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Autore: mattmary15    13/06/2015    2 recensioni
Aeris chiuse gli occhi celesti e allargò le braccia prendendo un respiro. Lo sentiva. Non era più sola. Tra lei e l’ombra, preannunciato da un poderoso battito d’ali, comparve Bashenian.
Lei aprì gli occhi e sorrise, sinceramente estasiata dalla bellezza della creatura. Bashenian era la bestia sacra di Strifen, il suo regno. Il mito narrava che fosse nato dalla preghiera di Serian, il canto che diede vita al creato. Il grifone atterrò nel suo nido e chinò il capo verso di lei affinché potesse ricevere una carezza. Aeris non si capacitava mai della maestosità di quell’enorme animale magico. Le sue piume erano morbide e dotate del potere di alleviare il dolore. I suoi occhi avevano lo stesso colore del cielo, più chiari nelle giornate assolate e ingrigiti in quelli di pioggia. Il corpo possente metà aquila e metà leone, era interamente piumato. Con due colpi di coda plaudì alle carezze di Aeris e si accoccolò nel nido.
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo XI
-Verità e menzogne-

Aveva chiesto troppo a se stessa? Forse era l’ultima cosa che poteva chiedersi dato che stava precipitando verso la fine. Grifis ne avrebbe sofferto infinitamente. Avrebbe voluto almeno voluto fargli capire che non doveva sentirsi responsabile se lei era stata ottusa e incapace di essere all’altezza del ruolo che avrebbe dovuto ricoprire. Chiuse gli occhi e svenne per il dolore al braccio e alla gamba.
Non sentì un paio di braccia avvolgerla come le spire di un serpente.
Non percepì la voce che pronunciava l’invocazione.
“Sollevati e distendi le ali richiamato dai ghiacci eterni, Naga!” Il drago nero apparve ubbidiente agli ordini del suo invocatore e si frappose tra il suolo e i due che precipitavano. Quando Akram era ormai convinto che fossero salvi, strinse di più Aeris e percepì qualcosa che annullò completamente la sua concentrazione. Naga svanì nel nulla e lui fece appena in tempo a proteggere Aeris col suo corpo prima che l’impatto con il terreno lo tramortisse.
Quando Akram riaprì gli occhi, il sole stava tramontando. Sul suo petto giaceva, privo di conoscenza, l’imperatore. L’uomo scostò una ciocca di capelli dal suo viso e toccò il suo collo. Era ancora in vita. Provò a sollevarsi ma un dolore lancinante all’addome lo immobilizzò. Uno spuntone di roccia aguzzo e sottile si era infilato nelle sue carni e gli impediva di muoversi. Mosse il corpo di Aeris per vedere se anch’esso era stato trafitto ma fu sollevato dal vedere che, anche se la sporgenza lo aveva passato da parte a parte, all’altezza del suo torace non c’erano ferite.
“Dannazione, davvero una bella magia, altezza. Mi lanciò per salvare un imperatore e mi ritrovo tra le mani una principessa!” disse Akram prendendola per le spalle “Ci è quasi costato la vita.”
Provò a farla rotolare al suo fianco ma Aeris perdeva sangue anche dalla fronte e non voleva farle fare movimenti troppo bruschi. Prese un respiro e fece forza sui gomiti. Mentre si alzava, sentiva la carne lacerarsi contro la roccia. Non emise un gemito fino a che non riuscì a liberarsi completamente. Posò l’imperatore per terra e si toccò la casacca bagnata dal suo sangue. Concentrò il potere del ghiaccio in una mano e fermò l’emorragia congelando la ferita. Si guardò l’addome e pensò che per un po’ quel rimedio poteva tenerlo in vita. Guardò Aeris ancora priva di sensi e si chiese perché mai, poi, s’era gettato in quel crepaccio per salvare il suo peggior nemico. Aveva promesso a Mars che avrebbe tenuto in vita l’imperatore ma a costo della sua stessa vita? Questo non l’aveva fatto. Anzi! Aveva detto chiaramente al cugino che non avrebbe mai potuto stringere un’alleanza duratura con un alferian.
Le cose cambiavano scoprendo che Aeris Strifen in realtà era una ragazza? No, di certo. Lui desiderava solo la vendetta e non gli dispiaceva sapere che il collo dell’imperatore di Aeria era più facile del previsto da spezzare. Allungò una mano verso di lei ma non la toccò. In quel momento, guardando con attenzione, s’accorse che indossava una particolare uniforme che ne nascondeva le reali forme. Se non l’avesse stretta nel momento dell’invocazione in cui i suoi sensi venivano acuiti dal potere di Naga, non si sarebbe mai accorto dell’inganno.
Questo significava che l’impero non aveva alcun erede. Kalendis Strien non aveva avuto figli maschi. Una volta svelato il segreto di quella ragazza, chi avrebbe reclamato il trono? Valentine o Wiltord? Nessuna delle due opzione gli piaceva.  In quell’istante il viso di Aeris fu attraversato da una smorfia di dolore e lei aprì gli occhi.
“Non muoverti. Siete ferito, altezza”, disse Akram inginocchiandosi al suo fianco e decidendo solo allora di reggere la sciarada della ragazza.
“Akram, sei tu? Dove siamo?”
“In fondo al crepaccio.”
“In fondo?”
“Siamo precipitati, altezza.”
“Sei precipitato anche tu? Ti ho visto saltare.”
“Sì ma non ce l’ho fatta.”
“Sei ferito?”
“Solo qualche taglio superficiale.” Aeris guardò verso l’alto e tornò a fissare il mercenario.
“Come sono sopravvissuto?”
“Fortuna, credo.”
“E tu?”
“Più fortuna.” Aeris sorrise ma una fitta più forte l’attraversò e s’irrigidì. Akram fece per aiutarla a muoversi ma lei si ritrasse. Lui si scusò.
“No, Akram, non è colpa tua. Non sono abituato alla vicinanza di persone estranee.”
“Lo capisco. Provo ad accendere un fuoco, limitate i movimenti. Avete una gamba fratturata e un taglio profondo al braccio. La ferita alla testa è superficiale.”
“Akram, per favore, non smettere di parlare.” Il mercenario si alzò e raccolse dei tronchi secchi sparsi nella radura.
“Non sono bravo ad intrattenere lunghe conversazioni, altezza.”
“Se qualcuno mi parla, sento meno il dolore. Da bambino, una volta,  sono caduto da cavallo e Albered mi ha steccato una gamba. Grifis ha passato tutto il tempo a parlarmi e io non mi sono quasi accorto di nulla.”
“Io non somiglio neppure lontanamente a quel tizio”, disse Akram stupendosi lui stesso del tono tagliente che aveva usato per sottolineare la differenza tra lui e il primo cavaliere della Balvaria.
“Scusami.” La voce di Aeris lo raggiunse debole e triste. Akram sentì l’impulso di voltarsi e scusarsi a propria volta.
“Scusatemi voi, altezza. Non sono stato educato a relazionarmi con le persone del vostro rango.”
“Non devi scusarti. Sono io quello da biasimare. In una situazione come questa, esprimere un simile capriccio è deplorevole.”
Akram si piegò sulla catasta di legno secco e sfregò due pietre che aveva preso da una tasca. Una fiamma bassa cominciò a divorare il legno e a scoppiettare vicino ad Aeris.
“Posso portarvi più vicino al fuoco?” chiese Akram. Aeris annuì e si lasciò sollevare per avvicinarsi alle fiamme che sembravano dare un leggero tepore.
