Nick EFP/Forum: radioactive (EFP) ― radioactive (forum).
Titolo: Per i
baci gli occhi vanno chiusi.
Pairing: SasuSaku (Sasuke/Sakura).
Personaggi: Sasuke Uchiha, Sakura Haruno.
Rating: Verde
Pacchetto scelto: Buio • «Il cuore
ispira gesti che la ragione stessa non riesce a comprendere».
Prompt scelto: Segreto fino alla
conclusione del contest.
Genere: Malinconico,
Introspettivo.
Note: What if? nella quale
Sasuke è diventato cieco. Ho preferito non soffermarmi sulle motivazioni di
questa sua condizione, dato che non le ritenevo necessarie per la fan fiction.
Avevo già scritto una storia del genere su Naruto e Hinata (ispirandomi a un
episodio in cui Hinata diventa cieca per un periodo, a causa dei costanti
allenamenti con Neji) e, dato che mi era piaciuta molto, ho pensato sarebbe
stata una bella esperienza ripetere questo format
con Sasuke, che si presta comunque bene per questo genere di cose, anche se il
modo totalmente differente dalla Hyuuga.
Il prompt del pacchetto è stato
usato ma, lo ammetto, ha avuto un significato sotteso e non emerge totalmente
ed esplicitamente nella trama, almeno all’inizio, ma spero si comprenda
comunque il suo ruolo all’interno della storia senza che risulti “forzato”. La
citazione è stata usata per dare significato ai gesti di entrambi i personaggi,
anche se non viene esplicitato chiaramente, se non alla fine della storia. Contiene dei vaghi riferimenti a Senza dir niente a nessuno (il mandorlo stanotte ha messo i
fiori),
una fan fiction che scrissi tempo fa, sempre su Sasuke e Sakura. Non è
necessario leggerla, tuttavia vorrei che sapeste che il mandorlo è l’albero
sopravissuto – per così dire – al Massacro, a cui ho dato un significato simbolico
che riconduce a Sasuke. La metafora, in tutti i casi, non è necessaria per la
comprensione di questa storia.
Inoltre, il titolo del pacchetto, «Buio», non doveva essere
usato come prompt. Ma la trama della OS mi ha portato
a considerarlo come tale, quindi, diciamo, è stato un “bonus” che mi sono data
per complicarmi la vita.
Come al solito, ringrazio yingsu per aver betato la storia e per tutto quello che fa per me ♥
Questa storia partecipa al " [ Multifandom:
Naruto & Dragon Ball ] Contest - La Musa Ispiratrice " di Nede
«Il mandorlo ha messo i fiori».
Era una voce che sembrava il canto degli uccellini, o una
tempesta di margherite.
Sasuke sentiva le dita di Sakura sfiorargli i capelli,
mentre la ragazza gli sfilava con dolcezza le bende dagli occhi. Tutte le volte
che arrivava tra quelle sue ciocche disordinate la sentiva rallentare,
controllando con più cura i movimenti delle proprie dita, come se avesse paura
di impigliarsi in quella zazzera spettinata. Lei era già intrappolata, glielo aveva confessato in una notte
fatta di lacrime e un po’ troppo sakè, si era accasciata sulla sua spalla e gli
accarezzava le dita come se fossero delle gemme preziose, gli raccontava quanto
ci tenesse a lui, quanto non poteva stargli lontana, quanto desiderasse
prendersi cura del suo cuore un po’ ammaccato.
Sakura diceva che Sasuke era una calamita, quel mandorlo molto più grosso di
lei, sotto il quale lei si accucciava tutte le volte, cercando si ripararsi
dalla neve e dal freddo.
Senza quelle bende, Sasuke sentiva l’aria fresca di fine
inverno accarezzargli le ciglia, portare via il sudore e quelle lacrime che
neanche lui sapeva di aver versato. Non voleva che Sakura vedesse quello che
succedeva sotto quelle palpebre, sottilissime e – diceva lei – bianche come
carta riso. Nel buio dei suoi occhi i demoni danzavano e chiedevano la carne di
Sasuke per farci un banchetto, e lui si sentiva il cervello a pezzi mentre
figure fluide di vario colore si muovevano come se stessero davvero festeggiando.
Erano la morte e la rabbia che covava dentro che si burlavano di lui.
Era un po’ come morire.
Un panno fresco e umido premette leggermente sulle palpebre,
lavando via tutti quei cattivi pensieri. Sasuke non era sicuro, ma immaginava che
Sakura stesse osservando con cura le vene che attraversavano quella pelle
bianchissima, cercando di imprimersele nella memoria per poterle ridisegnare
con le dita senza guardarle.
«Va meglio il mal di testa?».
