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Autore: coldmackerel    20/06/2015    6 recensioni
Levi/Eren | Hospital AU
Una commedia sull'essere morti.
Levi, finalmente, torna a lavorare come infermiere dopo essersi ripreso da un incidente d'auto che l'aveva quasi ucciso. Non c'è niente di meglio a darti il 'bentornato' quanto il realizzare di aver perso la testa e riuscire a vedere gli spiriti dei pazienti comatosi del reparto sei. Così, si trova, controvoglia, ad aiutarli a imparare a vivere da morti. Eren, l'ultimo paziente dell'ala sei, ha sei mesi per imparare ad essere morto. Buona fortuna, ragazzo.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Rivaille, Un po' tutti
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve a tutti! Qui Seth, la traduttrice. Mi dispiace tantissimissimo per essere così in ritardo, ma per una volta non è colpa mia ma del fatto che mi si è rotto il modem, quindi non ho potuto aggiornare nonostante il capitolo fosse praticamente pronto da una settimana. Credo che la sfortuna mi perseguiti, ma alla fine ce l'ho fatta. Ringrazio tantissimo - anche da parte dell'autrice - tutte le persone che stanno leggendo, quelle che hanno messo la fic tra i preferiti/seguiti/da ricordare e soprattutto chi commenta (riprenderò a rispondere nel weekend ai commenti, ovviamente il modem mi ha bloccato anche con quelli -_-). Buona lettura!
SULLA TRADUZIONE: questo è uno dei miei capitoli preferiti, e purtroppo ho l'impressione che non sia tradotto molto bene, ma forse sono io che in questi giorni non ho l'umore proprio alle stelle... in ogni caso vi consiglio vivissimamente di ascoltare tutti i pezzi che vengono citati (Settima di Beethoven, Marcia Funebre di Sigfrido di Wagner, Concerto di violoncello di Haydn e primo movimento della Sonata al chiaro di luna di Beethoven), perchè ne vale assolutamente la pena. Spero di non aver fatto troppo casino con i termini musicali, ma se l'ho fatto vi prego di correggermi perchè non ho mai studiato musica ed essendo una traduzione mi sono trovata a procedere un po' a tentoni (la diamonica alle scuole medie non credo valga come 'studiare musica' ahahah).


The 6th ward
CAPITOLO 18: Beethoven

2 mesi, 10 giorni

Il problema quando inizi a dar da mangiare ad un cane randagio è che qualsiasi altro cane randagio in giro lo prenderà come un invito a presentarsi davanti a te e richiedere le tue attenzioni, cominciando a farlo sempre. Magari era una metafora un po’ cattiva, ma Eren non faceva altro che tornare, ancora ed ancora. Qualche volta bussava alla porta, altre Levi lo trovava semplicemente addormentato sul suo divano, a dormire sul suo letto, steso sul suo pavimento o a rovistare nella sua collezione di CD per trovare qualcosa da ascoltare. I momenti da dedicare a sé stesso erano una cosa del passato. E forse la sua metafora non era così cattiva, visto che era anche inspiegabilmente accurata.

Levi, comunque, aveva deciso di ribellarsi continuando a passare la maggior parte del tempo in cui Eren si trovava nel suo appartamento, mezzo nudo. Normalmente non trascorreva così tanto tempo in boxer, ma visto che la cosa faceva arrabbiare Eren, la trasformò in un’abitudine. Se era fortunato, alla fine Eren decideva di andarsene prima. Anche se, a dire la verità, la sua compagnia non gli dava poi così fastidio. Alcune sere, semplicemente quando ad Eren non andava di trascorrere del tempo con gli altri mocciosi del reparto sei, passava la notte a casa sua, e Levi doveva vedersela con la sua tendenza ad attaccarsi all’unica fonte di calore nel suo letto. Ma, a parte ciò, non era un problema. Sicuramente, la loro era una sistemazione strana, ma Levi riusciva a vedere dei fottuti ragazzi morti, quindi non era poi la cosa più strana che si era trovato a vivere dopo il suo incidente d’auto. Le cose non avevano preso nessuna brutta piega, come ci si sarebbe aspettati da due persone che passavano molto tempo insieme in una situazione normale, e tutto sommato a Levi andava bene così. Ogni tanto, si trovava Eren praticamente addosso sul letto (fottuti fantasmi rottura di palle), finendo con il tentare di pensare al maggior numero possibile di cose spiacevoli che gli potevano venir in mente, nel tentativo di non eccitarsi. Ma questa era una cosa a cui aveva smesso di tentare di dare una spiegazione. Tutti e due erano praticamente senza vergogna, ma comunque riservati, in qualche misterioso modo. Ma, a parte l’occasionale istinto biologico di saltare addosso ad Eren quando gli si avvicinava troppo, la loro era una coesistenza abbastanza platonica.