“Grazie, Akram.” L’uomo non rispose e rimasero muti davanti al fuoco fino a che le stelle in cielo non brillarono forte.
“Che ne è stato dello yomi?” chiese ad un tratto Aeris. Akram rimase a fissare il fuoco che alimentava di tanto in tanto.
“E’ morto.”
“Mi dispiace”, disse Aeris e le sue parole costrinsero Akram a voltarsi e guardarla.
“Era solo uno yomi. Doveva morire.”
“Non necessariamente. Ho avuto l’impressione che si stesse allontanando da noi quando gli hai parlato.”
“Non gli ho parlato. E’ stata solo un’impressione. Non crederete che quei mostri possano provare qualcosa!”
“Provano dolore,” disse Aeris chiudendo gli occhi “l’ho percepito distintamente.” Akram si domandò se quel mucchietto d’ossa alle sue spalle non fosse davvero la creatura straordinaria e magica di cui parlavano i racconti. Forse se le leggende erano vere, anche la profezia che narrava della rinascita di Tesla poteva esserlo.
“Forse vostra altezza ha ragione e magari attaccano gli uomini per qualche motivo particolare che noi non comprendiamo.”
“Forse, Akram. Mi domando, però, perché lady Asaline non abbia mai pensato di scoprirlo. Potrebbe anche essere possibile salvare coloro che sono stati colpiti dal contagio.”
“Potrebbe o forse gli yomi sono perduti per sempre. Fossi in voi non mi fiderei troppo della somma sacerdotessa”, disse Akram un po’ per provocare una reazione di Aeris un po’ perché realmente intendeva metterla in guardia.
“Io non mi fido di lady Asaline.” Akram fu spiazzato dalla schiettezza di Aeris e, per la prima volta dopo tanto, tanto tempo, rise.
“Ho detto qualcosa di buffo, Akram?” Lui scosse il capo.
“Rido perché confessate candidamente di non fidarvi di colei che dovrebbe essere la vostra prima alleata davanti a me che sono un mercenario. Potrei, io stesso, essere al soldo di Asaline.” Aeris lo guardò intensamente negli occhi poi sospirò.
“Questo è bizzarro!” disse sorridendo.
“Cosa è bizzarro?” chiese il mercenario.
“Vedi, Akram, io riesco a leggere i pensieri altrui. Con te però non ci riesco.”
“Sul serio? E i pensieri della sacerdotessa? Li avete letti?”
“No, lei ha usato un incantesimo di protezione, per questo non mi fido di lei.”
“Potrei averlo fatto anche io!”
“No. Non c’è nessuna barriera tra me e la tua mente. E’ solo che se provo a fissare i miei occhi su di te, è tutto, come dire, nebuloso.”
“Probabilmente è perché non sono una persona dalle idee molto chiare”, disse Akram ravvivando il fuoco.
“Non credo di avere bisogno di conoscere i tuoi pensieri per capire cosa c’è nel tuo cuore, Akram”, rispose Aeris “mio padre mi ha insegnato a non dare a ciò che dice la mente più peso di quello che può dire il cuore.”
“A me invece piacerebbe leggere i vostri pensieri, altezza.”
“Ne rimarresti deluso, temo.”
Akram la osservò stringersi il braccio e ne ebbe compassione. Si alzò con l’intenzione di metterle il suo mantello sotto la testa quando un rumore attirò la sua attenzione. Solo in quel momento si rese conto di non avere più la sua spada. Si voltò nella direzione da cui aveva sentito provenire il rumore e incrociò un paio di occhi rossi.
“Aeris, ascoltami bene. Impugna la spada e rimani vicino al fuoco. Se ti resta un po’ di energia prepara un incantesimo di difesa. Ci sono dei predatori nascosti tra le rocce. Vado a vedere quanti sono. Con un po’ di fortuna, tornerò prima che osino avvicinarsi al fuoco.”
“Akram, aspetta!” L’uomo si voltò e vide il braccio sano di Aeris teso verso di lui. “Ora come ora non sono in grado di sollevarla. Prendi la mia spada.”
Akram fissò con gli occhi che scintillavano l’ala di nuvola e si chiese se quella ragazza fosse completamente pazza o sprovveduta. Consegnare in quel modo la sacra spada ad uno sconosciuto! Allungò una mano sulla spada che aveva ucciso Zion ma, nel momento di afferrarla, la ritirò.
“Non mi serve quella lama. Basterà un tizzone ardente per intimorire le fiere che si nascondono nel buio”, disse afferrando un pezzo di legno per l’estremità che non bruciava e allontanandosi. Aeris lo vide scomparire nell’alone delle fiamme e si puntellò sui gomiti sperando che non accadesse nulla al suo compagno.

Grifis camminava da ore alla guida della strana compagnia che era partita alla ricerca dell’imperatore. La notte era ormai calata e dei due precipitati nel burrone non si trovava ancora alcuna traccia. Camminava e masticava amaro perché alla fine aveva acconsentito a seguire le direttive di Loran Valentine.
Aveva dovuto suo malgrado.
Un istante dopo aver visto quel mercenario buttarsi nel crepaccio, aveva pensato lui stesso di scendere lungo il crinale ma Loran, ripresosi dal fulmine che lo aveva centrato durante il caos della battaglia, lo aveva dissuaso. Il viceré sembrava convinto che non fosse una buona idea calarsi per il crinale. Se l’imperatore era sopravvissuto, doveva aver bisogno di cure e non si potevano portare giù per il crinale cavalli e medicamenti. Seifer aveva allora proposto di rinviare le ricerche una volta tornati a Cattedra. Grifis sapeva che non poteva aspettare tanto e trovò immediatamente alleati in Mars Hornet e Lord Naro. Il bestione delle isole Maras si offrì di recuperare un cavallo e provviste e partirono subito.
Nonostante lord Naro sembrasse conoscere bene il terreno pieno di cunicoli sottostante Cattedra, le ricerche continuavano ad essere infruttuose. Ad un tratto però Loran lo sopravanzò e indicò un punto luminoso in basso.
“E’ un fuoco”, disse il viceré.
“Come fai a dirlo? E’ troppo lontano”, esclamò Garan.
“E’ fuoco, lo sento”, insistette Loran mostrando il palmo di una mano su cui comparve una fiamma.
“E’ fuoco. Muoviamoci”, disse Mars sopravanzando tutti.
“Grazie, signore degli unicorni!” fece ironico Loran che rischiò di essere fulminato per la seconda volta nella stessa giornata.
“Fermatevi!” Gridò Seifer e tutti si bloccarono “La bestia non sembra abbia intenzione di scendere” disse indicando Naro. Mars capì presto perché il signore dei Nagrod non sembrava voler proseguire.
“Non si può scendere oltre da questo lato del dorsale. E’ franato. Dobbiamo tornare indietro e scendere dall’altro.”
“Ci vorrà un’eternità!” esclamò Grifis che stringeva i pugni incapace di nascondere la rabbia.
“Non abbiamo altra scelta, fattene una ragione Grifis”, disse Loran mettendo una mano sulla spalla del comandante. Questi gliela scansò bruscamente e ritornò sui suoi passi. Dovevano sbrigarsi. Non contava nient’altro.

Per Akram mettere fuori combattimento qualche iena era stato un gioco da ragazzi. Prima di tornare indietro però, si era fermato per riordinare i suoi pensieri.
