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Autore: Giulia K Monroe    08/01/2009    9 recensioni
E se Harry Potter avesse avuto una sorella minore?
E se Sirius Black non fosse stato catturato e portato ad Azkaban?
Cosa sarebbe successo alla storia più amata di tutti i tempi? Scopritelo leggendo!
***
All'improvviso lo sguardo opaco, grigio metallo sporco, si accese. Luminoso e carico di rabbioso odio, si riversò su quello della ragazza, che trasalì spaventata.
Alexis fece per indietreggiare, ma lui non glielo permise: lasciata scivolare la mano da sotto le sue, le aveva artigliato le spalle con una presa tanto violenta da farla gemere per il dolore; l'aveva quindi trascinata contro l'armadio e l'aveva sbattuta furibondo contro lo specchio, facendole mancare il respiro.
«Perché non ti sei fidata di me?!» ruggì Draco e alzò il braccio con una mossa così repentina che lei, per un attimo, temette che stesse per colpirla; lui invece scaraventò il pugno al di sopra della sua spalla e il suo viso venne sfiorato solo dall'aria smossa: le nocche pallide avevano cozzato con lo specchio al quale era poggiata, incrinandolo.

[IN FASE DI REVISIONE]
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Famiglia Malfoy, Harry Potter, Nuovo personaggio, Sirius Black | Coppie: Harry/Ginny, Lucius/Narcissa, Ron/Hermione
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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Capitolo IX - Respiro di albicocca
 
 
 
 
Era passato un mese dall’inizio della scuola.
Alexis si era finalmente ambientata e non aveva più avuto forti crisi per la mancanza di Sirius.
Questo perché lui aveva trovato un modo sicuro per risponderle alle lettere.
A notte fonda, quando tutto il castello dormiva beatamente, lui compariva nel camino della Sala Comune di Serpeverde e loro si facevano una bella chiacchierata. Lei si metteva ai piedi del divano, vicina al piccolo fuoco, per scaldarsi, e lui la guardava, da Grimmould Place, con quello sguardo profondo che riusciva a tranquillizzarla.  Ogni giorno gli raccontava delle sue piccole avventure. Delle lezioni. Delle nuove amicizie. Ma soprattutto, gli parlava di Harry. Gli diceva che era uguale a James, fatta eccezione per quegli occhi di smeraldo, identici a quelli di Lily – e ai propri. Gli raccontava dei pomeriggi passati sulle rive del lago, a ridere, scherzare, rincorrersi. Gli confidava che, molte volte, doveva trattenersi dal rivelargli la verità e che, alcune volte, ci era andata molto vicina, ma si era sempre ripresa in tempo. Tutto sommato, non era male, il loro rapporto. Erano molto più che amici e passavano quasi tutti i pomeriggi insieme – lezioni, compiti e altri impegni permettendo.
Sirius era stato orgoglioso del suo figlioccio, quando Alexis gli aveva rivelato che era entrato a far parte della squadra di Quidditch, l’anno precedente, ed era diventato un ottimo cercatore, alla pari di suo padre, e che aveva fatto vincere la coppa del Quidditch alla sua squadra.
Si sentiva serena quando era con Harry e il fatto di poter vedere Sirius ogni sera le rendeva il suo soggiorno ad Hogwarts ancora più piacevole di quanto già non fosse.
Le cose, finalmente, cominciavano ad andare bene.
Anche il rapporto con Draco si era stabilizzato. Puntualmente, ogni giorno, il bel Malfoy la sottoponeva a qualche scherzetto impertinente o a qualche angheria e ormai lei ci aveva fatto l’abitudine. Aveva persino stretto amicizia con Blaise Zabini, il migliore amico del ragazzo, che sembrava divertirsi a prendere le difese della giovane Black, mandando Draco su tutte le furie.
Tra i corridoi di Hogwarts, ormai, quei tre camminavano sempre assieme – con grande invidia della popolazione femminile, che non vedeva di buon occhio la piccola erede dei Black. A Draco non piaceva lasciare Alexis – era incredibilmente geloso, nonostante loro non avessero alcun tipo di rapporto sentimentale – e Blaise si trovava bene con lei – era così minuta e fragile, che avvertiva un inusuale senso di protezione verso di lei. Per quanto riguardava la ragazza, se dapprima le era sembrato tutto solo una grande scocciatura, alla fine aveva dovuto ammettere che si trovava a suo agio, con quei ragazzi. Draco aveva imparato a diventare meno violento e dominatore e, a volte, riusciva persino ad esserle simpatico. Blaise, d’altro canto, riusciva a farla sorridere anche nelle giornate più buie.
Tutto sembrava andare per il meglio.
C’era solo un piccolo particolare che rovinava quella tanto agognata tranquillità.
L’amicizia di Alexis con il più coraggioso dei Grifondoro: Harry Potter.
Perché, ogni volta che Draco Malfoy scorgeva Alexandra Black e il Protettore degli Sfigati parlare, ridere e scherzare insieme, diventava di nuovo violento e aggressivo e torturava la povera ragazza, con quei metodi che la spaventavano e al tempo stesso le facevano battere inspiegabilmente il cuore nel petto.
Gli improvvisi sbalzi d’umore di Malfoy le facevano venire il sangue alla testa.
Un secondo prima la trattava quasi con normalità.  Il minuto dopo si divertiva a vederla tremare tra le sue braccia e le sue carezze sensuali, accompagnate da quel ghigno disarmante e quegli occhi perfidi.
Quando era riuscita a collegare i cambi d’umore con i suoi incontri con Harry, l’aveva comunicato a quest’ultimo e – dopo essere riuscita a dissuaderlo dall’andare a picchiarlo a sangue – avevano trovato un modo per ingannarlo.
Ogni volta che si incontravano, e che scorgevano Draco nelle vicinanze, cominciavano a maltrattarsi e a litigare furiosamente e lo scontro finiva sempre con un Alexis indignata, che si allontanava a passo svelto, e un Harry che si voltava dalla parte opposta e prendeva a calci qualcosa.
Avevano ripetuto quel giochetto per due o tre volte e il principe di Serpeverde sembrava esserci cascato.
Non sapevano quanto si sbagliassero.
E Alexis, lo avrebbe scoperto quel pomeriggio.
 
