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Autore: udeis    16/06/2015    1 recensioni
L'ufficio alle relazioni babbane ha l'arduo compito di contattare i neo maghi e rivelargli l'esistenza del mondo magico. Non è un lavoro facile: ci vuole professionalità gentilezza e una grande conoscenza dei programmi tv.Tra genitori infuriati, convinti di avere davanti dei pazzi, genitori iper-protettivi che vorrebbero assicurarsi che Hogwarts rispetti le normative di sicurezza (Dove sono le scale antincendio, eh?), incantesimi sbagliati, incredulità e mazze da baseball, la vita di questi dipendenti ministeriali è davvero un inferno, ma loro non si perdono mai d'animo.
Genere: Azione, Commedia, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'Ufficio alle relazioni babbane e le sue dis/avventure.'
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Ore 7.30, 10 Giugno.
Un gufo dall’aria ufficiale planò in sala da pranzo e atterrò sulla tavola a poca distanza dalla mia colazione, arruffò le piume con aria d’importanza e mi tese una zampa. Gliela liberai e presi la lettera.
“È per me papà?” chiese eccitata e speranzosa, mia figlia Emily. “È la mia lettera per Hogwarts?”
“No, la tua lettera arriverà verso Luglio. Questa è la mia lista.”
“Puntuale come un orologio svizzero.” Commentò mia moglie Agata.
Era vero: la lettera del Ministero arrivava ogni anno alla stessa ora, dello stesso giorno e con lo stesso gufo. Avvisare le famiglie dei nati babbani era un lavoro molto serio e richiedeva precisione, competenza e una marea di tempo.
“Dai papà facci sentire!” Urlò eccitato Bill, il minore dei miei due figli.
Scorsi la lista con aria attenta sorseggiando il mio caffè.
“John Holmes, Sherlock Watson, Geraldine Julie…” iniziai a recitare io con aria seria, mentre i miei figli ridevano.
Leggere i nomi più strani della mia lista e incoraggiare i miei figli ad immaginare le avventure di questi futuri maghi faceva parte del mio personalissimo metodo per evitare le domande, i pianti e le suppliche tipici di qualsiasi giovane mago non ancora iscritto a Hogwarts. Funzionava abbastanza bene: forse non fermava del tutto la marea delle domande, ma almeno evitavamo i pianti e le suppliche. Bill ed Emily erano troppo impegnati ad immaginare le avventure dei miei nati babbani, per ricordarsi che loro sarebbero rimasti a casa.
Creavano sempre delle storie incredibili per quei giovani maghi ed io ed Agata ci divertivamo un mondo a sentire quelle assurdità: i giovani maghi della loro fantasia sfidavano le acromantule, entravano nella stamberga strillante, combattevano giganti e cavalcavano ippogrifi, ma tornavano ad Hogwarts sempre senza un graffio. E cosa ancora più strana, non venivano mai espulsi.
 
“Romualdo Pickwick, Blue Sad, Jacinta Flower…”  Continuai.
 
Il piccolo rise come un matto, mentre Emily tentava di restare seria. “Basta, basta! Non voglio più saperlo! Saranno i miei compagni di scuola! Ne stai dicendo troppi! Voglio che sia una sorpresa!” Protestò lei animatamente tra le risate di tutta la famiglia.
Poi lessi quel nome e non potei fare altro che sbiancare.
Agata intercettò la mia smorfia e, sedando la guerra fratricida che nel frattempo era sorta tra Emily e Bill, intervenne con un secco e lapidario: “la scuola non è ancora finita, muovetevi andate a lavarvi subito!”
“E non litigate!” aggiunse per buona misura, visto che Bill aveva iniziato a canticchiare “Romualdo e Emily si sposano!” tra le accorate proteste della diretta interessata. Sarebbe stato davvero divertente se fosse successo davvero.
Poi, appena i nostri figli furono fuori portata, Agata prese una tazza di caffè, si sedette davanti a me e mi chiese: “che succede?”
“Abbiamo un grosso problema.” Articolai con la gola secca. Poi lasciai che il silenzio invadesse lentamente la cucina.
In lontananza mia figlia accusò suo fratello di essere un grosso verme bianco puzzolente.
“Lucy Pond è una strega.” Dissi e fu come una condanna.
 
