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Autore: FrancyF    27/06/2015    4 recensioni
Era così arrabbiato, che avrebbe preferito morire. Si sarebbe stato meglio, così non sarebbe più ricascato in quella merda. Provocando solo casini: non c’è l’avrebbe fatta ad affrontare di nuovo lo sguardo compassionevole di sua madre, a confessare tutto a Lea. Non l’avrebbe di certo biasimata se, una volta saputo l’accaduto, avrebbe deciso di lasciarlo. Di andare via da lui. Ma senza di lei lui non era niente, tanto valeva affrontare la morte.
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Cosa sarebbe successo se Cory non fosse morto quel maledetto 13 luglio 2013?
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cory Monteith, Lea Michele, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Andrew rimase in ginocchio accanto a Cory per un tempo imprecisato: vedeva il petto del ragazzo alzarsi e abbassarsi, ma con fatica, e pregò che l’ambulanza si sbrigasse ad arrivare.
Nella sua mente gli si accumularono tutti gli insulti possibili di questo mondo, ma non gli rivolse a Cory.
Almeno non adesso.
Per i rimproveri ci sarebbe stato tempo, pensò. Almeno così sperava.
Cory sbatté le palpebre un paio di volte, ma non riusciva a distinguere niente. Sapeva cosa era successo, anche se  si sentiva sospeso in un’altra dimensione.
Come se fosse tornato dal regno dei morti.
Sentiva la calda mano di Andrew stringere una delle sue, ma non si sentiva al sicuro.
Era così arrabbiato, che avrebbe preferito morire. Si sarebbe stato meglio, così non sarebbe più ricascato in quella merda. Provocando solo casini: non c’è l’avrebbe fatta ad affrontare di nuovo lo sguardo compassionevole di sua madre, a confessare tutto a Lea. Non l’avrebbe di certo biasimata se, una volta saputo l’accaduto, avrebbe deciso di lasciarlo. Di andare via da lui. Ma senza di lei lui non era niente, tanto valeva affrontare la morte. Se avesse avuto le forze si sarebbe piantato un coltello nel cuore.  Provò a parlare, a scusarsi, ma aveva la bocca troppo asciutta per riuscire ad emettere qualche suono, inoltre tutto il suo corpo era concentrato solo su una cosa: farlo respirare per tenerlo in vita.
Così si limitò a cercare di combattere contro la luce accecante della stanza, o almeno così sembrava  a lui, e a mettere a fuoco il volto di Andrew.
Stranamente l’uomo gli si rivolse in un tono gentile.
-Starai bene Cor, i medici stanno salendo va bene? Tu respira e basta. Al resto penso io, campione-.
Cory sapeva a cosa Andrew si stesse riferendo: sarebbe toccato a lui l’umiliante compito di avvisare sua madre, suo fratello, Lea e gli amici più stretti di quello che era successo.
Per una frazione di secondo Cory provò sollievo: almeno non avrebbe dovuto spiegare in che casino si era cacciato. Per ora.
Avrebbe voluto urlare ad Andrew di non farlo, di non dire niente a nessuno; ma ormai i medici erano arrivati e lo caricarono sulla barella.
Solo quando gli fu messa la maschera dell’ossigeno, e i suoi respiri ripresero a essere un po’ più regolari, Cory fu in grado di vedere chiaramente la faccia delusa del suo vecchio coach di recitazione.
-Ti porteranno nell’ospedale più vicino. Io sarò dietro di te. Non ti preoccupare-.
 
Andrew era così nervoso che durante il viaggio in ambulanza strinse fortissimo la mano di Cory, facendogli male.
E al cuore di Cory mancava un battito ad ogni stretta: non si meritava tutto il suo supporto.
Per fortuna l’ospedale era vicino e Cory fu attorniato da un medico e tre infermiere.
Il dottore era di carnagione scura, capelli corti tagliati a spazzola, brizzolati, rayban neri sul naso e uno spiccato accento franco – canadese.
