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Autore: Laky099    18/06/2015    14 recensioni
"Più scoprirai su di te, più cose ricorderai".
Un uomo, impossibilitato a ricordare persino il suo nome, si ritrovò in una stanza completamente bianca. Tutto ciò che lo riguardava era stato cancellato dalla sua memoria. Solo una bambina-avatar, dietro un display sembra poterlo aiutare a compiere questo complicato viaggio alla scoperta di se stesso ed a svelare il mistero che l'ha condotto in quella piccola strana stanza bianca.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1 - La Stanza Bianca
 


Uno strano suonò lo destò, rimbombando fra le pareti come fossero strane e incomprensibili parole. Sembravano appartenere a creature non umane, ancestrali se non persino divine. Rinchiusa in un sonno vuoto e senza sogni, la sua mente riposava come morta al centro del suo piccolo mondo personale.
Quando riaprì gli occhi la testa pulsava ancora con veemenza. L'uomo non poté che sentirsi spaesato, debole. Il dolore lo scosse, facendolo sentire come trascinato dalle invisibili onde del mare in tempesta. Quando i cavalloni immaginari si placarono insieme al suo onirico delirio, cercò di rialzarsi e capire cosa stesse accadendo. La cosa non fu semplice come sperava: non si trovava in un letto d’ospedale o tra le mura domestiche, ma in un luogo tanto bianco da sembrare intangibile, quasi magico. Il candore del vuoto che credeva di aver intorno irretì i suoi occhi, tanto che dovette impiegare ben più di qualche istante per capire come quel luogo non fosse illimitato come aveva pensato inizialmente. Era una stanza, e nemmeno particolarmente grande.  Guardandosi intorno trovò un ambiente opprimente e claustrofobico, tanto che non passarono che pochi istanti prima che il panico prendesse possesso di lui.
Si voltò nervosamente numerose volte, tastò ansimando le pareti nella vana speranza di trovare una porta nascosta, un corridoio o una qualsiasi  via di uscita. Trovò solo sconforto e la rassegnazione. Passarono pochi istanti od interminabili ore, fu per lui impossibile stabilirlo. Il tempo scorreva e fluiva su un binario cieco ai suoi occhi.  Di colpo tutto divenne nero. Era un nero oscuro tanto quanto era candida la stanza in precedenza, anch’esso intangibile ed illimitato. Non era il classico nero della notte, ove la luce della luna rischiara di raggi argentei qualsiasi superficie incroci il suo cammino, ma di un nero privo sia di buio che di luce, nel quale si poteva vedere alla perfezione qualsiasi cosa. Si chinò, osservando con stupore i suoi vecchi jeans strappati ed imbianchiti e fece scivolare lo sguardo verso le sue mani ossute. Un istante ancora passò prima che tutto tornasse bianco. L’uomo si sentì sempre più confuso e spaventato, arrivando al culmine quando sentì una voce provenire da dietro le spalle.
 Era una voce infantile ed acuta, chiaramente appartenente ad una bambina. Aveva detto una sola parola, un cordiale e allegro «Ciao!».
 L’uomo si voltò di scatto, inarcandosi come farebbe un felino ed acquattandosi alla parete che aveva dietro. Ciò che vide, però, non fu che una graziosa bambina intenta a muoversi sullo strano muro bianco.
Quel muro è un display! Dedusse, spaventato ed incuriosito allo stesso tempo. La bambina doveva avere più o meno dodici anni, massimo quattordici. Aveva lunghi capelli biondi legati in due infantili treccine, che le scivolavano dolcemente dietro le spalle e che le contornavano un viso dai tratti molto delicati. La cosa che maggiormente attirò la sua attenzione, però, furono gli occhi. Erano bicromatici, colorati dell’azzurro accesso dell’acqua di lago l'uno e di uno spento verde l'altro. La piccola indossava una veste a fiori, tipicamente estiva, che le arrivava sino al ginocchio fluttuando con delicatezza ad ogni sua mossa.
«Ciao» rispose l'uomo, ancora piuttosto turbato ma felice nel vedere come non ci fossero minacce impellenti. «Chi sei?»