Avevo accennato alle mie amicizie babbane, vero? Con il lavoro che faccio è quasi inevitabile.
I Pond rientrano in questa categoria: io e Luke lavoriamo insieme alle poste, i nostri figli vanno a scuola insieme e anche Marta e Agata sono diventate amiche.
Luke e sua moglie, Marta, vengono spesso a cena da noi e noi siamo ospiti graditissimi a casa loro. Ovviamente, non sanno che i loro amici sono un mago e una strega e non lo sospettano minimante. E questa è una vera magia, considerando quanto poco mia moglie si curi della sicurezza anti-babbana.
Ora, non solo avrei dovuto svelargli le nostre vere identità, ma avrei dovuto anche spiegare loro che loro figlia era una strega, proprio come la mia.
“Come mai non ce ne siamo mai accorti?” Chiesi disperato ad Agata. Oltre ad essere un mio smacco personale, questa rivelazione introduceva un sacco di nuovi problemi nella nostra vita quotidiana.
Agata strinse forte la mia mano e mi rispose piano: “probabilmente abbiamo attribuito la sua magia involontaria a nostra figlia. Stanno sempre insieme quelle due.” Neanche lei era entusiasta all’idea: avere degli amici babbani, alle volte, è molto rilassante. Tanto per cominciare non vogliono sapere a tutti i costi la tua opinione sull’ultimo articolo di Rita Skeeter.
“Emily sarà contentissima.” Dissi ed era vero: Emily e Lucy erano migliori amiche e compagne di classe dal primo giorno delle elementari, la notizia che avrebbero continuato a fare la stessa scuola non poteva che rendere euforica mia figlia.
“Non avrai intenzione di dirglielo ora?” Chiese mia moglie.
“Che dovrei fare? E poi vorrà la lista, lo scoprirà da sola!”
“Puoi sempre contraffarla.”
La guardai scandalizzato.
Agata è la prova vivente che i pregiudizi sulle case sono tutti idiozie: questa slealtà non è degna di un Grifondoro.
“Non mi guardare così! Abbiamo bisogno di tempo. Dobbiamo assolutamente parlare a Luke e Marta! E lo sai che non possiamo riuscirci prima della prossima settimana. Non credi che se Lucy annunciasse a sua madre che andrà ad una scuola di magia insieme alla sua amica Emily renderebbe il tuo lavoro molto più difficile?”
“Senza dubbio, ma, insomma, mi dispiace contraffare la lista. È poco professionale.”
“Non devi per forza inventarti un nuovo nome,” mi venne incontro lei, “basta che cancelli quello di Lucy. E poi si tratterebbe solo di una settimana: Emily scoprirebbe lo stesso la verità, solo un po’ più tardi.” Disse conciliante.
“Lo so. Hai ragione.” Sospirai.
“Bene oggi pomeriggio chiamo Marta. Tieniti pronto. Domenica andremo a chiarire questa faccenda. O preferivi farlo Sabato prossimo?”
“No, Domenica è perfetto, ma… Andremo?” Chiesi io debolmente.
“Sì, io vengo con te.”
“Non puoi venire con me!”
“Perché no? Marta e Luke sono anche i miei di amici.”
“È il mio lavoro. Lo devo fare per conto del Ministero.”
“E allora?”
“Beh io non ti chiedo di certo di venire con te ogni volta che affronti una chimera!”
“Io ti lascerei venire. Non te la caveresti male come esca.”
“Sarebbe illegale! Le assicurazioni non coprirebbero i danni. E comunque cosa vuol dire che sarei perfetto come esca?”
“Vuol dire che non conosci gli incantesimi giusti per intrappolare quel genere di mostri. Ma se vuoi te li posso insegnare. Devi fare un po’ di pratica, ma non sono difficili.”
“Un po’ di pratica con le chimere?”
“Sì, senza non avrebbe senso, non credi?”
Dopo aver fissato per un attimo la mia faccia sconvolta si decise ad aggiungere: “è per questo  che ti ho proposto di iniziare come esca. È più facile.”
“Senti, lasciamo perdere le chimere per un momento. Quello che volevo dire è che non devi venire perché pensi che la situazione sia complicata e sei preoccupata per me. Il mio è un lavoro, che, come il tuo, necessita di competenze ben precise e se non le hai rischi di scatenare un disastro.”
“John non fare questo discorso con me: io conosco benissimo il mondo babbano, ci sono nata. Devo ricordarti chi ti ha insegnato a usare la lavastoviglie nel modo corretto?”
Rabbrividii al ricordo di quello che io avevo fatto a quella lavastoviglie, e di quello che lei aveva fato a me, la prima volta che l’avevo usata, ma non mi diedi per vinto.
”Tu sottovaluti la questione: non serve soltanto conoscere il mondo babbano.”
“Conosco anche il mondo magico se è quello che ti preoccupa. Sono una strega, sai? C’ero anch’io ad Hogwarts.” Disse. “Grifondoro!” Aggiunse compiaciuta.
Ignorai la provocazione e continuai.
“Il problema non è solo la conoscenza, ma la mediazione. Bisogna presentare ai babbani un mondo nuovo, mostrare loro quanto può essere magnifico e rassicurarli. Soprattutto questo, non immagini quanto sia difficile calmare le ansie dei genitori babbani, quando scoprono che i loro figli passeranno i prossimi sette anni in un castello incantato.”
“Credo di immaginarlo molto bene, invece, sai? Io sono anche madre, fino a prova contraria. Se poi vogliamo parlare di preoccupazioni ed ansie per l’ignoto mi ricordo perfettamente quella dei miei genitori: è la stessa che cercano di nascondermi, adesso, quando gli racconto di aver domato un drago. O di aver viaggiato via camino.”
Soprassedendo il fatto che anch’io, mago purosangue, mi preoccupavo a morte quando andava a domare i draghi e che suo padre odiava i camini solo perché la prima e unica volta che li aveva provati aveva vomitato, cercai ancora di trovare una via d’uscita.
“D’accordo, d’accordo, conosci tutto ciò che c’è da sapere, in teoria, ma non sai cosa dire, quando dirlo e come dirlo. Queste sono conoscenze che si acquisiscono solo dopo anni di esperienza.”
“Ho sentito talmente tante volte i tuoi racconti che un’idea me la sono fatta. E poi sii sincero quanti nati babbani ci sono nel tuo ufficio?”
Nessuno, effettivamente.
“Che cosa c’entra? Io sono il migliore e sono nato da una famiglia di maghi purosangue. E poi aver ascoltato delle storie non vuol dire essere in grado di gestire una situazione reale. È come se tu sapessi volare solo perché hai visto una partita di Quidditch dagli spalti!”
“John non sto dicendo di essere brava o cos’altro, sto semplicemente dicendo che voglio essere lì quando glielo dirai.”
“Non è necessario che tu…”
“La loro vita cambierà, la nostra vita anche. Entreranno a far parte del mondo magico! Il nostro mondo, John. Quello con le scope volanti, la posta via gufo e la smaterializzazione, ha presente? Se non ci fossi me ne pentirei per tutta la vita, ma soprattutto non voglio mancargli di rispetto.”
“Ma i bambini…”                                    
“Cosa c’entriamo noi?” Chiese allegramente la mia inopportuna figlia undicenne tornando in cucina e tirandosi dietro anche il fratellino.
“Niente tesoro, stavo dicendo a papà che a voi piacerebbe tanto passare un pomeriggio con i vostri amici Jonhattan e Lucy la prossima settimana.”
“Sì! Che bello li invitiamo a casa nostra e poi facciamo una festa?” Chiese Bill eccitato.
“No, caro, quello lo facciamo solo per i compleanni, diciamo che noi adulti prenderemo un tè insieme, mentre voi bambini giocate fuori.”
“Ok allora lo dico a Lucy, oggi.” Disse mia figlia tutta allegra.
“Certo, ma ricorda che prima dobbiamo parlare con i suoi genitori.” Provai a mediare io.
“Sono sicura che saranno contentissimi di averci come ospiti.” Sorrise mia moglie. I miei figli iniziarono a urlare eccitati all’idea progettando già i giochi che avrebbero potuto fare, mia moglie mi salutò con sguardo furbo e se ne andò.
Ero stato incastrato, ma non me ne sarei andato senza lottare: la prossima settimana Agata avrebbe seguito un corso molto dettagliato sul miglior comportamento da tenere nelle relazioni magico/babbane. E questa volta avrebbe dovuto ascoltarmi senza protestare.
 
