The way we were
II
Preferenze.
I want to ride to the ridge
where the west
commences
And gaze at the moon till I
lose my senses
And I can't look at hovels and
I can't stand fences
Don't fence me in.
[Don’t fance me in
– Bing Crosby]
Per quanto
strano
potesse sembrare a chiunque, e molto spesso anche a lui, Theodore Nott
era un
indefesso lavoratore. Non mancava mai una riunione, arrivava puntuale
in
ufficio, aveva sempre ordini da predisporre ai suoi sottoposti, e si
occupava
personalmente dei cavilli finanziari e legali dell’intera
famiglia Nott.
«Sono
tornato!»
Quindi al
rientro a casa non era sfinito solo perché andava di moda
dirlo nel togliersi
la giacca, ma perché in effetti aveva avuto diversi problemi
e imprevisti da
affrontare durante la giornata, e perché aveva un sincero
piacere nel tornare a
casa, ricevere un saluto caloroso dalla sua consorte e avere un
bicchiere di
scotch liscio da uno dei suoi fedeli elfi domestici.
«Oh
cielo, siamo
quasi commossi».
Se con il
tempo
aveva accettato con la forza l’idea che Pansy Parkinson non
fosse tipo da baci
sulla guancia e da “Bentornato
caro”,
non aveva ancora fatto pace con l’idea di trovare spesso e
malvolentieri Blaise
Zabini non solo in casa propria, ma sul suo divano, a sorseggiare
brandy da ottanta
galeoni e a ricordare alla sua promessa quanto stupido fosse sposare
Theodore
Nott.
«Blaise».
La mascella
serrata tanto da far stridere i denti tra loro, mentre più
che togliersi la
giacca la lanciava con evidente furia contro la spalliera del divano,
fino a
quando uno degli elfi non trotterellò prontamente a
recuperarla. Blaise inclinò
il bicchiere che stringeva tra le mani, con un sorriso di affettata
indisponenza. Per quanto segretamente si rammaricasse del destino che
era
toccato a Pansy, avere l’occasione di inferire su Nott gli
era cosa
particolarmente gradita.
«Mia
moglie?»
domandò poi il padrone di casa, senza riuscire a mascherare
il fastidio per
essere costretto a racimolare certe informazioni da un ospite e da un
ospite
che era Blaise Zabini. Quello scrollò le spalle, posando il
bicchiere sul
tavolo.
«Non
credo che
risponderà al tuo richiamo prima del matrimonio, se continui
ad usare
quell’appellativo» gli fece notare lasciando ad
intendere quanto lo disgustasse
l’idea di dover assistere ad un tale scempio di lì
a poco. «Tecnicamente, per
non dire con sua salvifica fortuna, è ancora la tua futura consorte».
Theodore
preferì
non dargli ulteriore spago, e tantomeno soffermarsi sul pensiero
piuttosto
fastidioso secondo cui con somma probabilità Pansy non
avrebbe risposto al suo
richiamo neanche dopo il matrimonio. Come dire, né ora
né mai.
La amena
conversazione fu interrotta dai tacchetti di Pansy, che ne annunciavano
l’ingresso imminente. In un turbine di buon profumo francese
entrò nel salone,
tra le mani ancora le partecipazioni che Millicent le aveva portato
quella
mattina e un cipiglio scettico al riguardo.
«Theo,
sei qui»
constatò arrestando i propri passi bruscamente, appena
riconobbe la sua figura
accanto a quella di Blaise. Lui le restituì un sorriso
piuttosto ovvio e le
baciò una tempia quando si fu avvicinata a sufficienza.
Pansy gli concesse un
sorriso di scuse per il poco calore con cui lo aveva accolto, per
quanto non
fosse assolutamente un’eccezione alla solita routine.
«Sì,
e mi
chiedevo se è strettamente necessario avere Blaise nel
nostro salotto ogni
sera».
La plateale
scortesia dell’affermazione in presenza del soggetto in
questione, cancellò
ogni forma di maleducazione, proprio perché voluta e
perché accompagnata da una
vena di non sottile sarcasmo nella voce.
Pansy si
soffermò sul pensiero una manciata di secondi, prima di
chinare la testa di
lato in una posa vezzosa e sorridere a Theodore, lanciando
un’occhiata
valutativa a Blaise.
«Sì,
si intona
con la tappezzeria, mi spiace» concluse altrettanto ironica,
lasciando una
carezza sulla spalla dell’amico mentre si versava da bere e
offriva un secondo
bicchiere a Theodore.
●●●
Pansy
Parkinson
non aveva affatto bisogno di consigli e consiglieri, questo era
evidente a
tutti.