-Allora vediamo un po’…. Monteith…- dal modo in cui aveva pronunciato il suo nome, Cory capì che lo conosceva: grandioso, l’ultima cosa di cui aveva bisogno era che qualcuno facesse trapelare la notizia ai media.
-Gli ha dato lei il metadone?- chiese, rivolto ad Andrew, che fino a quel momento era rimasto in disparte per non ostacolare il lavoro dei medici.
-Si-
- Probabilmente gli ha salvato la vita- lanciò uno sguardo torvo a Cory, poi si rivolse nuovamente a Andrew –lei è un famigliare? Perché se vuole può venire dentro la stanza se no deve stare fuori-.
L’uomo indugiò.
Un brontolio distolse l’attenzione di entrambi: Cory aveva sollevato dal suo viso la maschera dell’ossigeno quanto bastava per riuscire a parlare.
-Si… è mio padre… fatelo restare…-
Le ultime parole erano quasi supplichevoli.
Ad Andrew vennero le lacrime agli occhi: Cory non l’aveva mai chiamato così, eppure era stato come un padre per lui. Il ricordo del loro primo incontro era così vivido nella sua memoria che, era certo, non si sarebbe mai cancellato: era stato quando Cory aveva diciannove anni e Andrew appena trentacinque. A quel tempo l’uomo aveva appena avuto in gestione la piccola scuola di recitazione, che collaborava con vari centri di riabilitazione e strutture per ragazzi difficili e disagiati. Cory era stato trascinato quasi a forza in quel posto dalla madre e dal fratello, malgrado le sue spiccate doti artistiche non voleva essere coinvolto in quel genere di cose. I sentimenti del ragazzo verso di lui erano stati, inizialmente sospettosi, faticava parecchio a fidarsi degli uomini adulti, ma con il tempo il loro rapporto era andando migliorandosi. Negli anni Andrew si era più volte sorprese di quanto speciale e profondo fosse il suo rapporto con quel ragazzo. E dopo la fama raggiunta con “Glee”, Cory non l’aveva dimenticato, anzi forse gli era stato sempre più devoto. Lo andava a trovare ogni mese e gli aveva presentato Lea come se fosse stato suo padre. Ed eccoli lì, undici anni dopo. Se fosse morto non se lo sarebbe mai perdonato…
-Allora viene?-
Il dottor Buttler lo sospinse in tutta fretta accanto al letto di Cory mentre li sistemavano in una stanza.
Subito un’infermiere attaccò Cory all’ossigeno e gli prelevò un campione di sangue.
-Ti do’ solo dei calmanti- spiegò il dottor Buttler –poi aspettiamo i risultati delle analisi ok? Ci vediamo fra un paio d’ore-.
Cory si sentiva distrutto: avrebbe voluto stare meglio per parlare un po’ con Andrew, ma non appena sentì il calmante diffondersi nel suo corpo le fatiche di quella tremenda notte presero il soppravvento, e crollò addormentato pochi minuti dopo.
Andrew stette accanto al suo letto per cinque minuti buoni, solo per assicurarsi che respirasse ancora, poi uscì dalla stanza.
Andò in bagno  e si sciacquò la faccia con l’acqua ghiacciata.
Il suo riflesso allo specchio era opaco, ma non aveva una bella cera.
Che motivo aveva avuto Cory? Che cavolo gli era passato per la testa? Dopo due riabilitazioni e un’overdose accidentale a quindici anni, Andrew sperava che avesse imparato la lezione. E invece! Evidentemente tutti lo credevano più forte di quello che era… eppure. Cory era un uomo alto, ben piazzato, come faceva ogni volta a ricadere in quella merda? Perché? Non era felice? Forse non gli era stato abbastanza vicino ultimamente… la mente di Andrew ripercorse le ultime settimane, cercando anche un insignificante stranezza, un qualcosa di minuscolo e impercettibile che potesse giustificare quell’atto disumano e irrazionale. Niente. Seppure Cory fosse impegnato in quel suo nuovo film, lo veniva sempre a trovare, almeno una volta al mese. A giugno lui e Lea si erano fermati un intero fine settimana a Vancouver per festeggiare il compleanno di Asher. L’aveva visto tre giorni prima e gli sembrava sereno: avevano camminato a lungo su sulla spiaggia di Sombrio beach e Cory non smetteva di raccontargli di Lea e dei loro progetti, del lavoro, degli amici.