Quando Eren non dormiva, cosa che aveva ormai iniziato a fare per la gran parte delle sue giornate, ascoltava i CD di Levi o fissava nostalgicamente il pianoforte che si trovava di fianco la grande finestra del salotto. Il piano aveva un design classico ma elegante, con un tocco moderno e minimale. Perfettamente tirato a lucido, la sua struttura in mogano risaltava come un trono reale nel piccolo appartamento, occupando così tanto spazio che era facile immaginare il motivo per cui Levi continuava a tenerlo lì.

“Ehi, moccioso. Se ti piace così tanto il piano, dacci un taglio e sposatelo. Hai la mia benedizione.” disse Levi dalla porta della camera da letto.

Alzando la testa, Eren gli lanciò uno sguardo leggermente colpevole. “E’ che se ne sta qui sa solo,” si lamentò. “Perché hai un pianoforte se non lo suoni?”

“Per rovinarti la vita.” rispose Levi, dirigendosi in cucina.

Eren lo seguì – che sorpresa! – come un’ombra. “E’ come trovare la Monna Lisa e chiuderla in una camera blindata per non farla vedere a nessuno. Che senso ha?”

“Finché posso vederla io, non me ne frega un bel nulla.” rise Levi.

Anche se si era girato per prendere un bicchiere da uno degli scaffali, l'infermiere sentì addosso lo sguardo accigliato di Eren. “Sei un egoista.” concluse il ragazzo.

“Ah, dacci un taglio. Una volta suonavo quel dannato coso, ma ora ho un gruppo di ragazzi morti di cui occuparmi. E ci faccio anche più soldi.” mormorò Levi, trovando il bicchiere e andando verso il lavandino a riempirlo.

Lo sguardo di cipiglio di Eren cambiò, e i suoi occhi presero e scintillare vivacemente. “Quindi lo suonavi?”

Be’, quella non era una cosa di cui Levi avrebbe voluto parlare. “Un pochino.” borbottò, sperando di non dover approfondire l’argomento.

“Che cosa? E questo lo facevi nel tuo periodo da gang, da cameriera o da infermiera?” scherzò Eren. “La possibilità di fare qualcosa di mascolino sembra averti sempre evitato.” aggiunse.

“Potrebbe sorprenderti il fatto che disegnare illegalmente sui muri e prendersi a pugni non ti mette un tetto sulla testa o un pasto caldo nello stomaco. Ma mi rendo conto che l’informazione potrebbe scioccarti.” disse lui con sarcasmo, alzando la voce per farsi sentire oltre il rumore del rubinetto.

“Un pianista criminale,” scherzò Eren. “Posso capire.”

Levi rise. “Scusa di averti riempito di aspettative, ma sono sempre stato abbastanza mediocre. Facevo un sacco di concerti di improvvisazione jazz in club, ristoranti e via così. La paga faceva schifo, ma essendo che ero uno schifo di pianista, doveva essere destino.” Nonostante le sue dichiarazioni, Eren lo stava ancora guardando come un bambino di fronte ad un negozio di caramelle. “Che c’è?” chiese lui acidamente, un po’ a disagio.

Scuotendo la testa, come a volersi riprendere dal suo stato di trance, Eren si sedette su uno degli sgabelli della cucina. “Scusa, è che avrei sempre voluto suonare in qualche locale o simili. Magari riscuotendo un po’ più successo di te.” lo prese in giro.

Levi si girò verso di lui per guardarlo con scetticismo. “Anche tu suoni?”

Arrossendo e scuotendo la testa con agitazione, Eren balbettò: “N-no, non bene, è che faccio veramente schifo, però, davvero, non import – ”

Interrotto dallo sguardo incredulo di Levi, Eren si azzittì. I suoi occhi erano spalancati e Levi si sciolse in una breve risata. “Be’, dai,” disse, cercando di controllare le risa. “Benvenuto nel club dei pianisti falliti, ragazzo.”

Eren rise sarcasticamente, accettando la mano tesa di Levi, come se stessero concludendo un qualche affare di lavoro. “Ah, grazie,” rispose. Però, mentre si stavano stringendo ironicamente le mani, Eren sembrò venire improvvisamente distratto da qualcosa alla destra del viso di Levi. “Stai sanguinando?” disse, afferrando Levi per le spalle per ispezionare il lato del suo volto.

Un po’ sorpreso dalla vicinanza al viso di Eren, Levi ci mise un attimo prima di alzare una mano e toccarsi il viso. Gli sembrava tutto a posto.

“No, il tuo orecchio.” aggiunse Eren in un mormorio.

Ah.

Quello.