 
 
Non esiste un modo ottimale per cominciare una discussione del genere questo è vero, ma io e mia moglie sedevamo nel loro salotto, in silenzioso disagio da troppo tempo ormai e iniziavamo ad attirarci occhiate perplesse.
I nostri bambini, invece, giocavano spensierati in giardino approfittando delle prime vere giornate di sole, ignari della tragedia che si stava per consumare a pochi metri da loro.
La situazione era ideale: entrambi i genitori nella stessa stanza, relativamente rilassati e disposti ad ascoltarti, il tè, già servito, non poteva fornire un diversivo per allontanarsi, ma ne poteva essere versata almeno un’altra tazza e mezzo di conforto.
Peccato solo che non riuscissi a spiccicare parola per l’imbarazzo e mia moglie non fosse affatto d’aiuto: continuava a muoversi sulla sedia e a lanciarmi sguardi eloquenti. Non avrebbe iniziato lei quella discussione per nulla al mondo: era il momento del professionista.
Mi schiarii la voce: “avreste qualcosa da bere?” Dissi, dimenticandomi di avere già in mano la mia tazza di tè.
“Ne vorrei un altro po’, se possibile.” Aggiunsi cercando di salvare la faccia.
Per fortuna nessuno dei miei collegi poteva vedermi: avrebbero riso per più di sei mesi alla vista dell’infallibile John Tokai imbarazzato come un mago alle prime armi.
 
Anche Ted se la sarebbe cavata meglio. E Ted era stato aggredito da un babbano.
 
Ma come è possibile spiegare in poche e semplici parole agli amici babbani più stretti che hai, che tu e tua moglie non siete quello che sembrate? Che gli avete raccontato un mucchio di frottole? Che tua moglie lotta giornalmente con draghi e manticore, che discute con globin e centauri e che, a tempo perso si occupa dell’intricata legislazione di ibridazione interspecie? Che tu invece ti occupi di loro, i babbani? Che avete entrambi studiato in un castello pieno di fantasmi, torri altissime e sotterranei inquietanti? Che siete sfuggiti per puro miracolo alla più grande guerra del mondo magico, guidata da un folle sanguinario che voleva far fuori tutti quelli come loro? E che tutto quello che state dicendo non è uno scherzo, ma la pura e semplice verità?
“Signori Pond, c’è una cosa che dovremmo comunicarvi.” Esordii io solennemente.
La signora Pond, Marta, alzò un sopracciglio, mentre il signor Pond, Luke, scoppiò a ridere rovinando l’atmosfera solenne e interrompendo il mio misero tentativo.
“Signori Pond? Da quanti anni ci conosciamo John? Cosa sono tutte queste formalità?”
Mia moglie mi tirò una gomitata e mi lanciò uno sguardo che significava qualcosa come: “non eri tu lo straordinario professionista che risolveva tutti i problemi in un attimo? Cos’è quest’aria imbarazzata?”
Ero nervoso, non potevo farci niente: il tono aulico, la formalità e la ricercatezza dei termini erano automatici. Cercai di calmarmi. ”Ecco..” Andava molto meglio: un ecco è tutto tranne che formale.
“Io e mia moglie siamo un mago e una strega e anche vostra figlia lo è. Una strega intendo.”
I Pond mi guardarono allibiti.
Luke scoppiò di nuovo a ridere. “È lo scherzo più stupido che abbia mai sentito, John, ma sei in ritardo, non è il primo d’Aprile!”
Mia moglie cercò di venirmi in aiuto: “Luke, Marta, non è uno scherzo. Noi siamo maghi e il nostro Ministero ci ha avvertito che anche vostra figlia lo è. Frequenterà Hoghwars, la migliore scuola di magia esistente.”
“Sì certo, un Ministero! E questo è il benvenuto del comitato di quartiere?”
“Non esiste un comitato di quartiere, se ne occupa un ufficio. Io, in sua rappresentanza…” Provai a spiegare.
“E avrà una bacchetta e un cappello a punta e farà lievitare le cose?” Mi interruppe lui tra il divertito e il sarcastico. Iniziava a preoccuparsi, però, lo vedevo bene.
“Col tempo, Luke, col tempo.” Rispose mia moglie.
“Siete proprio spassosi! Dove l’avevate tenuto nascosto il vostro senso dell’umorismo in tutto questo tempo?”
“Agata, sii seria, la magia non esiste, lo sai anche tu.” Intervenne Marta prima che l’argomento Senso dell’Umorismo potesse essere approfondito con conseguenze a dir poco fatali. “Il vostro scherzo inizia ad essere di cattivo gusto.” Aggiunse, accorgendosi che non accennavamo affatto a ridere, ma anzi, tentavamo, con scarso successo, di approfondire l’argomento.
Stavo assistendo a un fenomeno che avevo già incontrato migliaia e migliaia di volte: la negazione ad oltranza di qualsiasi cosa sia fuori dall’ordinario, la paura che potessi fare del male ai loro figli, l’insorgere di dubbi sulla mia salute mentale e la mancanza totale di senso dell’umorismo, ovviamente.
Mi trovavo in una situazione familiare.
Ripresi il controllo.
Guardai Agata.
“Fuori le bacchette.” Ordinai.
Uno sciame di farfalle dorate svolazzò scintillando intorno a mia moglie mentre una delicata pioggia multicolore scendeva su di noi senza bagnarci.
 
