Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Tormenta    15/06/2015    6 recensioni
Una piccola raccolta di esperimenti narrativi: sette storie autoconclusive di lunghezza variabile, caratterizzate da diversi stili, temi e contesti. Un unico filo conduttore: Harry e Draco. Insieme, come coppia o presunta tale, perché: "Hanno un nonsoché di complementare, ecco. Un qualcosa di stranamente astratto e concreto insieme. Si potrebbe dire che s’incastrano, come le tessere dei puzzle."
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter | Coppie: Draco/Harry
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Genere: Romantico, Slice of life
Contesto: AU
Intro: Niente magia, niente guerre. E' a Parigi che Draco e Harry si incontrano per la prima volta - e non è detto che sia l'ultima.







Nella vita non esistono che gli inizi.
(Madame de Staël)


 
 
 
Impressione
– Sole nascente –
 
 
 
 

 
        Draco Malfoy si era sempre ritenuto una persona intelligente: aveva una buona memoria, una retorica piuttosto arguta e di certo non gli mancava lo spirito d’osservazione. Eppure – anche se mai, mai l’avrebbe ammesso – c’erano cose che proprio non riusciva a capire. L’arte, ad esempio, con le sue pennellate sempre diverse, i panneggi materici e i dettagli intarsiati. Non che non fosse in grado di riconoscere la bellezza di un oggetto, o la sua valenza storica – semplicemente, non coglieva quei presunti “significati profondi”, quelle “emozioni intrinseche” di cui tanto parlavano i critici e gli appassionati. Proprio per questo, sin da quando era arrivato a Parigi, si era tenuto ben lontano dai monumenti e dai tanto acclamati musei della città, da lui considerati noiosi punti di ritrovo per turisti.