Il
presenzialismo di Millicent nei preparativi del suo matrimonio era
tollerato a
stento, tanto per dirne una.
Pansy non
aveva
chiesto consigli neanche quando si era trattato di accettare la
proposta di
matrimonio di Theodore Nott. Si era attardata nel rispondere, solo per
godere
della preoccupazione sorta nei suoi genitori, fin troppo favorevoli a
quell’unione per i suoi gusti.
Quando da
piccola aveva manifestato tutta la sua insofferenza nei riguardi di
quel cumulo
biondo di spocchia e antipatia, che altri non era se non Draco Malfoy,
sua
madre l’aveva incenerita con lo sguardo e suo padre non
l’aveva degnata neanche
di un sospiro. Era più che certo che il suo parere non
avrebbe contato niente,
di lì in futuro, per sempre. Poi era malauguratamente
capitato, che Draco non
le dispiacesse più così tanto, e che nel
frattempo la lucentezza dei Malfoy
fosse andata spegnendosi. Ancora una volta, i suoi genitori erano
passati sopra
i suoi desideri, ed entrambi avevano ignorato deliberatamente lo
squarcio di
dolore che le aveva attraversato lo sguardo, nel prendere atto che
Draco non
sarebbe mai stato suo.
Theodore
Nott si
era affacciato pochi anni dopo la fine di Hogwarts e della guerra.
Tutti erano
presi a leccarsi le ferite, a contare le perdite finanziarie e piangere
i
propri morti. Lei non aveva nessuno per cui piangere se non se stessa e
i sogni
che erano andati infranti senza alcun rispetto della sua
volontà.
Avrebbe
voluto
piangere anche per Draco, ma in qualche modo non ne era capace.
Millicent aveva
cinguettato tutto il tempo che succedesse perché non
riusciva a metterlo da
parte e accettare che tra loro fosse finita. Pansy non aveva perso
tempo a
spiegarle che semplicemente non era mai iniziata.
Il
corteggiamento di Theodore fu esplicito ma discreto.
Rispettò i canoni imposti
dalla buona decenza, non varcò mai il confine, si
dimostrò propositivo e non le
impose mai alcuna sua scelta o richiesta. Per queste stesse ragioni,
Pansy non
perse mai la testa per lui. Inciso sul cuore aveva il nome di un altro,
che le
labbra si rifiutavano di pronunciare, ma Theodore poteva sentire il
sapore di
quel rimpianto e di quell’amore in ogni bacio scambiato con
lei.
Finse senza
troppe pretese che non fosse importante.
Qualcosa
nella
razionalità con cui curava il suo conto alla Gringott e si
prendeva cura delle
sue emozioni, gli suggerì sempre di non poter sostenere una
sfida contro Draco
Malfoy. Le avrebbe perse tutte, come sempre era stato.
La gara
clandestina durante la lezione di Quidditch al loro secondo anno.
La sfida a
chi
fosse più ricco, il primo giorno di scuola, sul treno.
Quella a chi avesse i
capelli più biondi, la pelle più chiara, il padre
più bello e il voto più alto
in Pozioni. Draco copiava dal vicino di calderone, ma il voto
più alto era
comunque il suo.
Vinse anche
la
gara a chi fosse più stronzo e intrattabile, chi
più ossessionato da Fleur
Delacour e disgustato da Hermione Granger. Di qualsiasi cosa si
trattasse,
Draco era sempre di più.
Durante
l’ultimo
anno, Theodore d’improvviso aveva creduto di poter vincere in
qualcosa.
Forse tra
tutti
e due, poteva credere di amare più lui Pansy Parkinson di
Draco Malfoy.
Si era
dovuto
ricredere, quando aveva assistito di nascosto all’ultimo
sguardo che lui le
lanciò. Pansy non se ne era accorta, e lui ovviamente non lo
avrebbe mai
rivelato a nessuno. Certe notti lo consolava l’idea che Pansy
potesse ritenerlo
vincitore di quella sfida. Gli offriva scioccamente una maggiore
sicurezza il
pensiero che Pansy credesse che al mondo ci fosse qualcuno in grado di
amarla più
di Draco Malfoy. E che
quel
qualcuno le avesse chiesto di sposarla.
●●●
Memories may be beautiful and
yet
What's too painful to remember
we simply choose to forget
So it's the laughter we will
remember
Whenever we remember the way we
were.
[The whay we were –
Barbra Streisand]
Subito dopo
aver
detto sì a Theodore,
meravigliandosi
di se stessa per essere riuscita a guardarlo in faccia nel farlo, Pansy
aveva
saputo che se non lo avesse detto a qualcuno, il dolore
l’avrebbe uccisa.