Aeris era una donna. Tutto ciò che si sapeva sull’imperatore era una menzogna. Mars lo sapeva quando gli aveva proposto di allearsi temporaneamente con lui? No, quasi certamente no. Strinse un pugno. Di certo non lo sapeva nessuno. Né Seifer Wiltord, né Asaline. Doveva smascherarla? Che vantaggio ne avrebbe avuto? Probabilmente nessuno. Invece tenendo il suo gioco? Di certo scoprire che esisteva una principessa alferian, faceva aumentare le possibilità che la profezia della rinascita di Tesla si realizzasse. La profezia prevedeva però la morte della cosiddetta principessa. L’avrebbe trascinata fino a Tesla e le avrebbe tagliato la gola per dare al suo popolo la liberazione che aspettavano da vent’anni? Nulla di più semplice.
Per ora l’avrebbe tenuta in vita. Avrebbe fatto in modo che sopravvivesse fino al compimento del suo destino. Non era necessario che altri conoscessero il suo segreto. Decise perciò di tornare da lei.
Lo fece appena in tempo dato che alcune belve avevano circondato il fuoco oltre cui si riparava Aeris. La ragazza aveva alzato una sorta di barriera magica ma gli animali sembravano voler aspettare il momento in cui lei non avrebbe avuto più la forza di difendersi.
Fu in quel momento che l’immagine dei lupi fu sostituita, nella sua mente, dalla figura del generalissimo, della somma sacerdotessa, del viceré, di Mars e persino dalla sua. Loro erano esattamente come quelle belve che attendevano un passo falso dell’imperatore. Erano tutti in trepidante attesa che facesse un passo falso per saltargli al collo e banchettare con i suoi resti. E per di più nessuno dei suoi carnefici sapeva di stare per avventarsi su una ragazza. Nessuno avrebbe mostrato pietà. Guardò Aeris che si stringeva il braccio ferito e capì che era allo stremo delle sue forze. Lo capì anche il capo branco che si avventò su di lei per primo. Il suo corpo si mosse da solo e il lupo finì congelato al suolo.
Le altre bestie fuggirono impaurite.
“Akram! Hai usato un incantesimo! Non sapevo che conoscessi la magia”, disse Aeris sforzandosi di nascondere il dolore.
“La prego di mantenere questo segreto, altezza. Se si scoprisse che Lord Naro mi ha insegnato, verrebbe punito.”
“Capisco. Non temere, non lo dirò a nessuno. Grazie. Pare che tu mi abbia di nuovo salvato la vita, Akram.”
L’uomo si avvicinò per ravvivare il fuoco e notò, alla luce delle nuove fiamme, che era ancora più pallida di quando l’aveva lasciata per la perlustrazione. D’istinto andò con la mano alla ferita che aveva all’addome. Stava ricominciando a sanguinare. Quanto tempo avrebbe resistito ancora? Non poteva aspettare l’alba.
“Altezza, dobbiamo andarcene di qui.”
“Non credo di riuscire a muovermi. Però credo che sia meglio che tu vada a cercare aiuto”, rispose Aeris guardandosi la gamba ferita.
“Non vi lascerò qui. Credo di riuscire a portarvi.”
“Mi dispiace essere di peso”, fece Aeris abbassando lo sguardo. Akram strinse un pugno dietro le spalle. Che cosa stava succedendo? Possibile che scoprire il fatto che l’alferian fosse una donna, lo turbasse tanto profondamente? Forse era solo il dolore ad annebbiargli i sensi.
“Non dovete parlare così.”
“Ma è la verità.”
“La verità è che un semplice mercenario come me ha la fortuna di guadagnare la riconoscenza dell’impero salvando la vita del suo imperatore.” Aeris sorrise malinconicamente.
“Non credo che siano tutti così ansiosi di scoprire che sono sopravvissuto”, disse l’imperatore.
“Diretto come al solito, non è vero altezza? Coraggio, proviamo a sollevarci”, disse Akram chinandosi e passando una mano sotto le ginocchia di Aeris e l’altra sotto le sue braccia. Non appena fece forza per tirare su Aeris, lei si lamentò.
“Fa troppo male?” chiese Akram guardandola dritto negli occhi.
“Non troppo. Soprattutto considerando che sei tu a sostenere il mio peso.”
Akram si fermò a pensare che era leggerissima. Un essere fragile come uno dei cristalli di neve che decoravano la sua stanza quando era un bambino.
Prese a camminare cercando di dimenticare il dolore all’addome e concentrandosi sulla strada da seguire. Era certo di essere sulla via giusta per risalire il crinale ma non aveva idea di quanto dovesse camminare ancora. Di certo la cosa migliore sarebbe stata trovare le grotte dato che stava cominciando a piovere. Naro gli aveva insegnato tutti i passaggi sotto le montagne del nord e anche i cunicoli stretti ed insidiosi che arrivavano fino a Cattedra.
Per la stanchezza o forse per il dolore, mise un piede in fallo e cadde in ginocchio. Aeris urlò e lui la strinse più forte.
“Va tutto bene, ci siamo quasi, altezza” disse sforzandosi di non dare a vedere la fatica con la quale riusciva a tirarsi su.
“Akram, mettimi giù adesso. Non credere che non mi sia accorto che stai male. E’ troppo” fece Aeris guardandolo fisso negli occhi. Lui riprese a camminare.
“Altezza, vi prometto che vi riporterò a Cattedra. Non abbiate paura. Finché ci sarò io al vostro fianco, non dovete temere nulla.”
Aeris abbassò gli occhi sul petto dell’uomo e non parlò più. Nel frattempo la pioggia si era fatta violenta e il terreno divenne fango aggrovigliato alle caviglie di Akram. Intuire il profilo delle caverne, ridiede forza al mercenario che diede tutto ciò che gli rimaneva per condurre Aeris al riparo dal temporale.
Quando finalmente giunsero sotto le grandi arcate di pietra però, s’accorse che l’alferian era svenuta. La sua fronte bruciava. Le possibilità erano due: o la febbre derivava dal freddo intenso cui erano stati entrambi esposti o le sue ferite erano infette.
La posò delicatamente al suolo e si sfilò il mantello per coprire il suo corpo. Continuava a fissare il suo viso incapace di dare ordine ai suoi pensieri. Quella ragazza era di certo la chiave per fare avverare la profezia della rinascita di Tesla, tuttavia qualcosa in lei muoveva l’animo di Akram verso sentimenti che aveva soffocato molti anni prima sotto mille strati di neve e rancore. Sentire riaffiorare ricordi di un tempo in cui non conosceva né odio, né desiderio di vendetta, lo innervosiva e al tempo stesso gli provocava un brivido di eccitazione. Convivendo con i Nagrod aveva imparato il rispetto per lo spirito delle cose, ad essere riverente nei confronti di ogni elemento della natura. Aveva appreso la condivisione e cosa significasse far parte di un branco. Quel legame però poteva definirsi amicizia? Il clan poteva essere considerato una famiglia? Sapeva ancora provare affetto e generosità?
Mosse le mani lentamente e ne posò una sulla fronte di Aeris mentre l’altra afferrava il polso del braccio rotto della ragazza. Agì d’istinto e chiuse gli occhi pronunciando poche parole in una lingua che Aeria aveva dimenticato. Nello stesso istante in cui ebbe terminato la formula, Akram lo avvertì e strinse i denti.