Levi si sciolse gentilmente dalla presa di Eren sulle sue spalle per andare a prendere un asciugamano vecchia e fermare il flusso di sangue che stava scendendo dal suo orecchio alla sua canottiera, rovinandola definitivamente. “Ehi, non preoccuparti.” disse con nonchalance, tenendo l’asciugamano ferma contro l’orecchio sanguinante.

Ma Eren continuava ad essere visibilmente preoccupato. “Come faccio a non preoccuparmi?”

“E’ già successo un paio di volte ultimamente.” Quella era ovviamente la risposta sbagliata. Eren sembrava pronto a spedirlo in terapia intensiva da un momento all’altro. Levi alzò la mano in quello che sperava sarebbe stato un gesto calmante. “Va tutto bene. Probabilmente non è niente.”

Improvvisamente, il ragazzo sembrava furioso. “Ah sì? Sei tu l’infermiere. Guardami negli occhi e dimmi che è una cosa normale.” sibilò.

Ma Levi era un bugiardo eccellente. “Guarda che non è poi così strano,” disse tranquillamente. “Forse è qualche vaso sanguigno che si sta rigenerando dopo che uno di quegli idioti mi ha lanciato un bicchiere in faccia il mese scorso.” In verità, non era normale. La prima volta poteva anche considerarsi un avvenimento strano, ma di certo non preoccupante. Ma, dopo che la cosa aveva iniziato a ripresentarsi ad intervalli bizzarri durante tutta l’ultima settimana, Levi aveva iniziato a considerare l’idea di andare a chiedere ad Hanji se lei immaginava quale potesse esserne il motivo. Se lei avesse detto che era qualcosa di cui preoccuparsi, sarebbe andato a farsi controllare da Erwin. Semplicemente non voleva far star male il ragazzo per la cosa. “Non ti preoccupare.” ripeté in un tono convincente.

Così, la rabbia di Eren scemò, e lui fece un sospiro prendendo l’asciugamano dalle mani di Levi e ripulendolo del sangue che non si era riuscito a togliere da solo, non avendo un specchio. “Chiedi aiuto a qualcuno, okay?” chiese dolcemente.

“Sei una tale scocciatura,” borbottò Levi, incapace di rispondere con reale cattiveria. Eren gli fece uno sguardo triste, e quindi lui aggiunse in fretta: “Va bene, chiederò ad Hanji.” Il che non era un’idea poi così cattiva.

Eren non gli aveva ancora restituito l’asciugamano.

“Posso farlo io.” mormorò Levi.

“Anche io.” rispose Eren fermamente.

Levi non lo interruppe più.





Levi aveva veramente tutte le intenzioni di chiedere ad Hanji la sua opinione riguardo le occasionali perdite di sangue dal suo orecchio destro, ma quando la riuscì a trovare in ospedale, più tardi quel giorno, fu lei la prima a parlare. Non che fosse un avvenimento inusuale.

“Ehi, Levi. Ti piace la musica classica? Dovresti essere abbastanza anziano da saperne qualcosa di questa roba.” disse lei senza introduzioni.

“Non proprio.”

“Davvero?” chiese lei sospettosamente. “Credevo fossi il tipo.”

Levi fece spallucce. “Mi dispiace. Che è successo?”

Sospirando, Hanji tirò fuori un paio di biglietti, dalla tasca sul retro dei suoi pantaloni, e li agitò davanti alla faccia di Levi. “Li ho vinti in un contest alla radio, ma preferirei venderli. Non sono una grande fan della musica classica.” Stavano camminando verso la sala break dei dipendenti, e Hanji fissò i biglietti sconsolatamente. “A quanto pare nessuno vuole andare a vedere la Metropolitan Orchestra suonare la settima di Beethoven stasera – tra le altre cose che faranno, ovviamente. Ma se me lo chiedi – ”

Levi la interruppe. “Aspetta, cosa suonano?”

“A parte la settima di Beethoven, mi sembra che c’è un solista ospite che suonerà qualche concerto di violoncello di Haydn. Dovrebbe esserci un pezzo di Wagner in mezzo, ma il programma – ”

Di solito era Hanji quella che interrompeva sempre le conversazioni. “Quanto?”

La donna strabuzzò gli occhi. “Eh?”

“Quanto vuoi per i biglietti?”

“Datti una calmata.” Ecco. Adesso non gli avrebbe più reso la vita facile. “Cos’è questo improvviso interesse?”

Levi strinse gli occhi. “Conosco qualcuno che vorrebbe andarci.”

Hanji gli sorrise a trentadue denti. “Porti qualcuno ad ascoltare un concerto? Sei più elegante di quello che avrei mai detto,” lo sfotté. “Chi è la fortunata persona?”