La bambina sorrise dolcemente, ma tra le suelabbra si nascondeva furtivo un qualcosa di leggermente malevolo. «Ironico che tu me lo chieda. Non preferiresti sapere chi sei tu?»
«Come chi sono io? Io... » Fu solo in quel momento che l'uomo capì di non ricordare nulla. Chi fosse, cosa facesse, dove vivesse, cosa amasse e cosa odiasse. Le sue conoscenze erano intatte: sapeva riconoscere gli oggetti, le città, gli animali... Ma non ricordava nulla di sé, delle sue opinioni, le sue esperienze, la sua vita. Trattenne un grido isterico, cercando di mantenere un contegno davanti agli occhi della bimba. Si mise le mani fra i capelli crespi, facendo scivolare le mani tra i nodi disordinati che essi avevano formato. «Cosa... Cosa mi é successo?» Gridò con voce stridula ed impaurita.
«Non so cosa sia successo a te. Posso spiegarti cosa succede in generale»
«Dove siamo?»
«Domanda strana. Alludi forse che io e te ci troviamo nello stesso luogo?»
L'uomo, pur dovendo riconoscere come la bimba avesse ragione, sbuffò spazientito. «Dove sono?»
«Sei nell' M.R.C., Mind Reset Center»
«Mind Reset? É per questo che non ricordo nulla? Come avete osato farmi questo?» Inveì sempre più disperato.
La bambina lo osservò freddamente, per nulla turbata dalla rabbia dell'uomo. La sua espressione rimase ammantata da quell’enigmatico sorriso, che non esprimeva ne gioia ne divertimento, ma solo una pacata cordialità.
«Credo che tu mi stia sistematicamente sopravalutando. Io non posso farti nulla, né voglio farlo. Io sono qui per aiutarti»
«Aiutarmi? Aiutarmi? E come?» Chiese lui sempre più fuori di se, rendendosi sempre più conto di aver perso tutto. Ma tutto cosa? Pensò in un attimo di lucidità.
«Devo aiutarti a ritrovare la tua memoria, od almeno è per questo che sono qui. Non è stata cancellata come credi, è solo in giro da qualche parte ed anche li, proprio dentro di te. Più cose scoprirai su di te, più cose ricorderai, dalle più recenti alle più antiche. Almeno così mi han detto» rispose. Seguì un attimo di silenzio, nel quale l’uomo cercò di realizzare come le parole della bambina potessero avere un senso. Se quel che diceva era vero, allora c’era ancora speranza, possibilità di riprendere la propria vita, sempre che ne valesse la pena.
«Perché sono qui?»
«Non lo so, te l'ho detto. La tua memoria andava resettata e risistemata, forse affinché tu possa assorbire meglio un trauma o prendere in maniera migliore una decioneis. O forse perché c'è qualcosa che devi dimenticare. Personalmente non ne ho idea, ma se scoprirai qualcosa lo scoprirò anche io altrimenti ne sarò all'oscuro.»
L'uomo prese del tempo per ripristinare la calma e placare la rabbia che lo stava assalendo, dopodiché decise di sedersi in terra e ricominciare a parlare.
«Hai un nome?»
«Si, certo. Sono il software di sviluppo ed analisi dei pazienti dell'ufficio 7 della sede X dell' M.R.C. E questa é la mia interfaccia numero ...»
«Chiudi il becco» la interruppe l'uomo  «M.R.C. ... Facciamo che ti chiamerò Mercy e basta»
«Come vuoi!» disse ridendo «Mi piace Mercy! Ora, però, dobbiamo scoprire chi sei tu!».
La vocina infantile ed innocente di Mercy rese ancor più nervoso l’uomo, che avrebbe desiderato solo qualche istante per riflettere.
«Per l'amor di Dio, come diamine faccio a ripristinare la mia memoria chiuso in una stanza bianca senza uscite con una bambina/avatar che non fa altro che chiacchierare?» sbraitò nervosamente.
Nello schermo la bambina mise il broncio, socchiudendo gli occhi e stringendo la bocca al naso.