        Solo turisti, infatti, vide tutt’attorno, quando, incastrato dai pochi conoscenti con cui aveva socializzato, fu costretto a mettere piede in quell’ex stazione ferroviaria che era il Museo d’Orsay.
        Detestò l’atmosfera dal primo istante. Sbuffò e sospirò ripetutamente, maledicendo tra sé e sé Terry Boot – l’unico altro inglese del gruppo –, che aveva proposto quella visita e gli aveva impedito di defilarsi, accusandolo di passare troppo tempo sui libri e puntualizzando che – testuali parole – «al mondo non c’è solo la matematica». Non aveva potuto ribattere, considerato che l’idea di non avere una vita sociale lo turbava. Detto ciò, la verità era che la facoltà di matematica era l’unica ragione per cui si trovava in quel Paese e, più precisamente, in quella città. Doveva forse vergognarsene?
        Non volendo vedere nessuna opera in particolare, seguì gli altri, vagando col pensiero e ascoltando passivamente le ciarle di una guida.
        Ad un tratto, riscuotendosi, si ritrovò davanti ad alcuni quadri che lo spinsero ad inarcare un sopracciglio. Li osservò per un po’, vagamente disorientato: due, tre, quattro dipinti praticamente identici, ritraenti quella che gli parve una chiesa fuori fuoco. Schioccò la lingua, non riuscendo ad immaginare cosa avesse spinto l’artista a ritrarre tutte quelle volte un soggetto tanto… banale. O, perlomeno, scontato.
        «Che cosa inutile», decretò fra sé e sé in un sussurro, immusonito.
        «Sta parlando di questo ciclo?»
        Sussultò lievemente; non credeva che qualcuno l’avesse sentito – aveva parlato molto, molto piano –, eppure eccolo lì: un impiccione con un orrido paio di occhialetti tondi si era voltato dalla sua parte, dedicandogli uno sguardo perplesso. Era abbastanza giovane: dimostrava più o meno la sua età.
        «Quando ha detto inutile, si riferiva a questo ciclo?» Ripeté.
        «Ehm― sì». Ghignò, stupendosi di quanto fastidiosa potesse essere la gente.
        «Cosa le fa pensare che sia inutile?»
        «Sono tutti uguali», sostenne Draco, a metà tra l’infastidito e l’allibito.
        «Non sono uguali. Osservi il colore».
        Notò l’accento inglese del tizio, ma non diede importanza al dettaglio, troppo occupato a dirsi stizzito per quella che gli era parsa una presa in giro in piena regola. Insomma, il colore? Non era un bimbo dell’asilo. «Sì, ho visto i colori. Molto belli. Ma il soggetto è sempre lo stesso».
        «Certo che lo è. È ciò che dà senso al ciclo».
        «Beh, io non ci vedo alcun senso».
        Dietro alle lenti tonde, due occhioni verdi si fecero ridenti. «Non è un amante dell’arte, vero?»
        «Hm― no».
        Accennò un mezzo sorriso, «Immaginavo. Ha mai sentito parlare dei cicli di Monet?»
        A quel punto, Draco non poté fare a meno di pensare che quel tipo fosse strano. Perché diavolo cercava di attaccare bottone con lui?
        «Dipingeva più volte la stessa cosa, ma ad orari diversi della giornata, cambiando solo di poco il punto di vista, così che, complessivamente, ci si potesse concentrare sui giochi della luce e, quindi, sull’uso del colore. Era il suo modo di dimostrare la potenza della pittura impressionista».
        Lo osservò attentamente, come volendo conoscere il nemico: stringeva in mano un taccuino scarabocchiato e aveva i capelli spettinati – che fosse una sorta di artista fallito?
        Intanto, comunque, continuava a parlare.
        «Questo è il ciclo dedicato alla cattedrale di Rouen. Un edificio del genere è statico, pesante alla vista, eppure Monet l’ha smaterializzato col colore, e personalmente credo che il risultato sia incredibile».
        Non ribatté – un po’ perché non aveva prestato propriamente attenzione alle sue parole, e un po’ perché percepì nella sua voce un peculiare tono che lo distrasse: il tono tipico di chi spiega ciò che sa con passione.
        «Non l’ho convinta, vero?» Ricominciò lo sconosciuto, quasi scherzosamente. «Pensa ancora che sia inutile».
        «Già».
        Si diede un momento per riflettere. «Provi a guardare i dipinti senza dar retta ciò che vedono gli occhi. Li guardi come se fosse miope».
        «Non posso farlo, non sono miope».
        «Che approccio freddo» – avrebbe detto scientifico, se solo si fosse dato un istante in più per pensare. «Si sta davvero perdendo qualcosa». Lanciò un’occhiata veloce ai quadri del ciclo, contento di essere in grado di apprezzarne il valore. «Sa, far conoscere la bellezza dell’arte è una mia crociata personale», fece ancora, «perciò dovrà perdonarmi se non mi arrendo tanto facilmente―»
        «Dovrebbe. Non c’è niente da fare, queste cose non mi fanno effetto».
        «Mi dia una possibilità: le consiglio La colazione sull’erba di Manet. È molto meno… sfocato, rispetto a questi».
        «Grazie, ma, hm, non so dov’è, e―»
        «L’accompagno io. Conosco questo museo come le mie tasche».
        La sua cocciuta determinazione mise Draco lievemente a disagio. «Perderei la mia guida e― e preferisco lasciar perdere, a dirla tutta. L’arte non fa per me».
        «L’arte è per tutti». Sorrise appena, «Insisto».
        Si guardò attorno, dapprima in cerca di una via di fuga, e successivamente in cerca di Terry e degli altri. Non li vide, così come non vide neanche la guida che aveva seguito sin lì: dovevano essere tutti più avanti. Sospirò e, considerato che era in ogni caso bloccato il quel posto, alzò le spalle in segno di resa. «D’accordo», buttò lì svogliatamente, convinto che ascoltare le ciarle dello sconosciuto sarebbe stato equivalente ad ascoltare quelle di chiunque altro.
 