Un messaggio della moglie lo fece ritornare alla realtà: basta doveva chiamare tutti, avvisarli. Non doveva spettare un secondo di più. Voleva togliersi quel peso dal cuore.
Decise di iniziare da Shaun, sicuro che si sarebbe arrabbiato con il fratello minore, ma era certo che dopo dieci minuti l’avrebbe trovato al capezzale di Cory.
Ad ogni squillo il suo cuore accelerava.
-Pronto…- la voce mezza assonnata mezza scocciata di Shaun si sentì dall’altro capo del telefono. Andrew respirò profondamente, di certo non poteva biasimarlo. Erano sempre le tre di notte.
-Ehi Shaun… sono Andrew-
-Ma che cavolo? Perché chiami a quest’ora? Fra tre ore mi devo alzare per andare in ufficio e so’ già che non mi riaddormenterò più!- ora la voce di Shaun era decisamente irritata.
-Lo so’… senti è successa una cosa-
Andrew potè chiaramente sentire Shaun zittirsi e il suo respiro farsi più affannoso: aveva già capito.
-Cosa ha fatto quell’idiota di mio fratello?- chiese, con una punta di panico nella voce.
-Overdose-
-E’ vivo?- Shaun si stava quasi per mettere a piangere, aveva la voce strozzata.
-Si, ma vieni in ospedale, al Vancouver General Hospital. Ci è andato vicino questa volta-
-Oh merda! Sono lì fra dieci minuti, cinque se infrango tutti i limiti di velocità. Ah non chiamare mamma la avviso io che è meglio. Grazie, ti sono debitore-.
Shaun non gi diede neanche il tempo di chiudere la chiamata.
Andrew si sentì un po’ più leggero, ma meno di dieci minuti dopo dovette affrontare due preoccupati e ansiosi Ann e Shaun.
Li aspettava fuori dalla stanza di Cory, le persiane erano state tirate lungo le grandi vetrate e nessuno poteva sapere che in quella stanza d’ospedale c’era uno degli attori più promettenti di Hollywood.
-Dove è? Come sta il mio bambino?- Ann era chiaramente sconvolta: aveva il respiro affannoso e   le lacrime agli occhi.
Abbracciò stretto Andrew.
-Dio Andrew! Non so’ come ringraziati! Se non ci fossi stato tu…-.
-Sta bene Ann, tranquilla. Non è in grande forma ma è vivo. Questo è l’importante-.
Il dottor Buttler arrivò pochi minuti dopo. Sorrise rassicurante a tutti prima di farli sedere, spiegandoli la situazione.
Diede un thè ad Ann per farla calmare.
-Allora secondo le analisi Cory ha avuto un’overdose da eroina e champagne. Il suo cuore si è fermato per circa un minuto prima che quel signore gli desse il metadone. Entro un paio di giorni dovrebbe uscire. Dieci giorni di ricovero credo. E poi abbiamo già pronto un posto per lui in un centro di riabilitazione, anche per due mesi se necessario-.
-Possiamo vederlo?- chiese Shaun, che fino a quel momento era rimasto in silenzio con uno sguardo imbronciato.
-Si, ora si è addormentato ma quando si sveglierà potete vederlo. So’ che è la sua terza ricaduta quindi è una situazione complicata… tuttavia sono ottimista. Andrew mi ha detto che è stato sobrio per dieci anni quindi non vedo perché non dovrebbe più farlo. In questi giorni gli continueremo a dare il metadone e cercheremo di alleviarli i sintomi dell’astinenza, ma non sarà facile. Conoscete già i sintomi dell’astinenza da eroina credo: irritabilità e scontrosità, vomito, diarrea, insonnia, tremori… ma l’ottimismo è la cura migliore-.