D’accordo, d’accordo, io, che ordino a tutti i neoassunti di non far piovere per nessun motivo al mondo in casa di babbani, lo avevo appena fatto.
Ma ci terrei a sottolineare che, in primo luogo, la mia pioggia non bagnava e cadeva soltanto sopra il tavolino, evitando accuratamente qualsiasi altro apparecchio elettronico. In secondo luogo, mia moglie aveva appena evocato uno sciame di meravigliose farfalle dorate. Limitarsi a cambiare colore al divano a quel punto sarebbe stato poco significativo.
“Dimmi che ci state mostrando un trucco del tuo cugino folle.” Ci supplicò Luke senza riuscire a distogliere gli occhi da quel vortice multicolore.
“Non è così” gli risposi dolcemente.
“Volete dire che anche mia figlia è in grado di farlo?” chiese Marta con voce sognante.
“Non ancora, ma lo sarà dopo sette anni ad Hogwarts.” Rispose Agata con la mia stessa dolcezza e una buona dose di ottimismo. Noi eravamo bravi.
“Sette anni, mio Dio!”
“È la durata dell’istruzione magica.”
“Non potrà frequentare nessun’altra scuola!” Era angosciata ora.
“Marta,” le dissi “ tua figlia è una strega ed fondamentale che riceva un adeguata istruzione in questo campo. Quando finirà Hogwarts non avrà bisogno di nessun’altra scuola perché il mondo magico sarà pronto ad accoglierla.”
“Mondo magico… è così assurdo!” Marta non si dava pace. “Ma tu lavori alle poste e tu Agata sei una biologa! Bisogna aver studiato per avere dei posti così, non si ottengono solo con la licenza elementare!”
“Sì Marta, sono una biologa, ma non ho una laurea: mi occupo di draghi e chimere, non di tigri e leoni…” Le spiegò Agata.
“Quanto a me” intervenni io “Io mi… Oh è così difficile da spiegare! Per lo più intercetto la posta destinata al mondo magico, ma inviata per posta babbana.”
Mi sembrava di avergli dato il colpo di grazia.
“Babbana?” chiese Luke imbambolato.
Questo era prevedibile.
“È la nostra parola per non magico.”
Marta, affascinata dal vortice di colori che io e mia moglie avevamo evocato, ci guardava alternativamente cercando di nascondere la sua ansia, mentre Luke si dibatteva ancora in una silenziosa incredulità.
“Ma non potrebbe esserci un errore? Noi non sappiamo fare quelle cose. Noi non siamo…Maghi. Nessuno nella nostra famiglia lo è o lo sapremmo!” disse Luke, quando finalmente riuscì ad articolare qualcosa d’intellegibile.
“Magari è vostra figlia la strega e voi vi siete sbagliati e l’avete confusa con la mia piccola Lucy.” Continuò con il tono disperato di chi cerca di uscire dalle sabbie mobili.
Agata sorrise e prese la mano di Marta che annuiva alle parole del marito senza fermarsi, spaventata.
“Marta, Marta, guardami. Sei sconvolta. Noi non ci siamo sbagliati il ministero ha mandato una lettera a John con l’elenco dei nati-babbani da avvertire e lì c’era anche il nome di vostra figlia. A volte capita che nelle famiglie ba..normali nascano un mago o una strega, per me è stato così, anch’io vengo da una famiglia come la vostra. All’inizio è un po’ difficile, ma andare ad Hogwarts è stata la cosa più bella che mi potesse capitare. I miei genitori sono fieri di me.”
“Per te forse, ma Lucy…”
“Marta, non ti mentirei mai su una cosa del genere. Tu sei mia amica.”
Agata le strinse forte la mano pronunciando le parole con decisione: fu molto convincente e Marta finalmente si calmò un pochino.
“La mia bambina, la nostra piccolina andrà lontano, sarà sola e noi non potremo aiutarla…” disse poi sull’orlo delle lacrime.
“A Hogwarts tutti i principianti sono uguali.” Aggiunsi io, giusto per non farmi rubare del tutto la scena. Agata si stava rivelando davvero brava. Molti dei miei colleghi avrebbero dovuto prenderla d’esempio: sapeva mantenere il giusto equlibrio tra rassicurazioni e informazioni.
“E poi” disse Agata improvvisamente sfoggiando un sorriso smagliante “ Non sarà sola, ci sarà Emily.”
“Vostra figlia?” Chiese Marta.
“Ovviamente è una strega anche lei, crediamo che sia per questo che non ci siamo mai accorti prima che Lucy…”
Azzitti mia moglie con uno sguardo. Luke si era in parte ripreso dallo stato catatonico in cui versava e ora era decisamente furioso. “Allora quel tuo cugino pazzo con la strana scuola di teatro…” sillabò.
Fu con grande dispiacere e imbarazzo che dovetti rispondergli: ”il cugino era il Ministero, la scuola Hogwarts, mi dispiace.”
Contattare i nati babbani e le loro famiglie, accompagnarli a Diagon Alley a comprare il necessario e stare dietro a tutte le loro esigenze richiedeva che io facessi un sacco un di assenze dal mio lavoro babbano. Non potendo raccontare la verità e siccome non volevo usare la magia, avevo inventato la storia di mio cugino e la sua scuola.
Il mio fantomatico cugino, Dave, gestiva un’assurda e fallimentare scuola di teatro/danza/canto/circo insieme ad altri suoi amici folli quanto lui. Dave era convinto di poter riconoscere il talento delle persone solo leggendone il nome su un elenco telefonico, perciò ogni estate mi chiedeva di contattare le famiglie di quelli che lui definiva i suoi futuri studenti. Io ero la persona più presentabile che conoscesse ed ero bravo a parlare con la gente, per questo, continuava a ripetermi, dovevo assolutamente aiutarlo.
Ogni estate io lo facevo, perché, era vero, mi piaceva parlare con la gente e mio cugino, in fondo, era un’ottima persona e un bravo artista, anche se costantemente al verde. Più allievi avesse avuto, meno soldi avrei dovuto passargli io durante l’anno.
Era una buona storia: mi permetteva di parlare del mio secondo lavoro anche con i miei colleghi babbani delle poste ed era abbastanza vicina al vero da permettermi di aggiungere dettagli verosimili al racconto. Fin ora, almeno, si era rivelata una copertura perfetta.
Anche ai miei colleghi del Ministero piaceva abbastanza l’idea che Hogwarts potesse essere una scuola di teatro e nei discorsi di molti il Ministero era diventato Dave.
Certo, c’era stato qualcuno che aveva avuto la brillante idea di presentarsi in posta spacciandosi per mio cugino: aveva rivolto ai babbani domande imbarazzanti e si era messo a saltare sui tavoli informando tutti dell’esistenza del mondo magico. Ma erano fatti accaduti molto tempo fa: essere costretti a inseguire la propria scrivania per tutto il Ministero è un deterrente che tende a fare effetto.
“Dovevo darvi qualche spiegazione per le mie assenze, ma non potevo violare lo statuto di segretezza.” Continuai io, professionale.
“Statuto di segretezza..?” Chiese Luke.
“Sì, grazie al quale nessuno sa della comunità magica.”
“Allora perché lo stai dicendo a noi?” Si intromise Marta.
“Perché siete i genitori di una strega minorenne, siete tra i babbani con una giurisdizione speciale, insieme ai coniugi dei maghi e ai fratelli dei nati babbani.” E ai Maghinò aggiunsi tra me e me.
“Noi abbiamo una giurisdizione speciale?” Luke era attonito.
“Esattamente.”
Il silenzio che seguì, fu rotto dalla voce offesa di Luke: “perché non ci avete mai detto niente, prima? Pensavo fossimo amici!”
Tipico: non potendo ancora accettare del tutto di aver dato alla luce una strega, tentava di cambiare argomento. Ma sapevo che saremmo arrivati a questo punto: loro non erano semplici babbani, ma nostri amici e l’amicizia, si sa, pretende sincerità. Noi, invece, ci eravamo comportati semplicemente come maghi e avevamo mantenuto il segreto con la scioltezza di chi è abituato a mentire da tutta una vita. Certo, ogni tanto ci capitava di pensare a quanto assurda fosse questa situazione, ma non ci soffermavamo più di tanto sui dettagli: non erano importanti.
 