«Sei cattivo!» Protestò «Hai una porta davanti. Fai quello che vuoi»
Quando l'uomo, colto di sorpresa, si voltò in direzione di una delle due  pareti corte della stanza rettangolare, vide apparire dal nulla una porta. Era di legno marcio e maleodorante, antica e logora come quelle dei bei castelli che dominavano le interminabili valli od i scoscesi dirupi in epoca medievale. L'uomo vi si avvicinò e la spalancò al minimo tocco, provocando un odioso cigolio che risuonò malevolo ed inquietante in tutta la stanza. L’uomo si voltò in direzione dello schermo, osservando la piccola Mercy girata di spalle con le braccia incrociate . Se l’è presa  pensò lui con sostanziale indifferenza. Di fronte a sé, una volta addentratosi nella stanza, vide solo un antico specchio polveroso e finemente decorato, con sfarzose sfaccettature color oro e piccole guglie piramidali che si ergevano verso l’alto con lo sfarzo tipico dello stile gotico. Lo strato di sporcizia dipingeva su di esso trame imperscrutabili e grigie, che facilmente nascondevano la superficie riflettente se non per qualche piccolo, inutile spiraglio. L’uomo cercò di togliere la polvere con la mano, ma non appena vi fu il contatto lo specchio si illuminò. L'improvviso lume rimbalzò come se fosse un raggio di sole tra una parete e l'altra. Quando ebbe compiuto tutto il suo tragitto, una curiosa serie di intrecci luminosi spessi come corde di canapa illuminarono a giorno la stanza, rendendo lo specchio luminoso decisamente troppo brillante per gli inadeguati occhi di un uomo. Sotto un illusorio ma splendido cielo stellato, v'era una lunga serie di grossi specchi adibiti a riflettere sia i raggi che la sua immagine. L’uomo si guardò intorno, comprendendo di essere all’interno di una stanza molto simile ad una caverna, e fu solo in quel momento che, con suo grosso stupore, notò come ogni specchio riflettesse un'immagine diversa e talvolta distorta di sé. Ne imitavano alla perfezione i movimenti ed il vestiario, che consisteva in una anonima t-shirt bianca, una camicia a quadri rossa e nera ed un paio di Jeans scoloriti, ma non nell'aspetto. In alcuni specchi sembrava più giovane mentre in altri più vecchio, in alcuni più basso mentre in altri più alto. Ognuno di essi aveva una gradazione diversa di barba, dal completamente glabro ad un qualcosa di simile ad una sorta di Babbo Natale. L'unica cosa di cui potersi dire sicuro era il fatto di avere i capelli neri e crespi, arrotolati in una riccia ed indecifrabile gazzarra.
«Mercy, a quale dei riflessi somiglio?» Chiese, sperando che potesse sentirlo.
«Non lo so, io sono qui non lì. Non ho nemmeno idea di che riflessi tu stia parlando» rispose lei, la cui voce faceva trapelare uno spiccato nervosismo. L'uomo, dunque, decise di porre una domanda più mirata «Potresti... Descrivermi?»
«Non ci penso neppure» rispose lei. «Mi ha detto tu che parlo troppo no? Bene, ora cavatela da solo!»
La risposta lo lasciò di stucco, basito dal fatto che un'intelligenza artificiale potesse offendersi. Prima di ricominciare a urlare e mandare al diavolo ogni speranza di riuscita, decise di prendere un lungo sospiro e prepararsi per fare ammenda, per quanto trovasse alquanto strano dover chiedere scusa ad un computer.
«Scusa Mercy. Sono stato molto maleducato e brusco, non volevo offenderti. Cerca di capirmi, sono piuttosto nervoso e spaventato.»
«Dici davvero o lo fai solo perché ti serve una mano?» chiese lei, senza nascondere la natura pacifica delle sue parole.
«Dico davvero.»
«Bene!» Disse lei allegramente «Allora ti perdono. Però devi comunque cavartela da solo! Non vorrei che mi avessi preso in giro».
L'uomo, a fatica, resistette alla tentazione di tornare indietro a spaccare lo schermo su cui Mercy si era mostrata. «Devo capire come sono fatto» disse a sussurrò, come convinto che dirlo a voce avrebbe reso la cosa più semplice.
