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Autore: Psyche07    15/06/2015    3 recensioni
[STORIA IN REVISIONE CAP 2/11. Per chi si apprestasse a leggerla, consiglio di fermarsi al Cap 2]
Correvo veloce attraverso il vicolo buio, perché, al di là di esso, sapevo che sarei stato al sicuro; sentivo i battiti del cuore rimbombare nelle orecchie e le gambe stanche, sul punto di cedere.
Ma non potevo.
‘Non ancora - mi ripetevo, cercando di farmi forza – Ci sei quasi.’
Eppure la luce alla fine della stradina sembrava sempre più distante, mentre i passi del mio inseguitore si facevano vicini, sempre più vicini.
Con la coda dell’occhio cercavo di scorgerne la posizione, di rassicurarmi che Lui non fosse ancora riuscito a raggiungermi, ma non vedevo altro che rifiuti e buio.
Gridai a qualcuno, chiunque, di salvarmi.
Gridai la mia disperazione, ma nessuna mano si sporse per soccorrermi; avvertì Lui, invece, avvertì la sua mano afferrarmi da dietro ed arrestare la mia fuga.
“Ti ho preso.”
Genere: Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Neji Hyuuga, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke, Neji/Hinata
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest | Contesto: Nessun contesto
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Salve carissimi!
Per prima cosa vorrei scusarmi per il mostruoso ritardo * si genuflette ripetutamente * : vi ho fatto aspettare davvero troppo per leggere questo capitolo e non sono neanche sicura che ne sarà valsa la pena.
Non voglio rubarvi altro tempo, ma ci tengo proprio a dire che questa ottava follia è dedicata a tre persone speciali, mekbul, Jo95 e Ryanforever : grazie davvero per tutto il sostegno che mi dimostrate attraverso le vostre recensioni.
Ricordate che questo capitolo è stato scritto dal POV di Sasuke e
buona lettura a tutti…
 
 
 
 
Il sole aveva cercato riparo dietro gli alti grattaceli di Tokyo, ma il rosso acceso dei suoi raggi continuava a colorare il cielo, tingendo di rosa e oro ogni più piccola superficie su cui riusciva ancora a  posarsi.
 
Da sotto la tettoia della fermata dell’autobus, in attesa che il mezzo facesse la sua apparizione in fondo alla strada, mi godetti quello straordinario spettacolo quotidiano che era il tramonto e, con un lieve sorriso ad incresparmi le labbra, ripensai alla giornata appena trascorsa.
 
 
 
Una volta fatto ritorno al campo da basket, avevo seguito l’esempio del dobe e avevo ripreso a giocare con più energia e determinazione dell’ora appena trascorsa.
 
Senza l’irritante presenza di Sai, ero riuscito a dare del filo da torcere ad Uzumaki, ma, nonostante i miei sforzi e quelli del resto della squadra, a spuntarla erano stati i rossi per ottantasette a sessantotto.
 
Forti della scarsa differenza di punti che ci aveva visti perdenti, non impiegammo poi molto a decidere che dovesse esserci concessa la rivincita e, complice l’adrenalina che ci scorreva ancora nelle vene, fummo tutti concordi nello stabilire che si dovesse tenere quel pomeriggio stesso, alla fine delle lezioni.
 
Al primo scontro, però, ne era seguito un altro e poi un altro ancora e avremmo anche potuto continuare fino al giorno dopo, se i nostri muscoli non avessero iniziato a bruciare in segno di muta protesta.
 
L’unico che sembrava non risentire della stanchezza era l’usuratonkachi che, per assurdo, non aveva fatto altro che saltare come un fottuto grillo per ogni dannato quarto di ogni stramaledetta partita.
 
“Non sono mica Michael air un cazzo!”, pensai con una piccola punta di irritazione, mentre un lieve sorriso mi increspava le labbra.
 
Era stato estremamente appagante fronteggiare un avversario del suo calibro e, per quanto il sapore della sconfitta fosse davvero troppo amaro per abbandonare con facilità le mie papille gustative, sarei stato disposto a provarlo ancora in cambio delle sensazioni che la nostra sfida mi aveva lasciato.
 
 
Venni riscosso dai miei pensieri dall’arrivo del seicento ventuno, l’autobus che aspettavo.
 
Staccandomi dal freddo pilastro in acciaio che mi aveva sostenuto fino a quel momento, mi affrettai a salire sul mezzo e, trovando un sedile vuoto accanto ad uno dei finestrini di destra, mi accomodai con un lungo sospiro stanco.
 
 
 
 
 
Varcai i cancelli di Villa Uchiha che era quasi ora di cena, unico desiderio quello di poterla saltare per poi concedermi un lungo bagno rilassante e andare di filato a letto.
 