“Mi vuoi vendere quei biglietti o no?” Levi incrociò le braccia e le lanciò uno sguardo cattivo. Probabilmente gli sarebbe stato tutto più facile se si fossero trovati alla stessa altezza.

“Sei solo un romantico vecchietto,” continuò Hanji, sembrando genuinamente sorpresa. “Non stai scherzando vero?”

“Ti do quaranta per biglietto.”

Con le sopracciglia alzate in un’espressione incredula, Hanji si prese solo un attimo di pausa prima di lasciar cadere i biglietti nella tasca davanti del camice di Levi. “Affare fatto.” I soldi sono l’unica cosa che fanno chiudere la bocca alle persone.

Dopo aver sborsato ottanta schifosissimi dollari per i biglietti, Hanji si girò per tornarsene a casa. Però, prima di uscire dalla stanza, disse, ancora di spalle: “Mi sarei presa trenta dollari per tutto.”

“Vai all’inferno.” le rispose Levi affettuosamente.

“Ci vediamo lì.” riuscì a rispondere lei prima di girare l’angolo.

Rigirandosi i biglietti in mano, Levi si prese un momento per leggere il testo stampato. Il concerto era in meno di tre ore, ed era una cosa buona che aveva già finito di compilare le cartelle per quella giornata, perché se voleva avere qualche speranza di arrivare in tempo, doveva andare a casa e cambiarsi subito. Non che fosse l’uomo più di classe del mondo, ma sapeva bene che non era il caso di presentarsi alla Metropolitan Concert Hall in un camice da infermiere. Però, prima di dirigersi a casa, Levi si fermò al reparto sei, per assicurarsi che tutti i mocciosi stessero facendo i bravi. Inoltre, aveva qualcuno da portare con sé.

“Hey, moccioso!”

Tutti e sei i pazienti del reparto si girarono verso di lui.

“Er – intendo Eren. Tutti gli altri mocciosi a cuccia.” chiarì Levi.

Separandosi dagli altri, Eren lo raggiunse in corridoio. “Che succede?”

“Stiamo uscendo,” disse Levi, già iniziando a correre via dal reparto sei, al punto che Eren dovette rincorrerlo per raggiungerlo. “Mi devo cambiare e poi dobbiamo andare in un posto.”

“Perché così di fretta? Siamo in ritardo per qualcosa?”

“Lo saremo se non ti muovi.”

Eren riuscì a fare tutto il percorso per tornare all’appartamento di Levi senza chiedergli niente riguardo alla cosa per cui rischiavano di arrivare in ritardo. Era una cosa impressionante da parte sua, e, avendo un po’ di pietà per il ragazzo, Levi lo informò brevemente: “Hanji mi ha dato dei biglietti per la Metropolitan Orchestra. Immagino che tu voglia venire.”

“Oh, sì!” rispose Eren festosamente, tirando un pugno in aria. “Un’altra cosa da sbarrare nella mia lista di cose da fare prima di finire di morire.”

Levi indicò il divano con sguardo severo. “Ora datti una calmata e aspettami, che vado a mettermi qualcosa di decente. Purtroppo non tutti siamo esenti dal giudizio pubblico.”

Eren si sedette obbedientemente sul divano. La metafora del cane tornò di nuovo in mente a Levi, che dovette trattenersi dal ridere. Eren era un cane migliore della maggior parte dei cani veri – sebbene un cane che occasionalmente aveva voglia di sbattere contro un muro e baciare fino a togliergli il respiro. No, così era strano. Brutta metafora. Le cose erano un po’ più complicate.

Fortunatamente, Levi aveva uno smoking nascosto nel suo armadio che usava durante le conferenze formali di medicina a cui era costretto ad andare. La cosa che l’aveva sorpreso, quando era diventato un infermiere, era a quante serate sociali e conferenze fuori città si trovava a dover partecipare. I dottori non erano gli unici che adoravano mettersi addosso vestiti eleganti e bere vino più costoso del suo pianoforte Steinway.

Il suo completo era ancora perfettamente stirato dall’ultima volta in cui l’aveva usato, così poté indossarlo abbastanza velocemente, ma senza far notare che, invece, ci aveva messo meno di 10 minuti. I suoi capelli erano a posto, ma in un guizzo dell’ultimo minuto, decise di tirarli indietro. Nello specchio sembrava molto più il giovane, vagabondo Levi che aveva sfigurato innumerevoli edifici e strombazzato una varietà di riff jazz orecchiabili in night club da pochi soldi. Il suo stesso riflesso era stranamente nostalgico.