*
 
Era una bella giornata. Il vento tiepido dell’autunno passava tra i rami della foresta proibita, silenzioso, come un serpente invisibile, e faceva volare a terra, come piume di uccelli a cui terribili cacciatori tolgono la vita, foglie arancioni e secche, che si ostinavano a rimanere attaccate a quei rami ormai fragili che presto sarebbero rimasti nudi, in balia del freddo inverno. Al contrario, le foglie forti e larghe della grande quercia, sulla riva del Lago Nero, oscillavano al vento, ma rimanevano saldamente incollate a quei rami robusti e mai si sarebbero staccate, mostrandosi in tutta la loro imponente meraviglia, anche nelle più gelide giornate invernali.
Il sole, alto nel cielo, illuminava, con i suoi raggi, due figure sedute ai piedi di quel maestoso albero, scaldando i loro visi sorridenti e sereni.
«Posso venire sul serio?» domandò Alexis, gli occhi verdissimi scintillanti di gioia.
«Ma certo che sì! Mi farebbe molto piacere e in più, sono sicuro che mi porteresti fortuna!»
Rispose Harry, ammiccando fiducioso.
«Non mancherò allora, promesso!» esclamò Alexis, con un sorriso sulle belle labbra rosee.
«Fantastico! Prenderò il boccino d’oro solo per te!»
Alexis scoppiò a ridere e la sua risata, cristallina, frizzante, gioiosa contagiò anche il maghetto.
Rimasero tutto il pomeriggio, come era loro solito fare, a chiacchierare e scherzare.
Poi, all’improvviso, Harry balzò in piedi come una molla e la guardò con odio. La ragazza capì immediatamente e lo seguì a ruota.
Draco Malfoy era dietro di loro.
«Insomma, vuoi lasciarmi in pace, Potter?» sbottò Alexis, con voce infastidita.
«Io? Ma se sei tu che mi ronzi sempre intorno, Black!» rispose lui a tono, fissandola negli occhi, minaccioso.
«Ma che dici? Tu ti inventi le cose, Sfregiato! Io non girerei mai, e dico MAI, intorno ad uno come te! Ma dico, siamo impazziti?» replicò la Serpeverde, indignata dalle sue insinuazioni.
«Eppure mi sei sempre in mezzo ai piedi, come me lo spieghi, ragazzina?» controbbattè il bambino sopravvissuto, con tono arrogante.
«Ragazzina a chi, razza di fallito? Caso mai è il contrario! Sei tu che non ti stacchi mai dalla mia gonna! Hai qualche complesso mentale o sei solo semplicemente ritardato?»
Le voci dei due erano sprezzanti, l’odio si poteva palpare con la mano.
«Sarei ritardato solo se volessi essere amico di una come te, Black!» sputò Harry, arricciando il naso quasi con disgusto.
Alexis lo guardò dal basso e scoppiò in una risata fredda, senza gioia. «Ahah! Ma non farmi ridere, Potter! Non ti accetterei tra i miei amici neanche se fossi l’ultimo essere sulla faccia della terra!»
«La stessa cosa vale per me!»
«Bene!» ringhiò Alexis, digrignando i denti.
«Bene!» ripetè lui, gli occhi due fiamme ardenti.
Alexis, di spalle a Malfoy, sorrise con dolcezza ad Harry e gli fece un occhiolino. Poi si voltò, assumendo un’espressione mista di indignazione, odio e rabbia, e si allontanò a passo svelto.
Potter la imitò, seguendo la direzione opposta, non prima di aver rifilato un potente calcio ad una pietruzza ai suoi piedi.
 
