14.
“Sarò
lì fra due giorni. Sarei dovuta partire oggi stesso, ma ho un impegno che non
può essere cancellato.”
“Allison,
che succede se…”
“No
Sam! Questo non è il momento di pensare negativo. Charlie tornerà presto con il
libro ed io ho scoperto qualcosa di interessante. Porterò del materiale e
troveremo una soluzione, insieme. Io, tu, Dean e Cass,
come facciamo sempre.”
Dall’altra
parte del telefono ci fu un lungo silenzio, poi un sospiro e per Allison fu come vedere il viso del suo amico trasformarsi
in una maschera di amarezza; gli occhi gonfi, gli angoli delle labbra piegate
in giù, la fronte corrucciata nel disperato tentativo di non piangere. Pieno
stile Sam Winchester.
“Hai ragione,” disse
lui. “Ci vediamo fra due giorni. Nel
frattempo cercherò qualche caso, niente di troppo impegnativo. Lo terrà
occupato ma non troppo… se capisci cosa intendo.”
“Qualcosa
che lo tenga occupato senza fargli venire voglia di fare un massacro. Sì,
capisco quello che intendi.” Allison fissò il
riflesso di Caroline Forbes allo specchio. Aveva
appena aperto la tenda del camerino dentro al quale stava provando l’abito per
il matrimonio di Alaric. Nei suoi occhi chiari uno
sguardo indecifrabile. “Devo andare ora. Ci vediamo presto Sammy,
ti voglio bene.”
Riattaccò
poggiando il cellulare sulla piccola seggiola che stava all’interno di quello
spazio e sorrise senza voltarsi. La sua bionda amica la fissava ancora, ma sul
suo viso ora c’era un’espressione che era il perfetto misto di tristezza e
sollievo. Si voltò piano e la strinse in un abbraccio che l’altra ricambiò
affamata d’affetto e di comprensione ed Allison pensò
che sapeva esattamente come si sentiva.
“Caroline,
mi è tanto dispiaciuto sapere di tua madre. Avrei voluto essere qui per te, per
sostenerti, ma…”
“Lo
so,” le rispose Caroline rompendo l’abbraccio ma tenendole ancora le mani. “eri
impegnata a salvare il mondo, come sempre.”
Risero
entrambe ed entrambe sapevano che in quella risata non c’era nulla di
divertente.
“Ho
provato a telefonarti,” riprese Allison. “Ma non hai
mai risposto e dopo un po’ il tuo numero risultava disattivato.”
Caroline
annuì spostandosi di nuovo dietro di
lei, le alzò piano la zip del vestito e fece un grosso respiro uscendo fuori
dal camerino.
“Sono
andata un po’… fuori di testa. Per così dire. Ho spento la mia umanità e fatto
cose che preferisco dimenticare. Forse è un bene che tu non sia riuscita a
rintracciarmi, saresti stata costretta ad uccidermi.”
Allison
abbozzò un sorriso spostandosi indietro i capelli. “L’importante è che tu stia
bene adesso.”
“Ci
sto lavorando,” ammise l’altra. “Ma questo è un giorno speciale. C’è un
matrimonio da organizzare e tu non puoi indossare questo abito.”
La
cacciatrice corrugò la fronte guardandosi allo specchio. Era certa che quell’abito
sarebbe piaciuto a Caroline Forbes; la leggera seta
color cipria, il corpetto color tortora
lavorato. Eppure sembrava essersi sbagliata. “Credevo che ti sarebbe piaciuto.”
“Oh
lo adoro!” esclamò Caroline. “È stupendo. Tu hai sempre avuto un ottimo gusto.
Ma non puoi essere più bella della sposa, quindi non puoi indossarlo.”
Allison
roteò gli occhi, poi scosse il capo e intravide Jo,
riflessa nello specchio. Sembrava tesa, come ogni sposa dovrebbe essere. Dietro
di lei Elena e Bonnie. Tutte e tre la fissavano senza
proferire parola e la donna si voltò per essere faccia a faccia con loro.
