Serie TV > The Walking Dead
Segui la storia  |       
Autore: _yulen_    08/06/2015    2 recensioni
Yekaterina Danilenko è una ragazza di origine russe, ma che prima dell'Apocalisse abitava a Fargo, un piccolo paesino in Georgia. Orfana di madre, morta dandola alla luce, è cresciuta con il padre che nonostante la mancanza della moglie, è riuscito ad educarla.
All'età di cinque anni fa la conoscenza dei fratelli Dixon e da lì nasce una profonda amicizia che l'accompagnerà per tutta l'adolescenza, ed è proprio in quel periodo che si innamora di Daryl, il minore dei due fratelli.
Quando i morti iniziano a risorgere, Kate sa che potrebbe morire da un momento all'altro, ma non vuole andarsene senza prima essere riuscita a dichiarare il suo amore.
Tra fughe da orde di vaganti e lotte per sopravvivere, Kate dovrà riuscire a trovare il coraggio di confessare al suo amico di vecchia data i suoi sentimenti e un'altro piccolo segreto che potrebbe distruggere la loro amicizia.
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daryl Dixon, Merle Dixon, Nuovo personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
 
 
 
 
Capitolo26
 
 
 
 
 
 
 

Le successive quarantotto ore dalla nostra sosta alla chiesa passarono velocemente.
Le condizioni della mia caviglia erano peggiorate, durante la prima notte aveva continuato a gonfiarsi e il mattino, quando provai a mettermi in piedi, una fitta acuta mi fece perdere l’equilibrio.
Questo mi costrinse a cambiare i miei piani e perciò soggiornammo lì per due giorni. Volevo rimanere più a lungo e recuperare un po’ di forze, ma il cibo nel mio zaino stava iniziando a finire e anche l’acqua aveva iniziato a scarseggiare. C’era rimasta una sola borraccia e presto o tardi avremmo dovuto lasciare il nascondiglio per muoverci.
Sfortuna volle che durante la notte del secondo giorno, in seguito ad un urlo di Sophia che aveva avuto un incubo, degli zombie iniziarono ad accalcarsi sulla porta principale e sulle finestre, rompendo i vetri ed entrando, miracolosamente riuscimmo a scappare usando l’uscita presente nell’ufficio del prete e trovammo una sistemazione momentanea dentro una tenda da campeggio.
Il proprietario, ormai morto, ondeggiava appeso ad un albero, nella sua testa c’era un dardo dagli impennaggi gialli e arancioni, e l’unica persona a cui riuscii a pensare in quel momento fu Daryl. Anche se sapevo che chiunque avrebbe potuto usare armi silenziose come la balestra, pensare che quella freccia appartenesse a lui mi dava speranza. Speranza che ci saremmo ricongiunti e che tutto sarebbe andato bene.
Dentro la tenda trovai un kit di primo soccorso al cui interno, tra garze, cerotti e bende, erano riposti antidolorifici, antibiotici e anche antinfiammatori che usai per prendermi cura del piede. Mancava il ghiaccio, ma mi sarei fatta bastare ciò di cui ero entrata in possesso.
Anche quella notte rimasi sveglia a fare la guardia, mentre Sophia si addormentò subito. Il suo sonno però non fu tranquillo, di tanto in tanto sentivo il suo respiro diventare agitato, ma non capivo se stesse piangendo o tremando per il freddo e spostarmi dalla posizione nella quale mi ero messa, l’avrebbe svegliata.
La ragazzina si era distesa dietro la mia schiena rannicchiandosi nel sacco a pelo e rimanendo in posizione fetale, non si mosse fino al mattino, quando un uccellino si posò su un ramo dell’albero e iniziò a cinguettare così forte per richiamare altri suoi simili.
Se non fossi stata così nervosa avrei trovato quella scena commovente, ma la privazione del sonno riusciva a rendermi una persona estremamente burbera, e infastidita da quel baccano, lanciai un rametto nella loro direzione per farli allontanare.
Gli animaletti si librarono in volo con un verso più stridulo degli altri e fu in quel momento che Sophia scattò a sedere e iniziò a voltare il capo a destra e a sinistra in modo frenetico.
«Va tutto bene» la rassicurai. «Era solo un uccello».
