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Autore: zappolo70    22/06/2015    17 recensioni
ATTENZIONE: storia già pubblicata fino al capitolo VII ora completata (12 capitoli). Si avvisa che TUTTI i capitoli sono stati rimaneggiati e sono stati aggiunti riferimenti temporali per aiutare a seguire più agevolmente il dispiegarsi della storia.
La storia propone un what if inusuale e grande come una casa. Una rilettura personale della storia di Oscar e Andrè che mantiene grossomodo l’ossatura della storia e l’evoluzione temporale, anche se non fedelmente per esigenze narrative, stravolgendone però l’interpretazione alla luce di un presupposto nuovo.
Buona lettura a chi vorrà cimentarsi.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Disclaimer: I personaggi di Lady Oscar non mi appartengono e sono proprietà esclusiva di Ryoko Ikeda.

VII – 27 Marzo – 8 Aprile 1775

I giorni seguenti furono i più duri di sempre, nemmeno lontanamente paragonabili al più sfiancante degli addestramenti, nonostante l’atteggiamento nell’affrontarli fu proprio quello della disciplina più ferrea. Dovette fare appello a tutta la propria forza di volontà per mettere a tacere le ragioni del cuore e far sì che prevalessero quelle della ragione. Fu indicibilmente difficile trovare l’equilibrio perfetto fra le azioni, divenute orfane di qualunque contatto fisico, e le parole, che dovevano farla sembrare quella di sempre agli occhi del mondo, soprattutto ai suoi.

Si era ritrovata ad anelare la solitudine delle proprie stanze dove soltanto la notte, come un pesante sipario che segni la fine dello spettacolo, le concedeva di non dover nascondere l’infinita tristezza che la scavava dentro, lasciandola svuotata. 

Ma ogni nuovo risveglio si accompagnava all’inizio di un nuovo atto, imponendole la recita di un ruolo assegnatole dal più crudele dei drammaturghi. E l’attore accusava la pesantezza degli abiti di scena, quando rispondeva alle battute ficcanti di lui forzando un sorriso, quando insieme svuotavano un bicchiere di troppo nell’intimità raccolta del salottino e i pensieri andavano dove l’autocontrollo proibiva, quando prendeva le redini dalle sue mani senza sfiorarle, quando incrociava il verde dei suoi occhi e nelle sfumature cupe non era più l’amicizia di un tempo quella che vedeva riflessa. 

Come un funambolo, si era sentita costantemente in bilico sopra il baratro, consapevole che la più piccola distrazione sarebbe bastata a minare l’equilibrio precario e che la caduta non avrebbe lasciato scampo. 

Curioso come all'esterno la vita si ostinasse a proseguire inesorabile nella sua scadenzata quotidianità, mentre all'interno si imponeva una narrazione completamente diversa, dominata dalle tinte fosche dei suoi tormenti che stridevano con l'apparente leggerezza dell'ordinarietà.  

Come quel giorno quando, come ogni mattina, era seduta al solito tavolo della cucina con lui e come al solito lo aveva guardato imburrare una generosa fetta di pane abbrustolito, mentre lei intingeva la sua, spalmata della solita confettura di fichi, nella tazza di tè fumante che come di consueto Marie le aveva preparato.

Tutto come sempre, eppure niente era come prima.

 Nanny dava loro le spalle e in punta di piedi armeggiava con due tazzine di fine ceramica che stava cercando di riporre sul ripiano più alto della scansia affinché non si rischiasse di urtarle e farle cadere.

 «Ah Madamigella, quasi dimenticavo! Vostra sorella Hortence ha mandato ad avvertire che verrà in visita domani. Vostra madre mi ha riferito che si tratterrà giusto il tempo di affidarci Loulou che lascerà qui a palazzo un paio di giorni mentre lei accompagnerà il signor Conte in un breve viaggio d'affari nei suoi possedimenti in Borgogna. Ha espresso il desiderio di incontrarvi. Dice che è da troppo tempo che non fate due chiacchiere voi due».  