*
 
Una scena noiosa e patetica.
Era questo che pensava Draco Malfoy, lo sguardo – due monete d’argento gelato, ribollenti d’odio – fisso sulle rive di quel lago che aveva segretamente ospitato quei due clandestini d’amore.
Sentì il sangue ribbollirgli nelle vene e i tendini sotto la pelle diafana irrigidirsi con odio, mentre le mani si chiudevano in due pugni così stretti da farne sbiancare le nocche.
Osservò con furore la schiena ampia del giovane cercatore, augurandogli una morte lenta e molto dolorosa.
Poi, il suo sguardo si spostò sulla figura minuta che con passo svelto,gli stava venendo incontro, lo sguardo basso, il viso contratto.
Gli occhi sereni.
Quegli occhi, che non sapevano mentire.
E che lo fecero scattare.
Quando Alexis gli passò accanto, fingendo di non vederlo, lui balzò in avanti e le strinse con forza un polso. Come sempre, la ragazza venne sbalzata all’indietro e poi trascinata con forza contro un albero.
«Ah!» gemette, sorpresa.
Alexis iaprì gli occhi (li aveva chiusi per il dolore causato dal contraccolpo) e si trovò il viso di Draco Malfoy ad un centimetro dal proprio, gli occhi grigi come nuvole cariche di tempesta, rabbiosi.
«Malfoy?!? Sei impazzito…?»
«Mi ritieni davvero così stupido, Black?» ringhiò lui, un sussurro gelido che le sfiorò il viso.
«Non capisco di cosa tu stia parlando…» rispose, fingendosi confusa.
In realtà sapeva benissimo a cosa si riferiva.
Cercò di scappare uscendo di lato.
Si sentiva come un topolino in gabbia e la cosav non le piaceva.
Ma, ovviamente, Draco non glielo permise.
Le sue mani scattarono con velocità, ai lati del viso della giovane, poggiandosi sul tronco, e le braccia tese, sottili ma muscolose, le bloccarono ogni via d’uscita.
Ancora una volta, i loro visi erano così vicini che i loro respiri si mescolavano e danzavano, incuranti dei rispettivi padroni.
«Sai benissimo di cosa sto parlando!» sbottò, con un altro ringhio carico d’odio.
I due smeraldi verdi tremarono, annunciando al ragazzo il timore imminente.
Una mano si mosse, come al solito, in una lenta carezza sulla guancia.
Perché quel dannato sguardo riusciva a piegarlo così?
Doveva essere forte!
Non doveva essere stregato da quegli occhi ammaliatori!
Bugiardi.
Le dita da pianista, che avevano tracciato il profilo della sua guancia, lasciando una scia bollente su di essa, si chiusero sul mento e la costrinsero a voltarsi di lato. La bella bocca del Serpeverde si avvicinò all’orecchio e la sua voce vellutata, e minacciosa, le accarezzò l’udito con la dolcezza del profumo delle rose selvatiche. Lo stesso profumo che lui, così vicino, poteva sentire dai suoi capelli corvini e morbidi.
«Non costringermi a farti del male… Non è questa la mia intenzione.» soffiò con delicatezza, prima di costringerla ad osservarlo di nuovo.