Estrassi il mio mazzo di chiavi dallo zaino e, il più silenziosamente possibile, sgattaiolai dentro, dirigendomi subito verso le scale che portavano al piano superiore: se nessuno mi avesse visto rientrare, prima di dover scendere in sala da pranzo, forse avrei potuto concedermi almeno una veloce doccia rifrescante.
 
“Buona sera, signorino.”
 
Trattenendomi dall’imprecare sonoramente, incrociai per un breve attimo lo sguardo del maggiordomo e sbiascicai un frettoloso saluto in risposta:
 
“Buona sera a te, Charles.” un piede già posato sul primo scalino della rampa.
 
“Il signore desidera parlarle: la sta aspettando nel suo studio.”, pronunciò l’uomo con tono solenne, bloccandomi definitivamente dal proseguire la mia corsa verso il piano superiore.
 
Senza replicare in alcun modo, mi costrinsi a fare dietrofront e a percorrere il lungo corridoio che conduceva allo studio di mio padre.
 
Una volta giunto davanti alla porta in pregiato legno di noce, bussai e subito la voce di oto-san risuonò forte e decisa:
 
“Entra pure, Sasuke.”
 
“Mi avete fatto chiamare, padre?”, chiesi in modo retorico, introducendomi nella stanza e chiudendo la pesante porta alle mie spalle.
 
“Sì, vieni a sederti: dobbiamo parlare.”
 
Mi feci avanti con una rapida successione di ampie falcate e, una volta che ebbi preso posto in una delle scomode poltroncine di velluto blu, mio padre riprese con tono imperioso:
 
“Quando avevi intenzione di comunicarmi la tua adesione ad un corso che io non ho mai approvato?”
 
“Lo avrei fatto a breve, padre...”
 
“Non mi importa quando avevi intenzione di farlo: avresti dovuto sottoporre a mio giudizio la possibilità di frequentare altre lezioni. Sai perfettamente che i tuoi pomeriggi sono già stracolmi di impegni e non puoi permetterti di trascurare i tuoi doveri per partecipare ad un inutile corso linguistico.”, quasi gridò, perdendo per un momento la sua maschera di compostezza.
 
“Oto-san non avrei mai firmato l’autorizzazione, se non fossi stato assolutamente certo che queste lezioni costituissero un’opportunità che non andava sprecata. L’insegnante a cui è stata affidata la direzione del corso è un madrelingua inglese: poter interagire con lui migliorerà molto le mie capacità discorsive e, di conseguenza, potrei gestire con più facilità le relazioni intercontinentali che la nostra azienda ha stretto di recente.”, replicai, cercando di mettere in luce gli aspetti positivi della mia iniziativa.
 
“Non sei ancora pronto per occuparti attivamente degli affari di famiglia – affermò con risoluzione -  piuttosto dovresti dedicare il poco tempo che riesci a ritagliare tra gli allenamenti e lo studio per assistere Itachi: osserva tuo fratello e cerca di apprendere da lui quanto più puoi…”
 
 
Alla menzione di mio fratello scollegai la mente, smisi di ascoltarlo e, mentre la sua voce si riduceva ad un distante ronzio, lasciai i pensieri liberi di vagare.
 
Non è che mi fossi fatto particolari illusioni sul perché oto-san avesse voluto parlarmi, anzi non avevo avuto il minimo dubbio che volesse farlo in merito alle lezioni supplementari di inglese.
 
Come da programma, non era servito a nulla prospettare i vantaggi di cui sicuramente avrebbe beneficiato la nostra azienda, né fornire spiegazioni perfettamente razionali che giustificassero una mia scelta autonoma: quello che rilevava era comunque il fatto che avessi agito senza il suo benestare.
 
Per quanto non sopportassi questo suo continuo impicciarsi in qualsiasi aspetto della mia vita, mi sarei sottoposto senza fiatare a qualsiasi tipo di punizione, avrei accetto qualsiasi parola rabbiosa avesse abbandonato le sue labbra… tutto, ma non il consueto discorso sulle straordinarie capacità di mio fratello e sulla necessità che io provassi quanto meno ad assomigliargli.
 
Ogni parte di quella sua ridondante filippica era come stampata a fuco nella mia mente, del resto non aveva fatto altro che propinarmela in ogni occasione l’avesse ritenuto necessario fin dalla tenera età di sei anni, perciò non riuscii proprio, non questa volta, a biasimare me stesso per il boicottaggio della mia mente.
 