Era un dono che aveva da bambino. Non sapeva se lo aveva ereditato da sua madre o da suo padre. Mentre l’espressione del viso di Aeris tornava serena, percepì il suo dolore fluire in lui attraverso le sue mani. Capì in quel modo che le ferite di Aeris non erano infette ma che la ragazza soffriva prevalentemente per la frattura alla gamba. La febbre dipendeva dal freddo. Sorrise. Era davvero buffo che un essere come lui, dedito solo al raggiro e alla violenza, fosse dotato di un potere tanto nobile. Per anni si era chiesto se non avesse una sorta di effetto collaterale sulle persone su cui lo adoperava eppure sembrava davvero che facesse male solo a lui. Probabilmente era una sorta di segno che avrebbe dovuto spingerlo magari ad assorbire su di sé tutti i mali del mondo.
Staccò le mani da Aeris e fece forza di nuovo per sollevarla. Per quanto adesso non sentisse dolore, le sue ferite rimanevano gravi. Doveva condurla a Cattedra rapidamente. Sentì la ferita al fianco riprendere a sanguinare ma continuò a mettere un piede davanti all’altro anche se in modo sempre meno stabile.
Fu la luce di alcune fiaccole a dargli nuova speranza. Nonostante ciò si appiattì contro la parete e nascose Aeris sotto al mantello. Potevano essere i grifoni dorati del giovane comandante che proteggeva Aeris oppure gli uomini della sacerdotessa in cerca dell’imperatore per dargli il colpo di grazia o ancora semplici briganti. Strinse la giovane donna tra le sue braccia e si fece ombra.

Finalmente avevano trovato la via per discendere nel dirupo maledetto che aveva inghiottito Aeris ma Grifis continuava a sbraitare e maledire ogni singolo sasso sul suo cammino. Loran lo osservava sorridendo tra sé del nervosismo che sembrava avere colto tutti. Dietro al capitano delle guardie imperiali, Seifer camminava silenzioso torturando, con una mano, un bastoncino di liquirizia che di solito masticava poco prima di una battaglia. Appresso andavano un paio di soldati della mano delle nazioni e Garan Berser che teneva le redini di una delle sue bianche tigri che si era dimostrata più adatta dei cavalli dei soldati ad affrontare la montagna.
Persino Lord Naro, all’apparenza impassibile, sembrava costantemente all’erta. Loran era stato istruito sin da bambino nell’arte dell’astuzia e della diffidenza e riusciva a leggere il desiderio di sbrigarsi laddove il comportamento del suo interlocutore diceva calma e la volontà di mantenere un segreto dove veniva dichiarato il non avere nulla da nascondere.
Gettò, per una sola frazione di secondo, lo sguardo indietro a cercare la sagoma di Mars Hornet che chiudeva la fila.
Il giovane ramingo camminava con un’espressione severa sul viso seminascosto dal cappuccio verde. Anche i suoi movimenti fluidi indicavano una certa fretta e ostentavano un’indifferenza agli eventi che di certo il ragazzo non aveva.
Sembrava piuttosto desideroso di trovare la via per il fondo della valle più di tutti gli altri. In fondo cosa gli importava? Davvero per Mars era così importante che l’imperatore fosse sopravvissuto? Seppure immaginava che probabilmente aspirasse a vedere ripristinato il proprio rango e magari restaurata la fortezza di Dumbara, Loran provava un certo fastidio nel riscontrare che probabilmente non era la vendetta nei suoi confronti ad occupare totalmente i pensieri di Mars.  Questi, probabilmente sentendosi osservato, ricambiò il suo sguardo con freddezza e Loran distolse il capo percependo in quel momento di nuovo, la presenza del fuoco. Si fermò di colpo perché erano ormai giunti all’ingresso di una enorme caverna e non si vedevano tracce di accampamenti di ventura. Inoltre il fuoco che aveva visto dall’alto della montagna era ancora troppo distante per percepirlo così nitidamente. Mars lo sopravanzò e proseguì.
Loran invece si guardò intorno. Qualcosa gli suggeriva la presenza di un pericolo imminente ma i suoi occhi non vedevano nulla.
“Rimani all’erta Xantes,” disse parlando alla sua bestia sacra “qualcosa mi dice che stiamo per dare l’avvio alle danze!”
“Parli da solo adesso?” La voce di Mars lo richiamò dalla dimensione in cui poteva vedere la fenice di fuoco.
“Mi capita di tanto in tanto. Succede a chi non ha molti amici!” rispose Loran in un tono quasi scherzoso che il ramingo mostrò di non apprezzare.
“Di rado i traditori hanno amici.”
“Neanche i diffidenti ne hanno” gli fece notare Loran.
“Non me ne faccio cruccio.”
“Pare che tu non ti faccia più cruccio di nulla. Esiste qualcosa al mondo di cui ancora t’importi?” chiese Loran fingendo che la domanda fosse di circostanza e niente affatto interessata.
“Nulla che ti riguardi”, rispose secco il ramingo. Lo sguardo di Loran di fece duro e il viceré allungò il passo raggiungendo Seifer. Il generale ghignò e indicò con gesto del capo la discesa ancora lunga che avevano davanti.
“Risparmia le energie per qualcosa di più costruttivo, cugino,” disse sottovoce “perdi tempo prezioso nel tentativo di riannodare un rapporto civile con quell’individuo. Mi domando perché non hai mai voluto emettere un ordine di esecuzione contro di lui. I suoi uomini hanno come unico scopo quello di assassinarti.”
“I raminghi non sono un gran problema per il mio regno. Ho pensieri più gravi nell’amministrare il mio ruolo di viceré. Persino il più abile degli uomini di Mars non è in grado di avvicinarsi a me abbastanza per uccidermi!”
“E lui? Lui ne è in grado?”
“Solo se adoperasse la migliore delle sue armi. Quella però l’ha persa molti anni fa. Non la ritroverà tanto facilmente e comunque dovrebbe scendere a patti col suo orgoglio. Per cui, come vedi, sono al sicuro!” esclamò sorridendo e allargando le braccia.
Improvvisamente la fila dei cercatori si bloccò.  Grifis tendeva lo sguardo in una direzione ben precisa. Di colpo si mise a correre e tutti lo seguirono.

Akram capì subito che gli uomini che aveva visto in lontananza non erano briganti però lasciò il suo nascondiglio solo quando riconobbe Grifis.
Quel ragazzo non gli piaceva. Era particolarmente sicuro di sé e sembrava la rettitudine incarnata. Il cavaliere perfetto a giudicare da come lo guardavano i suoi soldati.
Indubbiamente teneva più alla vita di Aeris che alla propria, di questo era sicuro.
Sentì il dolore al fianco farsi insopportabile e non avrebbe messo la vita di Aeris nelle mani di altri se non nelle sue.
Impiegò le ultime forze che possedeva per camminare diritto e tenere il corpo di Aeris ben stretto al suo petto.
Grifis gli corse incontro ma si fermò ad un metro buono da Akram. Sembrava terrorizzato dalla possibilità che lui portasse in braccio un cadavere così fece altri due passi e si posizionò dritto di fronte a lui. Tese le braccia invitandolo a prendere il corpo di Aeris.
“E’ viva”, disse in un sussurro mentre sentiva venire meno, insieme al peso della ragazza, le ultime forze. Cadde in ginocchio e poi rovesciò a terra su un lato.
Akram non vide Mars Hornet e Lord Naro corrergli in aiuto. Non vide neppure gli occhi di Grifis riempirsi di stupore e paura. Non vide che il comandante dei grifoni dorati non permise ad alcuno di avvicinare l’imperatore e che utilizzò la tigre di Garan per adagiare il corpo dell’alferian e riprendere la marcia verso Cattedra.
Non vide neppure con quanta fatica Naro se lo caricò in spalla e seguì Grifis.
Non poté neanche accorgersi che Loran non seguì subito il gruppo e rimase indietro senza un motivo apparente.
