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Autore: itsonlyme    04/06/2015    0 recensioni
Se ti ritrovi a correre a perdifiato in un tunnel, di cui non vedi neanche uno spiraglio di luce ad indicarti l'uscita, ma poi trovi una scorciatoia che ti conduce ad un posto nuovo, cosa fai?
Dal primo capitolo:
Mossi l’aria che ci circondava. Il suo profumo mi entrò nelle narici, forte e dolce contemporaneamente.
Lui, sentendo la mia presenza, si girò a guardarmi per due secondi.
In quei due secondi mi rivolse un accenno di sorriso che mi fece perdere un battito, mancare la terra da sotto i piedi, poi tornò alla lettura, senza nemmeno darmi il tempo di ricambiare.
[ziam/side pairing larry]
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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I'm hangin' on your rope,
Got me ten feet off the ground.
And I'm hearin' what you say,
But I just can't make a sound.
You tell me that you need me,
Then you go and cut me down
But wait,
You tell me that you're sorry..
 
 
 



 LIAM



 
 
 
Sentivo freddo, era una strana sensazione. Era sempre la stessa stanza, sempre io e lui. Ma non eravamo soli.
Mi alzai in piedi, combattendo contro di loro. Ombre scure.
Li vedevo quasi, vivi, erano vicini a me, volevano prendermi, ma io dovevo arrivare da Zayn.
Mi chiedevo se lui li vedesse, se avesse paura come me, o se volesse solo andarsene.
Lo sapevo lì vicino. Io dovevo andare ad abbracciarlo, magari per un’ultima volta. A ringraziarlo per aver tenuto quelle ombre lontane da me per qualche tempo, per avermi regalato la parte migliore della mia vita e avermi permesso di riscoprire la parte migliore di me.
«Zayn» chiamai, ma non sentii il tono della mia voce. Non sapevo se mi aveva sentito.
Lo ripetei, più forte, o forse più piano.
Però, ebbi solo il tempo di strizzare gli occhi che mi sentii chiudere in calde braccia, al riparo.
Piansi ancora, stanco di tutto, principalmente della mia debolezza, della mia fragilità spirituale.
Non so quanto tempo rimasi nascosto in quel nido, eravamo seduti a terra, io accoccolato fra le sue gambe e lui che mi circondava le spalle con un braccio e con l’altro mi carezzava la schiena, cercando di quietare il mio pianto spontaneo e il mio respiro affannato. Sentivo il suo cuore battere velocemente, ad un ritmo troppo elevato per essere normale, contro il mio orecchio. Avrei voluto stringerlo, ma non ne avevo la forza. Gli stavo permettendo di leccarmi le ferite, per un ultima volta. Avrei voluto baciarlo, prendere l’iniziativa, ma non ne avevo il coraggio. Avrei voluto parlargli, sentire la sua voce, la mia salvezza, ma non avevo neanche il fiato per farlo. Avrei voluto chiedergli di rimanere, di essere egoista nei confronti di se stesso, ma non lo feci. E avrei anche voluto fare l’amore con lui, per imprimere in me il ricordo di lui, bello come mai, ma non feci neppure quello. L’unica cosa che feci fu sussurrargli all’orecchio «Baciami, solo per un’ultima volta. Una sola, per favore». Esitò, giusto quell’attimo che fu utile ad entrambi per imprimere il momento nelle nostre menti.
Un addio non si cancella, soprattutto se quello della persona che ami con tutto il cuore, con tutta l’anima.
Quel bacio fu pieno. Pieno delle nostre lacrime, di parole ricche di significati e valore, parole che non ci saremmo mai più detti. E non mi pentii mai di avergli detto “ti amo”, quello mai, e neanche di avergli consegnato il mio cuore. Lui ne avrebbe avuto cura per sempre.
Mi staccai da lui per riprendere fiato da tanta dolcezza.
«Non ti chiedo di rimanere, solo di tenermi per sempre con te.» gli sussurrai ancora, poggiando la testa sulla sua spalla. Non rispose se non dopo qualche minuto: le lacrime avevano preso il sopravvento. Faceva tutto così male. Con la voce rotta dai singhiozzi mi disse «Ti terrò sempre con me, Liam. Te lo giuro. E anche se non volessi farlo» sospirò, «rimarresti comunque qui». si portò una mano al cuore. Portando la mia sopra la sua.
Non mi aspettavo che gli addii fossero tanto dolorosi. Nei film prendevo, spesso, in giro chi piangeva. Ora, mi sentivo anche io in un film, uno di quelli che però non hanno il lieto fine, uno di quelli che non hanno il “vissero per sempre felici e contenti” che tanto desideravo. «Dovresti andare a casa, Liam.» mi disse, piano, come se anche parlare, o respirare gli facesse male. Io confuso, «Sono già a casa, Zayn.» risposi. E mi riferivo non a casa mia, quelle quattro mura di Chelsea. Mi riferivo a nient’altro che le sue braccia; e lui lo capì.