Il suo sguardo di ghiaccio osservò quegli occhi spauriti con bramosia e poi scese sulla bocca, indugiando qualche secondo su quelle labbra morbide e invitanti.
Gli ricordavano tanto due piccoli spicchi di dolce albicocca.
Chissà se anche il sapore era lo stesso.
Socchiuse gli occhi, impotente di fronte a quel desiderio crescente, e piegò il viso su di un lato, avvicinandosi lentamente.
Poteva sentire il respiro caldo di lei diventare sempre più affannato, contro le sue labbra, che lente e inesorabili, stavano annullando la poca distanza.
Stava quasi per sfiorarle ormai.
Sentiva quell’aria calda entrare nella sua bocca schiusa.
E ne respirò il dolce profumo.
Ricordava davvero quello delle albicocche.
Avrebbe voluto assaggiarle.
Morderle.
Mangiarle.
Divorarle.
Draco Malfoy non era mai stato un tipo dal grande auto-controllo, in queste situazioni.
Solitamente, si avventava sulle sue prede e ne divorava ogni parte del corpo, con bramosia.
Eppure, con lei, non ci riusciva.
Forse era il suo aspetto fragile, delicato.
Forse erano quegli occhi puri e privi di malizia.
Forse era qualcos’altro che il giovane Malfoy non aveva mai preso in considerazione.
Amore.
Tsè! Lui innamorato? Ma quando? Gli veniva da ridere al solo pensiero.
Lui non avrebbe mai amato nessuna.
Si sarebbe sposato solo per convenienza e per mantenere alto il nome di famiglia.
Però, lei è pur sempre una Black – fermati Draco! Ma che diavolo stai pensando?!? Tu non sei in grado di amare! Vuoi solo portartela al letto, come ogni altra ragazza della tua vita!
Eppure, perché non riusciva ad annullare quella distanza ormai minima, tra le loro labbra?
Aveva una voglia matta di assaggiarle.
Di sentirsi in bocca quel sapore di albicocca.
Ma non era ancora giunto il momento.
Dopo quelli che sembrarono secoli, si allontanò lentamente, riaprendo gli occhi e riassumendo piena coscienza di sé.
Quanto più a lungo si brama una cosa, tanto più dolce sarà quando la si otterrà.
Gli occhi argentei si fissarono in quello smeraldo liquido, imbarazzato e confuso.
La tintura cremisi sulle guance lo costrinse a reprimere un ghigno sfrontato.
Una carezza.
Un sussurro.
«Ricordatelo sempre Black: tu sei mia. E non ti cederò mai a Potter, chiaro?»
Un bacio malizioso su di una rossa gota.
Labbra fredde che si incontrano, delicate, con la calda pelle arrossata.
Seta su velluto.
Un bruciore piacevole sulla guancia di lei.
Un sapore delizioso sulle labbra di lui.
Un’occhiata confusa contro una soddisfatta.
Un saluto accennato con la testa.
Un ultimo sguardo d’intesa.
E poi, Draco Malfoy si allontanò, un sorrisino compiaciuto sulle labbra, lasciando la piccola Alexandra Black in uno stato di trance e confusione totale, con un cuore che chiedeva frenetico di abbandonare quel petto troppo piccolo per contenerlo e i polmoni che chiedevano aria con urgenza.
 