Quando, circa un quarto d’ora dopo, capii che aveva finito di sciorinare elogi e complimenti, riconcentrai la mia attenzione su di lui:
 
“…Per questa volta ti permetterò di frequentare questo inutile corso, ma, se il tuo rendimento dovesse calare in un ambito qualsiasi delle tue materie di studio, non mi farò alcuno scrupolo a fartelo abbandonare, siamo intesi Sasuke?”
 
“Sì, oto-san, ho capito.” mi limitai a rispondere.
 
“Bene, puoi andare.”, disse e con un gesto vago della mano sottolineò ulteriormente il suo congedo.
 
Uscii dallo studio con passi calmi e misurati, senza voltarmi indietro, ma, se non fosse stato per il mio orgoglio, non sarei riuscito a trattenermi dall’urlargli contro tutta la mia rabbia e la mia frustrazione.
 
Perché non poteva semplicemente accettare le mie scelte? Perché non poteva accettare me, con tanto di pregi e difetti?
 
Salii le scale che portavano al secondo piano quasi di corsa e, quando finalmente riuscii a raggiungere la mia camera, mi barricai al suo interno quasi come se, in tal modo, avessi potuto lasciare fuori ogni parola o ogni pensiero spiacevole.
 
Iniziai a spogliarmi lentamente, lasciando una scia di vestiti che dal letto portava fino alla cabina della doccia, nella quale entrai, infine, abbandonandomi al caldo tepore dell’acqua.
 
Una volta riemerso dalla nebbia di vapore che la mia lunga permanenza sotto il getto di gocce bollenti aveva creato, trovai Itachi ad attendermi disteso placidamente sul mio letto.
 
“Hai parlato col vecchio?”, esordì immediatamente.
 
“Sì, aniki.”, risposi in modo telegrafico.
 
Non ero sicuro che questo fosse il momento adatto per intavolare un discorso con mio fratello: gli elogi che mio padre gli aveva rivolto erano ancora ben presenti nella mia mente, così come la gelosia a cui puntualmente davano adito.
 
Mi riscossi, accorgendomi che Itachi stava proseguendo:
“Considerata la tua loquacità, presumo che non debba essere andata molto bene.”
 
“Al contrario – replicai con finto tono giulivo – direi che è stata una conversazione molto piacevole.”
 
Tacque, abbassando lievemente lo sguardo.
 
Sapevo che mio fratello era l’unico a non avere colpe in questa spiacevole situazione, ma i sentimenti non sono razionali e controllarli non è sempre semplice.
 
E tuttavia rivolgermi a lui con ironia o con parole di disprezzo non avrebbe prodotto altro risultato che quello di allontanarci più di quanto già non fosse successo e io non ero pronto a perdere il mio aniki.
 
Itachi sembrava davvero preoccupato per me ed era venuto a parlarmi nonostante il litigio avuto in mattinata: il minimo che potevo fare era sforzarmi di essere tollerabile e tollerante.
 
Dopo un attimo di silenzio, che parve durare molto più allungo, onii-chan riprese:
 
“Quanto meno ti ha permesso di continuare a frequentare le lezioni?”
 
“Mmh, a patto che eccella in ogni altra attività che svolgo e, in modo particolare, nel mio apprendistato con te, ovviamente.”, sbuffai, infilando con un po’ troppa energia i jeans che avevo recuperato dall’armadio.
 
“Ah, non cambierà mai… – sospirò e non aggiunse altro per svariati minuti, fino a che – Otouto vorrei parlare della discussione di stamani.”, disse con serietà.
 
A quanto pare era giunto il tempo dei chiarimenti e, per quanto continuare a far finta di niente sarebbe stato molto più comodo, dovevo delle scuse a mio fratello.
 
“Non è necessario, Itachi, ho capito subito di aver sbagliato a riversare il mio risentimento su di te, perciò, per quanto io odi il fatto di dovermi scusare, mi rendo conto che ti devo le mie scuse: mi dispiace, aniki.”
 
“Oh, il mio piccolo otouto – trillò, scattando in piedi e iniziando ad avvicinarmisi a gradi passi – vieni qui e fatti abbracciare.”
 
“Non ci penso nemmeno!”, esclamai, il viso stravolto in una maschera di divertito sgomento.
 
Riuscii a sfuggire alle sue grinfie per parecchi minuti, scappando di qua e di là per tutta la stanza, ma alla fine fui catturato dalla morsa stritolatrice che mio fratello chiamava abbraccio.
 
“Onii-chan non credi che sia sufficiente?”, chiesi retoricamente, cercando di liberarmi da quella sua presa mortale.
 
“Oh no, fratellino, era da troppo tempo che non mi permettevi di abbracciarti.”
 