 “Te l’ho detto: lo statuto di segretezza lo vieta esplicitamente. E poi ti sembra un argomento facile da affrontare?” Dissi. “È quasi più facile pronunciare il nome di Tu-Sai-Chi!”
“Chi?” Chiesero Marta e Luke in coro.
“John!” Mi rimproverò Agata.
Era arrabbiata, ovviamente, come a molti maghi e streghe ad Agata non piaceva parlare di Colui Che Non Deve Essere Nominato e nemmeno accettava che fosse nominato con leggerezza nelle conversazioni.
“Un assassino con manie di grandezza e idee folli.” Rispose lei ancora arrabbiata.
”Ma ora è morto, tranquilli.” Li tranquillizzai io, vago.
“Non esagero affatto, Agata: lo sai quanto è difficile parlare del mondo magico con i babbani se non vuoi infrangere la legge o essere preso per pazzo. Maghi e un castello incantato! Andiamo! Chi mai ci potrebbe credere ai giorni nostri?”
“Tu sei perfettamente in grado di convincere chiunque anche senza infrangere la legge o fare incantesimi, John. È solo perchè la tua doppia vita ti diverte da impazzire che non gli abbiamo mai detto niente, perciò non tirare in ballo Tu-Sai-Chi a sproposito.” Ribatté lei, gelida.
“Doppia vita? Così mi fai sembrare James Bond!”
“Sei un agente segreto? Combattevi contro quel tizio?” Mi chiese Luke, che dopo la faccenda della magia sembrava disposto a credere a qualsiasi cosa.
“Chi? Tu Sai Chi? Certo che no!”
“Assolutamente impossibile. Solo Silente, forse…” Rimarcò Agata.
“Sono un impiegato delle poste come te, Luke, solo non di quelle babbane.” Chiarii, poi mi rivolsi nuovamente ad Agata, troppo concentrato sul nostro battibecco per desiderare affrontare un argomento così scomodo.
“E comunque non mi sembra che tu ti sia comportata in maniera diversa.”
Agata agitò le mani, vagamente in imbarazzo, ma riuscì a mantenere un tono neutro. ”Non sono io quella che parla tutti i giorni del dovere che i maghi hanno, e cito testualmente, al rispetto e alla correttezza nei confronti dei babbani. Io uccido mostri e tratto con Goblin e sono una strega nata babbana: questi non sono il mio genere di problemi. Io appartengo ad entrambi i mondi.”
“Uccidi cosa?”
“Tratti con chi?” Dissero in contemporanea i coniugi Pond.
“Goblin e mostri.” Risposi automaticamente io.
“ Essere una nata-babbana non cambia il fatto che tu non gliel’abbia mai detto.”
“Mi piace tenere riservata la questione.”
“Infatti, si vede: se continui ad essere così riservata prima o poi, finirai davanti al Comitato di Scuse ai Babbani. E questo solo nel migliore dei casi. Dovresti davvero iniziare a fare attenzione a quello che fai, quando sei in giro nel mondo babbano. Non ho voglia di partecipare a un processo.”
“Prima di me dovrebbero processare più o meno tutti i maghi d’Inghilterra, compreso te, se scoprono cosa hai fatto alla lavastoviglie.”
“I maghi hanno la lavastoviglie?” Chiese Marta guardando sia me che Agata come se il mondo non avesse più alcun senso. “Non lavano i piatti per magia?”
Sospirai e, non potendo ribattere alle accuse di Agata, - gli obliviatori erano i maghi più stressati di tutto il Ministero- cercai di riportare la conversazione sul giusto binario.
“Luke, Marta, noi non volevamo assolutamente mancarvi di rispetto, ma per noi sarebbe stato davvero impossibile parlarvene prima e a dire il vero ogni tanto ci piace cambiare argomenti di conversazione e frequentare gente di un altro contesto.” Poi cercai di sdrammatizzare: “nel mondo magico non riuscirebbero mai a capire la magia del cinema e questo limita di molto le conversazioni.”
”Possiamo tornare alla faccenda dell’assassino con manie di grandezza e idee folli, per favore?” Tuonò Luke, indignato.
Lo ignorammo.
“Comunque non vedo cosa ci sia di difficile nel cinema. Se tu l’hai capito perché non dovrebbero riuscirci anche gli altri?” Insinuò Agata polemica.
“Perché non sono babbanofili innamorati di una cinefila, ecco perché!” E non hanno mesi a disposizione.
“Sciocchezze, potrebbe occuparsene il tuo dipartimento. Sarebbe divertente.”
“Sarebbe un disastro, fidati, lancerebbero incantesimi contro lo schermo e romperebbero tutto alla prima proiezione!”