Né Akram, né alcun altro del gruppo si accorse che il viceré era rimasto indietro e quando la comitiva riprese la via per tornare a Cattedra allontanandosi dalla radura con le fiaccole, Loran rimase immobile al buio con una freccia ben piantata nella schiena.

Ormai il gruppo era già uscito dalla caverna dalla grande apertura quando Mars decise di tornare indietro. Si era accorto quasi subito che Loran non li aveva seguiti. Inizialmente aveva pensato che fosse rimasto in cerca di qualche cosa, magari informazioni sulle ferite riportate dall’imperatore, qualcosa da èprtare a suo vantaggio. Non vedendolo comparire neanche dopo una buona mezz’ora, si era però convinto che ci fosse qualcosa di strano. Non che gli importasse se quel maledetto si era spezzato l’osso del collo inciampando da qualche parte, però sentiva una strana sensazione addosso. Quasi d’urgenza.
Inizialmente si era limitato a camminare a ritroso poi, improvvisamente, un odore pungente lo aveva fatto correre nella direzione della radura in cui avevano ritrovato Akram e l’imperatore.
Alcune fiaccole illuminavano un unico punto in cui un uomo in ginocchio era tenuto per i capelli. La lama di un coltello puntata alla gola. Cinque uomini incappucciati di verde sembravano pregustare l’esecuzione.
L’uomo in ginocchio aveva il volto insanguinato ma sorrideva di sfida. I suoi capelli rossi non lasciavano dubbi circa la sua identità.
Com’era successo? Come mai i suoi uomini, perché com’era chiaro che quello era Loran lo era altrettanto che quelli intorno a lui erano i suoi uomini, avevano teso un’imboscata al viceré in quel luogo senza che lui ne sapesse nulla? Come avevano fatto a sorprenderlo e a ridurlo in quel modo senza che lui opponesse alcuna resistenza? Nessuno dei raminghi sembrava aver lottato.
Rimase fermo pensando per un istante che fosse tutto finito. Dailin, il più anziano dei suoi uomini, gli avrebbe reciso la gola e lo avrebbe lasciato agonizzare in terra come i soldati della Faleria avevano fatto con la gente della Doreria durante la caduta di Dumbara. Fu nel momento in cui Dailin gridò che quel gesto veniva compiuto nel suo nome che si scosse come da un sogno e incoccò una freccia che si staccò dall’arco rapida come un fulmine che squarci l’aria in una tempesta e si conficcò ai piedi di Dailin.
Tutti i raminghi si voltarono all’unisono nella direzione da cui era arrivata la saetta e si ammutolirono nel vedere la figura del loro capo che emergeva dall’oscurità.
“Capo, cosa ci fai tu qui?” domandò Dailin.
“Questa domanda dovrei farla io a voi. Cosa diavolo sta succedendo qui?” A quelle parole, il più piccolo della compagnia, Agape, usò l’arco per sollevare il capo di Loran che era ricaduto in avanti.
“Abbiamo preso il bastardo. Facciamo giustizia!”
“Perché non mi avete detto nulla?” chiese e Dailin fece un passo verso di lui e chinò il capo.
“Hai ragione, mio signore, ma abbiamo colto l’occasione che involontariamente ci ha dato lo yomi. Ci siamo accorti, durante la battaglia, che tu stesso hai provato a colpirlo ma il tuo fulmine lo ha solo stordito e noi abbiamo pensato che potevamo approfittarne. Ci siamo riusciti alla fine.”
Mars si ricordò di come, durante lo scontro con lo yomi, avesse lanciato contro Loran uno dei suoi poderosi fulmini mentre questi tentava di lanciarsi a propria volta come uno sprovveduto contro la bestia. Gettò lo sguardo sul corpo del viceré e capì subito che non ci erano andati giù leggeri. Aveva diverse ferite e notò che lo spuntone di una freccia ancora conficcata poco sotto la spalla sinistra, fuoriusciva dalla schiena.
“Siete riusciti, cinque contro uno, ad avere ragione di un uomo colpito prima alla schiena?” chiese con rabbia Mars mentre s’accorse che Loran aveva comunque ancora la forza di sorridere delle sue parole.
“Che importa come lo abbiamo preso? Ora è nostro! Capo, dacci tu stesso la nostra vendetta!” gridò Agape.
Mars camminò fino a Loran che sembrava appena in grado di reggersi sulle ginocchia e si chinò davanti a lui. Nonostante le ferite, i suoi occhi blu fiammeggiavano pieni di vita.
“Se mi aveste informati di ciò che volevate fare, vi avrei detto ciò che ancora non sapete. Loran possiede una delle sfere che servono per dare all’imperatore il potere necessario a sconfiggere l’ombra di Zion. Se lo uccidiamo ora, l’imperatore non entrerà mai in possesso di quella sfera. Per quanto desideri con tutto il cuore vedere scorrere il sangue di quest’uomo,” disse tornando a osservare Loran negli occhi “non possiamo prendere la sua vita prima che abbia consegnato la sfera della Faleria ad Aeris Strifen.”
Agape strinse i pugni e si ribellò.
“Al diavolo l’imperatore! Noi siamo fuorilegge. Non abbiamo più un onore da rispettare per colpa di questa feccia! Uccidiamolo!”
Mars si sollevò, poderoso nell’aura del sacro Talos la bestia sacra della Doreria e nessuno osò guardarlo in viso.
“Noi siamo ciò che resta della cavalleria della Doreria! Non verremo meno al nostro giuramento. Io non verrò meno al giuramento che mio padre fece all’imperatore. Avrò la mia vendetta ma non perderò il mio onore. Non sarò un traditore anche se sono stato tradito! Non ho paura di macchiarmi le mani del sangue di quest’uomo ma non a prezzo della salvezza del regno. Abbiamo visto la nostra gente morire nella disperazione. Volete che accada di nuovo?” Nessuno parlò ma tutti chinarono il capo. Mars si calmò. “Andate ora. Nessuno se la prenderà con voi per quello che è accaduto qui, vero viceré?” disse rivolgendosi a Loran che non disse nulla. I raminghi sparirono dalla radura veloci come erano apparsi. Mars si chinò di nuovo per capire se potesse sollevarsi da solo.
“Non ordinerai alle tue guardie di dargli la caccia o porrò fine personalmente alla tua miserabile vita”, ribadì. Solo allora Loran parlò.
“Dovevi lasciarli finire.” Le sue parole spiazzarono Mars che riuscì a riordinare le idee solo per ripetere il concetto già esposto.
“Tu hai una delle sfere, fino a che non rivelerai dov’è, servi all’imperatore”. Loran sollevò una delle mani sporche di sangue e afferrò l’avambraccio di Mars. Il suo sguardo ora era profondamente triste.
“Se te lo dicessi qui ed ora, porresti personalmente fine alla mia miserabile vita?”
Mars sgranò gli occhi. Sarebbe stato così facile in quel momento dargli il colpo di grazia e cancellare una vita intera di colpe. Azzerare una vita piena di felicità e amore fino al giorno in cui la sete di potere di un uomo aveva trasformato tutto in cenere? Poteva ucciderlo e avere la sua vendetta poi, però, che avrebbe fatto della sua vita? Della sua miserabile vita? Perché, Mars lo sapeva, era la sua esistenza ad essere miserabile. Miserabile perché vuota. Vuota dal momento in cui aveva lasciato andare la mano che adesso gli stringeva il braccio e gli ricordava il calore che gli aveva dato in passato.
Forse Loran s’accorse del conflitto interiore che lo stava divorando e sospirò.