Si stropicciò gli occhi per eliminare ogni traccia di stanchezza e non convinta delle mie parole si sporse oltre la mia spalla per verificare fosse vero, quando non vide nulla e non sentì niente se non il rumore delle foglie muoversi, tornò nella sua precedente postura.
Presi dal mio zaino l’ultima barretta energetica e gliela porsi cosicché potesse mangiare.
«Oggi dobbiamo torneremo sull’autostrada, faccio ancora fatica a camminare e questo vuol dire che dovrai starmi vicina, chiaro?».
Mi guardò spalancando gli occhi e sorrise da orecchio ad orecchio, era la prima volta che la vedevo sorridere da quando ci eravamo allontanate dal gruppo e vederla così fiduciosa mise di buon umore anche me, forse un po’ di positività era ciò che ci voleva.
Lasciai che la bambina facesse colazione nascosta nella tenda, io mi allontanai solo il tempo di raccogliere dell’acqua e una volta essere tornata indietro ed averla bollita, riprendemmo a camminare.
Era tardo pomeriggio quando trovammo alcuni tronchi incisi e capendo di essere giunte in prossimità dell’autostrada, accelerai leggermente il passo.
Pregustavo già il momento in cui ci saremmo riunite con il gruppo tra fiumi di lacrime, abbracci e rimproveri per essere state così sconsiderate, ma la mia gioia durò poco. Nel silenzio del bosco sentii il suono di un scalpiccio dalla cadenza irregolare e trascinata, gli occhi che prima guardavano il terreno si alzarono per vedere che due zombie stavano marciando verso di noi. Subito se ne aggiunse un altro, e poi un altro ancora fino a diventare quattro.
Cazzo!
Trascinai Sophia dietro un cespuglio per proteggerla raccomandandole di non muoversi e di non fare rumore, impugnai la pistola e sparai quattro volte senza mancare mai il bersaglio. Erano troppi per usare il coltello e non avevo le forze necessarie per uno scontro del genere.
Tornai dove avevo lasciato la ragazzina e la invitai ad uscire, ma non fui abbastanza accorta perché dal nulla uscirono altri tre non morti.
«Corri!» urlai.
Mi voltai verso quei vaganti per sparargli, ma quando sentii Sophia urlare preoccupata per la sua incolumità, girai nuovamente la testa; due di loro erano sbucati da dietro un albero e la stavano per raggiungere.
Presi la mira e premetti il grilletto due volte, mancandone uno. Usare la pistola era una mossa stupida, ma non avevo scelta se volevo sopravvivere, inoltre speravo che se fossimo state abbastanza vicine al gruppo, loro mi avrebbero sentita e sarebbero arrivati. Nessuno però udì quegli spari e in poco tempo io e Sophia ci trovammo a combattere da sole.
Eliminai i vaganti che erano dietro di me e corsi verso la ragazzina che stava scappando da un non morto, ma come sorpassai un albero un altro errante mi spinse contro il tronco dove un rametto si conficcò nella carne della spalla, fino a toccare la scapola. La forza dell’impatto mi mozzò il fiato in gola e restai con le labbra aperta per svariati secondi, fino quando sentii un bruciore e poi un liquido caldo scivolarmi lungo la schiena e il braccio. Digrignai i denti e portai una mano alla bocca premendo con forza per non far uscire l’urlo di dolore che sfogai attraverso le lacrime.
Mi dimenai per sottrarmi a quella presa, ma il non morto non sembrava intenzionato a lasciarmi andare e tirava con tutta la sua forza, avvicinandomi ancora di più verso di lui.
Giuro che se sopravvivo taglierò tutti i dread.
Afferrando il braccio del vagante lo piegai con forza verso l’esterno fino quando sentii il rumore dell’osso rompersi e approfittando di quel momento, accoltellai lo zombie alla tempia.
Mi girai per raggiungere Sophia che proprio in quel momento lanciò un urlo così forte da spaccare i timpani, lei era distesa a terra e con le braccia cercava di tenere lontano lo zombie che l’aveva atterrata.
Merda!
Senza pensarci due volte presi impugnai la pistola e sparai l’ultimo colpo rimasto. Eravamo già fottute e peggio di così non poteva andare.
Corsi velocemente verso la bambina e spinsi di lato il cadavere dell’errante che si era afflosciato sul suo corpo.
«Sei stata morsa? Graffiata?» domandai guardandola in modo frentico.