Hortence. Fare due chiacchiere con Hortence. Trattenne una risata amara. Alla domanda di rito - come sta’ la mia sorellina? - avrebbe forse dovuto rispondere secondo il copione? Avrebbe dovuto ignorare l'altra domanda, quella che le bruciava dentro? Mordersi la lingua e non chiederle quand’è che le era venuta l'idea di portarsi a letto Andrè? Soprattutto, se ne poteva davvero parlare al passato? Oppure non avrebbe disdegnato una parentesi extraconiugale con lui? Le battute esplicite con cui era solita metterlo in imbarazzo erano fini a stesse, un gioco innocente frutto della sua ironia innata, o celavano ben altro significato? Un invito malcelato?

Una conversazione utopistica che non sarebbe mai potuta avvenire, ma non avrebbe desiderato averne una diversa. Avrebbe preferito sottrarvisi piuttosto. E tenere Andrè lontano da lei.  

«A dire il vero per domani avevo pensato che io e Andrè avremmo potuto andare al fiume ad allenarci. E' da molto tempo che non mi veniva concessa una giornata libera dagli impegni a Versailles e preferirei non rinunciarvi. Ma se conosco bene mia sorella, il suo "non trattenersi a lungo" significa che quando saremo di ritorno lei non sarà nemmeno a metà del rendiconto dettagliato che obbligherà nostra madre a farle di qualunque pettegolezzo o aneddoto abbia avuto luogo a Corte. Sono sicura che avremo modo di incontrarci comunque». 

In realtà aveva sperato ripartisse prima del loro ritorno, anche se il pretesto appena accampato non era affatto una possibilità da escludere: la loquacità di Hortence era davvero proverbiale.  

Invece Andrè l'aveva guardata perplesso, perché lui di quel programma per il giorno seguente non era stato messo a parte e gli parve quanto meno inusuale che lei non l'avesse consultato. Di regola, decidevano di comune accordo come trascorrere le rare giornate libere da impegni, avanzando ciascuno la propria proposta. Gli era sembrata piuttosto una decisione estemporanea e repentina, come se avesse voluto trovare una scusa per evitare Hortence. Si diede dello stupido non appena il pensiero aveva preso forma nella sua mente: di tutte le sorelle, Hortence era l'unica con cui Oscar aveva un legame profondo. I modi diretti e il senso dell'umorismo con cui riusciva sempre a sdrammatizzare qualunque situazione era un incastro perfetto con lo spirito pratico e la concretezza di Oscar che con lei si trovava a suo agio. Osservandola mentre erano insieme la vedeva perdere a poco a poco la sua compassata rigidità, lasciando presto il posto a una rilassatezza che sfociava in risate aperte che le battute di Hortence riuscivano a strapparle.  

Doveva essersi semplicemente dimenticata di informarlo, o forse era addirittura convinta di averlo fatto. Ultimamente aveva lavorato a ritmi decisamente sostenuti, un momento di défaillance ci poteva stare tutto. 

Ma spesso la percezione giusta arriva dall'istinto. Non si era sbagliato Andrè, si era trattato puramente di un escamotage, un banale espediente che si sarebbe rivelato gravido di conseguenze.

Non avrebbe potuto prevederlo Oscar che un sotterfugio partorito sui due piedi per evitare un confronto indesiderato avrebbe cambiato la loro vita per sempre e stravolto la sua per la seconda volta in una manciata di giorni. 

L'indomani avevano accolto ignari il primo tepore primaverile come il migliore degli auspici, mentre conducevano i loro cavalli al piccolo trotto in direzione della radura attigua al fiume. E senza ombra di dubbio il luogo aveva un che di paradisiaco con la luce radiosa che filtrava tra le fronde folte degli alberi come spade di luce e accarezzava la superficie dell'acqua rifrangendosi in mille riverberi luccicanti. 

Eppure per tutto il tempo non l'aveva abbandonata un senso di inquietudine, come un infausto presentimento che le aveva costretto i sensi in allerta. Le fu presto chiara l'origine di questa sensazione di pericolo quando, al primo battibecco scherzosamente provocatorio, lui aveva risposto insinuante accompagnando le parole con lo sguardo che aveva deliberatamente lasciato indugiare sulle sue gambe nude per metà. Era arrossita lei, non potendone più ignorare il significato recondito nascosto sotto toni scanzonati. 