Li congedò dopo pochi minuti.
Andrew, Ann e Shaun entrarono nella stanza di Cory e si sedettero accanto a lui aspettando che si risvegliasse.
Ann teneva gli occhi fissi sul figlio, mentre si asciugava freneticamente grosse lacrime.
Come era possibile? Rivivere per la seconda volta quell’inferno? Cory era il suo bambino, il più piccolo dei suoi figli. Voleva solo vederlo felice, sposato, con una famiglia, come Shaun. E invece… era disteso su un letto con la maschera d’ossigeno. Lottava contro quei dannati demoni da una vita e non era ancora riuscito a sconfiggerli.
Quando vide Cory aprire gli occhi avrebbe voluto urlare dalla gioia. Si precipitò accanto al letto, e strinse subito nelle sue mani una mano del figlio.
-Come ti senti Baby Bear?- chiese dolcemente, con un tono che di solito si usa quando ci si rivolge ad un bambino di pochi anni.
Cory tossì e aprì completamente gli occhi, mettendo a fuoco il volto preoccupato della madre.
-Ho avuto giorni migliori- scherzò, esibendo il suo mezzo sorriso.
Sebbene si sentisse uno schifo voleva rassicurarla.
Ann lo baciò sulla fronte e sulle mani, accarezzandogli il volto: aveva avuto così paura di perderlo che ora non le sembrava vero di averlo accanto.
Lo sguardo di Cory si spostò in tutta la stanza: vide Shaun e Andrew.
Il suo cuore fece un tuffo.
Lea non c’era.
Sua madre continuava a sussurrarli che gli voleva bene, ma lui la interruppe dolcemente.
-Lea?- chiese, quasi in un sussurro, racchiudendo in quel nome tutta l’essenza della sua vita.
Ann e Shaun si scambiarono uno sguardo preoccupato: in effetti si erano completamente dimenticati.
-La chiamo io campione- intervenne Andrew, alzandosi e dirigendosi alla porta –tu riposati-.
Prima di chiamare Lea Andrew pregò con tutte le sue forze che tutto andasse bene. Lea era straordinaria, era stata accanto a Cory per tutta la sua riabilitazione, ma non sapeva come avrebbe potuto reagire ad una notizia del genere.
Fece un rapido calcolo mentale, forse non si sarebbe spaventata inizialmente, a New York dopotutto erano già le sette del mattino.
-Pronto-
-Ciao Lea, sono Andrew- l’uomo pensò mentalmente a cosa dirle, ma non riusciva a trovare le parole…
Ci penso lei.
-E’ successo qualcosa?- chiese, con voce preoccupata. Dopotutto era insolito che Cory non le avesse ancora augurato il buongiorno.
-Si. E’ successo un casino – finalmente Andrew si decise a parlare – vieni. Cory ha avuto un overdose. Siamo tutti in ospedale-.


... continua! Vi ho lasciato con la suspence! Allora prima di tutto ecco "No Air" il link per questo secondo capitolo. 
Prossimo capitolo SABATO  4 LUGLIO!
Come reagirà Lea alla notizia dell'overdose di Cory? Siete curiosi? 
Vi ringrazio per le recensioni dello scorso capitolo, e grazie anche a chi segue la storia o la inserisce nelle preferite/seguite. Spero davvero che vi piacciano gli alteri capitoli! ;)
Un'ultima cosa, anche io come tanti, non posso fare a meno di scrivere #LOVEWINS  26-6-15: è una data e un giorno da ricordare, i nostr figli lo studierrano. Da etero non potete capire quanto io sia felice, e so che anche Cory da Lassù sta sorridendo per questa immensa vittoria dell'umanità. <3
FrancyF
   
 
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