*
 
Erano ancora le cinque e non si avrebbe cenato prima di un’ora.
Di tornare al castello e di fingersi interessata alle conversazioni di qualche sua compagna di Serpeverde non le andava proprio.
Tutte quelle emozioni,l’avevano stremata.
Sembrava che il cuore avesse consumato tutte le sue energie, con ogni battito accellerato con il quale aveva colpito il petto.
Guardando il viale, che la separava dal castello, pensò che mai le era sembrato così lungo.
Non aveva le forze per farsi quella scarpinata e una piccola passeggiata intorno al lago, all’insegna della riflessione, non le avrebbe fatto male.
Così si incamminò, con passo lento e svogliato, lo sguardo fisso sull’orizzonte lontano di quell’enorme distesa d’acqua, che non sembrava avere fine.
Fece avanti e indietro per due o tre volte poi, stufa di quell’inutile camminata, si adagiò sotto la grande quercia.
Appena aveva poggiato la schiena sull’ampio tronco dell’albero, si era subito sentita serena.
Forse, per il fatto che quello, era il loro posto segreto. Il luogo dove fuggire, per stare insieme.
Come se, l’affetto del fratello fosse rimasto incatenato in quel punto preciso.
E improvvisamente, la stanchezza la colpì in pieno. Sentì le palpebre farsi improvvisamente pesanti,e il corpo perdere ogni sensibilità.
Ma sì. chiudo gli occhi solo un attimo… Giusto cinque minuti e poi torno dentro. –  si disse, mentre quelle ciglia nere e folte andavano a sfiorare con gentilezza le gote vellutate, celando dietro un sipario di morbida pelle due smeraldi luminosi.
E si addormentò.
 
Quando riaprì gli occhi, era notte fonda.
Una notte brutta, nera, senza stelle né luna ad illuminare il cammino che avrebbe dovuto intraprendere.
Come aveva fatto a dormire per così tanto?
Si alzò, lentamente, ancora più stanca di prima.
Si stropicciò gli occhi e si stirò, tendendo le braccia al cielo.
Era inizio inverno eppure, stranamente, vestita della sola divisa, non sentiva freddo.
Anzi, ora che ci faceva caso, non sembrava esserci proprio vento.
Un silenzio irreale circondava tutto il luogo. Gli albero erano immobili, come pietrificati. Le rive del mare sembravano una fina lastra di ghiaccio nero.
Si sentì improvvisamente strana.
Le mancava l’aria e le sembrava come se una forza invisibile la stesse trascinando verso il basso, facendo pressione sulle sue esili spalle e costringendola a piegare le gambe, contro la sua stessa volontà.
Voleva tornare al castello il prima possibile, tra le calde mura costernate da quadri animati e simpatici, che si voltavano ad osservarla e le parlavano, ogni volta che passava.
Voleva vedere qualcuno, chiunque.
Perché, all’improvviso, si era sentita estremamente sola.
Si voltò verso l’imponente struttura che, con le sue finestre illuminate, le avrebbe infuso coraggio e sicurezza, ma, quando si voltò, non vide altro che un’ombra lontana, maestosa, ma avvolta nell’oscurità.
Ogni luce del castello, era spenta: Hogwarts sembrava una fortezza abbandonata ormai da secoli.
Che diavolo stava succedendo?
Cominciò a fare qualche passo verso l’imponente scuola, ma più camminava, più quella sembrava allontarsi.
Le prese il panico e cominciò a correre, disperata.
Le gambe erano pesanti come blocchi di cemento armato.
Il respiro era affannato e, uscendo violentemente da quella labbra di rosa, quasi le faceva male.
Il cuore rimbombava nel petto, con un rumore sordo, che non riusciva a sentire.
Correva, correva, correva.
E alla fine…
 
BOOM!!!
 