“La sfera di Faleria si trova in un posto che conosci bene, non avresti alcuna difficoltà a trovarla da solo, tuttavia vorrei che prima ti recassi a Lama Vermiglia perché c’è una cosa che ti appartiene laggiù.” La mano di Mars si posò con forza sulle labbra di Loran e questi sussultò.
“Sta zitto. Se non ce la fai a stare in piedi, appoggiati a me”, disse tirandoselo addosso. Loran sentì freddo e caldo insieme. La ferita alla schiena bruciava e perdeva ancora sangue ma il contatto con il corpo di Mars gli riportò alla mente il calore dei pomeriggi estivi e l’odore dell’erba e del bergamotto. La testa girò vorticosamente e si strinse più forte a Mars.
“Se io morissi, tu saresti felice?” chiese a bruciapelo.
“Sì” rispose Mars e una lacrima cadde dagli occhi di Loran mentre ancora sorrideva.
“Allora non aspettare più. Prima che arrivino a cercarci, prima che te lo impediscano le guardie di Seifer, prima che le grida di mia madre mi trattengano dal lasciarmi andare. Uccidimi e torna ad essere felice.”
“Non te lo renderò così facile, Loran.”
“Non lo è mai stato, Mars.”
In quel momento però giunsero davvero le guardie di Seifer. Loran trovò la forza di rialzarsi come se nulla fosse accaduto.
“Non una parola con mia madre di quanto è accaduto qui se vuoi che i tuoi uomini non vengano messi ai ceppi già a Cattedra”, disse Loran prima che uno dei soldati si avvicinasse per sostenerlo.
Mars rimase fermo mentre il viceré si allontanava. Si chiedeva se aveva mentito quando aveva detto a Loran che sarebbe stato felice solo se fosse morto o adesso mentre si convinceva che andava bene così. Andava bene che il suo mortale nemico si fosse salvato la vita grazie alla sua debolezza più grande? Tirò su il cappuccio e riprese anche lui la strada per Cattedra.

Aeris fu adagiata nel letto della stanza imperiale e Albered si mise subito all’opera per medicare le sue ferite. Grifis rimase fuori dalla camera ad impedire a qualunque ficcanaso di avvicinarsi alla porta. Fu molto cortese ma altrettanto duro nel rifiutare l’aiuto di lady Asaline in persona.
La sacerdotessa si era presentata appena la notizia che l’imperatore era sopravvissuto alla caduta nel precipizio con un’ampolla che, a suo dire, conteneva un prodigioso medicamento.
Grifis chinò il capo e si profuse in un inchino da manuale ma , quando rialzò la testa, i suoi occhi erano freddi come il ghiaccio. La donna comprese immediatamente che la sua presenza non era gradita ma non si scompose. Si augurò che il primo ministro della Balvaria che si stava occupando in quel momento del principe imperiale facesse un buon lavoro e concluse dicendo che altrove c’era bisogno del suo aiuto.
Purtroppo però neppure i Nagrod si dimostrarono entusiasti di vederla piombare nel loro accampamento. Lord Naro le fece capire con il suo silenzio che ogni cosa necessaria per salvare la vita di Akram era stata già fatta, così Asaline si limitò a verificare che il giovane mercenario giacesse incosciente nella tenda del capotribù. La sua ferita era grave ma sembrava non sanguinare più.
La signora di Cattedra avrebbe preferito trovarlo sveglio per chiedergli come mai aveva rischiato così tanto per salvare l’imperatore. Nessuno sapeva che gli aveva ordinato di diventare l’ombra di Aeris Strifen ma l’ordine non contemplava mettere a repentaglio la sua vita per quella dell’alferian.
I lunghi anni al servizio della precedente somma sacerdotessa Zanna, le avevano insegnato a capire subito quali leve muovevano le persone. Nel caso di Akram però, non capiva cosa lo avesse spinto a rischiare così.
Layla l’avvertì, sussurrandoglielo in un orecchio, che anche il viceré era sopraggiunto e che sembrava bisognoso di cure.
Lei raggiunse il grande porticato del chiostro interno e vide lady Kyria correre incontro a suo figlio.
“Stai bene? Che ti è capitato?” disse la donna preoccupata per il pallore del figlio guardando istintivamente con diffidenza Mars Hornet che si era fermato poco dietro di lui.
“Sto bene. Un gruppo di briganti voleva tendere un imboscata al gruppo e io l’ho aspettato nelle retrovie per sbarazzarmene. Ho solo qualche graffio. In una notte Xantes li farà sparire! Sta tranquilla”, disse il ragazzo per calmare sua madre.
Asaline li raggiunse al centro del chiostro e li salutò.
“Posso occuparmi io di quelle ferite. Certo dovevano essere soldati di ventura se hanno adoperato arco e frecce!” fece la donna indicando lo spuntone della freccia che ancora era conficcato nella schiena di Loran. A quelle parole Kyria fu, in un istante, di fronte a Mars.
“Giura su questo suolo sacro che non è opera tua!” disse in tono velenoso.
“Osi chiedermelo?” rispose altrettanto velenosamente Mars senza farsi intimorire. Loran si frappose fra loro.
“Suvvia madre, ora non credi più alle mie parole? Ti ho detto che erano briganti. Bene organizzati forse, ma solo comuni briganti. Ho peccato di eccessiva confidenza nelle mie capacità e ho ritenuto che per una simile feccia non servisse invocare Xantes!” esclamò ridendo “Non farmene una colpa. La prossima volta sarò più prudente. In fondo non mi è accaduto nulla. Intesi?”
Il tono di voce di Loran, leggero e cordiale, giunse mellifluo a cancellare ogni dubbio sul coinvolgimento dei raminghi della Doreria nel suo ferimento e persino Asaline parve crederci.
Mars si sentì risucchiare in un vortice di ricordi. Era grazie al quell’abile modo di dire le cose che tutti cadevano sempre a suoi piedi. Era così che l’aveva convinto mille e mille volte ad infrangere tutte le regole che conoscevano per divertirsi e fuggire dalla gabbia dorata in cui vivevano.
Con quella voce lo aveva convinto a lasciare Dumbara due giorni prima che la Faleria l’attaccasse e la distruggesse. Con quella voce lo aveva spinto ad anteporre uno stupido torneo d’armi alla sua famiglia. Per colpa di quella voce aveva perso tutto.
In quell’istante però fu un’altra cosa a colpire la sua attenzione. Un odore pungente che aveva qualcosa di familiare. Lo stesso odore che aveva sentito all’imboccatura della caverna in cui i raminghi avevano teso l’imboscata a Loran. Il sangue gli si gelò nelle vene nello stesso istante in cui il viso di Loran Valente perse completamente colore. Il giovane viceré si sentì mancare d’improvviso le forze e rovinò al suolo.
Lady Kirya fu prontamente al suo capezzale e lady Asaline ordinò che il ragazzo fosse condotto nelle stanze del cerusico del tempio.
La somma sacerdotessa si convinse subito del fatto che fosse la ferita alla schiena a far soffrire Loran e decise di estrarre la freccia dalla sua schiena. Tutti furono fatti accomodare fuori dalla camera ad eccezione di lady Kirya.