Controllando il farfallino un’ultima volta nello specchio, Levi strinse la cinta e uscì dalla stanza, con la giacca appesa mollemente al suo braccio. Eren stava di nuovo fissando il pianoforte, e Levi annunciò la sua presenza con un semplice: “Sei in debito con me per avermi fatto mettere il maledetto completo addosso.”

Strabuzzando gli occhi un paio di volte alla vista di Levi, né mezzo nudo né nella divisa da infermiere, Eren lo fissò senza vergogna dalla testa ai piedi. “Toglimi gli occhi da dosso, Jaeger.” lo rimproverò Levi, dirigendosi in cucina per un po’ di rhum prima dello spettacolo. Sicuramente beveva troppo – ed Eren gli aveva provato che potevi tirare le cuoia da un momento all’altro, quindi meglio godersi quello che ti piace finché sei ancora vivo. E a lui piaceva l’alcool. Che sia.

Raggiungendolo in cucina, Eren continuò a fissarlo. “Mi sento vestito male,” scherzò nervosamente. “E’ la prima volta che vado ad ascoltare un concerto, e mi presento come se avessi appena finito di dipingere una casa.”

“Eh,” fece spallucce Levi, gesticolando verso i vestiti di Eren. “Sei in bianco e nero, va bene.”

“Sì ma non sto neanche lontanamente bene quanto te.” rispose subito Eren. Le sopracciglia di Levi si alzarono nella fronte libera da ciocche di capelli, in quella che era un’espressione sorpresa. Nessuno dei due disse nulla, ma dopo un paio di momenti di teso silenzio, Levi non riuscì a trattenere una risata. Cercò di nascondersi dietro la sua mano stretta a pugno, ma non c’era veramente modo di riuscirci. Eren si aggiunse a lui, ovviamente imbarazzato, ma apprezzando la stupidità della situazione.

“Ritiro tutto quello che ho mai detto sul fatto che sei un tipo furbo.” mormorò Levi, quando la sua risata era scemata.





Eren poteva anche aver parlato per tutto il tragitto verso il teatro, e anche lungo la fila e persino mentre cercavano i loro posti, ma il secondo in cui il suo sedere aveva toccato la seduta in velluto, la sua bocca si era chiusa definitivamente. Levi dovette fermarsi dal cercare il bottone che era stato premuto per zittirlo. Comunque, lui sicuramente era stato uno spettacolo strano: un uomo che si era presentato ad un concerto da solo, ma con due biglietti. Sembrava che avesse avuto un due di picche ad un appuntamento.

Visto che l’intera sala era disturbata solo da un quieto chiacchiericcio, Levi diede uno sguardo al suo orologio. Lo spettacolo sarebbe iniziato in una decina di minuti, e gli sembrava che quasi tutti avessero già trovato il proprio posto a sedere. I musicisti erano già sul palco, per provare alcuni passi dei loro pezzi, controllando un’ultima volta le parti dove era più facile sbagliare. Tutti stavano suonando al volume più basso possibile, usando solamente la punta dei loro archi, in modo che nessuno strumento coprisse gli altri. Era un caos, ma in qualche maniera educato e pianificato. Molto professionale.

Mettendosi comodo nel suo posto, Levi accavallò una gamba sull’altra e poggiando la schiena contro il confortevole schienale della costosa poltrona. Lanciò un’occhiata ad Eren, aspettandosi di vederlo fare lo stesso, ma il ragazzo era seduto sul bilico sul bordo della sedia, persino sporto un po’ in avanti. Le sue mani stringevano smaniosamente la stoffa dei pantaloni sui quali erano posate, al punto che le sue nocchie si erano fatte bianche, e sembrava quasi come se lui stesse per essere testimone di qualcosa di incomparabile interesse rispetto a qualsiasi altra nel mondo. Tutto sul suo linguaggio corporeo lasciava intendere un forte disagio o ansia, eccetto per gli angoli della sua bocca, che erano alzati in un riflesso di pura gioia. Era solo un sorrisino, ma Levi cercò di ricordare se aveva mai visto Eren così felice, e concluse che probabilmente non era stato così.

Eren si girò improvvisamente verso di lui, e Levi non riuscì a reagire in tempo da non venir colto in flagrante sul fatto che lo stava fissando. Decise semplicemente di continuare a farlo. Tirarsi indietro da una sfida non era proprio una cosa da lui – e questa era una cosa su cui lui ed Eren non erano poi così diversi. Però, il sorriso di Eren non fece altro che allargarsi, al punto da mostrare i denti mentre alzava entrambi i pollici. Levi avrebbe voluto alzare gli occhi al cielo, ma non appena lo fece, un sorriso distese anche le sue di labbra, rendendo il suo gesto molto meno antagonistico di quanto avrebbe voluto.