 

        «Ecco, è questo». Si fermarono proprio davanti alla Colazione. «Che ne dice?»
        Innegabilmente annoiato, Draco si sforzò di guardare il dipinto: non gli parve niente di che. «I tre in primo piano sembrano dei ritagli di giornale», fece, caustico.
        «È vero. Ed è un’ottima osservazione; infatti, è una delle ragioni per cui la critica demolì quest’opera, quando fu esposta per la prima volta. Lo stile non piacque granché. Per non parlare del nudo femminile – quello fece addirittura scandalo».
        «Perché?» Lo chiese senza pensare, non rendendosi neanche conto di avere un vaghissimo interesse per quella storia.
        «Dagli abiti dei personaggi si deduce che la scena è ambientata nel periodo storico contemporaneo all’esecuzione, e all’epoca un nudo contemporaneo non era molto ben visto».
        Discussero per una manciata di minuti, tenendo gli occhi fissi sull’opera e lasciando che in certi istanti sovrastasse il silenzio. Dopodiché si spostarono: raggiante, il ragazzo non più tanto sconosciuto affermò di voler vedere uno dei suoi quadri preferiti – un’opera di Renoir, Moulin de la Galette – e, cordialmente, invitò l’altro a seguirlo: «Ne vale davvero la pena», commentò.
        Di fronte a quel dipinto, Draco si sentì raccontare del rumore e del movimento insiti nella scena, della partecipazione di ogni personaggio, della luce dinamica, ma non riuscì a seguire per intero il discorso, considerato che si diede per vinto non appena fu pronunciata la parola sensazioni. Si trattava comunque di un record: non aveva mai dato tanta attenzione a spiegazioni di quel genere. Probabilmente, il miracolo fu dovuto al fatto che si sentì in dovere di ascoltare – in fondo, qualcuno stava parlando unicamente per lui e con lui.
        «Posso darti del tu?»
        Caduto nella sua trance divagante, solo a quella domanda Draco riprese contatto con la realtà: si schiarì distrattamente la voce, facendo mente locale. «Sì», borbottò.
        L’altro si accorse di averlo colto di sorpresa, e sorrise. «L’arte ti traumatizza così tanto?»
        «Più o meno».
        «Perché venire al museo, allora? Se posso chiedere».
        «Costrizione».
        «Fidanzata?»
        «Amici».
        Il ragazzo lo squadrò brevemente, riflettendo. «Anche se non mi capacito di come tutto questo» le opere, la bellezza «possa non piacere, al tuo posto sarei scappato a gambe levate».
        «Ah sì?» Non aveva una gran voglia di chiacchierare.
        «Sì. Per riprenderti avrai bisogno almeno di un bel caffè». Sorrise ancora, «Te lo offro io. Dopo averti trascinato fin qui, è il minimo che possa fare. Ah, e―» gli tese una mano «Harry. Piacere».
        Accettò la stretta, ma si assicurò che durasse poco. «Draco».
        Quasi rise, tacendo per un istante. «Sul serio?»
        «».
        «È un nome molto―»
        Lo interruppe: «Ricercato, lo so». Aveva qualcosa da ridire sul suo bel nome, per caso?
        «Stavo per dire che è― hm, esotico. Ma anche ricercato va bene». Sembrava sincero.
 
 