Mars attese nascosto dietro le colonne del porticato che qualcuna delle novizie che entravano ed uscivano dalla sala, riferisse notizie sulle condizioni del giovane ma nessuna di loro parlò. Il ramingo si decise alla fine a lasciare il chiostro e si allontanò furtivamente.  A passo sostenuto raggiunse la città bassa dove c’erano le taverne che allietavano le ore dei pellegrini non troppo devoti a Serian e s’infilò in una che i più avrebbero definito una bettola. Lanciò un paio di monete all’oste e salì al piano superiore dove uno stretto corridoio si apriva su circa una dozzina di camere. Spinse con forza la terza porta sulla sinistra ed entrò. Dailin, seduto su una poltrona di velluto rosso e macchiato, scattò in piedi.
“Capo, come mai sei qui?” chiese l’uomo dalla folta barba rossiccia.
“Chi ha scoccato la freccia che ha colpito Valentine?” chiese Mars mal celando la rabbia che mano a mano montava dentro di lui.
“Che importanza ha? L’importante era l’obiettivo.” gli rispose Dailin. Il comandante ora lo fronteggiava senza alcun timore. Mars lo conosceva bene. Aveva guidato i cavalcatori di unicorni per lunghi anni e il padre di Mars lo considerava il migliore dei suoi soldati. Mars sapeva che le sue parole erano una palese assunzione di responsabilità. Sapeva però anche che c’era una sola persona per cui Dailin si sarebbe addossato la responsabilità di essere contravvenuto ad un suo ordine e quella persona era il minore fra loro.
“Agape, rispondi. Sei stato tu?” gli chiese Mars in modo diretto. Il ragazzo si alzò e annuì. “Hai avvelenato la freccia? Rispondi.” Di nuovo Agape annuì. 
Mars sospirò. Agape aveva solo sedici anni. Al tempo della guerra civile tra Faleria e Doreria era solo un bambino al quale l’esercito rosso aveva tolto ogni cosa. Aveva assistito alla morte di suo fratello e la congregazione dei raminghi lo aveva accolto orfano e disperato.
Per anni lo avevano tenuto nel gruppo come una mascotte. Dailin se lo trascinava dietro alla stregua di uno dei pesanti zaini che i loro cavalli portavano in giro per Aeria. Poi, comprendendo i sentimenti di Agape che cominciava a sentirsi inutile, prese a trattarlo come uno stregone farebbe con il suo apprendista o una sacerdotessa con una novizia. Gli insegnò a tirare con l’arco e Agape rivelò di possedere occhi di falco. Questo lo rese intraprendete e fu presto nominato cavalcatore d’unicorni a tutti gli effetti. Mars stesso lo aveva ritenuto pronto. Ora lo guardava tenere lo sguardo basso dietro la sua lunga frangia castana. Avrebbe potuto perdonare la freccia scoccata alla schiena di un nemico e anche il veleno delle bacche del Lumen che i raminghi usavano per indebolire la forza di volontà dei loro avversari ma Mars sapeva che il veleno usato sulla freccia che aveva colpito Loran non era comune. L’odore pungente da cui si era sentito pervadere le narici nella grotta sotto Cattedra era quello dello stramonio delle paludi fangose che si estendevano ad ovest di Torreterra.
Quella pianta proliferava nell’ambiente più disgustoso di tutta Aeria e ogni abitante della Doreria la chiamava l’erba del silenzio poiché i condannati alla pena capitale spesso sceglievano di assumerla per avere una morte poco dolorosa.
Mars si lasciò cadere sulla poltrona prima occupata da Dailin e si permise di emettere un lungo sospiro. Non c’era antidoto per quel veleno. Seppure la somma sacerdotessa avesse scoperto che Loran era stato avvelenato, non avrebbe comunque potuto salvarlo. Inoltre, non appena qualcuno avesse compreso che la punta della freccia estratta dalla schiena di Loran era stata intinta nello stramonio, tutti avrebbero capito che le condizioni del viceré erano da imputare ai raminghi.
Fece forza con le mani sulle ginocchia e si rialzò.
“Agape, dammi il tuo arco”, disse con voce bassa ma decisa. Dailin che aveva compreso il significato di quella richiesta, si frappose tra Mars e il più piccolo con una muta quanto disperata richiesta nello sguardo. Mars ripeté l’ordine e Agape allungò una mano tremante contenente il suo arco al conte della Doreria. Mars lo prese e, con un sol colpo secco, lo spezzò in due. Gli occhi di Agape si riempirono di lacrime. Quel gesto era riservato ai soldati delle schiere della contea che avevano tradito la loro bandiera. Dailin tentò di rabbonire il suo signore.
“Capo, Agape non intendeva tradirvi. Abbiamo tutti pensato che probabilmente non sarebbe stato facile per te porre fine alla sua vita”, disse piano il veterano riferendosi a Loran.
“Dailin, Agape ha messo tutti noi in guai molto grossi. Se il viceré muore per effetto dello stramonio, saremo braccati non solo dalle spie rosse ma anche dalla Mano delle Nazioni e dai Grifoni Dorati. Perché non avete voluto darmi retta?” A queste parole Agape, ancora in lacrime e inginocchiato sui resti del suo arco, urlò.
“Perché la vendetta non sembra più contare molto per te! Ho usato lo stramonio perché c’è solo un modo per salvare quel mostro da morte certa e se si salverà, tutti noi sapremo se quello che ci hai detto per anni è vero!”  Gli occhi di Agape erano pieni di rabbia e Dailin si affrettò a strattonarlo in un’altra stanza.
Mars non attese il ritorno dell’uomo. Si infilò di nuovo il cappuccio è lasciò la taverna. Alla fine era stato messo in un angolo da quel ragazzino. Gli tornò alla mente il ricordo di una sera calda di fine estate in cui suo padre gli raccontò del misterioso potere della famiglia reale della Doreria. Gli narrò come si dicesse che il sangue degli appartenenti alla casata Hornet fosse in grado di resistere a qualunque veleno. Questo perché discendeva dal popolo della foresta. Suo padre gli diceva spesso che i suoi occhi di un verde scintillante, li aveva ereditati direttamente dai Driadi. Mars, cresciuto, non aveva mai pensato davvero di essere immune a qualsiasi veleno e, appassionatosi allo studio delle erbe medicamentose, stava sempre molto attento quando li maneggiava. Nonostante questo, una volta divenuto ramingo, era scampato miracolosamente a vari attentati e non sottovalutava più il potere delle leggende.
Camminando sopra pensiero, si ritrovò in fretta di nuovo all’arco d’ingresso del santuario di Serian. Seppure la leggenda si fosse rivelata vera e il suo sangue fosse stato l’antidoto per salvare la vita di Loran, cosa avrebbe dovuto fare? Salvarlo significava portare avanti il suo piano originale che non si limitava solo a prendersi la sua vendetta nei confronti della famiglia Valentine. Significava però anche tradire la fiducia dei suoi uomini che di certo avrebbero pensato che si fosse lasciato sopraffare dai propri sentimenti.
Scivolò attraverso i corridoi secondari della torre di ametista fino alle camere del cerusico e attese nell’ombra. Il via vai frenetico che aveva visto quel pomeriggio sembrava essere svanito nel nulla. Nessuno entrava o usciva più da quelle stanze.  Solo a tarda sera le porte si aprirono e quattro soldati vestiti di rosso avanzarono nel corridoio portando una lettiga. Mars dovette ammettere che il pallore sul volto di Loran, reso ancor più evidente dai rossi capelli del ragazzo, mostrava apertamente che non gli rimaneva più molto da vivere. Lady Kirya non gli lasciava mai la mano. Il ramingo li seguì fino alle loro camere e attese che i soldati si allontanassero. Si liberò facilmente dell’unica guardia che era rimasta a protezione dell’ingresso ed entrò chiudendosi velocemente la porta alle spalle. Quando fece scattare la serratura, Kyria si voltò e lo vide. Non reagì in alcun modo. Sembrava aver perso la furia che l’aveva presa nel chiostro e la vitalità che di solito le riempiva lo sguardo.