Immersi gli occhi nei suoi: mi abbandonai al freddo calore delle sue iridi che sembravano parlarmi, chiedere perdono per tanto dolore. Ma io lo avevo già perdonato. Anzi, non aveva niente da farsi perdonare. Lui doveva perdonare me, di essermi innamorato così di lui, senza alcuna riserva.
Quando ci alzammo silenziosamente da terra, andai in cucina per preparare un altro tè, come se fosse la risposta a tutto, la soluzione. In fondo, mia nonna diceva sempre così. Quando tornavo a casa piangendo per qualche litigio con i compagni, piuttosto che chiedermi cosa era successo me ne preparava uno, aggiungendoci solo un po’ di miele, e mi riscaldavo dentro, come non ci fosse nulla di meglio al mondo.
Armeggiai col bollitore che in meno di un paio di minuti aveva riscaldato l’acqua, che aveva iniziato a bollire. Versai l’acqua nelle due tazze, aspettai che l’infuso la insaporisse e la colorasse, e senza chiedere, gliene passai una.
«Vieni a Wolverhampton con me» sospirai, prendendone un sorso.
«Come?» domandò per la sorpresa, riscaldandosi le mani.
«Vieni con me» ripetei. «Ma, Liam..» iniziò, «No, voglio ricordarti per sempre come quello che mi ha salvato.» dissi, guardando verso il basso e allontanandomi da lui di qualche passo.
«Liam, sai tanto di felicità, tu.» risponde di getto.
«Non dirmi queste cose, ci stiamo lasciando. E la ferita brucia» risposi serio.
Il silenzio fra di noi calò. Non eravamo in imbarazzo a stare vicini nella stessa stanza, non ci sentivamo estranei, non volevamo separarci. E io lo sentivo. Quando due persone si lasciano, non è mai così.
Il nostro era stato un lasciarci doloroso, più che arrabbiato. Niente urla, ma solo sussurri come artigli affilati a scalfire la pelle tenera del petto.
Tornò a casa circa mezz’ora dopo, avevamo bisogno di tempo da soli, entrambi. O forse nessuno dei due.
Io, anzi, no. Io volevo tutt’altro che rimanere solo, a leccarmi le ferite, col fianco destro freddo, per la sua assenza, e il cuore gelato, in silenzio. Un cuore vivo, che pompa il sangue, fa il suo dovere, ma che non ha più niente da dire, se non “addio” a qualcosa a cui era irrimediabilmente legato, che non ha più nulla neppure da sentire, perché stanco di troppe parole inutili, o solo tristi, parole che non sono dei “ti amo” sussurrati e neppure dei “rimango con te per sempre”.
Chiusi gli occhi stanchi, accasciato per terra, con la testa poggiata sulla seduta del divano.
Immaginai una vita accanto a lui. Lui essenza dei miei giorni, lui che era sorrisi anche da appena sveglio, dolci melodie nelle tarde ore della notte, albe che non tardano ad arrivare e tramonti che sembrano volersi allungare, parole sussurrate al vento e baci rubati contro le mura della notte. Mi chiesi come avrei fatto a superarlo.
E se un giorno lo avessi incontrato, dieci anni dopo? Cosa gli avrei detto?
“Ciao, come stai?”
E quando lui mi avrebbe risposto, mi sarei lasciato cullare dalla sua voce sempre così melodiosa come ninna nanne cantate a bimbi che non riescono a dormire. E in quello stesso momento avrei deciso se mentire o dirgli la verità.
E rimani.
Rimani.
Rimani.
Rimani perché senza di te niente più ha un senso. Rimani perché il caffè al mattino non sarà lo stesso, perché cercherò i tuoi occhi meravigliosi negli occhi di chiunque altro, nonostante io sappia di non poterli più trovare;  rimani perché avrò sete a vita, senza la mia sorgente; rimani, perché se le mie lenzuola non profumeranno più di te, i miei mostri torneranno e non ci sarà nessuno a proteggermi.
Rimani perché ti ho mostrato come nuotare nel mare che ho dentro.
Ti chiedo egoisticamente di rimanere, di farlo per me, che ti consegno le chiavi del mio cuore in mano,
ma te lo chiedo solo nel mio cuore,
perché non sono così egoista da farlo veramente.
Ho bisogno di te, ma non sono l’unico.
E sceglimi.
Anzi no, non farlo. Non farlo, mi sentirei in colpa a vita.
Un respiro, un singhiozzo, una lacrima, un ricordo che scivola via come granelli di sabbia al vento.
Un pensiero, che rimane chiuso nella mente, che rimane solo un pensiero.
 