Consapevole di ferire i sentimenti di Millicent e della tenera fiducia
che
riponeva in quella loro pseudo-amicizia, Pansy aveva cercato Blaise
eleggendolo
di nuovo come proprio confidente.
Tuttavia,
una
volta che lo aveva avuto davanti, non era riuscita a dire niente.
Blaise
indugiò
velatamente con lo sguardo nei suoi occhi, cercando lì le
parole che non era in
grado di dire. In cuor suo, conosceva perfettamente il contenuto di
quell’annuncio.
E sebbene
foderato di velluto pregiato, il cuore di Blaise Zabini si concesse un
sentimento umano, di profondo dolore per la sua amica.
Non era
rammaricato per la Pansy Parkinson degli articoli di giornale, per
quella del
conto intestato alla Gringott, per la Regina degli Slytherin e il
Caposcuola di
Hogwarts. Sapeva che per quella Pansy non serviva provare dolore,
perché se la
sarebbe cavata, trovando un modo per evadere alle costrizioni di un
matrimonio.
Quel
dispiacere
insopportabile era tutto riservato alla Pansy che aveva conosciuto e
che solo a
lui si era mostrata, privandosi dei veli in cui era ammantata, con una
certa
inconsapevolezza prima, e con una rassegnata docilità dopo.
C’era
una parte
di Pansy che a tutto quello non sarebbe sopravvissuta, ed era la parte
migliore. Quella dei progetti e dei desideri. Era la Pansy capace di
una
tenerezza e spaventata dalle sincerità del cuore. Era quella
racchiusa nel
guscio, che rare volte si era affacciata in quella che lui chiamava la volgarità del mondo. Quella di
cui
persino uno come Draco Malfoy si era innamorato.
«A
quando l’annuncio
della lieta novella?»
Le aveva
chiesto
scostandosi da lei per accendersi una sigaretta. Nella sua voce
risuonò una
durezza di cui si pentì un attimo dopo.
«Non
lo so. Ci
penserà la famiglia di Theodore. O la compiacenza di mia
madre».
Rispose lei,
avvezza
ai graffi del sarcasmo, sporgendosi a rubargli la sigaretta dalle
labbra.
Poggiò le labbra nel punto in cui lui le aveva strette poco
prima, soffiando
una nube al sapore di bergamotto e amarezza.
«Millicent
è
scoppiata in lacrime, immagino».
«Ancora
non è al
corrente. Sei il primo».
Con un
sorriso
obliquo gli restituì la sigaretta.
«Allora
piangerà
di sicuro per questo».
Pansy non
poté
fare a meno di pensare a quanto indispensabile le fosse Millicent in
fin dei
conti. Con il tempo le era risultato chiaro quanto speculari fossero.
Millicent
non era altro che lo specchio delle proprie emozioni; metteva in scena
i
sentimenti che in Pansy restavano avvinghiati all’orgoglio e
alla decenza. Era
lei ad avere una gran voglia di piangere, ma i suoi occhi non
conoscevano
lacrime.
«Gli
prenderà un
infarto».
Sussurrò
Blaise,
scrollando un po’ di cenere e abbandonandosi sul letto, di
colpo aggredito da
una stanchezza che gli gravava più sull’anima
– ovunque fosse finita – che sul
corpo.
Pansy
cercò in
ogni modo di non lasciarsi trafiggere da quel pensiero.
Fallì.
«Non
credo».
Replicò
ghiacciando ogni espressione.
Da quando
gli
eventi erano precipitati, in quegli anni, lei e Blaise parlavano di lui
il meno
possibile e quando capitava, nessuno dei due pronunciava mai il suo
nome. Pansy
sapeva che da parte di Blaise quella era una delicatezza, una tenera
accondiscendenza alla propria incapacità.
La
verità era
che Draco era sempre tra loro, nella mancanza e nel ricordo di lui.
Nello
scorrere dei mesi e degli anni, che lo vedevano crescere come tutti, ma
lontano
da loro.
Pansy non
chiedeva mai di lui, neanche a Blaise. A volte lo sguardo la tradiva, e
Blaise
sapeva bene che avesse i suoi modi per accertarsi che tutto procedesse
bene
nella vita di Draco, il patto era non chiedere mai ad alta voce, non
adagiare
mai il pensiero sul ricordo di lui, non lasciare la
curiosità a briglia
sciolta.
Rispondeva
solo
ad una necessità più forte di ogni ferrea
imposizione della sua razionalità.