Agata si strinse nelle spalle. “Secondo me no.”
“Senza contare che i Purosangue non accetterebbero mai l’idea si servirsi di un aggeggio babbano e, prima che tu possa dire qualunque cosa, ti ricordo che i Purosangue nella maggior parte dei casi sono ricchi e influenti.”
“Basterebbe non dirgli che è babbano. E comunque sono sicura che apprezzerebbero molto l’a possibilità di fare un film su i loro celebri antenati.”
La approvai con un gesto vago. Su questo aveva ragione: alcuni purosangue sono parecchio vanitosi.
“Chi sono i purosangue? E perché odiano gli aggeggi babbani?” Chiese Luke.
“Maghi che lo sono da generazioni. Non è che li odiano, è che non li capiscono e sono molto legati alle tradizioni magiche.” Risposi io. “Un po’ troppo fissati con la faccenda delle case, forse, ma chi non lo è, in fondo?”
 “Case? Quali case?” Chiese Marta stordita.
“Le case non contano dopo Hogwarts, sei tu ad essere troppo permaloso.” Mi rispose immediatamente mia moglie, rispolverando uno dei nostri battibecchi preferiti e ignorando la sua povera e confusa amica.
”La faccenda delle case non finisce con Hogwarts, quante volte devo dirtelo?” Le risposi ignorandola anch’io. ”Sai benissimo cosa pensa la maggior parte dei maghi della mia e dei maghi che ne hanno fatto parte.”
“Non puoi biasimarli. Qualche pregiudizio è scontato dopo quello che è successo!“
“Che cosa è successo? Qualcosa di grave?” Ci chiese Marta allarmata.
“Una guerra.” Le risposi.
Mi concentrai su Agata. “No, non posso biasimarli, ma ho con tutta quell’atmosfera da caccia alle streghe che c’era subito dopo, aver fatto parte della mia casa era diventato all’improvviso qualcosa da nascondere o di cui sentirsi in colpa. A parte per quelli come Malfoy, ovviamente, loro cadono sempre in piedi. Tutti gli altri era già tanto se trovavano un posto di lavoro…”
“Una guerra!?” Luke strinse a sé la moglie e ci lanciò lo sguardo più minaccioso che può scoccare un uomo spaventato a morte.
“Sì, ma poi è terminata.” Li zittì mia moglie.
”Ti ricordi quanti Mangiamorte c’erano in giro? E non puoi negare che molti erano della tua casa. Che dovevano fare?” Mi rispose Agata.
“Non basarci interi processi, non accusare la gente sulla base di illazioni, permettere alle persone di fare il proprio lavoro, per esempio!”
“Fissazioni. A nessun colloquio di lavoro ti chiedono in che casa sei stato smistato quando avevi undici anni e comunque non hanno mai basato interi processi sulla storia delle case.”
“Ci hanno basato abbastanza per rovinare la vita di molti.” Poi aggiunsi, cercando di appellarmi alla sua professionalità: “proprio tu che fai la biologa vuoi dirmi che, nella crescita, l’ambiente non conta niente? Ci passi sette anni, Agata, non sette mesi, ci cresci là dentro! I pregiudizi ti si attaccano addosso! Me lo dicevi giusto ieri: gli ippogrifi cresciuti in cattività sviluppano sempre un certo tipo di comportamento che quelli liberi non hanno.”
“Che diavolo sono gli ippogrifi?” Sbottò Luke esasperato dal nostro infinito litigio coniugale. Non gli piaceva molto essere ignorato.
“Gli ippogrifi sono un incrocio tra un’aquila e un cavallo e John sta rovinando una mia teoria: gli esseri umani sono dotati di più flessibilità mentale di quegli splendidi animali. Tu, ad esempio, non eri un Mangiamorte ed io non sono stata un eroe.”
Sbuffai. “ Non è quello che pensano tutti.”
“Nessuno crede che tu sia stato un Mangiamorte!”
“Ma tutti rimangono sorpresi quando sanno in che casa sono stato!” Sbottai esasperato.
Lei si limitò ad alzare gli occhi al cielo e a mormorare qualcosa molto simile a: “Stupide manie da maghi”.
Poi, mentre finalmente riprendevamo fiato, per la prima volta dall’inizio del nostro battibecco ci fermammo ad osservare con più attenzione i nostri amici: erano il ritratto della confusione e della paura.
Forse avremmo dovuto dosare meglio le parole.
Agata, mi guardò e colta dallo stesso sospetto mi disse: “forse la storia contemporanea sarebbe stato meglio evitarla.”
“No. Prima o poi verrebbero a saperlo lo stesso. Meglio prima.”
 