 
 
Le strade di Wolverhampton erano sempre le stesse. Mai un albero tagliato o un nuovo edificio. E così lo erano le persone. Sempre gli stessi volti, forse solo un po’ invecchiati.
Zayn era al mio fianco, il destro, come piaceva sempre a lui. Stavamo vicini ma non abbastanza da toccarci, le nostre anime però si tenevano per mano e ci facevano compagnia coi piedi penzolanti giù da una terrazza immersa nel buio tranne che per qualche raggio nascente.
Qualche parola scambiata, qualche sguardo rubato, qualche sussurro nascosto.
Arrivati davanti la fatidica scuola, fu lui per primo ad alzare la testa.
Fissai gli occhi nei suoi, un attimo dopo aver guardato le mura rovinate dal tempo della mia vecchia scuola: risplendevano della luce che portava nel cuore.
Gli sorrisi alzando un angolo delle labbra. Sorrisi perché era lui. Perché era con me, e non c’era nessun ragazzino che mi picchiava, nessun graffio, livido, ferita, lenzuola bianche di ospedale, dottori, pianti, e figure nere che mi facevano visita a qualunque ora. Eravamo io e lui, davanti l’edificio che era stato palcoscenico della mia violenza fisica e psicologica ma anche della mia crescita. Mi resi conto che era “grazie” a ciò che mi era successo che mi ero formato, che ero diventato un uomo nuovo, coraggioso, capace di combattere, anche se un po’ intimidito dalla velocità con cui passano il tempo e le persone e dalla frequenza con cui i “mostri” tornavano a prendermi. Ma si sa che chi cade si rialza più forte di prima, se ne ha la volontà. Era grazie alle mie ferite, ai calci, pugni e prese in giro che in quel momento stringevo la mano dell’uomo che amavo e a cui ero irrimediabilmente legato, anche se quella era probabilmente l’ultima volta in cui lo avrei visto. Il calore della sua mano si propagava nelle mie vene, mi infondeva sicurezza, presenza viva, e avrei avuto altroché un bel ricordo di lui.
Perché non mi sarei mai dimenticato di lui. Mai, probabilmente, avrei smesso di amarlo. Mai avrei lasciato che chiunque altro al mondo si facesse spazio nel mio cuore tanto velocemente come aveva fatto lui.
E ancora una volta, rividi noi due al nostro primo incontro.
 