Era stato allora che aveva preso coscienza che il pericolo stava proprio nel trovarsi lì, in quello scorcio idilliaco, lontano da tutto e da tutti, soli. Allora le venne il dubbio che la furbizia con cui aveva scansato la sorella e di cui si era tanto compiaciuta con se stessa, fosse in realtà l'idiozia più grande che avesse potuto commettere. 

Poi tutto andò storto. Come quando si spiega a un bambino che una certa cosa non la si deve fare perché è pericolosa e si infarcisce la spiegazione con tutti i perché e i per come e lui assicura di aver capito, giura che non lo farà, che si comporterà bene, croce sul cuore, ma poi il gusto del proibito prende sempre il sopravvento e lui non resiste alla curiosità di verificare di persona se è veramente come gli hanno detto, e finisce puntualmente col cedere alla tentazione di toccare con mano.  

Così Oscar si era ripetuta nella mente fino allo sfinimento che sarebbe stata attenta, misurata nei gesti e nelle parole, non si sarebbe concessa di scivolare, si sarebbe tenuta saldamente aggrappata alle ragioni del buon senso. Se lo stava ancora dicendo, e già il suo sguardo vagava sul corpo di lui rilucente d'acqua, trascinandosi dietro la mente che, fuorviata e corrotta da tutti e cinque i sensi, prendeva a interrogarsi sulla consistenza dei muscoli tesi, sul sapore e il calore della pelle lievemente abbronzata. Né era riuscita ad impedirsi di ammirare il petto ampio che si intuiva ben disegnato sotto la camicia bagnata dalla pelle ancora umida quando lui era ormai tornato a un passo da lei, facendosi scoprire. Inequivocabile il sorriso sornione che le aveva rivolto. 

Con il senno di poi non saprebbe dire se l'invito a brandire le armi senza altro indugio fosse stato l'estremo tentativo di restare ancorata all'ultimo brandello di resistenza o, al contrario, la necessità inconfessabile di trovarsi ancora più vicino a lui, di carpirne l'odore inconfondibile, il pretesto per poterlo toccare in modo fintamente fortuito. Di certo, qualsivoglia fosse stata la ragione all'origine, l'epilogo travalicò qualunque intenzione. 

Non ricorda più con precisione come fosse successo, la dinamica troppo veloce del duello le concede solo una vaga reminiscenza di un piede messo in fallo, del proprio braccio proteso in avanti alla ricerca di un appiglio, un lembo di stoffa strattonato, il buio degli occhi serrati fino allo spasimo, il vuoto. Poi se l'era ritrovato addosso, il suo torace ansante contro i suoi seni, il profumo buono dei suoi capelli sul viso, il tono allarmato della sua voce che invocava il suo nome come una preghiera. 

Incapace di articolare suono, gli occhi aperti ma lo sguardo perso, lontano, come lontana era lei, rintanata in un angolo della propria coscienza, impegnata nell'ultimo immane sforzo di redarguire il bambino prossimo alla disubbidienza. Quando infine era tornata in sé, la certezza dei suoi convincimenti si era sgretolata come un castello di sabbia investito dalla risacca di fronte alle labbra piene di lui così vicine. Il respiro si era fatto corto mentre la voce del bambino disobbediente le suggeriva di coglierle, che non poteva esserci niente di male a desiderare di conoscerne il sapore almeno una volta, che le conseguenze non potevano essere così gravi come l'altra voce nella sua testa voleva farle credere, e in ogni caso poi avrebbe sempre potuto promettere di non rifarlo mai più, poi avrebbe potuto essere giudiziosa, comportarsi come si deve, croce sul cuore. 

E allora le aveva sfiorate appena con le sue quelle labbra e immediatamente aveva maledetto quella voce di bambino ribelle con il quale aveva condiviso per un attimo di troppo l'ingenuità illusoria che le sarebbe bastato assaggiarle una volta sola, una soltanto. Invece non era la sazietà di una mela succosa che aveva provato, piuttosto la smania che si sente di fronte a un cestino di lamponi, quando quasi senza pensarci si assapora il primo e ci si accorge che si è arrivati all'ultimo troppo tardi per evitarsi un gran mal di pancia. Che poi non si spiega perché la volta successiva il mal di pancia ce lo si ricorda benissimo, eppure non si riesce ad evitare la medesima conclusione (¹). 