Sorrisi per questa improvvisa dimostrazione fisica di affetto e, interrompendo i tentativi di respingerlo, mi abbandonai a quella stretta di cui, proprio in quel momento, non potevo che sentire un irrefrenabile bisogno.
 
 
 
 
 
Durante il viaggio verso l’età adulta tutti noi perdiamo qualcosa, ma, presi come siamo dalla fretta di crescere, non ce ne curiamo e proseguiamo spediti verso la nostra meta.
 
E’ solo quando ci sembra di averla raggiunta che rimpiangiamo ciò che ci siamo lasciati alle spalle.
 
Mi sembra quasi di riuscire a vedere un me in miniatura sbraitare e frignare perché a suo fratello maggiore erano permesse cose che a lui, per quanto fosse già un bambino grande, erano vietate; adesso, invece, farei di tutto per poter rivivere, anche solo per un breve momento, gli anni della mia infanzia.
 
Riesco quasi a rivedere me e mio fratello giocare in giardino, risento il profumo dei fiori e il suono delle nostre risate; mi sembra di riavvertire sui capelli la carezza ruvida della mano di mio padre o i baci delicati che mia madre mi schioccava nei momenti più impensati.
 
Non posso tornare indietro, non posso riappropriarmi del tempo che mio fratello mi dedicava, delle rare dimostrazioni di affetto di mio padre, delle aperte manifestazioni d’amore di mia madre ed è in simili momenti che questa consapevolezza torna ad annichilirmi come nell’attimo della sua scoperta.
 
Nella solitudine della mia stanza, dove nessuno aveva provato a seguirmi una volta consumato uno dei pasti più orribili della mia esistenza, le mie contrastanti emozioni erano esplose, macchiando di nere lettere spezzate la bianca superficie di alcuni fogli di carta.
 
Un sentimento di disperata rabbia aveva guidato la mia mano nel vergare quell’intreccio di frasi e pensieri, ma, anziché sentirmi sollevato per aver finalmente dato voce a ciò che provavo, le parole che avevo scritto sembravano pesare sul mio animo come macigni.
 
Aprii il cassetto della scrivania e con un gesto secco vi scaraventai le pagine che avevo difronte: non volevo più vedere quegli inutili pezzi di carta, né tanto meno le verità che essi portavano impresse in modo indelebile sulla loro superficie.
 
Risolutamente spensi la luce e mi diressi verso il letto, ne scostai le coperte leggere e, una volta sdraiatomi, mi imposi di iniziare a dormire.
 
 
 
 
 
Il mattino seguente avrei voluto rimanere a poltrire tra le calde coltri del mio letto fino all’ora di pranzo, ma non potei esimermi né  dall’alzarmi, né dal prepararmi e presenziare alle lezioni: con l’ultimatum datomi da mio padre, l’ultima cosa che volevo era che venisse magicamente a sapere di una mia assenza ingiustificata.
 
Inutile dire che, considerato lo stato d’animo in cui mi trovavo, non riuscii a prestare neanche quel minimo di attenzione grazie alla quale avrei potuto comprendere almeno una delle numerose parole che lasciavano la bocca degli insegnanti.
 
 
Al perforante trillo dell’ultima campanella, lasciai l’aula in tutta fretta: avevo bisogno di un po’ di tranquillità per poter affrontare il caos che quel giorno, sicuramente, avrebbe caratterizzato la lezione del dobe.
 
Quando, infine, mi ritrovai davanti alla classe assegnata al corso di lingua inglese, ebbi l’irresistibile tentazione di ritornare sui miei passi ed allontanarmi il più velocemente possibile dall’edificio scolastico: se le urla di quegli squilibrati dei miei compagni erano perfettamente udibili dall’esterno, non osavo immaginare il casino che regnava all’interno.
 
Aprì la porta e costrinsi le mie gambe a muoversi in direzione del banco che ero solito occupare, assolutamente irremovibile nella decisione di partecipare a quelle due ore di delirio e a dimostrare a me stesso e ad oto-san che esse erano innegabilmente utili.
 
L’arrivo di Uzumaki ridusse anche i più chiassosi al silenzio e, nel tempo che impiegò per ricordarci quale sarebbe stata l’attività del giorno, i miei occhi rimasero fissi su di lui, attenti anche al più piccolo movimento di quelle labbra carnose.
 
Ad un certo punto, però, e per una qualche ragione che non avevo afferrato, il dobe lasciò il suo posto a quell’egocentrico di Deidara e si spostò in fondo all’aula, privandomi, in tal modo, della libertà di osservarlo senza che altri se ne avvedessero.
 