 
Con la macchina fotografica al collo, una mano sull’obiettivo e un’altra a carezzare le dita di Zayn, camminavo, godendomi la calma del mattino e la sensazione di dolcezza che il ragazzo accanto a me mi infondeva. Gli stavo raccontando qualche avventura della mia infanzia, per non perdermi in ricordi troppo brutti o per non pensare al nostro imminente “arrivederci”, se non un completo “addio”.
Faceva e fa paura dire “addio”, certe volte lo si dice per scherzo. Ma quando questa parola sfiora la tua lingua e non c’è ombra di sorriso sulle tue labbra, allora è tutto vero. E mette i brividi.
Un addio non è mai semplice.
E allora non dirlo.
Sorrisi leggeri apparivano sulle sue labbra, e avrei voluto dirgli di smetterla, perché lasciarlo sarebbe stato più difficile; tanto quanto era difficile tenere la bocca chiusa e non dirgli ancora che lo amavo, che con lui stavo bene, e che avrei voluto tenerlo per quanto più tempo possibile.
Era entrato nella mia vita come un raggio di sole in una giornata che non prospetta niente di buono. Era banale da dire, ma ciò che aveva fatto per me non lo era affatto. Come probabilmente nessun altro avrebbe fatto, mi aveva preso con se, pur sapendo del buco nero che era la mia anima, così sporca e piena di demoni da far paura a chiunque. E mi aveva stretto a se, dividendo per due le mie ansie, i miei mali, i miei dolori; mettendosi davanti a me a farmi da scudo nei momenti peggiori. Ecco quando, ai miei occhi, la matematica diventava una bella materia.
Stavamo passeggiando lentamente per le stradine che solo un cittadino di Wolverhampton conosce, e ridevamo del gelato che avevo fatto cadere sui piedi di mia sorella quando avevo 7 anni e un cono era pure troppo grande per la mia mano, quando vidi un viso a me conosciuto. Lo inquadrai subito, nonostante non guardasse verso noi, ma stesse squadrando il fondoschiena della ragazza davanti a se sul fondo del marciapiede dove io e Zayn stavamo passeggiando, lui: capelli biondo cenere, occhi piccoli e espressione spavalda. Mi irrigidii e il moro lo percepì quando allontanai le dita dalle sue bruscamente, per stringerle a pugno e trasformare la mia espressione in viso in una maschera vitrea e cupa.
«Liam, che succede?» domandò, frettolosamente.
Non lo vedevo da circa tre anni: Andy era lì a pochi metri da me.
E mi notò subito, poiché di persone in strada ce n’erano veramente poche.
Esitò nel vedermi, e sussultò. Una ruga gli si formò fra le sopracciglia. Ci osservavamo da lontano, camminando a rallentatore, perché una volta accanto, fermarsi e scambiare due parole sarebbe stato inevitabile.
Avrei avuto poemi interi da dirgli, parole da urlargli, dargli la colpa di tutto, soprattutto di essere andato via dalla mia vita e averla rovinata incurante, ma sapevo già che una volta davanti a lui non avrei proferito parola. «Liam? Hey.» disse Zayn, afferrandomi il braccio per scuoterlo. Seguì il mio sguardo incontrando quello di Andy che non esitò a ricambiare. «Vi conoscete?» domandò, curioso e preoccupato.