E così aveva rinnovato il contatto in un bacio leggero, e poi ancora e ancora. Aveva continuato finché lo aveva udito pronunciare il proprio nome con una voce roca che non gli aveva sentito mai, facendole aprire gli occhi a incontrare i suoi per scoprirli increduli e incupiti da indicibile desiderio, lo stesso che si scioglieva liquido in lei che gli aveva offerto la sua bocca e si era inebriata del sapore di quella di lui, desiderio che non le aveva fatto provare nessuna vergogna quando gli aveva liberato con urgenza la camicia dai pantaloni per poterlo finalmente toccare, le mani che avevano percorso prima leggere la sua schiena per poi premerselo contro, per sentirlo di più, per ascoltare i battiti dei loro cuori impazziti mescolarsi in un ritmo solo. 

Quando le disse che la voleva lo vide magnifico e si sentì bellissima, la più bella di tutte.  
Ancora adesso non sa dove avesse trovato la forza di fermarlo quando tutto in lei urlava perché continuasse, perché si prendesse lì e subito tutto ciò che voleva di lei, perché lei avrebbe voluto tutto di lui.  

Invece si era ritrovata a guardare negli suoi occhi più tristi di sempre, che da soli erano bastati a darle la misura della ferita che gli aveva inferto, del danno irreparabile cui non sapeva se sarebbe mai stato possibile porre rimedio. Per la seconda volta maledisse il bambino disubbidiente che pretendeva di poter rimettere le cose a posto semplicemente giurando di non ripetere l'errore. Ci sarebbe voluto ben altro, il dono della dimenticanza per esempio, l'oblio. Roba da mitologia greca purtroppo, nella realtà si poteva al massimo far finta che non fosse mai successo, che è di per sé una contraddizione in termini perché implica la consapevolezza di ciò che si intende negare. Praticamente un'impresa impossibile. Ma anche l'unica via percorribile, per quanto strampalata. 
Perciò aveva usato il tono più imperativo di cui fosse capace quando gli aveva imposto di rimuovere l'accaduto, così che la negazione avrebbe precluso qualunque spiegazione. Non avrebbero mai potuto parlare di qualcosa che non era mai successo. 

Se ne era andata subito dopo, al galoppo, con le lacrime sferzate via dal vento, il cuore in frantumi e un senso di colpa che se fosse stato pane avrebbe potuto sfamare l'intera Parigi per secoli a venire. 

Era arrivata a palazzo all'imbrunire, constatando con allarme e fastidio che la carrozza con lo stemma dei Blanchard sostava davanti all'ingresso principale. Hortence era dunque ancora lì, probabilmente aveva rimandato la partenza all'indomani mattina. L'aveva aspettata, e questo era un guaio. 

Era riuscita a raggiungere le proprie stanze passando inosservata, usando l'ingresso secondario sul retro, quello più accessibile dalle stalle.

Doveva trovare il modo di ricomporsi prima di andare a bussare alla porta di Hortence, si sarebbe trattenuta il minimo indispensabile prima di accampare una scusa, la stanchezza, o magari un gran mal di testa, o entrambe, poi le avrebbe chiesto di scusarla se le riservava solo un saluto frettoloso, ma aveva davvero bisogno di coricarsi.                               

Si era seduta sul ciglio del letto, il cuore un tumulto di emozioni ingovernabili, il desiderio di lui che nemmeno il senso di colpa era riuscito a sopire, e poi tristezza, infinita tristezza per il male che era riuscita a fargli, e la rabbia che le ribolliva dentro per non essere riuscita ad addomesticare il proprio cuore, rabbia verso il suo corpo che l'aveva tradita preferendo dare ascolto alla voce suadente delle proprie pulsioni, e la paura come ancora non l'aveva mai provata, paura di non essere in grado di prevedere le conseguenze del suo gesto, paura di affrontarle senza averne i mezzi, il terrore allo stato puro di non intravedere alcuna soluzione.

Con le braccia spalancate si lasciò cadere all'indietro, simulacro di un'altra caduta, ma furono soltanto le coltri gonfie ad accogliere il suo peso, non la mano di lui dietro la sua nuca, né trovò la resistenza del suo corpo quando si strinse le braccia intorno in un abbraccio orfano del suo calore. 
Da quanto tempo lui l'amava? Anni? Come era stato possibile che fosse riuscito a reprimere i propri sentimenti così a lungo mentre lei era capitolata dopo appena una manciata di giorni?