Una volta perso il catalizzatore della mia sfuggente attenzione, non potei fare a meno di ripensare alla sera precedente e, in modo particolare, al momento in cui i miei sentimenti erano esplosi, riversandosi come un fiume in piena fra le righe della favola che avevo scritto.
 
Leggere nero su bianco quanto non avevo il coraggio di ammettere nemmeno a me stesso, mi aveva sconvolto al punto, da spingermi a nascondere l’oggetto del mio turbamento nell’illusione che, così facendo, quello avrebbe cessato di esistere.
 
Questa mattina, però, temendo che qualcuno dei domestici o mio fratello potessero scovare i fogli incriminati, avevo seguito l’impulso di portarli con me, perciò li avevo infilati frettolosamente nello zaino ripromettendomi di sbarazzarmene il prima possibile.
 
Al desiderio di stracciare questi inutili pezzi di carta, forse complice la noia, si era adesso sostituito quello di rileggerli, soprattutto per poter dimostrare a me stesso che, a mente fredda, essi non sarebbero riusciti a provocare in me alcun tipo emozione.
 
Così, ben attento a non farmi beccare, estrassi i fogli dalla cartella e, dopo averli celati tra il mio corpo e il banco, iniziai a leggerli con reale interesse.
 
 
Mi immersi così profondamente nelle vicende a cui avevo dato vita, che non mi accorsi dello scorrere del tempo, né mi preoccupai eccessivamente di poter essere colto in flagrante a fare tutt’altro che seguire la lezione.
 
Fu l’insopportabile stridio di sedie trascinate sul pavimento a riscuotermi dallo stato di trans in cui ero caduto e, con un certo sgomento e altrettanta meraviglia, mi resi conto che tutti stavano riordinando le loro cose.
 
Non potevo quasi crederci che fossero trascorse due ore senza che io ne avessi il minimo sentore e, mentre mi affrettavo a riporre il materiale scolastico nello zaino, mi riprendevo mentalmente per la mia imprudenza: e se quegli sciocchi dei miei compagni si fossero accorti della mia distrazione o, anche peggio, se l’avesse notata Uzumaki?
 
“In quel caso che cazzo di scusa avrei mai potuto inventare? - mi chiesi, ma poi il pragmatismo ebbe la meglio sul sentimento di autocritica – Oh beh non è accaduto, quindi perché preoccuparsi?”, conclusi con un ragionamento che non faceva una grinza.
 
Riacquistate calma e compostezza, mi diressi a passo spedito verso la porta, il gusto della libertà già sulla punta della lingua, quando la voce argentina del mio insegnate mi bloccò dall’assaporarla dicendo:
 
“Sasuke potresti trattenerti per qualche minuto?”
 
Mi irrigidii, mentre nella mente si affacciava l’idea di una ragione più che plausibile per una simile richiesta.
 
“Possibile che…”, pensai agitato, ma non ebbi nemmeno il tempo di dar corpo ai miei dubbi che l’altro, forse accortosi della mia esitazione, aggiunse:
 
“Ti assicuro che non impiegheremo molto tempo.” e un piccolo sorriso fece capolino ad increspargli le labbra.
 
“Va bene.”, risposi con tono neutro, prendendo posto sul primo banco della fila centrale.
 
“Ho notato che durante la lezione eri distratto: c’è forse qualcosa che ti preoccupa?”, chiese, appoggiandosi con un movimento fluido alla superficie della cattedra.
 
“Merda!”, imprecai internamente, pensando con una punta di amara ironia ad i pensieri che solo pochi attimi prima mi erano passati per la testa.
 
“No, mi scuso per non aver prestato attenzione.”, risposi sbrigativamente, assumendo un’espressione più imperturbabile del solito.
 
Quello che non mi sarei mai aspettato è che Uzumaki, anziché sfottermi o rifilarmi una punizione esemplare, dicesse con un tono di voce calmo e quasi contrito:
 
“Il mio non voleva essere un rimprovero… in realtà avrei voluto comunque trattenerti alla fine dell’ora per poterti ringraziare… sai per quello che hai fatto ieri: non eri tenuto né ad accompagnarmi in infermeria, né a medicarmi, ma sei stato davvero gentile a fare entrambe le cose.”, sbiascicò frettolosamente, mentre un rossore davvero carino gli tingeva le guance.
 
Si passò una mano tra le ciocche bionde e, dopo avermi rivolto il più bel sorriso che avessi mai visto, scosse la testa, dicendo:
 
“Sai, teme, non  sei poi così male come credevo: quando vuoi riesci anche ad abbandonare quel tuo atteggiamento da stronzo arrogante e ad essere piacevole.”
 