«Certo» dissi fra i denti. Pochi passi e fummo vicini a tal punto da poterci stringere la mano. Lui, appunto, la allungò, ma io non la strinsi. Non avevo voglia di toccarlo neanche per una stretta di mano. Dopo qualche secondo con la mano sospesa a mezz’aria, chiuse le dita a pugno e la abbassò, portandola al fianco. A quel punto guardandomi «Liam» disse. «Ti ricordi come mi chiamo, che piacere» risposi, chiaramente ironico.
Lui non sorrise, Zayn fece scivolare le dita dal mio gomito al mio polso.
«Come stai?» mi domandò. «Bene» risposi secco. Annuì. Volse lo sguardo verso Zayn, le cui dita erano scivolate nella mia mano e io avevo stretto. «E tu sei?» gli domandò. Il moro boccheggiò, incapace di –ormai- definirci. «Il mio ragazzo: Zayn.» lo anticipai, allora. Stavolta fu Andy a boccheggiare. «E Zay, lui è Andy» spiegai. Il ragazzo al mio fianco sussultò impercettibilmente e mi strinse la mano forte come mai prima. «Piacere di conoscerti, Andy» disse allora, senza allungare la mano, sottolineando il suo nome.
«Liam, ora ho un impegno, ma ti va se ci scambiamo i numeri e ci sentiamo di tanto in tanto?» disse.
Sussultai: non mi aspettavo queste sue parole, ma non ci pensai due volte alla risposta, e sapevo pure che non me ne sarei pentito.
«Andy, io posso perdonare, ma non dimenticare ciò che hai fatto. Credo tu sappia cosa mi sia successo da quando sei andato via. Dopo il diploma ho messo fine al mio incubo e mi sono trasferito e la mia vita e le relazioni di qui sono rimaste qui, a parte la mia famiglia. Tu non sei più parte della mia vita. Ho degli amici che mi hanno fatto scoprire la vera essenza dell’amicizia, il supportarsi nel bene e nel male, il correggersi gli sbagli a vicenda e imparare insieme a crescere. E’ ciò che avevo progettato di fare con te ma tu non me lo hai permesso, hai detto no.» parlai, un discorso piuttosto chiaro in mente. Lui aprì bocca per ribattere ma Zayn –più veloce di me- «Non fiatare» gli disse. Lo ringraziai con una carezza rapida e tornai a fissare il mio ex migliore amico. «Io ammetto di aver sbagliato a voler provare quel bacio con te, ma di te avevo piena fiducia, e credevo che nonostante sapessi che di gay non avessi nulla, mi avresti lasciato provare. Con la maturità di ora, non lo avrei di sicuro fatto, ma ero piccolo. A 17 anni si è ancora immaturi. Non ti incolpo per ciò che mi è successo, oserei dire che grazie a te vivo una vita quasi tranquilla con persone che amo», diedi un’occhiata a Zayn che piegò il labbro superiore per sorridere impercettibilmente, «e che non avrei mai conosciuto. Quindi, quasi quasi ti ringrazio, Andy. E vorrei dire che è stato un piacere vederti, ma non è così. Per cui, ciao Samuels» conclusi, tirando un sospiro di sollievo. Zayn fece un cenno col capo e si lasciò trascinare da me verso qualunque posto avessi in mente.
 
