Il
giorno seguente erano tutti di nuovo all’opera sull’ottuplice omicidio. La
dottoressa Brennan era andata in laboratorio per
approfondire gli esami delle ossa. Booth, invece, era
tornato in teatro, nella speranza che saltasse fuori qualche nuovo elemento; si
era ricordato che il giorno prima non aveva chiesto se ci fossero nastri della
sorveglianza e, comunque, si era riproposto di fare domande anche nei negozi
vicini al teatro.
Sweets era immerso nella
lettura dei numerosi fascicoli che l’FBI gli aveva fornito circa qualsiasi
denuncia sporta contro qualcuno dello staff del teatro, anche quelle poi
ritirate. Non gli sembrava, però, di trovare nulla di interessante: qualche
lite per soldi risolta senza passare dalle vie giudiziarie, una fioraia aveva
querelato Timothy per averla insultata, ma aveva ritirato la denuncia dopo aver
saputo che l’uomo era disturbato; un tale era scivolato dalle scale e aveva
fatto causa al teatro che, però, era risultato non avere colpe; un’altra volta
Timothy era stato scambiato per un truffatore perché sosteneva di chiamarsi
Ernesto. Così via, tutte le denunce legate al teatro erano di questo tipo e a Sweets non sembrava di intravedere nulla che potesse far
sospettare la presenza di un serial killer.
Certo,
diverse lamentele erano state mosse contro Timothy, ma era appurato che aveva
dei disagi mentali. Erano tali da indurlo ad uccidere? Lo psicologo non poteva
stabilirlo, non avendolo ancora visto di persona.
Il
giovane stava ancora passando in rassegna le varie carte processuali, quando
trovò un altro fascicolo riguardante Timothy, questa volta di tipo ben diverso
rispetto agli altri: l’uomo era rimasto coinvolto in un incidente
automobilistico dodici anni prima, mentre tornava a casa dopo la prima di uno
spettacolo in cui interpretava la parte dell’antagonista. C’erano molti
dettagli nel rapporto, poiché Timothy non era solo in auto, ma accanto a lui
c’era la sua fidanzata dell’epoca, la prima attrice della compagnia, che era
rimasta uccisa nell’incidente. La polizia aveva quindi indagato per stabilire
se e quali colpe avesse il guidatore, tuttavia era risultato negativo ai test
dell’alcol e delle droghe, per cui si era trattato semplicemente di un colpo di
sonno che lo aveva colpito al volante, mandandolo fuori strada.
Leggendo
ciò, Sweets iniziò a pensare che i disturbi di
Timothy non fossero legati semplicemente a danni celebrali, ma che l’uomo
avesse subito un trauma molto grande che gli avesse provocato dei blocchi e avesse
interdetto parecchio le sue facoltà. Lo psicologo si affrettò, allora, a
leggere il resto del fascicolo e quindi scoprì che, nell’ultimo spettacolo in
cui aveva recitato, Timothy aveva interpretato un demone geloso dell’amore di
una fata, interpretata dalla sua fidanzata, a tal punto da arrivare ad
ucciderla.
Sweets stava
riflettendo attentamente, iniziava a vedere più chiaramente il disturbo di
Timothy: aveva una teoria e doveva assolutamente verificarla. Decise, dunque,
di andare al Jeffersonian per farsi aiutare da Angela
nel controllare alcune informazioni. In realtà avrebbe potuto controllarle
anche da solo su uno dei computer dell’FBI, ma preferiva poter conversare con
qualcuno, durante le ricerche; inoltre l’angelatron
era un computer davvero meraviglioso e gli ricordava le apparecchiature
tecnologiche che vedeva nei fumetti o nei film.
Si
recò al Jeffersonian e, una volta trovatosi con
l’artista, le chiese aiuto. La donna prese il tablet
con cui comandava il computer e si preparò alla ricerca.
“Dimmi
tutto Sweets, che cosa stiamo cercando?”
“Vorrei
sapere che spettacolo era in scena il 22 febbraio del 2006 al Round House.”
Era
la data in cui la signora aveva sporto denuncia per gli insulti.
“D’accordo
… Il Pigmaglione
di Shaw.” disse Angela.
“Lo
sospettavo …” annuì lo psicologo, meditabondo “Il quindici maggio del 2009?”
“L’importanza di chiamarsi Ernesto a
quanto pare.” rispose l’altra, dopo aver cercato “Ma a cosa ci servono queste
informazioni?”