        Si recarono al cafè del museo, mentre Draco si chiedeva per quale motivo stesse dando tanta confidenza a un tipo conosciuto davanti a un quadro. Bisognava ammettere che, oltre al folle apprezzamento dell’arte, aveva una buona parlantina: era stranamente intrigante. Forse era stato quello, unito al fatto che si sentiva tremendamente annoiato, a spingerlo a seguirlo fin lì.
        In ogni caso, Harry gli offrì un caffè, come promesso.
        «Ogni angolo di questo posto è fantastico», fece, scandagliando l’ambiente.
        «Non è niente di speciale», ribatté l’altro. «Ci sono solo un sacco di persone che parlano lingue incomprensibili e un po’ di cose vecchie».
        «Non avevo mai sentito qualcuno sminuire tanto un museo». Pareva quasi divertito. «Insomma, ci sono oggetti meravigliosi in queste sale! Come è possibile che niente ti suggestioni?»
        «L’arte non fa per me», tornò a dire, sorseggiando il caffè.
        Harry tacque per un momento, facendosi serio. «Mi fa tanto arrabbiare la gente che dice così», ammise poi.
        «Ah sì?» Per qualche assurda ragione, trovava stuzzicante l’idea di dargli fastidio.
        Annuì. «Anche le persone più aride possono trovare il tipo di arte che più si adatta alla loro personalità. Chi dice di essere immune al fascino artistico lo fa perché vuole esserlo, non perché lo è davvero». Alzò le spalle. «È un po’… da snob».
        Draco inarcò un sopracciglio. «È una visione impulsiva, quasi infantile», commentò, gonfiando il petto per difendere la propria posizione. «Non vedo perché qualcuno dovrebbe essere etichettato come snob solo perché non è interessato all’arte».
        «È semplice. Chi si dice non interessato crede che ciò che l’arte può dare sia superfluo; si ritiene superiore, quando in realtà non lo è affatto».
        «Io non mi ritengo superiore. Non troppo, almeno». Bevve altro caffè, pacato. «Non si può generalizzare così, ci sono diverse ragioni per non ritrovarsi nell’arte».
        «La tua qual è?»
        Draco lo guardò dritto negli occhi per qualche momento: una parte di lui voleva dirgli di farsi gli affari propri, ma l’altra era invece decisa a rispondere con sincerità. «A me piacciono le cose lineari», disse infine, «quelle in cui c’è un processo da seguire, e una sola risposta corretta alla fine. L’arte non è così».
        «Il fatto che non sia lineare, come dici tu, è l’aspetto migliore dell’arte! Entro certi limiti, ognuno può avere una propria opinione, e non sarà mai sbagliata».
        «Che senso ha occuparsi di una cosa priva dei concetti di giusto e sbagliato?»
        «Non ne è priva. Solo, le interpretazioni sono―» rifletté «elastiche».
        «Ecco, le interpretazioni. Tutti le tirano sempre fuori; non le sopporto!»
        «In che senso?»
        Per un istante, Malfoy parve intenzionato a rispondere di getto, ma poi, seguendo il consiglio della razionalità, si bloccò e ponderò le proprie parole. «Da quello che ho capito – e correggimi se sbaglio: in generale, l’obiettivo dell’arte è scatenare intuizioni».
        «Intuizioni, sensazioni – è vero», confermò Harry, senza capire dove volesse andare a parare.
        «Bene. E, sai, potrebbe anche riuscirci, se solo non ci fosse un branco di critici pronti a spiattellare milioni di interpretazioni. Non può essere che una chiesa dipinta sia solo una chiesa, un albero solo un albero? Perché devono sempre esserci dei significati nascosti?» Sbuffò, «Rendono le opere così pretenziose!» Sebbene la discussione fosse piuttosto animata, non si sentiva affatto alterato. Anzi, era quasi soddisfatto: un buffo nonsoché rendeva quel ragazzo coi capelli spettinati insopportabile e avvincente allo stesso tempo: gli piaceva discutere con lui.
        «Credo tu stia esagerando».
        «È solo la mia opinione».
        «Anche i critici esprimono solo la propria opinione», gli fece presente. «Insomma, capisco quello che vuoi dire – le letture di alcune opere possono sembrare un po’ tirate. Comunque, non credo abbia senso eliminarle tutte per concentrarsi solo sul soggetto: sarebbe molto riduttivo».
        Tutt’altro che persuaso, Draco alzò le spalle e ghignò, senza ribattere.