Le luci della sala si attenuarono fino a quasi il buio completo, mentre le luci sul palco si intensificarono, illuminando ogni musicista e tutti i vari strumenti. In meno di una manciata di secondi, l’intero pubblico cadde in un rispettoso silenzio. Mentre il direttore d’orchestra, un uomo basso e corpulento, con un paio di baffoni grigi e pochi capelli in testa, attraversava rapidamente il palco per raggiungerne il centro, Levi sfogliò il programma che gli era stato consegnato all’entrata. La settima sinfonia di Beethoven era l’ultimo pezzo che sarebbe stato suonato. E, ora che ci pensava, non aveva più detto ad Eren che la sua sinfonia preferita era nel programma del concerto. Levi fece un sorrisetto. Ops.

Senza fare grandi cerimonie, il direttore si immerse nella marcia funebre di Sigfrido. Hanji aveva ragione sul fatto avrebbero suonato anche Wagner durante il concerto. Levi preferiva ascoltare musica classica nel torpore del dormiveglia, ma con questa musica gli era un po’ difficile addormentarsi. La successiva, tuttavia, era abbastanza piacevole per appisolarsi. Una donna elegante aveva fatto la sua entrata in scena sul palco, portandosi dietro un altrettanto elegante violoncello, per suonare un concerto solista di Haydn. Era proprio un bel pezzo, notò Levi. E, anche se ci avesse provato, gli sarebbe stato difficile rimanere sveglio durante il secondo movimento. Prima che si appisolasse, però, si prese un secondo per lanciare un’occhiata ad Eren. Era ancora seduto sull’orlo della poltrona, ma le sue mani era rilassate, mentre le sue dita tamburellavano con leggerezza sulle sue cosce, allo stesso ritmo dei movimenti del direttore d’orchestra. A ciò seguì un’altra serie di pezzi che l’orchestra eseguì con facilità, mentre Eren fissava lo spettacolo davanti a sé con la bocca spalancata, quasi come se fosse una magia.

Fu solo quando iniziarono il primo movimento della settima di Beethoven che Levi iniziò a prestare veramente attenzione ad Eren. Dal secondo in cui il primo accentuato accordo risuonò in quello successivo, dove il clarinetto e il corno francese subentravano nell’armoniosa melodia di sottofondo, Eren si rilassò completamente. Levi si aspettava che si sarebbe irrigidito, in un moto di sorpresa, ma la musica sembrò avere un effetto calmante sulla frenetica agitazione del moccioso. Finalmente, il ragazzo lasciò che i suoi occhi si chiudessero, e si appoggiò con la schiena sulla poltrona, lasciandosi andare nel morbido abbraccio dello schienale.

Fu solo al secondo movimento, che Eren tornò a concentrarsi. Neanche dopo pochi secondi dall’inizio della melodia, quasi rigorosa quanto una marcia, Eren stava piangendo. O, perlomeno, se non stava piangendo, si poteva dire che stava lacrimando. Aveva un leggero sorriso sulla bocca, ma le lacrime gli rigavano visibilmente il viso. Lacrime che non si fermarono fino alla fine del secondo movimento. Contro ogni buonsenso, Levi si allungò verso di lui e mormorò: “Questo era quello in cui dovevo rimanere zitto, vero?”

Asciugandosi le lacrime dalle guance senza vergogna e ancora sorridendo, Eren sussurrò in risposta: “Era questo.”

“Sei una fottuta femminuccia.” disse Levi, ridendosela sotto i baffi. Fare lo stronzo era troppo divertente.

Eren gli diede una bella gomitata. “Chiudi quella boccaccia.” borbottò, senza smettere di sorridere.

La sinfonia terminò con un finale grandioso, come la maggior parte fanno, e tutto l’auditorium scoppiò in un applauso. Però, Eren non applaudì, né si alzò in piedi. Rimase solo lì seduto. E così, mentre l’applauso si acquietava e tutti iniziavano ad uscire fuori, Levi rimase anche lui lì, aspettando qualsiasi cosa Eren stesse aspettando. Alla fine, rimasero solo loro e una serie di impiegati col cravattino, che spazzavano l’immondizia nei loro secchi, e recuperavano gli oggetti spersi. Fortunatamente, Levi non era esattamente di fretta. Le sue palpebre iniziarono ad abbassarsi, ma rimase seduto sulla poltrona aspettando che Eren si decidesse ad andarsene o che uno degli impiegati lo cacciasse via.

“Grazie.” disse infine Eren.

Levi si risvegliò dal suo leggero intorpidimento e scosse leggermente la testa, cercando di scacciare la stanchezza. “Mhh?”

Eren fece spallucce. “Grazie.”

Levi sbuffò. “Niente perle di saggezza? Nessuna acuta osservazione?”

“Che altro c’è da dire?”