Cominciò ad osservarsi attentamente sui vari specchi, tastandosi il volto allo scopo di farsi un'idea sommaria sul suo aspetto. Capì, osservando i riflessi, di avere all'incirca una trentina d'anni, una folta barba non particolarmente curata, un fisico  piuttosto magrolino e della spalle strette che gli conferivano un'aria deboluccia. Man mano che scopriva nuove caratteristiche del suo aspetto, gli specchi che non le comprendevano si distruggevano al tocco, diventando strani cumuli di materia luminosa che sostituiva il raggio riflesso. Andò a toccare tutti gli specchi “falsi”, partendo da quelli più lontani dal suo vero aspetto e terminando con quelli che erano da considerare dissimili solo per dettagli come la lunghezza del naso, un fisico leggermente più muscoloso od una barba meno anarchica. Proseguì celermente, toccando e quindi distruggendo una trentina di specchi.
Bene, ora sono condannato ad almeno duecento anni di sfortuna pensò ironicamente non appena si rese conto di come, ormai, ne fossero rimasti solo due. Sembravano in tutto e per tutto identici.
Ok, è evidente che deve rimanerne uno soltanto si disse. Analizzò nel dettaglio le due figure, le quali, però, non sembravano avere differenze visibili nemmeno dopo una attenta analisi.
Più scoprirai su di te più cose ricorderai. Le provvidenziali parole di Mercy risuonarono dentro la sua testa, che cercò di capire come queste potessero effettivamente aiutarlo. Ripensò il più possibile al suo corpo e, con suo stupore, si accorse di ricordare perfettamente il suo aspetto. Era un ricordo preciso, naturale, come se fosse sempre stato lì.
Capì che avrebbe dovuto alzarsi i pantaloni poco sopra le caviglie per capire quale fosse, dei due riflessi, quello vero.
Bingo! Pensò, notando come il maestoso specchio dorato di fronte a se non riportasse la grossa cicatrice che si ritrovava sul suo polpaccio . L’uomo lo toccò delicatamente, riducendolo alla ormai solita poltiglia luminosa informe. Da tutti i resti degli specchi, improvvisamente, partirono dei raggi dorati che confluirono maestosamente sullo specchio reale, rendendolo brillante e magnifico. L’uomo si specchiò, soddisfatto dall'essersi riconosciuto ed aver completato quella sorta di “missione”
 Mi hanno sempre detto che sembravo un boscaiolo con la barba e la camicia in questo modo... pensò, per quanto la sua memoria si annebbiasse non appena provava anche solo a chiedersi chi glielo dicesse.
«Magari lo eri davvero, un boscaiolo! » Disse Mercy.
« Aspetta, come... »
«Io ricordo tutto ciò che ricordi tu, te l'ho detto. Quanto più scoprirai di te quanto più saprò anche io, se no come farei ad aiutarti?» disse.
«Come facevi a sapere che stavo pensando proprio quello?» Chiese l’uomo, sospettando che la strana bambina/avatar avesse la sgradevole capacità di leggergli nel pensiero.
«Non lo sapevo. Semplicemente in quel momento ti è venuto in mente quel ricordo e l’ho voluto commentare. Tutto qui» disse. Il tono di voce sembrò molto meno distaccato e più amichevole che in precedenza, sintomo di come la maggior conoscenza nei suoi confronti l’avesse resa più “umana” nei comportamenti. «Dai, ora tocca lo specchio!» lo incitò.
Disorientato, ma anche più sicuro di sè, l'uomo obbedì, sfiorandolo a malapena con un dito. Non appena il suo indice sfiorò la fredda parete riflettente, una forte fitta alla testa lo colpì duramente. Non durò che uno, due secondi, ma bastarono a farlo barcollare e cadere malamente in terra.
Non appena la sua mente placò la confusione parte della fitta nebbia che la ottenebrava si diradò, lasciandolo libero di viaggiare tra alcuni dei suoi ricordi più basilari. In quel momento, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, un nome fece capolino nella sua mente. «Io sono... Mark!» Gridò allegramente.
«Ciao Mark!» Lo salutò calorosamente Mercy «É proprio un nome da boscaiolo!»
Mark rise, convenendo che Mark il Boscaiolo suonasse piuttosto bene.
«Cosa faccio ora?» chiese ansioso di proseguire.