C’era una premura nella sua voce che ogni tanto lo faceva
sentire a disagio. Perché lo faceva? Non riusciva a spiegarselo – e la scusa
dell’«amore» non gli bastava più. Era una parola che non riusciva a concepire,
una motivazione che non gli sembrava abbastanza forte. Sapeva che l’amore scavava nel profondo della pelle
di Sakura come la rabbia aveva scavato nella sua. Entrambi avevano lasciato
cicatrici sulle loro schiene, sulle braccia, sulle gambe e sul cuore. Non
voleva pensare che l’amore che lei provava verso di lui le facesse così male,
non voleva pensare che l’attaccamento che provava nei suoi confronti fosse la
causa del suo dolore. Aveva voglia di abbracciarla e percorrere quei segni con
le dita, sentiva quel desiderio premere e bruciare sotto la sua pelle per
intere ore. Ma l’idea che questo potesse avvicinarla ancora di più, incatenarla
ulteriormente a quella vita insignificante con lui, lo spaventava. Non voleva
che fosse triste, che la sua esistenza si limitasse a un vivere per cambiargli
le bende e leccargli le ferite come una mamma cane troppo apprensiva. Sakura
metteva i fiori ogni anno, risplendeva nella sua veste di petali rosa e
profumati e lui, come il peggiore dei criminali, sembrava stare ai piedi di
quell’albero solo per dare fuoco a quelle piccole meraviglie.
Annuì piano, schiudendo le labbra, cercando delle parole da
dirle, per dimostrarle e dimostrarsi che era ancora vivo. Forse, se
riguadagnava la sua indipendenza, lei si sarebbe staccata e avrebbe preso il
volo. Avrebbe brillato come la stella più luminosa di tutta Konoha
e avrebbe portato ancora più luce anche in quella stanza buia, nella quale non
distingueva più neanche i contorni di se stesso. Sasuke stava diventando
tutt’uno con il buio che lo circondava e, presto, sarebbe scomparso nel nulla.
«Sì, anche gli occhi fanno meno male» iniziò, inumidendosi
le labbra, stringendo appena il tessuto dei pantaloni. Il panno lasciò il posto
alle dita di Sakura che gli spalmarono il solito unguento: sapeva di erbe e
limone.
«Ci sono tanti fiori?» le domandò, cercando di impegnare la
mente in altri discorsi, meno dolorosi e complicati.
«Più dell’anno scorso» era premurosa, gli accarezzava le
ciglia con gesti involontari, della stessa consistenza dei sentimenti, come se
lo facesse con il cuore in mano, «E dell’anno prima» continuò, e dalla
modulazione della sua voce, dalle ultime vocali che scomparivano in un sospiro,
capiva che stava sorridendo.
Lei sbocciava e lui non poteva fare altro che immaginarla e
tenerla tra le dita, senza stringere troppo per non rovinare i fiori, sperando
che i petali non gli sfuggissero di mano.
Non capiva perché Sakura ci tenesse a lui, perché gli
raccontasse di Konoha, gli curasse gli occhi vuoti e
gli preparasse pranzo e cena ogni giorno, rispettando i suoi silenzi e la sua
distanza. Fingeva anche di non capirsi, ignorando quel dolore allo stomaco
tutte le volte che la sentiva andare via mentre gli diceva «Buonanotte»,
facendo scorrere la porta di carta riso per chiuderla. Stringeva le labbra in
una smorfia scocciata, mascherando il panico di quando non sentiva più il suo
tocco sul proprio viso o il suo profumo si allontanava. Il calore della sua
pelle era una sensazione che sognava sulla punta delle dita e sulle labbra, ma Sakura gli sembrava
protetta da una campana di vetro e lui non aveva il permesso di rompere quella
gabbia.
«Va tutto bene?».
Nonostante lui non potesse più vedere, era chiaro che Sakura vedeva tutto. Sasuke era sicuro di aver mantenuto il controllo su
tutto il suo corpo, anche su quelle palpebre che ormai non si alzavano più. Ma
Sakura vedeva e agiva con il cuore – ogni suo movimento e ogni sua parola
nasceva da quell’organo che in Sasuke era, come aveva detto lei, ammaccato. Lui stesso aveva decido di
strapparselo dal petto e di buttarlo a terra, seguire lo stomaco e la collera
piuttosto che altri sentimenti, molto meno distruttivi di quelli che l’avevano
rovinato. Che lo avevano reso cieco
davanti alla vita e davanti a Sakura, incapace di comprendere fino in fondo la
bellezza di quello che lei aveva provato a donargli e continuava a fare.
Ancora, lei lo aveva trovato nel suo momento di debolezza
più grande, come quando lo raccoglieva da terra dopo essere inciampato in un
gradino che non ricordava, o faceva cadere qualcosa, rompendo il soprammobile
in ceramica, camminandoci sopra alla ricerca di un appiglio in tutto quel buio
che lo circondava mentre i cocci gli tagliavano i piedi.