Pensando alla domanda, Levi gesticolò vagamente verso il palco. “Non lo so, sembra che tu abbia sempre qualcosa da dire su tutto.”

“No, stavolta è tutto.” concluse Eren, alzandosi.

Levi lo guardò sospettosamente, ma Eren si limitò ad allungare una mano verso di lui. Levi declinò l’invito. “Non sono così vecchio.”

“Ti sei addormentato durante il concerto di Haydn.”

Levi andò sulla difensiva. “E allora? Me lo stavo godendo a palpebre chiuse.”

Eren alzò gli occhi al cielo. “Va bene, ma torniamo a casa prima che inizi a goderti il viaggio di ritorno a palpebre chiuse.”

Levi ridacchiò, finalmente accettando la mano tesa di Eren. “Non credo che finirei per goderci molto in quel caso.”

Eren lo tirò in piedi e i due uscirono dall’auditorium in un amichevole silenzio.





Una volta tornati all’appartamento di Levi, questi si diresse direttamente verso il piano della Steinway che spiccava elegantemente nell’angolo del suo salotto. Senza spiegazioni, iniziò a provare un paio di chiavi, come a voler testare le acque, prima di irrompere in uno stranamente lento, elegante, pezzo jazz nel suo stile allegro. Era passato un po’ dall’ultima volta che aveva suonato, ma se sei abbastanza bravo, è come andare in bicicletta – non ti dimentichi mai come fare. Inoltre, il jazz non è una scienza esatta. Non c’era una ragione particolare per cui Levi aveva deciso di tornare a pedalare, ma in quel momento sembrava la cosa più giusta da fare. La musica si suonava quasi da sola, e non era così male. In una serie di veloci flash, l’uomo si sentì quasi di nuovo giovane, con una sigaretta sulle labbra mentre strimpellava un piano da quattro soldi, in qualche bar di un hotel, con un piattino delle mance semivuoto al suo fianco. Ma, altrettanto velocemente, era di nuovo nel suo appartamento vuoto, con lo Steinway a celebrare il suo uso dopo gli anni di abbandono che aveva sofferto.

Quando diavolo si era fatto così vecchio?

Levi ripeté un paio delle ultime note, terminando in un tetro, noioso ritmo che si affievolì nel buio, lasciandolo seduto da solo davanti al dannato piano, più vecchio di quanto ricordava e in un umore generalmente contrariato. Quello che voleva veramente era una sigaretta. Non ne aveva desiderata una da decenni.

“Mi avevi detto che non eri bravo.” Eren stava facendo il broncio al suo fianco.

Levi si irrigidì. Fino a quel momento, non si era reso conto che Eren era seduto a terra di fianco allo sgabello del piano, con la tempia poggiata contro al legno duro della seduta. Spostandosi al lato, Levi diede un paio di pacche allo sgabello. “Chiunque può mettere insieme una melodia jazz. E’ tutta una questione di non fregarsene nulla. E se lo dico io è vero, visto che è la cosa che so fare meglio.”

Eren rise, incespicando per sedersi al suo fianco. Lo faceva sentire bene farlo ridere.

“Tu invece? A te importa troppo. Il jazz non è cosa per te,” proseguì Levi pensierosamente. “Spiegami perché ti piace la musica classica. Chiunque sappia suonare anche solo un po’, ha una canzone che conosce come il palmo della sua mano. Sai di cosa sto parlando. Il tuo cavallo di battaglia. Qual è?”

Eren rispose praticamente in automatico: “Sonata al chiaro di luna, primo movimento.”

Levi conosceva vagamente il pezzo. “Beethoven, avrei dovuto capirlo subito. Non è che c’è qualcosa tra te lui di cui dovrei venire a conoscenza? Perché, sai, pensavo fossimo amici. Dovresti dire certe cose ai tuoi amici.” lo prese in giro. Per qualche motivo si sentiva improvvisamente di ottimo umore. Forse doveva suonare un po’ più spesso.

Il sorriso sul volto di Eren era rinfrescante e infantile e sembrò cancellare gli anni che pesavano su di lui a causa della sua condizione da quasi-morto e che parevano aumentare per ogni momento che lo avvicinava alla sua vera morte. “E’ una cosa puramente platonica, giuro.”

“Sì, certo, ragazzo.” Levi suonò quelle che pensava fossero le prime note della melodia. “E’ questa, vero?” Eren annuì entusiasticamente. “Va bene, suonala,” ordinò Levi. “Sentiamo.” Eren aprì la bocca per rifiutarsi, ma Levi gli lanciò un’occhiataccia e lui la richiuse subito. “Suona la fottuta canzone, Eren. Guarda che non sto ringiovanendo.”

Eren sospirò. “Va bene, vecchio. Prima che ti fai calvo.”