        «Troverò il tipo di arte che fa per te», promise l’altro, determinato.
        «È inutile, queste cose non m’interessano».
        «Ti farò cambiare idea».
        «Sul serio, lascia perdere; tanto per me l’arte è una perdita di tempo».
        «Una perdita di tempo?» Si lasciò scappare un mugolio di disapprovazione, prima di borbottare, scherzando: «Tutte le volte che qualcuno dice così, uno studente di storia dell’arte muore».
        Malfoy rimase interdetto per un istante. «E perché questa cosa dovrebbe importarmi?»
        «La prossima volta potrebbe toccare a me! Vuoi che muoia?» E ridacchiò.
        Mise insieme i pezzi, e colse il punto. «Studi storia dell’arte?»
        Sorrise, «Sì. È il motivo per cui sono a Parigi».
        «Oh. Io sono qui per studiare matematica».
        Harry mise su una faccia schifata senza precedenti. «Oddio», mormorò.
        «Non ti piace?»
        «Assolutamente no».
        «Direi che siamo pari, allora». Ghignò per nascondere un mezzo sorrisino compiaciuto.
        «Si potrebbe dire così». Rimase brevemente in silenzio, incrociando le braccia al petto. «Posso chiederti perché hai scelto di venire a studiare a Parigi? Non che voglia farmi gli affari tuoi, ma insomma―» alzò le spalle, «è una città d’arte, e se l’arte non ti interessa» esitò «non sei un po’ un pesce fuor d’acqua?»
        Malfoy si prese una manciata di secondi per riflettere, poi scosse il capo. «No. Parigi non è solo una città d’arte: ci sono un sacco di altre cose».
        Quasi stranito, Harry corrugò la fronte. «Tipo?»
        Fissando il caffè nella tazza, tentennò. «Non so – l’atmosfera, la storia».
        «Entrambe sono legate all’arte, se ci pensi».
        Ma non ci pensò affatto: non ascoltò nemmeno quella sua frase, travolto emotivamente dal ricordo della vera ragione per cui si trovava in quella città – si era voluto allontanare dalla famiglia, dalle aspettative che avevano, dalla consapevolezza di essere una delusione ai loro occhi. Perso nei flutti della memoria, si fece terribilmente serio, quasi cupo.
        L’altro se ne accorse e, non capendo cosa gli fosse preso, fu colto da un lampo di vaga preoccupazione. «Tutto okay?»
        In un lieve sussulto, Draco si riscosse, e annuì. «Pensavo solo al fatto che è per― per la lingua che sono qui. Ho studiato il francese sin da piccolo». Nascosto dietro a quella onesta bugia, sospirò.
        «Beato te!» Sorrise, cercando di scacciare l’alone di disagio. «Io ho dovuto impararlo in tutta fretta dopo la scuola superiore. Per ottenere la certificazione del livello necessario ad iscriversi all’università ho addirittura perso un anno!»
        «Quindi sei al…?»
        «Primo anno».
        Lasciandosi distrarre da quel suo faccione felice, mise da parte le malinconia. «Matricola», fece, col tono delle prese in giro.
        Harry incassò la provocazione con nonchalance, sorridendo. «Tu a che anno sei?»
        «Secondo».
        «È un anno all’estero, o sei proprio iscritto all’università francese?»
        «Iscritto. Ci tenevo».
        «Anche io!» Gioì, tutto contento. «Anche se finirò con l’usare tutti i soldi che i miei mi hanno lasciato, andrà bene – stare in questa città per me è un sogno». Si guardò attorno per l’ennesima volta, soddisfatto. «Frequenti anche tu la Sorbona, immagino».
        «Sì».
        Prese atto dell’informazione e, poco dopo, soppresse una debole risata.
        «Che c’è?» Domandò Draco, insospettendosi.
        «Niente. Pensavo solo ai due anni di matematica che hai fatto». Malgrado gli sforzi, non riuscì a cancellare la smorfia divertita dalle labbra. «Io non riuscirei a sopportare tutti quei numeri neanche per due ore! Però, hm, capisco perché a te piace: è lineare. Dico bene?»
        Annuì, «Esatto: lineare e razionale. Niente segreti, niente sorprese; è―» esitò, abbassando la voce ad un sussurro «rassicurante».
        Come colto da un’illuminazione, Harry non prestò attenzione a quell’ultimo mormorio. «Razionale?» Ripeté, vagamente interrogativo. Poi scosse appena la testa, sbottando tra sé e sé: «Avrei dovuto pensarci prima».