“Ho
una teoria. Credo che Timothy, il factotum del teatro, sia il nostro serial
killer.”
“Wow!
Ma questo cosa c’entra?”
“Ritengo
che lui viva dei momenti di alienazione della realtà e che confonda la finzione
con la vita vera. Infatti, quando Booth ha provato a
fargli delle domande, lui non ha risposto, ma ha recitato dei pezzi di teatro.
Nel maggio del 2009, Timothy andava in giro affermando di chiamarsi Ernesto:
scommetto che ripeteva esattamente le battute del copione di Wilde. Mentre
quanto ha offeso la fioraia, probabilmente si credeva il professor Higgins e di trovarsi di fronte Eliza.”
“Stai
dicendo che quest’uomo assiste agli spettacoli e si immedesima in ciò che vede
al punto da crederlo reale e portarlo fuori dal teatro?”
“Esattamente!”
“Mi
sembra così … strano!”
“È
follia, infatti; non sono ancora, però, sicuro del tutto, devo capire bene come
è nato questo suo straniamento. L’incidente che ha subito, c’entra sicuramente:
lui si sente in colpa per la morte della sua fidanzata e, per sopportarla
meglio a livello emotivo, associa la morte reale a quella in scena. In questo
modo il suo inconscio lega in maniera indissolubile la realtà e la finzione ed
è per questo che non li riesce a distinguere. Io sono sicuro che lui abbia
commesso gli otto omicidi e che in quei momenti lui stava agendo come i personaggi
assassini sul palco. Forse nemmeno ricorda gli omicidi o, forse, li ricorda
come non fatti da lui, ma dai personaggi. Devo, però, approfondire meglio il
trauma iniziale e capire come mai li ha portati tutti nello stesso luogo:
insomma, commettere gli omicidi in un luogo nascosto, sembrerebbe indicare una
certa lucidità. Devo parlare con questo Timothy e capire.”
“C’è
una cosa che non mi torna.” disse Angela “Se le cose stanno come sostieni tu,
otto omicidi in dieci anni non sono, paradossalmente, pochi? Insomma, il teatro
è pieno di morti!”
“Le
trame, sì; ma spesso le uccisioni avvengono fuori scena, per evitare le
difficoltà nell’inscenare morti sanguinose. Solitamente sul palco si vedono dei
suicidi, solo raramente omicidi.”
“Capisco.”
“Comunque,
controlliamo tutte le opere che sono state rappresentate al Round House e
sinceriamoci che non ce ne siano state altre che avrebbero potuto suscitare i
suoi istinti omicidi.”
Scorrere
tutti e quanti titoli delle opere richiese un po’ di tempo, ma confermò che
quelle a cui avevano preso parte le vittime erano le uniche rappresentazioni in
cui la morte era messa in scena davanti al pubblico.
Sweets era
soddisfatto, era certo di essere sulla pista giusta, per cui telefonò a Booth, informandolo delle sue scoperte e gli domandò che
cosa volesse fare. L’agente, ovviamente, optò per interrogare il sospettato,
nonostante si innervosisse già al pensiero che Timothy non sarebbe stato
affatto collaborativo e che, probabilmente, avrebbe vaneggiato a lungo,
portandolo allo sfinimento. Lo psicologo gli disse di non portare l’uomo in
centrale: riteneva fosse meglio interrogare Timothy nel suo ambiente; la sala
degli interrogatori dell’FBI avrebbe certamente spaventato quell’uomo già fin
troppo disturbato e con ciò si sarebbe rischiato di farlo sragionare
completamente. L’ambiente del teatro, probabilmente, era più idoneo a quella
conversazione e, forse, avrebbe reso più semplice ottenere una confessione. Gli
interrogatori, tuttavia, dovevano avvenire in presenza di un procuratore
federale e, quindi, Sweets convinse la signora Julian a recarsi con lui al Round House, affinché tutto
avvenisse secondo le norme ed evitare che un’eventuale confessione fosse poi
invalidata da un qualsiasi avvocatuncolo.
Caroline
fu contenta di uscire dagli uffici e, per una volta, svolgere il proprio lavoro
in un ambiente differente; per tutto il tempo del tragitto, non fece altro che
notare quanto l’automobile dello psicologo fosse migliore della sua.