«No, ma mi fa tanto male la testa» disse flebilmente.
Mi inginocchiai dietro la sua schiena per verificare l’entità del danno e vidi del sangue uscire da una grossa ferita, i suoi capelli ramati avevano già assunto un colore più rosso e alcune goccioline erano finite sul colletto della sua maglia azzurra.
Le tolsi il cerchietto che portava, presi il suo volto tra le mani e la guardai negli occhi.
«Non devi addormentarti, chiaro? So che inizi ad avere sonno, ma resta sveglia» la incitai.
«Andrà tutto bene. Devi solo resistere, ok?» continuai sperando di darle coraggio.
Da lontano giunse il suono di altri gemiti e non avendo più né proiettili, né la forza di combattere, presi Sophia in braccio sfruttando quel momento in cui l’adrenalina era ancora in circolo per fare quell’ultimo, piccolo sforzo.
Corsi nel bosco seguendo i segni sugli alberi, i lamenti dei non morti fortunatamente si affievolirono fino a sparire completamente e anche se eravamo fuori dal loro raggio olfattivo sapevo di dover continuare a muovermi. La perdita di sangue però mi rese ancora più debole e non riuscendo più a reggere tutta quella pressione, mi fermai e posai la ragazzina all’ombra di un albero.
Ogni fibra del mio corpo mi faceva male a partire dalla caviglia fino alla testa che sembrava sarebbe scoppiata da un momento all’altro. La gola era talmente secca che facevo persino fatica a deglutire e la ferita alla spalla aveva iniziato a bruciare.
Estrassi dallo zaino la borraccia e bevvi a piccoli sorsi tenendo l’acqua in bocca per alcuni secondi prima di inghiottire. Reclinai la testa all’indietro quando sentii il liquido scivolare lungo la gola e lasciai che un sospiro di pura estasi uscì dalle mie labbra.
Mi inginocchiai vicino a Sophia e allungai il braccio verso di lei.
«Tieni, devi rimanere idratata» dissi.
Quando non rispose, convinta che stesse dormendo, la scrollai leggermente, ma il suo corpo ad ogni mia scossa si mosse come se fosse stato una bambola di pezza e subito andai nel panico.
No, no, no!
Mi avvicinai con l’orecchio alla bocca sperando di sentirla respirare, ma al mio udito non giunse nulla, le tastai il polso per controllare il battito cardiaco e quando non lo sentii, agii d’istinto; le tappai il naso, soffiai aria per due volte, feci quindici compressioni sul torace e appoggiai l’orecchio vicino la bocca per controllare se avesse ripreso a respirare, ma anche quella volta non sentii nulla.
Andiamo!
Ripetei quell’operazione per cinque volte, non volevo arrendermi all’idea che se ne fosse andata e solo dopo altri inutili tentativi accettai l’idea che lei se ne fosse andata.
Alcune lacrime iniziarono ad offuscare la mia vista fino quando non riuscii più a distinguere le sagome degli alberi che si fondevano con il resto del paesaggio. Grossi goccioloni scesero dalle mie guance per finire su quelle della ragazzina e mi sentii così arrabbiata con il mondo che sarei riuscita ad uccidere da sola tutti gli zombie presenti sul pianeta.
Tirai su con il naso e asciugai gli occhi con il palmo, presi il suo corpo e lo strinsi come se da quello dipendessero le nostre vite.
«Saresti dovuta crescere bella e forte come tutte le bambine, crearti le tue amicizie, stare vicino alle persone care e vivere, non morire».
Io avevo mentito. Le avevo detto che l’avrei riportata dalla madre, che sarebbe sopravvissuta e sarebbe tornata a giocare presto con Carl e invece tutti quei progetti erano andati in fumo. Non avrebbe più visto un’altra alba, non avrebbe riabbracciato Carol, né passato i pomeriggi con il suo amico. Sarebbe morta lì, nel bel mezzo del nulla, in un bosco, alla fine del mondo e tra le braccia di una persona che le aveva promesso una salvezza che non aveva saputo darle.
Cercai di alzarmi in piedi per prenderla in braccio e portarla dalla madre affinché potesse almeno seppellirla, ma la caviglia non mi permise di fare un simile forzo, la spalla era così mal ridotta che come tentai di sollevarla da terra sentii l’osso della scapola scricchiolare.
«Fanculo!» urlai nuovamente quando caddi a terra.