Alla fine della giornata eravamo andati a trovare la mia famiglia, a loro lo avevo presentato come un mio amico, ma probabilmente nessuno se l’era anche solo bevuta. Sulla strada del ritorno era stato il silenzio ad accompagnarci. Quando accostai davanti casa sua, una nota di imbarazzo si intrufolò fra noi e sorridere fu inevitabile. «Allora tornerai a casa» dissi, lui annuì. «Vado a Bradford per un po’, a stare con la mia famiglia. Le mie sorelle mi mancano, sarà difficile convivere con mio padre in casa sapendo ciò che pensa di me, ma lo farò. Anche per mia mamma» disse; questa volta fui io ad annuire.
«Mi mancherai» dissi io in un sospiro, «Non dirlo neppure, Liam. Devo andare, per favore.» disse, rabbuiandosi.
E di nuovo, la ferita riprese bruciare intensamente, strinsi gli occhi in due fessure.
 «Si, certo» aprii lo sportello e scesi. Lui fece lo stesso. Ci abbracciammo velocemente e quando si chiuse la porta alle spalle capii che quello era davvero un addio.
 
Tornai a casa, non avevo neppure una lacrima da versare, il dolore era tanto intenso che il silenzio era il modo che usava per esprimersi. Louis ed Harry non facevano altro che chiamarmi e mandare sms, non avevo voglia di rispondere. L’unica cosa che feci fu rispolverare la macchina fotografica, rinchiudermi nel mio studio e sviluppare le fotografie del matrimonio che era stato palcoscenico dell’inizio del mio amore per lui.
Tra gli scatti trovai una foto che di sicuro non avevo scattato io, ma Louis. Ritraeva me e Zayn mentre ci facevamo gli occhi dolci al tavolo. Sorrisi, quello non era il momento adatto per vedere le foto.
Allora, dopo aver finito, le lasciai nello studio e tornai nel soggiorno, dove abbandonai il mio corpo stanco sul divano.
Quando mi addormentai, le ombre tornarono ad abbracciarmi, e dato che non ero riuscito a sfogare le mie lacrime da sveglio, piansi nel sonno.
Aprii gli occhi al buio, avevo freddo e mi sentivo solo. Avevo le lacrime secche sulle gote e il naso gocciolava, come se avessi pianto per ore.
Dopo essermi fatto una doccia, decisi che chiamare Niall era la cosa giusta da fare, avevo bisogno di una buona dose della sua allegria. Composi il suo numero e la sua voce dall’accento incredibilmente irlandese arrivò presto alle mie orecchie. Gli raccontai velocemente della mia passeggiata con Zayn a Wolverhampton e del nostro addio, neanche ci fu bisogno di chiedere perché riattaccò dicendo “Porto qualche schifezza e qualche birra, sono da te in 15 minuti”. Occupai quei quindici minuti per rimettere a posto la stanza e sistemare i libri del corso di cui stavo saltando le lezioni e sapevo che il biondo –se ci avesse pensato- me lo avrebbe rimproverato. Fra la libreria strapiena e le scartoffie riuscii a riflettere un po’ in pace, capendo che forse lasciare Zayn era la cosa giusta per entrambi. Non ne ero sicuro, ma credevo che lui non provasse per me gli stessi sentimenti che provavo io, perché a qualcosa di così forte non si può rinunciare. Se lui avesse davvero voluto stare con me avrebbe potuto propormi di stare insieme lo stesso, di provarci, anche se suo padre non era affatto d’accordo. Una piccola bugia a fin di bene che avrebbe fatto felici probabilmente tutti, tutti forse tranne lui. L’amore continuava ad essere un tasto difficile anche solo da sfiorare per me, e la mia prima vera relazione, quella con lui, si era conclusa davvero male. Avrei dovuto prendere la mia vita in mano, non lasciarmi cadere, e andare avanti, affrontare il futuro senza lui, ma coi miei migliori amici.
Avevo chiuso con Andy, un pezzo importante del mio passato, ma causa di moltissimi dei miei dolori, e quello era stato un passo fondamentale. Conoscere Zayn e chiudere poco tempo dopo essermi innamorato di lui non era nei miei piani.
Niall mi distolse dai miei intrinseci pensieri suonando al campanello ripetutamente. Il suo modo caratteristico di suonare che permetteva a chiunque di riconoscerlo e forse avrei dovuto smettere di aprire la porta senza prima chiedere “ chi è?”.
Una ventata d’aria fresca e una testa bionda si fiondarono in casa mia non appena aprii la porta.
«Liam Payne, niente brutti pensieri oggi, altrimenti ti picchio. Oggi ci divertiamo e basta!» disse, agitando il sacchettino pieno di patatine, caramelle di tutti i tipi e pop corn in una mano e un sacco pieno di birre in un’altra.
«Niall, sei fantastico» e mi gettai al suo fianco, dopo aver chiuso la porta.
Senza pensieri, due ragazzi e quattro risate.
Zayn non mi mancava poi così tanto.
Poi ci pensai,
stavo raccontando una bugia anche a me stesso.
 
Niall passò tutta la giornata a casa mia, per ora di cena invitai Louis ed Harry, che continuavano a fingere che fra loro non fosse successo nulla. Le frecciatine di Louis erano terribili, tanto quanto i silenzi imbarazzanti dopo una risposta tagliente del riccio che se la rideva sotto i baffi. Fosse stato per lui sarebbe saltato addosso a Louis senza pensarci due volte.
Cuore pesante ma testa leggera; chi prevale?
Quando rimasi solo sistemai casa, mandai un messaggio a mia madre e le mie sorelle e mi preparai la tracolla per la lezione del mercoledì mattina.
Ricordai di aver proposto il corso di disegno a Zayn, probabilmente non ci sarebbe mai andato.
 