I
due federali entrarono nell’atrio del teatro e si guardarono attorno in cerca
di Booth. Si fece loro incontro la signora Stone,
domandando: “Siete quelli dell’FBI che l’agente sta aspettando? Si trova in
platea perché Timothy sta pulendo il palco. Ma davvero sospettate di lui?”
“Sospettiamo
di chiunque.” rispose la procuratrice “Quindi, se vuole confessare lei, per me
va più che bene.”
La
signora Stone non disse altro, ma fece cenno verso il corridoio che li avrebbe
portati alla platea. I due andarono; per fortuna la sala era illuminata, Booth era seduto in prima fila e teneva gli occhi puntati
contro Timothy che, non curante, passava lo straccio sul pavimento, mormorando
tra sé e sé quello che, probabilmente, era il monologo di un qualche servitore
di una commedia. Lo psicologo lo osservò per un poco, cercando di studiarlo:
era la prima volta che lo vedeva dal vivo e, quindi, voleva capire come fosse
meglio comportarsi. Assicuratosi che l’agente avesse letto i suoi diritto al
sospettato, Sweets fece cenno alla signora Julian e a Booth di rimanere in
platea, mentre lui imboccò la scaletta laterale per salire sul palco. Si
avvicinò al sospettato e, con tranquillità, lo salutò: “Ciao Timothy.”
L’interpellato
si rivolse alla platea, dicendo: “Eccolo! Finalmente si è svegliato: non si
alza mai prima di mezzodì! Eh, lui mica deve lavorare, lui nemmeno sa cosa sia
il lavoro. dice sempre di essere occupatissimo ma a far cosa lo sa solo lui!”
poi si voltò verso il giovane e gli rispose “Eccellenza, ben svegliata! Avete
dormito bene? Il sonno vi ha ristorato? La vostra preziosa mente ha potuto
riposare, per rimettersi all’opra oggi?”
Booth ridacchiò tra
sé e sé. Sweets non si lasciò impressionare e iniziò
l’interrogatorio: “Timothy, vuoi raccontarmi che cos’è successo a Susanne, l’attrice che recitava con te, la tua fidanzata?”
“Susanna?!”
si illuminò l’uomo “Oh, presto ci sposeremo. Il Conte che l’ospita ci ha anche
regalato un letto matrimoniale. Stamattina sono andato a prendere le misure del
letto, per vedere se starà nella casa. Susanna mi ha detto che, però, teme che
il Conte voglia sedurla, ma noi troveremo un modo per farlo smettere, anche la
Contessa ci aiuterà.”
Sweets sospirò,
capendo che Timothy stava rispondendo come avrebbe fatto Figaro: effettivamente
in quell’opera c’era un personaggio di nome Susanna. Decise, allora, di parlare
della donna, usando il nome del personaggio che aveva interpretato prima di
morire.
“Cleonice, la bella fata che viveva su questo scoglio, dov’è?
Ha abbandonato il luogo in cui era stata condannata a rimanere a causa della
maledizione di un demone.”
“Sì!”
ringhiò Timothym con ferocia “La maledetta! L’ingrata
che ha rifiutato il suo amore! Lei tutto era per me e io tutto sarei stato, le
avrei dato ogni cosa, sarebbe stata una regina! Io le ho lanciato il
sortilegio: mai avrebbe potuto lasciare quello scoglio, o la morte l’avrebbe
colta! Se non potevo amarla io, nessuno l’avrebbe potuta amare … Anzi! Chi osasse
corteggiarla, finirebbe affogato nel fiume, tentando di raggiungerla … Ma lei,
malvagia, è fuggita; credeva di aver trovato il bacio d’amore che l’avrebbe
salvata, ma l’uomo la rifiutò, dopo aver scoperto i suoi crimini. La mia
maledizione l’ha uccisa. Lei è morta. Io sono il suo assassino!”
Sweets capì che
Timothy era in uno stato confusionale maggiore, rispetto a prima, in cui i
confini tra realtà e finzione erano ancora più labili, a causa del ricordo.
“Come
l’hai uccisa?” chiese lo psicologo: sul fascicolo lo si era classificato come
un tragico incidente, ma lui voleva sentire come lo percepiva il folle.
“Ho
ucciso entrambi … Io l’amavo … anche lei diceva di amarmi, ma mentiva! L’ho
vista con Richard e poi anche con Francois …
bugiarda, ingannatrice! Si prendeva gioco di me e del mio cuore … Doveva essere
punita … ma io non potevo vivere senza di lei … Eravamo in auto e io ho visto
il muro … ho accelerato … lo schianto …! Siamo morti.”