Appoggiai la schiena contro un grande masso e l’attirai a me, sedendola sulle mie gambe e tenendo il suo capo appoggiato alla mia spalla. Dovevo colpirla alla testa per impedire che si trasformasse, ma il coraggio venne meno. Guardando il suo viso con gli occhi chiusi e le labbra leggermente schiuse mi sembrò ancora più indifesa di quando non fosse in realtà.
«Mi dispiace».
Strinsi con forza il manico del coltello per e lo portai all’altezza della sua fronte.
«Kate!?».
Alzai il capo lentamente e sobbalzai colta alla sprovvista, la presa attorno l’arma si affievolì quando girandomi vidi Rick e Shane, entrambi con un’espressione di smarrimento sul volto.
Lo sguardo dell’ex sceriffo si fermò prima su Sophia e poi su di me, e non riuscendo a reggere il confronto girai la testa. Non mi servivano le loro occhiate cariche di risentimento, lo sapevo da sola di essere stata completamente inutile.
«Cos’è successo?» domandò.
«I-i-io… lei è…» deglutii non riuscendo a dire quella parola.
Lei è morta, non sono riuscita a proteggerla.
All’improvviso Sophia iniziò a tossire, lamentandosi e dimenandosi.
Sentendo di nuovo la speranza nascere la distesi a terra, le presi il viso tra le mani e guardandola negli occhi vidi come le sue pupille fossero dilatate fino a non riuscire più a vedere le iridi colorate.
«Sophia, mi senti?» la chiamai piano. «Sophia, sono Kate. Riesci a sentirmi?».
La bambina non rispose, continuò a rantolare e tossire allo stesso istante, l’unica cosa che mi venne in mente di fare era soffiare altra aria nei polmoni sperando che quella bastasse a farla rinsavire, ma fu tutto inutile. Lei continuava a non respirare bene e aveva iniziato a diventare cianotica.
«Dobbiamo portarla da Hershel» disse Rick.
«Chi diavolo è Hershel?» domandai non conoscendo quel nome.
«Un veterinario, ma se la cava bene anche con le persone» intervenne Shane che mi aiutò a rialzarmi.
Intende appenderla al soffitto e farla essiccare come un salame?
L’ex sceriffo prese in braccio la ragazzina facendo passare una mano sotto le gambe e l’altra attorno la schiena, ma io lo fermai.
«Se la muovi così rischia di soffocare, dovrai trasportarla da seduta».
Rick spostò Sophia su un braccio e fece in modo che le gambe della bambina fossero poste ai lati del suo bacino, tenne l’altra mano sulla sua nuca cosicché il capo non cadesse all’indietro e iniziò a camminare verso la direzione dalla quale erano arrivati.
Feci alcuni passi anche io, ma la testa iniziò a girare vorticosamente. Avvertii un forte senso di nausea misto a vertigini e persi l’equilibrio, i miei occhi si chiusero da soli e quando li riaprii vidi il verde delle chiome degli alberi filtrare il giallo dei raggi del sole.
Sto avendo le allucinazioni?
Aggrottando la fronte sbattei le palpebre più volte prima di riuscire ad alzare la testa reclinata e vedere un volto dai lineamenti duri circondare due occhi marroni che celavano qualcosa di oscuro.
Non ce la faccio.
Sentivo il cuore pesante e un grosso macigno premeva ancora sul mio petto, impedendomi di respirare.
 
«Non mollare proprio ora».
 
Una voce lontana mi spinse a rimanere sveglia e a non cedere alla stanchezza, ma per quanto volessi tenere gli occhi aperti, l’affaticamento al quale ero stata esposta ebbe il sopravvento.
Non ce la faccio.
Ripetei nella mia testa, lentamente le palpebre si chiusero e il mio corpo si fece più leggero.

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

*angolo autrice*
La faccio breve perché non ho molto da dire, anzi, non ho proprio nulla da dire se non che ho intenzione di smettere di fare promesse
che so di non riuscire a mantenere.

Sono stata su questo capitolo tutto il giorno e solo ora mi sento soddisfatta di come è venuto, i capitoli rimarranno sempre due per mese,
ma non ho idea di quando li pubblicherò, quindi il capitolo ventisette ci sarà ma non so quando.

Vi saluto e alla prossima
 
yulen c:

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The Walking Dead / Vai alla pagina dell'autore: _yulen_