“Cosa
c’è? Perché mi state fissando in quel modo?”
“Adoro
il tuo vestito…” mormorò la sposa. “Posso averlo dopo le nozze? Non credo che
ci entrerò mai perché sono incinta di due gemelli e quindi diventerò una balena
nei prossimi mesi, ma posso averlo comunque?” la donna scoppiò a ridere, poi si
mise a sedere facendo dei grossi respiri. Allison
appuntò mentalmente che organizzare le nozze in stato interessante non era una
buona idea; gravidanza e alcol non andavano d’accordo. L’organizzazione di un
matrimonio e la mancanza di alcol, nemmeno.
****
“Bel
vestito!”
Allison
alzò la testa di scatto, lasciò vagare lo sguardo per un secondo prima di
voltarsi. Conosceva quella voce ed era sicura che, se non si fosse controllata,
sarebbe finito tutto in un litigio. E lei non ne aveva voglia; non quella sera.
Quella
sera era per Alaric e Jo,
per il loro matrimonio, per il vestito da principessa della sposa, per gli
occhi lucidi dello sposo, per l’emozione di iniziare una nuova vita ed una
nuova famiglia insieme. Non avrebbe permesso a Damon Salvatore di irritarla,
non quella sera. Oltretutto, pensò, non aveva senso… Damon non sarebbe cambiato
mai o forse era già cambiato troppo.
“Grazie”
sorrise lisciandosi la parte inferiore, i tacchi alti le facevano già male e la
cerimonia non era nemmeno iniziata.
“Sei…
bellissima. Dico davvero.”
Allison
sospirò. “Anche tu non sei niente male. Dico davvero.”
Seguì
un minuto di silenzio, poi Damon parlò.
“Allison, mi dispiace tanto per Mason Lockwood”
disse. “A volte faccio cose che non dovrei fare e non so perché. Mi avevi
chiesto di darti del tempo con lui, di permetterti di parlargli, di non
ucciderlo ed io non ho fatto nulla di tutto questo. Ho fatto tutto il
contrario.”
“Lo
so.”
“Non
credevo che la cosa ti facesse ancora così male, che ti…”
“Credi
che sia per Mason, Damon?” lo interruppe lei. “Non lo è, non soltanto almeno. E
non è nemmeno perché mi hai lasciata a morire quando Enzo voleva uccidermi.
Quando lui ti ha chiesto di scegliere chi delle due salvare tra me e la tua preziosa Elana, era logico che
avresti scelto lei.”
“Se
non è colpa di queste cose, cos’è allora?” chiese lui avvicinandosi. “Io e te
litighiamo continuamente, su ogni piccola cosa. È la nostra caratteristica, lo
facciamo da sempre. Ma stavolta è così…”
“Diverso?”
domandò Allison. E davanti al suo annuire fece un
grosso respiro e si mise a sedere su una vecchia panca alla ricerca delle
parole giuste per spiegare. “È perché lo è, Damon. E non credo che le cose
potranno tornare come prima, perché noi non siamo quelli di prima. Io non sono quella di prima. Non è perché
hai scelto Elena o perché non mi hai dato retta quando ti ho chiesto di non
uccidere Mason, è perché…” la donna si fermò per un secondo, insicura.
Avrebbe voluto dirgli tanto; avrebbe voluto
dirgli che odiava che lui di solito non provasse nemmeno a scusarsi seriamente,
che odiava la sua convinzione che con un sorriso tutto poteva essere sistemato.
Avrebbe voluto dirgli che dopo quella sera un addio era l’unica strada che
credeva possibile per la loro amicizia. Avrebbe voluto dirgli tutto ma non
disse niente.
L’unica
cosa che riuscì a dire fu un oh merda…
mentre John Constantine avanzava verso di lei.