Mentii con sicurezza e Agata non fece obbiezioni, anche se non era d’accordo con me: aveva promesso di lasciare i punti più difficili nelle mani del professionista.
Aveva ragione lei, comunque, è sempre meglio rimandare il discorso su Tu Sai Chi al secondo o al terzo incontro. Questa, infatti, è quel genere di conversazione molto simile a una pozione corroborante: se non dosi bene tempi e ingredienti esplode e ti ritrovi a dover raccogliere i pezzi del tuo calderone sparsi per tutta la stanza cercando nel contempo di non bruciarti le scarpe.
La strategia ideale sarebbe stata quella di parlane con calma davanti a un bicchiere di Burrobirra o un gelato dopo una lunga giornata trascorsa a Diagon Alley a mostrare alla famiglia babbana le meraviglie del mondo magico. Assicurarsi che fosse presente il giovane mago, poi, evitava le domande indiscrete: per il bene stesso del bambino i genitori preferivano non approfondire e tu non dovevi rinvangare ricordi sgradevoli costringendoti a un penoso slalom tra verità, eufemismi e orrore.
Altrimenti, se li terrorizzavi, eri costretto a convincerli ancora una volta che il mondo magico e Hogwarts erano un posto sicuro per i loro figli. Oppure ti toccava ricorrere a un incantesimo di memoria e ricominciare tutto da capo.
 
