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Autore: FrancyF    20/06/2015    3 recensioni
Era così arrabbiato, che avrebbe preferito morire. Si sarebbe stato meglio, così non sarebbe più ricascato in quella merda. Provocando solo casini: non c’è l’avrebbe fatta ad affrontare di nuovo lo sguardo compassionevole di sua madre, a confessare tutto a Lea. Non l’avrebbe di certo biasimata se, una volta saputo l’accaduto, avrebbe deciso di lasciarlo. Di andare via da lui. Ma senza di lei lui non era niente, tanto valeva affrontare la morte.
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Cosa sarebbe successo se Cory non fosse morto quel maledetto 13 luglio 2013?
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cory Monteith, Lea Michele, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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All’inizio l’idea non l’aveva neanche sfiorato.
Era stata una giornata normalissima, forse troppo normale per lui.
Aveva fatto un paio di interviste per promuovere il suo nuovo film, “Mckinney”, e aveva sentito sua madre e suo fratello. Aveva anche promesso a suo nipote che presto sarebbe di nuovo passato a casa sua per giocare un po’ assieme, d’altronde Victoria era vicina a Vancouver. E il fatto che non vedeva Asher da due giorni lo infastidiva, diavolo era in Canada e lui era il suo unico nipote!
Che razza di mostro sarebbe stato se non fosse passato?
I paparazzi l’avevano pedinato per quasi tutto il giorno e così, quando i suoi amici gli avevano offerto di passare una serata fra uomini per ricordare i vecchi tempi, lui aveva accettato con immenso piacere.
Ma poi quell’idea si era intrufolata in una piccola parte del suo cervello. Era sbagliato e questo lui lo sapeva, ed era malsana però non era riuscito a levarsela dalla mente per tutta la serata. 
-Tutto bene Cory?-
Il suo vecchio amico Gale lo riportò alla realtà. Era seduto ad un tavolino di un piccolo bar con tre dei suoi amici d’infanzia: Gale, Keith e Larry. Anche se era sera tardi il locale era pieno di gente, ma d‘altronde era sabato sera.
-Cosa?-
Cory fissò la sua coca - cola sul tavolo e fece uno sforzo immenso per ricordare gli ultimi brandelli della conversazione. Era sulle figlie? No, forse qualcosa sul lavoro?
Si sentiva la mente annebbiata.
-Ma che hai oggi?- l’amico gli sorrise, leale –lavori troppo ecco cosa hai. Hai visto Ann almeno in questi giorni?-
-Si. Due giorni fa. Ho visto anche Shaun, Beth e Asher, quella scimmietta cresce davvero troppo in fretta-
-Già… quanto ha adesso?-
-Ha fatto quattro anni il mese scorso-.
 
Uscirono poco dopo l’una di notte.
-Grazie per la serata allora- Cory li abbracciò stretti: adorava quei tre burloni, erano amici fin dai tempi della scuola e loro l’avevano sempre sostenuto.
-Buonanotte Cory. Ci si vede-.
Cory sorrise e li vide scomparire fra le strade trafficate di Vancouver.
Si incamminò anche lui, non aveva una meta precisa semplicemente passeggiava osservando le macchine che passano e le vetrine dei pochi negozi rimasti ancora aperti. Era tardi ma non aveva sonno, gli effetti della riabilitazione non si era ancora del tutto attenuati e sapeva che l’insonnia era uno dei sintomi.
Lo squillo del cellulare lo distrasse dall’analisi accurata di una vetrina di un  negozio di spartiti musicali.
Era Lea.
Cory sorrise e sentì il suo cuore accelerare di diversi battiti.
Fece un rapido calcolo mentale: se lì era l’una passata a New York dovevano essere più o meno le tre di notte. Il pensiero che Lea si fosse alzata solo per chiamarlo lo fece sentire speciale.
 La sua donna era straordinaria.
-Ehi-
La voce assonnata di Lea fece allargare il suo sorriso ancora di più.
-Ciao Lee. Ti sei svegliata per me?-
-Non proprio, ero con Steph e con le altre ragazze e abbiamo finito di mangiare tardi. Tu cosa hai fatto oggi?-
-Niente di che. Sai, le solite cose, ho risposto solamente a qualche domanda, fatto qualche intervista. E ho cercato di evitare i paparazzi-.
-Cor…-
-Si piccola?-
-M sembri strano… dove sei?-
-In giro. Sono stato con i ragazzi a bere qualcosa, e ora sto tornando in albergo…- indugiò.
In effetti era sempre distratto da quel pensiero. Erano secoli che non gli capitava più, ma sapeva che stava a lui controllarlo.
Come aveva fatto Lea a intuirlo?
Cercò di rassicurarla, dopotutto non aveva nulla di male, stavo solo facendo quattro passi per prendere sonno.
-Lea va tutto bene, tranquilla. Come stanno i tuoi genitori piuttosto?-
-Bene- lei sbadigliò.
Era stanca.
-E’ meglio che torni a dormire adesso- la ammonì lui –tanto io torno domani sera-
-Va bene. Non vedo l’ora di averti di nuovo qui con me. Mi manchi Cor-
- Anche tu mi manchi. Ti amo piccola-
-Io ti amo di più-
Cory sospirò, la adorava.
-Se lo dici tu-.
 