“Stai forse cercando di dirmi che ti piaccio, Uzumaki?”, chiesi, un ghigno gigantesco che mi si apriva sulle labbra.
 
Vederlo assumere il colorito di un pomodoro maturo, lo rese, ai miei occhi, ancor più attraente: per i brevi attimi in cui l’imbarazzo colorò le sue gote, misi da parte la ragione per la quale ci trovavamo in quell’aula e mi godetti quella piccola vittoria inaspettata.
 
“Ma che ti salta in mente? Stavo solo cercando di dire che forse, e sottolineo il forse, abbiamo iniziato col piede sbagliato.”, replicò con decisione.
 
“Chissà, magari hai ragione tu.”, gli diedi corda, curioso di sapere a cosa avrebbe portato questa insolita conversazione.
 
“Bene e adesso, in nome della nostra neonata amicizia, ti andrebbe di dire al tuo caro Naruto cosa ti affligge?”
 
“Eh?!”, domandai, strabuzzando gli occhi per la sorpresa.
 
“Cosa diamine…”
 
“Non è da te distrarti durante una lezione, Uchiha, perché, ammettiamolo, sei proprio un secchione patentato, perciò se un tipo come te ha passato due intere ore a farsi gli affari propri, deve per forza esserci qualcosa che lo preoccupa.”, se ne uscì, gesticolando abbondantemente.
 
“Noi non siamo amici.”, sottolineai con voce tagliente l’unica parte del suo lungo discorso che per me aveva una qualche rilevanza.
 
“Vuoi dire che prima non lo eravamo, ma adesso abbiamo chiarito ogni cosa, no?”, mi chiese con tono leggermente interrogativo e, non appena i suoi occhi incrociarono i miei, il diniego che stavo per pronunciare mi morì sulle labbra.
 
“Non credi che sia un po’ troppo presto per parlare di amicizia? In fin dei conti fino a ieri non riuscivamo a stare nella stessa stanza per più di dieci minuti di seguito senza venire alle mani.”
 
“E’ vero, ma ho come la sensazione che da ora in avanti sarà diverso. Non fraintendermi – mi interruppe immediatamente, prima che dessi voce alle mie perplessità – non sto dicendo che non litigheremo o che per la maggior parte del tempo che trascorreremo insieme non avrò voglia di prenderti a calci nel sedere…”
 
“Tsk.”
 
“… ma ieri ho avuto la conferma che c’è molto più in te dell’immagine da snob con la puzza sotto al naso che mostri agli altri, perciò vorrei provare a conoscere il vero Sasuke... ovviamente se anche tu sei d’accordo… cioè…”
 
Smisi di ascoltare la lunga serie di frasi confuse e spezzettate che seguirono a quest’ultima dichiarazione, intento com’ero a cercare di contenere lo stupore e l’inattesa felicità che quello parole avevano risvegliato.
 
“Possibile che la richiesta che avevo rivolto alle stelle all’inizio dell’anno scolastico fosse stata ascoltata?”
 
Sorrisi sinceramente come non accadeva ormai da molto tempo e, con un pizzico di ironia, interruppi l’altro ragazzo dicendo:
 
“Va bene, non è necessario che sottoponi il tuo unico neurone ad un simile stress: non servano altre parole, perché ho deciso di concederti il grande privilegio della mia amicizia.”
 
“Smettila di fare l’arrogante, teme, non lo sopporto!”
 
“Guarda che sono serio – dissi, acquisendo un tono tanto tetro da attirare la sua attenzione – io non credo in nessun tipo di legame affettivo, compreso quello che dovrebbe esistere tra due amici.”
 
“Cosa…?”, sussurrò, il viso contratto in un’espressione di muta incomprensione.
 
“Uzumaki tu sei in qualche modo diverso da chiunque io abbia incontrato finora, perciò ho deciso di tentare con te e solamente con te questa nuova… esperienza: diciamo che si tratta di una sorta di esperimento e vediamo come va, sei d’accordo?”, domandai, gettando all’altro una sfida che non perse tempo a raccogliere.
 
“Va bene, teme, ti dimostrerò che l’amicizia esiste.”, affermò con sicurezza, porgendomi la mano.
 
Esitai solo un attimo prima di stringerla, mentre un ghigno soddisfatto mi si dipingeva sul volto: se qualcuno mi avesse detto che alla fine di queste due ore il mio rapporto col dobe avrebbe subito un simile cambiamento, gli sarei scoppiato a ridere in faccia senza ritegno.
 
Con un vero e proprio sorriso ad increspargli le labbra, Uzumaki ricambiò ancora per qualche attimo la mai stretta e, dopo averla lasciata, si diresse a passo spedito verso la porta.
 