“Come
siete morti?” domandò Sweets, iniziando a intravedere
uno stato dissociativo, oltre che alienato “Lei è morta, tu sei qui.”
“
…no…”
“Non
sei Timothy?”
“No.”
fece cenno col capo “Timothy è morto. Timothy e Susanne
sono assieme … sono felici, insieme.”
“Tu
chi sei?”
“Per
me non esiste altro che quello che non esiste.”
Sweets colse la
citazione dal Macbeth; sospirò e scosse la testa: Timothy era completamente
pazzo.
“Tu
c’eri, vero? Quando la punizione divina ha colpito don Giovanni, quando Otello
ha soffocato Desdemona, Faust ha trafitto Valentino, il conte di Glouchester veniva assassinato, quando Giulio Cesare cadde
sotto i colpi dei congiurati, Cassandra perì per mano di Egisto
e Dama Lionora bevve il fatale veleno. Tu c’eri,
vero?!”
Timothy
aveva lo sguardo perso nel vuoto, la bocca semiaperta, il labbro tremante; sembrava
che davanti agli occhi gli scorressero le immagini di mille fantasmi,
vorticando in rapida sequenza, confondendosi l’una nell’altra.
L’uomo
annuì e con un filo di voce disse: “Sì … c’ero … li ho visti … li ho visti
tutti ...”
“Dov’erano
gli assassini? Dov’erano Otello, Faust, Bruto, Egisto
e tutti gli altri?”
“
… non lo so … Loro … loro non potevano venire, avevano bisogno di un corpo …”
“Di
un corpo?”
“Sì.”
“E
visto che Timothy era morto, hanno usato il suo corpo?”
“Sì,
esatto! Loro mi dicevano di portare quelle persone in un posto segreto, così
potevano compiere ciò che dovevano.”
“Dov’era
quel posto segreto?” Sweets lo chiese per poter avere
un elemento ulteriore per confermare che
Timothy aveva davvero commesso gli omicidi e non era stato indotto alla
confessione tramite una manipolazione.
“Un
cinema … vecchio … non ci va più nessuno.”
“Come
si chiama?”
“Crystall …”
“Perché
hai scelto quel posto? Era importante per Timothy?”
“Sì
… andava sempre lì a vedere i film da bambino e lì gli è venuta voglia di fare
l’attore.”
“Timothy”
Sweets cercò le parole “Tu non sei morto, quegli
omicidi li hai commessi tu. Quelle morti sono reali, non sono periti dei
personaggi, ma persone vere. Nascondi tutto dietro il teatro e porti la
finzione nella realtà, ma in cuor tuo sai perfettamente che cosa hai fatto: hai
ucciso otto persone.”
L’uomo
parve stupito, confuso, tentò di negare, ma poi si portò le mani al capo e urlò
disperatamente e, tra un grido e l’altro, si sentiva: “Schiudi, inferno, la
bocca, ed inghiotti nel tuo grembo l'intero creato: sull'ignoto assassiso esecrato le tue fiamme discendano, o Ciel. O gran
Dio, che ne' cuori penètri, Tu ne assisti, in Te solo fidiamo: da Te lume,
consiglio cerchiamo a squarciar delle tenebre il vel!
L'ira tua formidabile e pronta: colga l'empio, o fatal
punitor; e vi stampa sul volto l'impronta : che
stampasti sul primo uccisor.”
Sweets scese dal
palco, si avvicinò ai suoi due colleghi, scosse il capo e disse: “L’assassino è
sicuramente lui, ma inevitabilmente è un caso mi malattia mentale. Non è in
grado di intendere e di volere, bisogna ricoverarlo in un istituto
psichiatrico.”
“Meno
male.” sospirò Caroline “Di solito preferisco sbattere al fresco gli assassini,
tuttavia vedo anch’io che questo è pazzo come un cavallo e l’avvocato d’ufficio
che gli assegneranno non muoverà certo obiezioni, circa l’internamento. Ben
fatto, chery. Booth procedi
con l’arresto.”
L’agente
si alzò in piedi ed estrasse le manette, lo psicologo decise di seguirlo, per
tranquillizzare Timothy, nel caso di una reazione violenta.