Per un paio di minuti, il ragazzo rimase a fissare la tastiera, le dita che carezzavano leggermente i vari tasti, come se si stesse preparando mentalmente a immergersi nel pezzo. Quando finalmente iniziò, il suo modo di suonare era solo falsamente terribile come quello di Levi, se non ancora meglio. La sua tecnica era rudimentale e alcune delle sue scelte musicali non erano ortodosse, al limite dall’essere accademicamente offensive, ma era bello proprio per quello, e non nonostante ciò. La sonata al chiaro di luna di Eren era adirata in punti della melodia dove non c’era rabbia, nelle normali interpretazioni del pezzo. Era veramente sua. Eren non era mai stato capace di distinguere chiaramente la linea di demarcazione tra la rabbia e la tristezza – era tutto molto confuso per lui. Ed era ovvio che non aveva mai avuto un vero insegnante, così come lo stesso Levi, sebbene nel suo caso sembrava essere stato solo meglio. Il suo talento non stava nella riproduzione delle note che erano scritte, ma nell’accorpamento dei lamenti della sua breve, turbolenta vita.

Le note, infine, scemarono nell’ultimo calante arpeggio e la canzone rantolò in una fine quasi calma. Levi non disse nulla, e nemmeno Eren pronunciò parola per un po’.

“Faccio abbastanza schifo, eh?” chiese Eren timidamente. “Non mi sono mai potuto permettere delle lezioni.”

Levi si limitò a scuotere la testa. Schifo non era una delle parole che avrebbe usato per descrivere il modo di suonare di Eren. Era, senza dubbio, irresponsabilmente crudo, ed esponeva ingiustamente i suoi sentimenti a chiunque stesse ascoltando. Ma uno schifo? Certamente no.

“Oh merda, ma stai piangendo?”

Levi non aveva nessuna idea di se stava piangendo o meno, ma si passò il polsino della camicia in faccia, giusto in caso. “Senza ombra di fottuto dubbio no. Non ti emozionare, moccioso.”

Eren fece spallucce. “Sarà stata la luce.”

“Va bene, ne ho avuto abbastanza di questo concerto di dilettanti. Ho bisogno di dormire,” disse Levi risolutamente, alzandosi e dirigendosi in camera da letto. “Vai o rimani, non mi interessa.” disse ad Eren.

Togliendosi i vestiti, si lasciò cadere sul letto senza grandi cerimonie. Poco dopo, Eren si infilò nella stanza per occupare la parte opposta del letto, borbottando quanto lui fosse solo un vecchietto, quanto presto andava a dormire e altre cose senza senso. Mentre Levi si addormentava, però, sentì una sensazione di calore all’orecchio e si alzò di scatto per andare in bagno. “Che succede?” chiese Eren.

“Devo pisciare.” mentì Levi. Una volta chiuso dentro, piegò un po’ di carta igienica e la pressò contro la piccola perdita di sangue che stava avendo il suo orecchio destro. Ecco cosa si era dimenticato di fare: si era dimenticato di parlare con Hanji.

Merda.

Il suo orecchio, però, era l’unica cosa che sembrava avere qualche problema, quindi non poteva essere qualcosa di terribile. Sicuramente la sua vista ultimamente sembrava sfocarsi leggermente, ma quello era probabilmente dovuto al fatto che stava invecchiando. La vista delle persone tende sempre a diventare una merda invecchiando, e questo è un fatto provato. Perciò, probabilmente stava bene.

Dopo essersi ripulito del sangue, ed essersi liberato di ogni prova, scaricandola nel gabinetto, Levi si lavò le mani e si rinfilò stancamente tra le lenzuola.

“Controlla la tua vescica, vecchio.” borbottò Eren, invadendo subito la metà di materasso di Levi.

“Controlla la tua boccaccia, moccioso.” brontolò l’uomo in risposta, muovendosi un po’ più verso il centro del letto rispetto al solito. Tanto ormai si era abituato a raffreddarsi innaturalmente durante la notte. Se il moccioso aveva deciso di portare la loro relazione ad un passo più avanti, tanto valeva non tentare di evitare l’inevitabile.

Eren non attese nemmeno che uno dei due fosse addormentato, prima di stringersi al corpo significativamente più caldo di Levi. Normalmente, lui avrebbe spinto il ragazzo più in là, prendendolo in giro e facendolo imbarazzare, ma per quella sera lo lasciò fare. Domani era un altro giorno. Avrebbe fatto lo stronzo domani.

Il suo cervello turbinò insieme al laborioso arpeggio della sorprendentemente rabbiosa versione della sonata al chiaro di luna di Eren, che infestò i suoi sogni e le sue riflessioni notturne.

   
 
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