Le ombre lunghe proiettate dagli arredi sul pavimento di marmo lucido si erano confuse e poi dissolte in una penombra diffusa che segnava la fine del crepuscolo e del tempo a sua disposizione.

Si rialzò a sedere sul bordo del letto per poi dirigersi con passo stanco verso le stanze che ospitavano la sorella. Tre tocchi leggeri per annunciarsi.

«Hortence...allora non sei partita».

«Non potevo certo andarmene senza averti nemmeno salutato. Eppure non mi sembri particolarmente entusiasta».

«Non fraintendere Othénse, mi fa sempre piacere vederti. E' che oggi sono particolarmente stanca e ho un fastidioso mal di testa, perciò mi scuserai se non mi tratterrò a lungo, avremo occasioni migliori».

«Mi dispiace per il tuo mal di testa. Immagino abbia un nome, non è vero?».

Hortence la fissò con intensità senza distogliere lo sguardo, alla ricerca di un indizio sul volto dell'altra che confermasse i suoi sospetti. Oscar si schermì dietro una risata che risuonò troppo nervosa.

«E perché mai il mio mal di testa dovrebbe avere un nome? E' solo un gran brutto mal di testa, tutto qui».

Il sorrisetto storto e le sopracciglia alzate di rimando, le fecero intendere che ad Othénse non la si faceva tanto facilmente.

«Cosa è successo tra te e Andrè?».

Dritta al punto, come una freccia scoccata ad arte contro il bersaglio. Tipico di lei.
Oscar sgranò gli occhi in un moto di stupore, "come è possibile che lei sappia...", poi si girò muovendo tre passi in direzione della vetrata, gemella di quella che rischiarava la propria camera, in modo da sottrarsi al suo sguardo indagatore. 

«Proprio nulla Hortence, non è successo proprio nulla tra me e Andrè».

«E com'è che questo nulla provoca a te un gran mal di testa e rende lui l'ombra di se stesso? E' rincasato tardi, da solo. Sembrava portare tutto il peso del mondo. Ha messo un grande sforzo nel salutarmi come si conviene. Ha chiesto il permesso di ritirarsi quasi subito, guarda caso anche lui si sentiva "particolarmente stanco". Non ci sono cascata. A giudicare dallo sguardo triste come non glielo avevo mai visto, la sua stanchezza mi è sembrata tutt'altro che fisica. D'altronde è difficile concepire che una giornata di svago - Marie mi ha riferito il tuo messaggio - vi riduca entrambi in questo stato». 

Quello che seguì fu un silenzio denso e troppo prolungato perché Hortence non lo interpretasse come una risposta eloquente. Si accomodò sul divanetto in velluto e fissò la schiena della sorella, nella penombra intuì le spalle leggermente curve, una postura che non le si addiceva.

«C'è stato un tempo in cui l'ho voluto per me».

Come previsto, la reazione fu istantanea e vide Oscar girarsi di scatto con un'espressione incredula dipinta in viso. Ora era sicura di avere la sua attenzione.

«Lo volevo per me perché è forte, buono, leale, gentile e naturalmente bellissimo. Da mozzare il fiato. Non capivo perché non potevo avere lui e dovevo invece prendermi per forza quell'altro, uno sconosciuto di cui ignoravo tutto tranne il titolo, l'unica cosa che pareva contare e bastare a nostro padre. 
Me lo fecero incontrare appena pochi mesi prima delle nozze, e scoprii che non era nemmeno piacente.

Mi rifugiai in camera di Andrè, lui era con te, lo aspettai per ore. Frugai fra i suoi libri, me ne vergogno, ma non sapevo cos'altro fare per ingannare l'attesa. Teneva una copia de "La Nouvelle Heloise". Un libro bandito. Quando lo aprii incuriosita, da dietro il risguardo scivolò fuori un foglio di cartoncino bianco. Lo girai e vidi voi due. Meravigliosi. Era un disegno a carboncino, ritraeva te in uniforme in cima a una scogliera, la chioma al vento, lo sguardo verso l'orizzonte. Bella e fiera. Lui era appena dietro di te, ti sfiorava quasi col suo corpo e ti sovrastava realisticamente di tutta la testa, ma non guardava il mare. Lo sguardo era fissato in un punto a metà fra la tua spalla e il collo, aveva un'espressione dolce e al tempo stesso intensa. Sembrava in attesa che tu ti girassi. Con una mano ti cingeva la vita in un gesto intimo e protettivo. Rimasi a lungo a contemplare quel particolare, la mano disegnata in maniera mirabile rendeva l'effetto delle dita che premevano sulla stoffa della tua camicia. 