Chiuse la chiamata e scosse la testa con forza, come se quel dannato pensiero potesse uscire grazie al movimento.
Neanche Lea era stata in grado di farlo smettere di pensare a quello.
Le sue gambe ormai conoscevano a memoria la strada, anche se erano anni che non ripercorreva quei vicoli bui e stretti.
Si odiava. In quella roba aveva speso i soldi di un’intera giornata di lavoro, tuttavia c’era una piccola parte dentro di lui che gli era riconoscente per averlo fatto.
Era un notte fresca e Cory fu lieto di rientrare dentro il calore della sua stanza d’albergo, al ventunesimo piano del Fairmount Pacific Rim Hotel.
Era nervoso, continuava a toccarsi la tasca della felpa come per ricordarsi che le pastiglie erano lì, che l’aveva comprate lui, e che era tutto vero.
Era così nervoso che aprì in fretta la porta e si chiuse dentro la stanza, tirando un lungo sospiro di sollievo.
La battaglia nella sua testa infuriava ancora.
 
Non hai ancora fatto niente Cory. Lo sai, sei pulito e devi restarci.
 
Beh hai comprato quella merda, quindi non sei di certo un santo. Non lo sei mai stato d’altronde.
 
Cory! Respira amico, su. Si fidano tutti di te. Lea, tua madre, i  tuoi amici, i fans… li deluderai tutti.
 
Non deluderai nessuno invece. Ti fa stare bene, è l’unica cosa che ti fa sentire in pace. Prenderne un po’ non di ucciderà di certo!
 
Un groppo lì si fermò in gola e gli venne da piangere. Si sedette per terra, con le ginocchia strette al petto, mentre grosse lacrime gli rigavano il volto.
In un disperato tentativo di distrazione accese la segreteria telefonica, la voce del suo coach di recitazione nonché mentore di vita, Andrew Mcllory gli giunse soffusa, come un eco lontano.
-Cory, sono io, Andrew. Senti quando torni in albergo chiamami ok? So’ che domani pomeriggio parti così pensavo di fare un ultimo giro a Sombrio beach in mattinata ti va?-.
Si alzò di scattò e rovesciò le pillole di cocaina sul letto. Estrasse dal frigo una bottiglia di champagne e ne bevve un sorso.
Il sapore inteso dell’alcol gli scese in gola e gli inebriò i sensi.
Aveva la mente annebbiata ma non avrebbe rinunciato per niente al mondo a quel sapore così sublime.
Si stava odiando per questo. Come un fantasma nella sua mente passarono le facce deluse di Lea e di sua madre, che lo guardavano con disgusto.
Ormai non era in grado di fermarsi, era troppo per lui.
Prese una pastiglia e la mandò giù subito, con un altro sorso.
E sentì di nuovo quella sensazione: gli era mancato tutto quello. Non era spiegabile a parole, si sentiva bene, quella sensazione di potenza e beatitudine andava oltre mille meraviglie, persino il sesso con Lea veniva dopo.
Si sentiva un verme, mentre ingoiava un'altra pastiglia.
E un’altra ancora.
Alla quarta sentì che qualcosa non andava.
Si alzò dal letto e si mise in piedi, ma fece solo qualche passo.
Una fitta al petto lo fece cadere in ginocchio.
Solo allora realizzò la terribile verità: stava morendo.
No, fu colto dal panico e un respiro strozzato gli uscì dalla bocca.
Aveva fame d’aria, non poteva morire.
No, non adesso.
Gli occhi gli si riempirono di lacrime, mentre cercava di recuperare le forze per mettersi in piedi.
Mille flashback gli passarono davanti, ma era come se il tempo si fosse fermato.
 