L’unico bisogno che Pansy aveva, era quello di saperlo vivo e
relativamente al
sicuro, soprattutto da se stesso.
Blaise in
segreto era sempre rimasto affascinato da quella conoscenza fine che
Pansy
aveva di Draco. Lui era l’amico, era il compagno di
goliardia, il confidente
maschio, lo aveva visto nudo molte più volte di Pansy, aveva
diviso con lui una
certa intimità quasi cameratesca, eppure non era mai stato
in grado di
infiltrarsi tanto intimamente nella sua psicologia.
Non
conosceva
gli anfratti remoti della sua personalità. Era un ottimo
lettore, ma Pansy era
molto più di quello, molto più di una attenta e
affezionata lettrice: lei
sapeva interpretarlo.
«Dovresti
dirglielo».
Proseguì
Blaise,
ignorando l’ostilità con cui l’amica
affrontasse l’argomento.
Pansy si
lasciò cadere
accanto a lui, confondendo lo sguardo nei bagliori del lampadario in
cristallo.
«Non
sono così
vendicativa».
Mentiva
spudoratamente.
«Lui
te lo ha
detto».
«Non
aveva
scelta».
Le parole
sfuggivano alle loro labbra come battute di un copione scritto da tempo
per
loro e per quel momento, che entrambi già conoscevano, da
sempre. Tanto da non
aver bisogno di leggere sul testo.
Scese il
silenzio su loro e su Draco, mentre il sipario faceva fatica a
chiudersi del
tutto sullo scenario desolato della loro malinconia.
Pansy
aspettava
paziente che Blaise le svelasse il segreto che aveva custodito fino a
quel
momento, da quando l’aveva trovata davanti alla porta della
sua camera quel
pomeriggio.
«Cosa
mi avresti
detto, Blaise? Se non ti avessi detto che mi sposo».
Chiese
infine,
con la dolcezza di un perdono.
Lui non
aspettava altro che il permesso di poter cedere.
«L’ho
visto».
Pansy chiuse
gli
occhi, sprofondando nell’immaginazione di
quell’incontro. Lo vide in quel suo
modo di non essere bello, e cercò subito di dimenticarlo.
«Può
succedere».
Minimizzò
cercando di sciogliere quel nodo alla gola che le impediva il respiro.
A lei
non capitava mai di incontrarlo né di vederlo,
perché scioccamente faceva di
tutto perché non accadesse. Si sentiva un po’ una
bambina, tutta presa a remare
controcorrente nel mondo degli adulti; dove si ostenta una eterna
sicurezza,
facendo finta che il cuore non possa spezzarsi.
«Lo
inviterai al
ricevimento?»
«Come
ho
invitato tutti gli altri».
Si
tirò su,
sistemando i capelli e la gonna, tornando a specchiarsi per recuperare
la
giusta impeccabilità. Blaise restò ad osservarla,
meditabondo, sul letto. Pansy
incrociò il suo sguardo nello specchio ma non
riuscì a sostenerlo tanto a
lungo.
«Preferirei
che
non ti sposassi, Pans».
Le venne da
ridere, perché sembrava quasi un suo capriccio.
«Io
invece
preferirei che tu lo facessi» scherzò cercando di
allontanare il desiderio di
dargli ragione.
Blaise si
ritrasse dalla carezza che fece per rivolgergli, con sguardo
oltraggiato e
ferito.
«Quella
donna
non mi avrà mai».
Pansy rise
come
rideva da bambina e Blaise ebbe l’impulso di abbracciarla.
Invece la sua mano
si fermò sul suo fianco sottile, fermato a metà
da un impaccio di vecchia
memoria. Fermi in quel modo, condivisero entrambi il desiderio di
prendersi per
mano e tornare a ballare quella canzone anni sessanta, in quella strada
di
Provenza, con Draco alle loro spalle e la certezza di avere tanto altro
da
condividere insieme.
What’s next
“Tra tutti loro, non c’era
dubbio che Draco
fosse stato quello che più direttamente aveva combattuto
quella guerra.”
“Non era una promessa e sapeva che Pansy
ne
fosse consapevole”.
Thanking…
sweetchiara: Grazie *_* Sono onorata che sia finita tra i tuoi preferiti ^^ Per Draco c’è da pazientare ancora un poco, come sempre il pargolo Malfoy fa la sua comparsa per ultimo certo che tutte le attenzioni siano per lui =P
Nissa: Grazie anche a te =) Sono commossa al pensiero che qualcun altro veda tante altre cose in Pansy, vederla bistrattata in primo luogo dalla sua creatrice mi addolora molto ._.