“Sei venuto a finire quel che hai cominciato?” disse solo senza smettere di guardare suo figlio e di stringergli la mano.
“Non sono stato io”, le rispose Mars avanzando verso il letto.
“Sta morendo senza che nessuno possa fare alcunché. Lady Asaline dice che la freccia che ha estratto dalla sua schiena era avvelenata. Stramonio. Hai giocato bene le tue carte.”
“Lasciami solo con lui.”
Le parole di Mars parvero riaccendere la rabbia della donna che si voltò furiosa con un coltello nella mano destra e si lanciò contro il petto di Mars. Lui la bloccò e la guardò fissa con occhi carichi di tristezza. Lei lasciò andare l’arma che tintinnò sul pavimento brillante della stanza.
“Non gli resta più molto tempo. Pretendi che lo lasci morire tra le tue braccia? Io sono sua madre, è mio compito” fece abbassando il capo senza avere la forza di continuare.
“Proprio perché non gli resta più molto tempo devi lasciarmi solo con lui. Fa in modo che nessuno entri a disturbarci” disse lasciandola andare e inginocchiandosi vicino al letto.
Solo allora Kirya parve comprendere che Mars non aveva cattive intenzioni. Sapeva che anche Loran desiderava, se possibile, chiarirsi con il suo amico d’infanzia e li lasciò, seppure a malincuore, da soli.
Mars passò una mano sulla fronte di Loran. L’erba del silenzio, come promesso dal suo nome, non lo stava facendo soffrire nonostante la sua temperatura fosse altissima. Il ramingo fu attraversato da un brivido. Loran, una volta, gli aveva raccontato che i figli della fenice in punto di morte bruciano come la bestia sacra da cui sono protetti per tutta la vita.
“Loran”, chiamò sussurrando il suo nome quasi all’orecchio.
“Madre”, fece lui muovendo appena le labbra.
“Loran”, disse lui di nuovo e stavolta il rosso aprì gli occhi.
“Mars. Sto delirando, tu non sei reale, vero?”
“Sono io, invece.”
“Mars, sto morendo. Dovresti allontanarti. Ancora un po’ e qui ci sarà una bella fiammata!” disse tentando di sorridere.
“Tu non brucerai” affermò Mars con il suo solito piglio. Loran sapeva che il ramingo era la creatura più testarda che avesse mai conosciuto e si limitò a ridere mentre dal suo corpo cominciarono a staccarsi come piccole scintille. Mars lo sollevò per le spalle e lo tirò a sé. Loran allora perse il sorriso e si fece serio.
“Devi allontanarti. Non è una cosa che posso controllare, Mars. Brucerò in un fuoco talmente intenso che incenerirà anche te se mi starai attaccato così.
“Allora ferma questa cosa perché non ho intenzione di mollarti” disse mentre con una mano stringeva di più il corpo del viceré e con l’altra afferrava il coltello lasciato cadere da Kirya.
“Ti ho già detto che non posso controllarlo”, fece Loran cercando con le ultime forze rimastegli di scostarsi mentre le scintille si facevano più frequenti e luminose. Una di esse bruciò un lembo del mantello del ramingo. Questi non si scompose e strinse la mano intorno alla lama fino a che un rivolo rosso non prese a scorrere lungo il suo braccio. A quel punto Mars lasciò andare il pugnale e avvicinò la mano alle labbra di Loran.
“Bevi.”
“Cosa?”
“Ho detto bevi. Se la leggenda è vera, basteranno poche gocce”, disse accostando il taglio della mano insanguinato alle labbra di Loran.
“Se funziona, tutti sapranno che mi hai salvato la vita.”
“Non ha importanza ora. Bevi.”
“E la tua vendetta?”
“Può aspettare. Smettila o finiremo incendiati tutti e due!”
Loran si mosse appena e avvicinò le labbra alla mano. Non appena poche gocce del sangue del conte della Doreria gli scivolarono lungo la gola, il bruciore delle fiamme di Xantes gli sembrò niente in confronto con quello che gli incendiò il corpo. Urlò e si dimenò mentre Mars lo tenne premuto contro il letto. Dopo quasi un’ora che a Mars sembrò una notte intera, Loran svenne in un bagno di sudore. Non bruciava più e le sue guance si erano di nuovo tinte di un rosa pallido. Mars lasciò che il suo sguardo continuasse a seguire il movimento del suo diaframma che era tornato a muoversi in modo regolare.
Dopo quella che poteva essere definita una vita intera, era di nuovo solo con lui. Adagiato tranquillo tra le lenzuola candide, era bellissimo. Un demone del fuoco incarnato nel corpo di un angelo. Si chinò su di lui e gli catturò le labbra. Gli morse quello inferiore fino a che poche gocce di sangue gli colarono lungo il mento.
Loran riaprì gli occhi sussultando nel ritrovarsi il viso del ramingo incollato al proprio. Questi si staccò da lui e si asciugò le labbra col dorso della mano.
“Mi hai morso. Non ricordavo che fossi carnivoro,” fece Loran che non perdeva il suo sarcasmo neppure nelle sue precarie condizioni “o devo pensare che hai cambiato idea e vuoi uccidermi a morsi ora?”
“Non cambia niente fra noi. Ti ho salvato solo perché non voglio che i miei uomini paghino per quello che ti è successo. Quando tutto questo sarà finito e l’imperatore avrà le sfere, sarò io stesso a vendicare la mia famiglia.”
“Se è questo quello che pensi non avresti dovuto sposarmi!” esclamò Loran. Mars si voltò di scatto a guardarlo.
“Non dire idiozie!”
“Ho bevuto il tuo sangue e tu il mio, non è così che ci si sposa tra la tua gente?”
“Una cosa simile non ha alcun valore per chi non appartiene ai cavalcatori di unicorni!” lo incalzò Mars.
“Visto che ha valore per te, stabilirò io se ha valore o meno per me!” Mars gli diede nuovamente le spalle e uscì dalla stanza di Loran. Sua madre era seduta sull’ottomana nel corridoio.
“Come sta? Urlava in modo tremendo, poi ha smesso.”
“E’ tornato a dire idiozie. Quindi credo che stia meglio.”
Kirya sorrise e Mars, nonostante l’avversione nei suoi confronti, non potette non trovarla bellissima.
“Non credevo che l’avrei mai detto”, disse guardandosi le mani “grazie per aver salvato la vita di mio figlio.”
“Probabilmente ho solo allungato la sua agonia”, disse il ramingo superandola e lasciandosela alle spalle dato che non riusciva più a sostenere quella conversazione.
Riattraversò il giardino e raggiunse i giardini. All’aria aperta, prese un respiro a pieni polmoni e si lasciò andare contro il tronco di un albero alto. Scivolò sull’erba e si tirò su il cappuccio. Anche se adesso si trovava alla corte di Cattedra e tutti lo trattavano come se fosse il giusto erede del conte della Doreria, rimaneva più semplice e adatto a lui, rimanere il ramingo in cui la guerra lo aveva trasformato.

Note dell'autrice persa:
Sono in un ritardo allucinante e non solo su questa storia!
Chiedo venia ma, nel frattempo, mi sono trasferita, mi sono sposata e sono stata in Giappone!!!
Giustificata?
Se siete ancora in ascolto, fatemi sapere che ne pensate. Vi abbraccio tutti!

 

  
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