbe terrorizzata. Ma dopotutto, ora ero una creatura della notte. L’uomo mi si avvicinò. <<< Che cosa sta facendo? >> gli domandai, cercando di apparire spaventata. << Oh, non ti preoccupare piccola. >> rispose maligno, allungando una mano per toccarmi il viso. Rabbrividì al contatto con la mia pele fredda, ma non si allontanò. Fece correre le sue dita sui bottoni della mia giacca, per slacciarli. Un uomo impaziente di evadere dalla realtà e di approfittare del mio corpo da adolescente. Ma nonostante tutto, non volevo fargli del male. Non volevo approfittarmi di lui, nonostante le sue intenzioni. Prima che potesse sfilarmi il cappotto, gli afferrai la mano e la strinsi in una morsa, non abbastanza da fargli davvero del male ma sufficientemente da impedirgli di muoverla. Mi guardò sorpreso, stupito dal fatto che la sua vittima stesse reagendo. Poi svelta, prima che potesse capire cosa stesse succedendo e avere paura, lo colpii alla nuca con una mano, facendolo accasciare privo di sensi. Almeno non si sarebbe accorto di nulla. Poi, mi avventai su di lui, il battito del suo cuore un invito a procedere. Con i denti lacerai la sua debole carne umana, sentii la sua vita fluire dentro di me. Il suo cuore batteva ancora, disperato, rifiutandosi di cedere. Ma alla fine cedette. Mi rialzai, disgustata, e uscii dal vicolo senza riuscire a dare nemmeno un’occhiata all’uomo che io stessa avevo ucciso. Fortunatamente, per almeno altre due settimane non avrei dovuto ripetere quell’esperienza orribile. Perché mi ero ridotta così? In quel momento sentii più forte che mai la mancanza della mia vecchia vita monotona e triste ma perlomeno certa. Perché quel che mi mancava in quel momento era avere delle certezze. Ma del resto, come potevo sfuggire a ciò che ero? Se solo ci fosse stato un altro modo…ma non c’era. E uccidere uomini malvagi era l’unico modo che avevo di sentirmi un po’ meno disgustata da me stessa. Avanzai tra le strade buie della città, il sibilo del vento ora un canto di morte. Ad un tratto, udii dei passi. Mi stupii di quanto fossero vicini. Ero così presa dai miei pensieri da non aver prestato attenzione a quello che mi accadeva intorno. Mi voltai per vedere chi producesse quel suono. Vidi una donna anziana, coi vestiti sudici a brandelli, che teneva tra le braccia come se fosse un tesoro una scatola di cartone. Probabilmente quello era il suo letto. La donna mi vide e, inaspettatamente, mi corse incontro. << Gentile ragazza! Oh, lei è un dono del Signore! Ci sono gli spiriti, qui, che mi perseguitano! Chiedono di essere ascoltati! Non si spaventi, vogliono solo parlarle. >> urlò lei. Vista da vicino, sembrava molto più giovane di quanto mi fosse sembrata. Rughe premature le solcavano il viso. La pelle ambrata era raggrinzita, tesa sulle ossa. Un tempo doveva essere stata davvero bella, ma ora sembrava un fantasma. Non capivo di cosa stesse parlando. Era evidentemente folle, ma qualcosa nel suo sguardo intelligente me lo fece dubitare. << Oh signorina, gli spiriti mi dicono che lei avrà un cambiamento nel futuro. Sì, i cambiamenti sono vicini…quelli che lei crederà nemici saranno amici. Vedo una vita sconvolta, una rivelazione…tutto quello che lei credeva fosse vero si rivelerà falso, e ciò che credeva impossibile accadrà. Se ne ricordi, mia cara, e cerchi un uomo dagli occhi dorati. Lui sarà il suo futuro… >> la donna tacque e si voltò di scatto. Indietreggiai, per la prima volta in mille anni spaventata. Quella strana signora fuggì via. L’avrei potuta rincorrere, chiederle spiegazioni. Ma non lo feci. Per la prima volta, qualcosa mi aveva davvero sconvolta. Quell’incontro mi aveva scossa, strappata al mio annebbiamento in cui vivevo da quando ero cambiata. Forse…quell’umana non aveva tutti i torti…e se qualcosa fosse cambiato davvero? Non potevo smettere di essere ciò che ero, però… possibile che esistesse l’anima gemella anche per una come me? O comunque un destino? Sembrava impossibile, ma…come si può parlare di impossibilità in un mondo popolato da mostri e fatto di leggende? ma quella notte, qualcosa combiò davvero. E in quella strada, spaventata, confusa e sola, assomigliai più che mai alla bambina in lacrime che una volta ero stata.


Grazie a :Goten, Miki87, _Niki_, Roby88, Giunigiu95, MaryCullen, Debby_DG, ginny89potter, Steffylove, Daene e Toru85. E naturalmente grazie a quelli cha hanno messo questa storia fra i preferiti! Allora…questo è il primo vero capitolo, vorrei sapere cosa ne pensate. Spero di non aver deluso nessuno con questo capitolo! Accetto critiche, suggerimenti, consigli , etc….Insomma, accetto tutto! Ora, secondo voi cosa succederà? Sono curiosa di sapere le vostre teorie… scusate per il capitolo deprimente, ma qui c’è neve che mi arriva alla ginocchia, ho fatto un chilometro a piedi sotto la neve per poi sentirmi dire che dovevo tornare a casa e in più adesso ho fame! Perciò, tadadadan ecco questo capitolo depresso! Naturalmente non saranno tutti così, ci saranno capitoli divertenti, romantici, malinconici, allegri, etc… in breve, se anche non vi è piaciuto questo capitolo vi pregherei di continuare a leggere e commentare i prossimi, magari vi piaceranno! Vi prego ci tengo tanto! Scusate se ci metterò un po’ di tempo ad aggiornare, ma tra compiti, compiti in classe, interrogazioni, catechismo e cose varie sono sempre più impegnata! Perciò chiedo scusa in anticipo per eventuali ritardi! Ciao! Fatemi sapere se volete che posti anche il secondo capitolo!

   
 
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