Si ritrovò distesa per terra, con un gran dolore al fondoschiena, che aveva duramente picchiato il terreno umido del giardino, e un altro grande dolore alla fronte e al naso, che avevano colpito qualcosa di duro, freddo, spesso ma, soprattutto, inaspettato.
Si portò una mano sulla fronte, sfregandosi il punto in cui aveva preso quella botta violenta.
Sicuro si sarebbe arrossato e le avrebbe lasciato un bel bernoccolo nero.
Accidenti se faceva male!
Si rimise in piedi a fatica e, dopo aver barcollato un pochino, riaprì gli occhi, alla ricerca della cosa che l’aveva scaraventata a terra.
Ma quando le due iridi di smeraldo scrutarono la zona che la circondava, non videro nulla.
Il castello era davanti a lei, ancora lontano, ma il giardino che la separava da esso, ampio e immenso, non presentava alcun ostacolo.
Contro cosa aveva sbattuto, allora?
Sempre più impaurita da quella strana situazione, si avviò nuovamente su per la collina, con l’augurio di rientrare al castello quanto prima, ma, ancora una volta, andò a scontrarsi con qualcosa.
Camminava ora, per cui l’urto fu meno violento, ma quando, ancora una volta, riaprì gli occhi, non vide nulla. Tese una mano, incerta, sfiorando l’aria opprimente della notte e il suo palmo si scontrò con qualcosa di liscio e freddo, invisibile agli occhi, ma chiaramente percettibile al tatto. Anche l’altra mano raggiunse la prima, su quella lastra magica che le impediva di raggiungere il castello.
Ma che cosa stava succedendo?
Fu un attimo.
Un fruscio appena accennato dietro di lei, che la costrinse a voltarsi.
La paura aveva ormai preso il sopravvento e violenti brividi le scuotevano le spalle.
Poi, una voce.
«Vieni… vieni da me…»
La chiamò, come un’eco lontana.
Alexis si guardò attorno, con frenesia. «Chi sei?!?» domandò, con voce spaventata e acuta, più alta di qualche ottava rispetto al solito.
«Vieni da me…» si limitò a ripetere la voce.
Ora che lo notava, sembrava quasi un sibilo appena accenato.
Un alitata rauca e malvagia.
«CHI SEI?!? VIENI FUORI!» urlò, in preda al panico. Si frugò impacciata,nelle tasche della mantella della divisa che indossava e ne estrasse la bacchetta. La puntò davanti a sé.
La mano tremava.
«Vieni… vieni da me.» ripetè ancora una volta quella voce sconosciuta.
Le sembrava un sussurro lontano chilometri e, allo stesso tempo, una voce che le alitava alle spalle, sfiorandole il collo.
Senza controllo alcuno, le dita intorno alla bacchetta si rilassarono. Un secondo dopo, il piccolo legnetto magico giaceva in terra, riverso tra i mille fili d’erba.
«Vieni… vieni…» continuava a ripetere quella voce suadente e inqueitante.
Senza che lei potesse farci nulla, le sue gambe si mossero in avanti, lente, alla ricerca di quella voce che la chiamava con tanta insistenza e, mentre camminava, il paesaggio intorno a lei si confuse e divenne un'unica e indistinguibile macchia nera. Il vento si alzò improvviso, investendola in pieno, con tutta la sua forza. Si sentì come se qualcuno le avesse dato un forte pugno nello stomaco, eppure continuò ad avanzare.
Quella voce continuava a sussurrare, a chiamarla, e lei ne era inesorabilmente attratta.
Voleva sapere chi era che la cercava con tanta insistenza.
«Vieni…Vieni da me…»
Poi, un piccolo puntino luminoso fece la sua comparsa in mezzo a quel nero infinito. Più Alexis camminava, più il puntino bianco si ingrandiva, fino a divenire una grossa porta luminescente. La maniglia tonda riluceva, argentata e splendente. Intarsi perlati percorrevano tutta la facciata appena comparsa, creando strani giochi di luce. E poi, dall’altra parte di quell’uscio magico, di nuovo quella voce.
«Vieni… vieni da me… entra… diventa…»sussurrava.
Ancora una volta, senza controllo, la mano si mosse da sola e andò a sfiorare la maniglia, timorosa.
Era calda al tatto e morbida.
La girò lentamente e….
 
 
 
 
“AAAAAAAAAAAAH!!!!!”
   
 
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