«Non è ovvio? Oltrepassa lo specchio! Ti aspetto giù!»
L'uomo, perplesso dalla naturalezza con la quale l’avatar-bambina lo aveva invitato a compiere quella folle azione, obbedì, attraversando lo specchio dapprima con una gamba e poi con il resto del corpo. Mentre lo attraversò noto come esso, invece che essere solido, risultava essere gelatinoso, molle e piuttosto viscido.
Quando anche il suo titubante volto oltrepassò quella misteriosa gelatina, vide di fronte a se una lunghissima scala a chiocciola senza corrimano. Quello in cui si trovava era un luogo decisamente lugubre, completamente nero all’infuori della scala di pietra lavorata che scendeva sino ad una profondità che sfuggiva alla vista. All' esterno, apparentemente sospese nel nulla, erano visibili delle misteriose e fastidiose luci di un verde molto acceso, che per qualche strano motivo lo fecero sentire a disagio.
Scese le scale senza emettere alcun suono. Non importava quanto pesantemente respirasse, quanto violentemente calasse il piede nello scendere di gradino in  gradino. Intorno a se non c'era nulla, solo un cupo e misterioso silenzio che lo fece sentire, di colpo, del tutto indifeso. Scese velocemente, due gradini alla volta, e arrivò di fronte ad una porta del tutto identica a quella della stanza bianca. Non aveva ne veri bordi ne cardini, tanto che risultava a tutti gli effetti appoggiata al nulla. Non c'era nulla dietro, se non il nero intangibile.
«Mercy!» Gridò, senza emettere suono.
Qui dentro non sento nemmeno la mia stessa voce, pensò. 
Aprì la porta con scarsa delicatezza, volendosi lasciare quel macabro silenzio alle spalle. Venne travolto da un forte odore di muffa e dal suono del silenzio, quella rassicurante vibrazione che si ode quando non vi sono altri rumori pronti a sovrastarla . Non c'era alcun suono nella stanza, eppure era un silenzio vero, naturale ed assordante, se paragonato al nulla della scala.
La stanza era piuttosto piccola, costruita in legno e con un tavolo circolare al centro, anch’esso rigorosamente in legno. L'unica finestra, su cui Mark riponeva qualche speranza, dava sul nulla, come se si affacciasse dal bordo della scala. Fece un passo, sentendo scricchiolare il malmesso legno ai suoi piedi, ed alzando lo sguardo spaventato da terra vide due uomini di fronte a se. Il primo era solo un'ombra scura completamente immersa nell'oscurità parziale della stanza, l'altra invece...
Sono io! Pensò.  L'ombra diede uno spintone al Mark della stanza, facendole schiantare violentemente contro il tavolo.
«Cosa stai facendo?» Gridò il vero Mark, cercando di fermarlo. Non appena poggiò la mano sull'uomo-ombra, però, ne percepì l’immaterialità, la sua completa inconsistenza.
Non è reale! Intuì. Deluso, si fermò ad assistere alla scena.
Mark vide L'uomo-ombra colpire brutalmente il suo alterego sul volto, facendolo ruzzolare sul tavolo. L’ombra lo immobilizzò stringendogli il collo e prese un coltellaccio dal tavolo. La vittima lo pregò, supplicò, ma nulla servì a fermarlo. L’arma calò con violenza e, sul petto del bersaglio. una macchia rossa prese a spargersì. L'uomo/ombra imprecò, lasciando Mark in agonia sul tavolo ad un passo dalla morte.
Una luce bianca rischiarò la scena, facendo svanire la stanza di legno e sostituendola con una seconda stanza bianca, in tutto e per tutto identica alla precedente. Mark era nuovamente scosso e spaventato, non in grado di capire come agire e comportarsi.
«Stai bene?» Sentì. Era la voce di Mercy, che mai gli era parsa tanto soave, che riuscì con il suo tono dolce a rassicurarlo ed a calmarlo leggermente.
«S-si» borbottò Mark «che cos'era quello?»
«Scendendo le scale siamo entrati più in profondità nella tua memoria, Mark. Quello era il tuo ultimo ricordo. Pare che qualcuno ti abbia ucciso»
   
 
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