Riposi il disegno e il libro dove li avevo trovati non appena udii i suoi passi avvicinarsi. 
Lo accolsi in lacrime e gli chiesi di stringermi forte mentre gli raccontavo il mio dramma e gli confessavo che volevo lui, non quell'altro. Gli rubai un bacio impacciato, il mio primo bacio, e lo implorai di farmi sua, perché sapevo che sarebbe stato gentile e delicato. Si sottrasse subito al mio assalto. Mi guardò dritto negli occhi e disse solo due parole».

«Non posso».

«Gli chiesi se era perché non ero abbastanza bella, ma lui giurò che no, non era per quello, mentre mi scostava una ciocca di capelli dal viso e mi rivolgeva uno sguardo pieno di dolcezza.
Allora gli chiesi se era per la sua posizione, e lo rassicurai che se era per quello nessuno lo sarebbe mai venuto a sapere, sarebbe stato il nostro segreto.

Lui rimase in silenzio a lungo prima di chinare il capo e rispondere, quasi che la risposta fosse di per se un'ammissione che non voleva condividere con me».

«No, non è per questo».

«Non ebbi bisogno di chiedergli altro. Ritornai alla sua mano stretta alla tua vita. Possesso. Ecco qual era il significato che la mia mente aveva carpito ma a cui non ero riuscita a dare un nome. Possesso. Non aveva potuto imputare alla sua condizione di servo l'avermi rifiutata quella notte. Non aveva voluto usare quella motivazione, aveva scelto di essere sincero. Ero semplicemente la sorella sbagliata.

Lui era già tuo allora. 

Sono passati cinque anni, allora ne avevo appena diciassette, lui diciotto, e non c'è stato giorno che io non abbia pensato di tradire il suo segreto, di rivelarti i suoi sentimenti.
Non lo feci mai per rispetto della fiducia che aveva voluto accordarmi, rivelandomi - pur senza farlo - il suo cuore.

Non so dirti se mi fossi davvero innamorata di lui, alla fine non lo conoscevo a fondo quanto te. Di certo ho sperato che tu ti accorgessi di lui, della fortuna che ti era toccata in sorte nel poterlo avere accanto una vita intera. Perché io avrei comunque potuto averlo per me una notte soltanto, il mio destino era già segnato, la strada tracciata, ma per te sarebbe stato diverso. Nessuno ti avrebbe imposto mai di sposarti, avresti potuto conoscere l'amore vero anziché un matrimonio imposto come è toccato a tutte noi. Certo non avrebbe potuto essere alla luce del sole, ma sarebbe stato vissuto ed è questo ciò che conta alla fine.

Per quanto mi riguarda, non sono stata troppo sfortunata. Mio marito si è rivelato una persona gentile e rispettosa. E mi ha dato Loulou. Gli sono affezionata e col tempo ho imparato a volergli bene. Certo l'amore e la passione come li si legge nei libri sono altro, ma in fondo non ho di che lamentarmi.

Rispetto la tua scelta di non condividere con me ciò che è successo tra voi, ma credo di non aver tradito il segreto di nessuno stasera perché non c'era più alcun segreto che potesse essere violato e ho voluto dirti apertamente qual è il mio pensiero a riguardo.

Ti voglio bene Oscar, e ho desiderato con tutta me stessa che tu trovassi il coraggio di cogliere un’occasione di felicità che a me è stata preclusa».

Senza attendere alcuna replica che, sapeva bene, non sarebbe arrivata, si alzò incamminandosi verso la stanza da letto attigua all'anticamera. Sentì i passi di Oscar muoversi in direzione della porta e fece appena in tempo a udire le sue poche parole prima che la porta si richiudesse alle sue spalle.

«Non farò mai di lui il mio amante. Mai».

  
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