        L’altro non capì. «Hm
        «Il razionalismo», asserì, «ecco l’arte che fa per te».
        Purtroppo, Malfoy continuò a non seguirlo. «Prego?»
        «Si tratta soprattutto di architettura e di design. È tutto molto funzionale, le cose sono semplificate al massimo – sono certo che ti piacerebbe».
        Mentre lui continuava a borbottare cose strane, Draco si distrasse: sentì il cellulare vibrare nella tasca, e lo recuperò. Si trattava di un messaggio di Terry, che gli chiedeva dove si fosse cacciato; a quanto pareva, lui e gli altri avevano terminato la visita ed erano pronti ad andar via. «Mi stanno cercando», affermò.
        «Oh». Perse un po’ d’entusiasmo. «Devi andare?»
        «Sì, mi aspettano vicino all’entrata».
        «Capisco». Rimase in silenzio per un istante, poi domandò, senza alcuna esitazione: «Mi lasci il tuo numero?»
        «Cosa?» Aveva sentito bene, ma non voleva crederci.
        «Il tuo numero», ripeté Harry con tranquillità. «Aspetta―» recuperò dalla tasca una penna e il taccuino che aveva portato con sé e, dopo aver trovato una pagina bianca, vi scribacchiò sopra qualcosa. «Questo è il mio», disse passandogli il foglietto strappato insieme con il taccuino e la penna.
        «Ehm―»
        Lo vide tentennare, e cercò di spronarlo: «Prima o poi organizzeranno una mostra, e ci tengo a farti vedere l’arte razionale. Sarà divertente!»
        «Oh, , lo immagino». Ritraendosi scetticamente, cercò di fargli capire di non essere affatto convinto, né tanto meno a proprio agio con la proposta che gli era stata fatta.
        L’altro colse il messaggio, ma non volle demordere e si fece più serio. «So che può sembrare un po’ strano, ma mi ha fatto piacere chiacchierare con te», ammise. «Ancora non conosco molte persone in città, ed è bello parlare in inglese con qualcuno che non abbia un accento buffo».
        Meno stranito di prima, Draco si sciolse appena. Osservò con diffidenza la penna, ancora non del tutto convinto di volerla afferrare.
        «Senza contare che mi devi un caffè», gli ricordò Harry.
        Quasi divertito da quella sottospecie di battuta, Malfoy confidò a se stesso che, tutto sommato, parlare con quel tipo non era stato poi così traumatico. Sospirando, quindi, scrisse il proprio numero sulla carta. «In fondo, dare confidenza alle persone incontrate nei musei è il mio hobby», mormorò, ironico.
        «Grazie, Draco Malfoy». Lesse il nome dal taccuino.
        «Hm, prego». Si alzò in piedi, preparandosi per andare.
        «Il mio cognome è Potter. Non l’ho scritto lì».
        Intascò il suo biglietto in quel momento, alzando le spalle. «Non importa». Fece un cenno con una mano, impaziente di uscire da quel posto. «Ora vado. Ciao».
        «Ciao! Mi farò sentire».
        Draco non ribatté che annuendo e salutando con un gesto rapido, a seguito del quale prese ad allontanarsi a passi svelti. Ne fece quattro, cinque, poi si bloccò e, spinto da chissà quale forza, girò la testa: vide Harry sorridergli, e venne colto da una sensazione indefinita. Non reagì e, dopo pochi istanti, riprese il proprio cammino.
        Quel ragazzo gli aveva fatto proprio una strana impressione.










 
Angolo di Tormenta

Alternative universe! Era la prima volta, per me. E' difficile privare i personaggi del proprio background e sperare che siano sempre gli stessi. Oserei quasi dire che è impossibile. In ogni caso, ho cercato di renderli più o meno credibili e di far emergere le personalità (l'arte era solo un pretesto per farli bisticciare, perchè non esistono Potter e Malfoy che non bisticciano); ora sta a voi farmi sapere se ci sono riuscita! c: 
Il titolo è ripreso da quello di una famosa opera di Monet. 

Ringrazio infinitamente tutti coloro che seguono e/o recensiscono la storia! Mi rendete davvero molto felice! ♥ :* 
Un immenso bacione e a risentirci lunedì prossimo!
T. ♪


 
Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit:

Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai felici milioni di scrittori.


(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)
   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Tormenta