****
“Oh merda?” domandò John guardandola. “Beh
mi hanno detto di peggio.”
L’uomo
si accese una sigaretta e diede una prima tirata, poi mise una mano in tasca e
sorrise alla donna. Allison Morgan era bella, lui lo
aveva sempre saputo, ma vederla chiusa in quell’abito, con i capelli raccolti,
il trucco e tirata a lucido glielo fece notare ancora di più. In quel momento
però, oltre che bella era anche tesa. Nei suoi occhi nocciola Constantine poté
leggere un’ansia riconducibile ad una sola cosa: la sua presenza lì.
John
sapeva che lei aveva capito, sapeva che lei sapeva che lui lì, nel bel mezzo
del nulla nella periferia di una piccola cittadina della Virginia, poteva
significare solo una cosa: guai in vista. Il fatto che anche lei fosse lì era l’indizio
che le cose erano peggiori di quanto avrebbe potuto credere, perché i guai
sembravano seguirla sempre. O almeno così gli aveva sempre detto.
“John,
che ci fai qui?” Allison si alzò e gli si avvicinò di
qualche passo.
“Credo
che tu possa arrivarci da sola dolcezza”
rispose lui. “A proposito, sei una delizia per gli occhi. Salve,” continuò
voltandosi verso Damon. “Sono John Constantine, signore delle arti oscure.”
Damon
corrugò la fronte stringendo la mano che John gli tendeva. “Damon Salvatore,
vampiro.”
“Ah…”
mormorò Constantine. “Interessante. Ad ogni modo, sono qui perché ho motivo di
credere che qualcosa di terribile stia per accedere. Il fatto che voi siate
tirati a lucido mi fa credere che stavate per prendere parte ad una qualche
cerimonia, il che mi fa decisamente temere il peggio.”
Il
vampiro lo fissò perplesso. “Perché esattamente?”
“Perché
una cerimonia corrisponde ad gran numero di gente e le cose terribili tendono
ad accadere sempre in posti ed in momenti in cui tante, troppe, persone sono
radunate tutte insieme” intervenne Allison.
“Bingo!”
esclamò John buttando a terra quel che rimaneva della sua sigaretta e
spegnendola con la punta della scarpa. “Chas sta
facendo un giretto di perlustrazione.”
Allison
annuì, mentre la marcia nuziale iniziava a suonare. “Damon, raggiungi gli altri”
disse all’amico. “Cerca di comportarti in modo normale, io aiuto John e poi vi
raggiungo.”
“Allison, che diavolo succede?”
“Vai
ho detto,” gli disse lei. “Me ne occupo io. Qualunque cosa accada, viste le sue
condizioni, Jo ha la priorità. Hai capito?”
Fu
allora, che, inaspettatamente qualcosa lanciato ad altissima velocità colpì Allison alla parte posteriore della testa. Lei cadde in
terra, una grande quantità di sangue la circondò in pochi secondi; il vestito
color cipria macchiato di rosso, gli occhi chiusi. Inerme mentre all’interno
del granaio sembrava scatenarsi l’inferno.
****
Allison
riaprì gli occhi lentamente. Il calore del sole sul viso, una sensazione di
pace che non provava da tanto, tantissimo tempo. Si chiese cos’era quel vago
ricordo che sembrava fluttuarle nella mente. Un vestito elegante, Damon, John…
e poi un dolore alla testa.
Il
ricordo si fece man mano più vivo, i pezzi presero forma e tutto le tornò alla
mente. Era ad un matrimonio, il matrimonio di Jo ed Alaric, poi John era comparso dal nulla e i guai, come
previsto, erano iniziati.
Si
alzò in piedi e si guardò intorno, non c’era nessuno in quello che sembrava
essere un’immensa distesa di verde. Un leggero venticciolo
la avvolse portando con sé il profumo dei fiori. Si chiese dove fosse. Si
chiese se fosse morta.