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Autore: Knetgummi    08/06/2015    3 recensioni
[Ex "Canarini al microonde"]
*ATTENZIONE: STORIA INCOMPIUTA*
Michele è un ragazzo come tanti altri. Né magro ne grasso, né basso né alto, occhi e capelli castani come il novanta percento della popolazione italiana. Suona il basso, legge tanto e si barcamena tra la scuola e una madre opprimente che lo crede etero -- cioè, non che lui non si definisca un uomo etero, ma sua madre lo crede una ragazza a cui piacciono i ragazzi. L'unica cosa che ha di diverso da un qualsiasi adolescente, infatti, è che non è nato maschio.
Poi arriva Valentino, che cercando di dare un senso alla sua vita di universitario mancato si ritrova faccia a faccia con la forza, il carattere, il fascino, il culo di Michele.
Genere: Drammatico, Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: Incompiuta
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Canarini al microonde - Prologo
NOTA IMPORTANTE: questo prologo è stato scritto un anno e mezzo prima del primo capitolo, pertanto lo stile dello stesso è molto diverso da quello della storia vera e propria. Se il prologo vi fa cacare -- cosa comprensibilissima, dato che sono il primo a non apprezzarlo -- vi invito gentilmente a dare una chance ai capitoli seguenti.
Se vi fanno cacare anche quelli, beh, lasciate pure perdere. Scrivo questo avviso solo per dissociarmi dal me di due anni fa. Odio il me di due anni fa.
Pesce and love.
-Knetgummi



Prologo


C'era una volta una coppia di innamorati.

Giulia, così si chiamava la fanciulla con le farfalle nello stomaco, era la più graziosa figlia di due famosi avvocati della città. Ogni giorno, nella sua cameretta dalle pareti rosa, tra le ore di lezione al classico, i compiti a casa e i serali impegni famigliari – che richiedevano quanti più attenzione, bon-ton e buon gusto nel vestire possibili – perdeva i pomeriggi fantasticando sul suo bel Marco.

Il prode giovine era, anche lui, di buona famiglia, e si capisce, essendo figlio di un celebre medico figlio di un celebre medico figlio di un celebre medico della città. Sua madre, buona donna, non era altro che una nullafacente che aveva perso i migliori anni della sua vita a buttare all'aria il suo futuro, cioè a studiare filosofia all'università; ma pure era di buona famiglia, e così il bel Marco crebbe felice e contento, e mai che gli mancasse qualcosa, anche il più piccolo capriccio di primoeunicogenito.

Si conoscevano da anni per nome, per fama e per sguardi maliziosi scambiati per i corridoi del liceo, ma si conobbero per la prima volta diciottenni, in disco: tra chiome ricciute, musica kitsch e abiti pacchiani con spallacce imbottite come la moda del momento imponeva, così che una normale serata a ballare aveva tutto l'aspetto di una partita di football americano.

“Ehi, quello sulla pista, che ti sta guardando, non è Damiani? Quello che ti fa la corte?”, dissero a Giulia le sue amiche, mentre il gruppetto capeggiato ovviamente dalla ragazza chiacchierava vicino al bancone. Come in un film, Giulia girò la sua testa di capelli biondi e cotonati verso Marco, illuminato dalle strobo e da un raggio di luce blu. E fu amore a prima vista, più o meno.

La giovane piantò in asso le adoranti subordinate e si dedicò alle danze con il suo cavaliere, per tutta la sera e oltre. Si conobbero, si piacquero e così fecero i loro genitori poco dopo, ben felici di quell'unione fiabesca, di bella facciata e ricca sostanza patrimoniale.

Era destino. Quello stesso gruppetto di amiche di Giulia, un po' più mature e tutte agghindate per l'occasione, si trovò ad urlare “Viva gli sposi!” e a tirare riso ai novelli marito e moglie in perlaceo vestito a sirena e abito da cerimonia color panna. Era un 25 giugno sotto un sole cocente, anno 1991.

“Era destino”, dissero tutti, “che due così bei ragazzi finissero per convolare a nozze. Laurea in giurisprudenza lei, in medicina lui, belle famiglie di sani valori, matrimonio in Chiesa come Iddio comanda, amen.”

E furono felici e contenti. Per anni nulla andò mai sbagliato a questi principe e principessa dei nostri giorni che, stretti per mano, guardavano sereni il tramonto del secondo millennio.

Tutto era stato programmato molto prima del 25 giugno, molto prima del giorno in cui si erano incontrati in discoteca, molto prima della loro nascita. Li precedeva una lunga serie di orme continuamente ricalpestate, una strada inerpicantesi tra oscuri luoghi comuni e asfaltata di status quo, piacevole allo sguardo dei novelli sposi e del pubblico. Non è possibile perdersi su un sentiero così sicuro, vi pare? Come sarebbe potuto saltare in mente, a Giulia e Marco, che il fato aveva tirato a sorte, e che la strada sulla quale si sarebbe schiantata una frana sarebbe stata proprio la loro?

Il 16 settembre del 1997 l'ormai signora Damiani andò a dormire, con tutto il suo pancione gonfio di calci di bebé, nella camera da letto nell'angolo a sud-ovest della villa nella bassa bresciana che il marito aveva ereditato dallo zio scapolo. La mattina presto alle quattro precise se ne svegliò piena di dolori dando gomitate al suo sposo. “Meno male che alle quattro di mattina in strada non c'è coda, perché gli Spedali Civili sono abbastanza lontani, e so quanto ci tieni a partorire lì, tesoro – lì dove sei nata tu e dove è nata tua madre e dove è nata tua nonna.”

Era il 17 settembre 1997, ore 10:32, quando un pianto ruppe il brusio nella sala parto. “È andato tutto bene.” Ovvio, cara infermiera sottopagata di un ospedale pubblico, e il motivo non è che è già il secondo parto della signorina. È che non poteva che andare così.

Giulia, provata dal travaglio, prese finalmente in braccio il frutto delle sue fatiche. “Ciao, amore! Sei il bellissimo bimbo della mamma, eh? Sei splendido!”, disse agli occhietti chiusi e ai pugni stretti della sua creatura.

Fu la prima e ultima volta che la bionda e sempre impeccabile Giulia, che non aveva voluto sapere il sesso del nascituro, si riferì al figlio come a un maschio.

E l'infermiera pubblica sottopagata, dal basso delle sue bianche, bucherellate scarpette ortopediche, della divisa azzurrina stinta e lisa e dell'acconciatura spartana tinta fai-da-te: “È una bimba, signora. Una bellissima bimba.”

Perché così doveva andare.





Buon pomeriggio!
Sì, lo so, è la seconda volta che pubblico questa storia. Aveva proprio bisogno di una ventata di aria fresca: qualche revisione, nuove idee e soprattutto un ritorno di quella voglia di scrivere misteriosamente sparita un annetto fa.
Spero proprio che questo prologo vi intrighi. Finora in tutta la mia vita ho ricevuto una singola recensione, e spero di poter sentire almeno un'altra volta ancora lo stesso brivido, considerando che scrivo da poco e per migliorare ho bisogno che qualcuno mi faccia notare i difetti delle mie storie!
Io torno davanti al ventilatore, ragazzi. Buon proseguimento!
- Knet

   
 
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