Va tutto bene? Detto dalle sue labbra, quella sembrava una richiesta di
lasciarsi andare, di accoccolarsi tra le sue braccia e di raccontarle tutti gli
errori e gli orrori della sua vita. E Sasuke desiderava farlo, perché Sakura
era l’unica persona che l’avrebbe ascoltato in silenzio, senza criticare le sue
scelte, senza giudicarlo per le sue azioni – mosse dall’istinto e non dalla
ragione, esattamente come le premure che lei gli riservava.
«Sì» rispose, la voce gli uscì sottilissima, come una lastra
di vetro che tremava al solo toccarla. Inspirò profondamente, sentendo
l’unguento che si asciugava sulle sue palpebre, dandogli un po’ di sollievo,
«Va tutto bene» continuò, tenendo le mani sulle ginocchia e la schiena dritta,
rigida.
Silenzio. Le cicale non cantavano ancora e qualche farfalla,
temeraria, iniziava a volteggiare nell’aria di fine febbraio, anche se era più
calda del solito. La primavera era alle porte e il mandorlo, come suo solito,
l’aveva anticipata con un letto di petali bianchi. La mano di Sakura, ancora
fresca per l’unguento, si posò sulla sua, sfiorandogli le nocche, sistemandosi
tra gli spazi vuoti delle sue dita, come se rivendicasse quella nicchia solo
per sé. Era tutto quello che chiedeva.
«Puoi dirmi tutto, lo sai» lo rassicurò: non lo direi a nessuno, nemmeno a Naruto.
Nell’aria c’erano sospese quelle parole, il resto di una promessa silenziosa,
marchiata con il fuoco, sulla sua pelle, da quei piccolissimi cerchi che Sakura
andava disegnando sul dorso di quelle mani lisce, ormai disabituate alla katana,
ai kunai e alla guerra.
Quel tocco soddisfaceva il suo desiderio di stringere Sakura
tra le braccia e mettere fine a quel fuoco che gli dilaniava il cuore. Faceva
desiderare di averne di più. Sasuke sentiva il bisogno di un abbraccio che
compensasse tutte le mancanze della sua vita, tutte le decisioni sbagliate,
tutte quelle offerte di felicità e serenità che aveva rifiutato dalla
ragazza. Senza pensarci, ascoltando,
dopo tanto tempo il cuore, decise di girare la mano e coprire le dita di Sakura
con le proprie, offrendole il proprio calore che, per quanto potesse essere
tiepido, era suo – e ora lui glielo
donava, come l’unica cosa rimastagli. Non aveva più gli occhi per osservarla
nelle sue movenze tranquille o bearsi del suo sorriso e l’udito non bastava.
«Lo so» rispose, tacendo nuovamente. Sentì l’altra mano di
Sakura sulla sua e immaginò i fiori dei ciliegi sbocciare con straordinario
anticipo e cadere sul letto bianco del mandorlo, lasciando che i due petali
potessero incontrarsi un momento solo, appoggiandosi l’uno all’altro in un
rapporto di totale fiducia.
La sentì trattenere una risata, conseguenza di un sorriso
largo – larghissimo. Era felice di sentirla così felice, una sensazione nuova,
un brivido che gli faceva capire che non tutto quello che faceva e avrebbe
fatto aveva un risvolto negativo nella vita di Sakura. Lui poteva farla
sbocciare, oltre al fuoco, poteva essere anche l’acqua che nutriva
quell’albero, che le donava l’amore di cui aveva bisogno per sopravvivere
all’inverno.
Le lasciò piano le mani, facendo scorrere le dita sul suo
braccio esile, seguendo la curva della spalla e poi quella del collo,
sfiorandole la mandibola. Non l’aveva mai sentita
davvero – la pelle di Sakura imitava la dolcezza di un petalo del bocciolo di
cui portava il nome. Non sbagliava a immaginarla come fatta di fiori.
Stavolta fu lui a sfiorarle le ciglia, seguendo con
delicatezza il taglio dei suoi occhi che si chiudevano al suo tocco. Cercando
di ricordare come fosse fatto il rosa. Il respiro di Sakura si calmò,
diventando più lento ma scandito, a ritmo con il cuore di Sasuke.
Si ricordò che, da bambino, aveva visto Ino Yamanaka dare un
bacio a un ragazzino – lei si era lamentata perché il pivello non aveva chiuso
gli occhi e la Yamanaka, come se avesse chissà quale esperienza in fatto di
baci e relazioni amorose, gli disse che «Per i baci gli occhi vanno chiusi!»
giustificandosi semplicemente con «I miei genitori fanno così».
Ora lo capiva.
Con la stessa delicatezza del manto di petali bianchi a
febbraio, Sasuke coprì gli occhi a Sakura, avvicinandosi nel modo
meno impacciato possibile a lei. Le mani della ragazza gli afferrarono le
spalle, piano, in un gesto affettuoso. Tutto in lei sapeva di primavera e casa.
Per i baci gli occhi vanno chiusi, e il buio in cui Sasuke era
immerso non sembrava più così spaventoso.