Era già quasi in procinto di varcarne la soglia, quando, girandosi di appena tre quarti, disse con fare impacciato:
 
“Teme visto che adesso siamo amici e tutto il resto… beh, volevo solo chiarire una piccola incomprensione del passato.”
 
“Di che si tratta?”, chiesi realmente incuriosito.
 
“Ecco… posso giurarti che non ho allungato le mani sul tuo ragazzo!”, quasi urlò, girandosi completamente verso di me e fissandomi dritto negli occhi.
 
“Ragazzo?”, domandai, una nota di confusione nella voce.
 
“Sì… Sai.”
 
“Quella sottospecie di… - pensai nauseato – Ma quale ragazzo?!”, esclamai con reale orrore e sincero sgomento.
 
“Ma ti si è fuso il cervello sotto a quella pettinatura a culo d’anatra? Sai, te l’ho appena detto.”, replicò quel dobe con tono infastidito, non cogliendo minimamente la natura retorica della mia domanda.
 
“Non sto insieme a quella specie di copia carbone di me stesso.”, chiarii con un enfasi forse un po’ troppo eccessiva.
 
“Ma… ma hai detto che ti piaceva come una ciotola di ramen.”, balbettò quasi tra sé e sé.
 
“Appunto, io odio quella brodaglia disgustosa.”
 
“Teme non offendere il ramen: è il piatto più strepitoso che esista.”, urlò con impeto, il dito indice posto, in segno di monito, sotto il mio naso.
 
Il senso delle parole che aveva appena pronunciato giunse come un pugno in pieno stomaco e portò lo stesso doloroso e oltraggiato stupore.
 
“Oh Kami, non avrai creduto che io…”, chiesi conferma, anche se non ce ne era affatto bisogno: ormai il malinteso nel quale eravamo caduti entrambi era fin troppo chiaro.
 
“Certo che l’ho creduto! Puoi forse biasimarmi dopo la reazione che hai avuto quando ci hai visti insieme nei giardini?”
 
“Oh scusa tanto se il fatto ti essere stato piantato in asso in mezzo al cortile della scuola mi ha fatto leggermente incazzare. In fin dei conti cosa altro avevo da fare io, a parte sprecare il mio preziosissimo tempo nell’attesa che tu finissi di limonare col tuo lui?”, domandai retoricamente, la rabbia che montava di nuovo imperiosa al solo ricordo di quei momenti.
 
“Limonare? Ma di cosa diamine stai parlando?!”
 
“Oh su, Uzumaki, non c’è alcuna ragione di fingere: non ho nulla contro gli omosessuali, se è questo che ti preoccupa. Dimentichi forse che ho visto tutta la scena? Sai era praticamente seduto sul tuo bacino, il viso ad un centimetro scarso dalle tue labbra, mentre tu avevi gli occhi chiusi e un’aria alquanto impaziente.”
 
“Teme ti assicuro che hai frainteso…”
 
“E allora spiegami: come stanno realmente le cose?”, domandai in modo brusco, interrompendolo.
 
“Beh… io – disse, prima di abbassare lo sguardo e arrossire fino alla punta delle orecchie – la verità… la verità è che mi ha fregato, ecco.”
 
“Spiegati meglio.”, ingiunsi con fare autoritario.
 
“E che diamine, teme, non puoi semplicemente accontentarti della spiegazione che ti ho dato?”
 
“Oh no, dobe, non te la caverai con così poco – pensai, per poi dire a suo beneficio - Il punto è che non me l’hai data affatto.”
 
“Se lo dirai in giro, giuro che ti spellerò vivo, chiaro?”, domandò con serietà, la voce sporcata da una punta di imbarazzo.
 
Annuii semplicemente.
 
Dopo aver preso un lungo respiro, si decise a borbottare:
 
“Mi ha ‘avvertito’ che un grillo aveva deciso di farsi un bel giretto tra i miei capelli e, imponendomi di stare completamente immobile, si è avvicinato per poterlo scacciare. Istintivamente ho chiuso gli occhi, sai per non avere alcun tipo di riflesso involontario nel caso in cui l’insetto avesse deciso di abbandonare la mia testa. Bene, adesso sai tutto.”
 
“Cioè tu vuoi farmi credere di essere stato seriamente convinto di avere un grillo tra i capelli?”, domandai in tono ironico, un sopracciglio sollevato in segno di muto e quanto mai divertito stupore.
 
“Certo che sì, in fin dei conti eravamo all’aperto e non sarebbe poi stata una cosa così improbabile.”, replicò imbronciandosi e portando le braccia ad incrociarsi sopra al busto.
 