 
Trascorsero un paio di mesi dalla mia fine della storia con Zayn, non ci eravamo mai sentiti, e anche se qualche volta avevo preso il cellulare e fatto scorrere la rubrica fino al suo nome non avevo mai avuto il coraggio di premere il tasto di chiamata.
Ormai mi ero rassegnato all’idea che lui non mi amasse, non lo avevo dimenticato, ma qualcosa dentro me si era attutito. O almeno così credevo.
Occupavo le mie giornate fra le corse mattutine, corso di fotografia, esami e lavoro al bar.
Ogni tanto mi concedevo un’uscita con Louis alle prime luci del mattino, rincorrevamo l’alba dopo essere stati circondati praticamente dal buio per parecchie ore. Niall continuava a presentarsi a casa mia con quel bianchissimo sorriso che faceva proprio venir voglia di vivere. Certe volte lo invidiavo. Harry continuavo a vederlo praticamente tutti i giorni. Pranzava quasi sempre a casa mia, aveva una copia delle mie chiavi di casa e adorava farmi trovare il pranzo pronto a tavola. Anche lui era impegnato, si divideva fra lo studio, le prove di canto con la sua band che per me era davvero strana, il lavoro in panetteria e sua mamma che lo avrebbe voluto sempre ad Holmes Chapel.
Ogni tanto qualche ragazzo o ragazza ci aveva provato con me al bar, ma non ero mai andato oltre qualche bacio, trovavo nelle labbra di tutti il nulla in confronto alle labbra quasi setose di Zayn. Faceva davvero male ammetterlo, mi mancava, mi bruciava il cuore al solo pensiero.
Forse avrei dovuto trovare una scusa per chiamarlo, o anche solo mandargli un messaggio.
Non aveva potuto dimenticarsi di me in tre mesi. Certe cose, ami o meno, non si dimenticano.
Il suo sguardo alle prime luci del mattino, posato su quel libro che sapeva più cose di lui di quante ne sapesse lui stesso, lo ricordavo ancora benissimo.
Certe cose non si dimenticano.
Lunghe passeggiate, sorrisi spontanei, baci e carezze rubati, fotografie nascoste, papillon slacciati e respiro pesante, questo eravamo stati io e lui. E forse non avevo più niente senza lui.
E forse era meglio iniziare a lavorare sodo ed impegnarmi in qualcosa per rendere il suo ricordo più lontano possibile dalla vita reale. Allontanandomi da questo forse avrebbe potuto fare meno male.
Forse sarei tornato a ridere, come quando lui mi faceva scoppiare il cuore.





La canzone del titolo è "Apologize", dei OneRepublic. 
(che amo)

 









Ciao a tutti....
vi ricordate ancora di me? di adore you?
io si e ricordo pure di essere in un assurdo ritardo. diciamo che ho delle giustificazioni, anche se sono comunque imperdonabile.
nel mese di settembre/ottobre sono stata a Londra, da quando sono tornata a casa ho iniziato il quinto anno sudando per recuperare il mese perso, e da lì non ho più mollato lo studio. lo studio mi ruba tutto il tempo, quel poco di tempo libero che ho lo uso per uscire con i miei amici o per scrivere la tesina. e fra l'altro dopo i "recenti" avvenimenti, e il brusco allontanamento da zayn (cosa ne pensate, piuttosto?) mi hanno un po' fatto passare la voglia di scrivere, nonostante io continui ad amare gli ziam come prima. 
passando al capitolo, non odiatemi, anche se è molto deprimente. se avete suggerimenti, volete chiarimenti, critiche, qualunque cosa, contattatemi in privato o lasciate una recensione. ringrazio sempre e comunque chi è rimasto, chi segue e tutto.
gnaw, love u

-chiara

 
PS: per il banner ringrazio infinitamente la mia amorina Cris. 
quando avrò tempo lo metterò in tutti i capitoli. 
x

 
  
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