Nonostante ciò, la storia di Colui Che Non Deve Essere Nominato fu spiegata lo stesso, sottolineando con la dovuta enfasi il ruolo fondamentale che Silente, preside della scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, aveva giocato durante la guerra.
 
“Non posso ancora credere che nostra figlia sia una strega e che sia esistito quel mago quel Volder” Iniziò a dire Luke.
“COLUI CHE NON DEVE ESSERE NOMINATO!” Lo interrompemmo in coro.
“Ok, ok, lui. È troppo strano.”
Agata si strinse nelle spalle a disagio, Marta stringeva la mano di suo marito come se fosse un ancora di salvezza.
“Non è facile per nessuno accettarlo, Luke.” Filosofeggiai io per alleggerire la tensione. “Pensa che qualche tempo fa un uomo ha aggredito un mio collega con una mazza da baseball. Non riusciva ad accettare la verità.”
“Davvero? E il tuo collega?”
“Si è fatto colpire. Io invece ho trasfigurato il tavolo in una tigre. L’uomo è tornato a sedersi immediatamente.” Luke rise un po’ sollevato: l’episodio della tigre, in effetti, era stato divertente.
“E quindi voi fate incantesimi..” Riprese Luke vago.
“Rende la vita molto comoda.”
“Ma quando siamo venuti da voi non abbiamo mai visto…”
“Certo che no, i maghi sono abituati a mantenere il segreto!” Dissi con un pizzico di arroganza
“Ma perché? Insomma non è stupido? Potreste fare cose magnifiche!” Chiese Marta ancora incantata dal vortice di colori sopra di noi.
“È una legge antica, del ‘700 più o meno, ma io la trovo ancora molto attuale. Rivelare ai babbani l’esistenza della magia creerebbe solo problemi. Probabilmente scoppierebbe qualche guerra: i maghi si sentirebbero superiori, i babbani sarebbero spaventati. Magari inizierebbero a studiarci in laboratorio o a chiederci rimedi per qualunque cosa. Insomma, è meglio così. Senza contare tutta la faccenda di Tu Sai Chi.” Non sembrarono molto convinti, ma non importava: col tempo avrebbero capito.
“Questa scuola, Hogwarts, dov’è?” Chiese Luke, guardai Agata.
“È un castello, in Scozia.” Rispose lei.
“Gli studenti tornano a casa per le vacanze di Natale, di Pasqua e per le vacanze estive, naturalmente.” Continuai io.
“Quindi avrà bisogno di vestiti pesanti, di cambi, soldi…” iniziò Marta. “ Oh Agata sei proprio sicura che debba andarci quest’anno? Non potrebbe iniziare tra due anni o l’anno prossimo? È così piccola è ancora una bambina…”
Agata la strinse a sé. “Dovrà iniziare quest’anno, ma ti prometto che starà bene. Lei ed Emily staranno benissimo.”
“Oh anche Emily è vero…! Agata come fai a sopportarlo?” Agata rafforzò la stretta. “Andrà tutto bene.” Disse e poi aggiunse: ”per i vestiti e tutto il resto del materiale andremo insieme a Diagon Alley.”
“Cos’è il supermercato dei maghi?” Marta era esterrefatta.
“No, è più come il centro città.” La rassicurò mia moglie.
Poi, prima che potesse lanciarsi in una dettagliata descrizione del suo negozio preferito: un posto lugubre che vendeva quelli che sembravano sofisticatissimi attrezzi di tortura, mentre in realtà erano l’ultimo grido della tecnologia cattura-drago, la interruppi e aggiunsi.
”Un’altra cosa: nel mondo magico la posta viene recapitata via gufo quindi vi converrà acquistarne uno se volete scrivere a vostra figlia molto spesso. Ci sono quelli della scuola, certo, e il nostro gufo è sempre a disposizione, ma essere autonomi è la cosa migliore.”
“Non ho mai visto un gufo in casa vostra.” Disse Luke.
“È in solaio” gli risposi.
“Non è antigienico?” Chiese Marta.
Agata si strinse nelle spalle. “Non direi.”
Marta non sembrava molto d’accordo, ma preferì cambiare argomento.
“Quando inizierà la scuola?”
“Il primo di Settembre l’espresso per Hogwarst partirà da King Cross.” Risposi
“Un treno? Non un tappeto volante o una scopa magica?” Luke era ancora sarcastico. Segno che ancora non aveva ancora digerito la faccenda fino in fondo.
“I tappeti volanti sono illegali” Puntualizzai io.
“E far arrivare in volo migliaia di studenti darebbe troppo nell’occhio. Soprattutto se alcuni non sono mai saliti su una scopa.” Aggiunse mia moglie.
“Non dirmi che le scope volanti esistono sul serio?” Chiese Luke.
“Certo che sì! Ci si gioca lo sport migliore del mondo.” Gli dissi.
“Uno sport?”
“Sì, il Quindditch, ci sono sette giocatori che…” Agata interruppe maleducatamente l’inizio della mia conferenza sportiva.
“In questa lettera c’è tutto l’occorrente per la scuola.” Disse. “Ora forse è il caso di dirlo ai bambini.” Martà annuì e richiamò tutti in casa. Agata fece sparire pioggia e farfalle con un gesto deciso.
“Lucy,” iniziò “dobbiamo dirti una cosa.”
Gli occhi dei quattro bambini si fissarono tutti su di lei.
“Oggi è arrivata una lettera per te.” Continuò lei solenne.
“Davvero? Fammela vedere!” La interruppe sua figlia rovinando l’atmosfera.
“C’è scritto che sei una strega e che andrai a una scuola di magia.” Disse Marta passandole la lettera. E brava Marta! Via il dente, via il dolore.
Mia figlia lanciò un urlo e si lanciò in un ballo sfrenato: “evviva! Lo sapevo! Lo sapevo! Andremo a scuola insieme, Lucy! Te l’avevo detto!” Poi continuò con un tono altissimo ed eccitato: “a me la lettera arriverà presto, ma anch’io sono una strega, me la detto papà! Lui è un mago, mamma invece è una strega come noi. Vedrai, ci divertiremo un mondo a Hogwarts!”
Il volto di Lucy si illuminò e, senza degnare noi adulti di un solo sguardo, prese l’amica per mano e la trascinò via. “Vieni, devi raccontarmi tutto!” Le disse.
“E voi non potete venire!” ordinò ai due fratelli minori. “Siete troppo stupidi per capirci qualcosa.”
 
 
 
Questo non è un capitolo nuovo: originariamente questa storia l’avevo pubblicata a parte, ma ho deciso di ripubblicarla in questa raccolta dopo averla rivista, corretta e aggiunto delle nuove parti. Nonostante tutto ancora non mi convince, perciò, se trovate degli errori segnalatemeli, perché io non ho più la forza di rileggerla. Ormai le parole quasi smesso di avere significato. Mi scuso comunque per tutti gli utenti che l’avessero già letta, per averla spostata all’improvviso.
Quello che è successo con la tigre e l’uomo con la mazza da baseball l’ho raccontato qui. Vi ringrazio per aver letto la mia storia spero che vi siate divertiti a leggerla almeno quanto mi sono divertita io a scriverla.
Grazie ancora a tutti.
 
 
  
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