Purtroppo, per quanto provassi, non riuscii a trattenermi oltre e scoppiai a ridere di gusto, grandemente soddisfatto, nonostante l’ilarità, che quel pervertito di Sai non avesse messo le mani addosso al mio sexy biondino.
 
“Teme non c’è nulla da ridere! Ho rischiato grosso e solo il tuo arrivo ha impedito a quel maniaco di portare il suo piano a buon fine. A pensarci bene forse dovrei ringraziarti anche per aver salvato la mia virtù…”
 
A quell’uscita non potei fare a meno di sbellicarmi ancora di più, provocando l’inevitabile stizza dell’altro, ma come potevo trattenermi data l’ironia della situazione?
 
“Non sono affatto il cavaliere che si erge a tutela del tuo onore e della tua ‘virtù’, anzi… - non potei fare a meno di pensare, ma ad alta voce mi limitai a dire - Senti che ne diresti di venire a cena con me?”
 
“Perché mai dovrei farlo?”, chiese, le labbra imbronciate in un modo davvero troppo invitante.
 
“Uhm, diciamo che per farmi perdonare questa piccola dimostrazione di ‘insensibilità’ vorrei offrirti del ramen. È sufficiente come motivazione?”
 
“Ramen hai detto?”
 
“Già, tutte le ciotole che vuoi.”, aggiunsi per rendere più appetibile la mia offerta.
 
“E siamo sicuri che offrirai tu?”, chiese ancora con fare sospettoso.
 
“Parola di boyscout.”, risposi, la mano destra posata sul cuore.
 
“Sei stato davvero un boyscout?”
 
 
“Certo che no.”, replicai divertito: ma quanto poteva essere ingenuo?
 
“Oh al diavolo, quando mai mi ricapiterà un’occasione simile?! Forza teme diamoci una mossa che il mio già non vede l’ora!”, esclamò con allegria, il malumore di poco prima completamente dimenticato.
 
Incantato dal bellissimo sorriso che stava rivolgendomi, eliminai la poca distanza che ci separava e lo afferrai nell’incavo del gomito, trascinandomelo appresso per tutti i corridoi della scuola.
 
La fretta di fare ritorno a casa era sparita, ma, in compenso, era stata ampiamente sostituita da quella di portare il dobe nel ristorante più vicino e trascorrere un po’ di tempo in sua compagnia al di fuori del contesto scolastico: non vedevo letteralmente l’ora di scoprire cosa mi avrebbe portato questa serata.
 
Chi mai avrebbe immaginato che una giornata iniziata tanto male, si sarebbe poi conclusa così bene?
 
 
 
 
 
 
 
 
 
NA: Salve di nuovo miei cari,
è da circa quindici giorni che non do miei notizie ed, in modo particolare, è da ben più di quindici giorni che non aggiorno.
Vi assicuro che mi è dispiaciuto parecchio non poter postare prima questo capitolo, ma ho scoperto con un certo sgomento che gli esami si sarebbero tenuti molto prima di quanto io mi fossi aspettata, perciò ho dovuto dedicarmi ad una sessione sfiancante di ‘studio matto e disperatissimo’.
Ho dato il primo esame venerdì scorso ( e per fortuna è andata bene) e subito dopo mi sono messa subito al lavoro per ultimare questo ottavo capitolo.
Non vi nascondo che me lo ero immaginato un po’ diverso, ma i continui rimaneggiamenti che ha subito hanno prodotto questo risultato e, per quanto io non ne sia molto soddisfatta, spero che voi lo sarete.
Nel caso in cui, come credo, anche voi rimarrete un po’ delusi, cercate di vedere il lato positivo: per Sasuke e Naruto si è dato un nuovo inizio ed i ragazzi ne hanno subito approfittato per godersi una bella cena l’uno in compagnia dell’altro.
Detto questo riuscite ad immaginare di cosa parlerà il prossimo capitolo? Personalmente non vedo l’ora di scriverlo perché dal nono in poi si fa sul serio!
 
Ringrazio quanti hanno inserito la storia tra le preferite, seguite o ricordate ed in modo particolare chi ha recensito sia il precedente capitolo che la one-shot Sasuke’s tale: un grazie davvero dal profondo del mio muscolo cardiaco.
Spero ci risentiremo presto anche se, avendo un esame già il prossimo mese (se non prima), sarà un po’ difficile. In ogni caso mi impegnerò per pubblicare almeno il capitolo nove, ma sono costretta a chiedervi nuovamente di avere pazienza.
Un bacio,
Psyche
 
PS: Cosa è accaduto tra Sasuke e suo padre durante la cena si scoprirà prossimamente anche se per voi non dovrebbe essere difficile da immaginare.
  
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