Suo padre che lo picchiava.
 
Era bambino, sua madre passava l’aspirapolvere per la casa, mentre lui e suo fratello Shaun ballavano sulle notte di Madonna. La risata di sua madre la poteva ancora sentire nelle orecchie.
 
La prima volta che aveva preso una pastiglia, a dodici anni. Aveva vomitato quel giorno.
 
La riabilitazione. I mille lavori… lui che cantava con i bambini sullo scuolabus.
 
Los Angeles e le sue mille luci. Glee. Lea che gli stringeva la mano.
 
Il primo bacio con Lea. La prima volta con Lea.
E ancora che Lea che rideva per una sua battuta.
Lea e Sheila accoccolate con lui sul divano.
Lea e lui che cantano nel suo SUV.
Lea che si metteva una delle sue vecchie magliette dopo avere fatto l’amore.
Lea.
 
Il volto della donna che amava fu l’ultima cosa che Cory vide.
Poi il buio.
 
Andrew salì di corsa le scale dell’albergo per arrivare alla stanza di Cory.
Non era tranquillo, non era affatto tranquillo.
Cory non gli aveva risposto, non era insolito ma era strano che non gli avesse lasciato nemmeno un messaggio.
Era andato a dormire presto ma si era svegliato a notte fonda: aveva una strana sensazione.
Aveva preso giusto la borsa con alcuni medicinali ed era uscito nella notte scura.
Bussò più volte alla porta, senza ottenere risposta.
-Cory… CORY!-.
Non poteva aspettare l’arrivo di un inserviente, aveva una sensazione addosso così orrenda che si sentiva soffocare. Strisciò a carta di credito e fece scattare la serratura.
-Oh merda!-
Cory era disteso sul pavimento, a pancia in giù.
Andrew capì subito cosa era successo. Si maledì per non averlo capito prima.
Non perse tempo, tirò fuori dalla borsa il metadone, girò con un po’ di fatica Cory, e gli piantò la siringa nel braccio, sperando di essere arrivato in tempo.
Dopo secondi che gli parvero interminabili, vide il petto del ragazzo alzarsi.
Cory trasse un lungo, vitale, respiro e sbatté un paio di volte le palpebre per contrastare la luce della stanza.
Era vivo.
Di nuovo. 



Ed eccomi tornata con la mia ultima fan fiction sui Monchele. 
Allora la ff è una long di 22 capitoli e pubblicherò, salvo eccezione, ogni sabato. Ogni capitolo avrà come titolo una canzone di "Glee". Per questo primo capitolo il link è questo "Losing my religion"
Devo dire che è stato molto difficile scrivere una ff del genere perchè tratta di un argomento molto delicato per noi gleeks, non voglio turbare nessuno e non voglio infangare di certo la memoria di Cory etichettandolo come "drogato". Voglio solo scrivere di come sarebbro potute andare le cose quella tragica notte. Perchè tutti, tanti, continuano a ripetere "E se non avesse preso la droga? Se non fosse stato solo?"; quindi eccovi accontentati. Se Cory non fosse morto, per me, le cose sarebbero andate così.
Vi ringrazio in anticipo per le recensioni.
Prossimo capitolo SABATO 27 GIUGNO.
FrancyF
   
 
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