Crossover
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Autore: Registe    23/06/2015    4 recensioni
Terza storia della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
"L’esercito del Grande Satana colpì in modo violento l’Impero Galattico. Non vi furono preavvisi, minacce o dialoghi alla ricerca di una condizione di pace. I demoni riversarono i loro poteri in maniera indiscriminata, non facendo differenza tra soldati e civili, guidati solo da un ancestrale istinto di distruzione. Soltanto la previdente politica bellica dell’Imperatore Palpatine riuscì ad impedire un massacro in larga scala.
-“Cronistoria dell’Impero Galattico, dalla fondazione ai nostri giorni” di Tahiro Gantu, sesta edizione.-"
[dal primo capitolo].
E mentre nella Galassia divampa la guerra, qualcun altro dovra' fare i conti con il passato e affrontare i propri demoni interiori...
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anime/Manga, Film, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 25 - Acque nere





Kamino




Kamino, quinto pianeta del Labirinto di Rishi, è rimasto per molti anni sconosciuto persino ai più esperti planetologi della Galassia: l’assenza di contatti con gli altri popoli ha portato i Kaminoani a sviluppare una cultura unica in tutto l’Impero, caratterizzata da una società totalmente rivolta verso l’ingegneria genetica e l’annullamento di ogni tratto individuale. Questo non vale solo per i cloni, la loro produzione che li ha resi celebri in tutta la Galassia, ma anche tra loro stessi.
[…] senza il quale la Galassia avrebbe conosciuto un periodo infinito di guerra. Grazie a concordati personali dell’allora cancelliere Cos Palpatine è stato possibile conferire ai Kaminoani il compito straordinario di creare un’armata di cloni che si elevasse come scudo per i cittadini di ogni mondo, una forza nuova e potente per contrastare la minaccia dei Separatisti. L’azione individuale del cancelliere fu oggetto di molti dibattiti presso il Senato, ma la Storia ha mostrato che questa decisione, presa lontano dai riflettori della politica, è stata tutto ciò che ha permesso alla Galassia di non cadere nella barbarie.
“Atlante planetario e politico della Galassia vol. 15” di Tsuki Mii’ta, seconda edizione.




“Come è potuto accadere?”
La testa continuava a pulsargli, e nonostante gli incantesimi di guarigione il dolore alla base del cranio diminuiva troppo lentamente. L’ennesimo problema di ossa con oltre tremila anni, sospirò tra sé Zaboera portandosi una mano nel punto in cui qualunque cosa fosso stato lo aveva colpito. Ma non era il dolore a preoccuparlo.
Il Grande Satana non lo aveva ricevuto nella sala del trono. Lo aveva atteso lì, nella galleria Marlin, immobile tra le statue come se facesse anche lui parte di quella collezione di ricordi del passato; l’immensa ala ricopriva quasi tutto il perimetro del quinto piano del Baan Palace, ma sin dal momento in cui era stato convocato l’arcivescovo stregone non aveva avuto bisogno di farsi guidare da un servitore per sapere in quale punto il suo signore lo stesse aspettando.
La statua bianca guardava oltre la vetrata, nutrendosi dei raggi del sole fino a risplendere essa stessa; ma in quel momento, prostrandosi davanti al suo sovrano, ebbe l’impressione che quegli occhi antichi fossero posati su di lui. “Come è potuto succedere, Zaboera?”
“Non ne ho idea, Grande Satana. E questo mi disgusta ancora di più!”
“Ciò che succede nei laboratori è tua responsabilità. Ti rendi conto di quanto grave sia la faccenda?”
Certo.
Certo che se ne rendeva conto. Il prigioniero umano era scappato, e se l’era fatto sfuggire tra le dita come un idiota, come il più grande degli idioti. La prima cosa che aveva fatto non appena ripresosi era stata interrogare lo scienziato ed il suo stupido assistente, e l’umano gli aveva risposto con tanto di sorrisetto che il ragazzino si era alzato di scatto, lo aveva colpito e se ne era andato.
Bugie, chiaramente bugie.
Il ragazzino era talmente svenuto che avrebbe potuto versargli addosso tutte le fiale di acido in suo possesso e non si sarebbe svegliato, men che mai in così poco tempo da alzarsi, trovare un oggetto contundente –e ancora non aveva idea di cosa avesse usato per colpirlo- e calarglielo sulla testa. Se lo scienziato umano si credeva talmente tanto furbo da credere che avrebbe abboccato a questa versione … “Sì, Grande Satana. Soprattutto perché sospetto che qualcuno lo abbia aiutato a scappare. Sono certo che lo scienziato stia mentendo, proprio da tipico umano qual è!”
“Sospetti di lui?”
“Certo che sì, mio signore! Lui ed il sacerdote hanno visto tutto e sicuramente nascondono qualcosa! Non mi stupirei se lo avessero aiutato, anzi, ne sono convinto!”
Il Grande Satana si spostò, scivolando verso di lui e portandosi lontano dalla statua che fino a qualche istante prima aveva assorbito tutto il suo sguardo e tutta la sua attenzione; la figura scolpita nel crijoto era in quella galleria da tempo immemore, sin dal primo giorno che il Baan Palace si era sollevato dal sottosuolo, prima ancora che gli arazzi della guerra contro Autozam venissero appesi per narrare la storia alle nuove generazioni. Era sempre rimasta lì, in quella posizione, le mani incrociate sul petto e lo sguardo rivolto sempre verso l’esterno, verso il mondo che desiderava proteggere con tutta se stessa. E nonostante tutto Zaboera non poteva non notare che, ogni volta che vi poggiava su gli occhi, la figura sembrava in grado di prendere vita, i lunghi capelli di alzarsi quando soffiava il vento, le labbra schiudersi per sorridere di nuovo.
Quel sorriso mancava da oltre tremila anni, ed in quel momento era l’unica cosa a cui avrebbe voluto aggrapparsi.
Ma le labbra erano di crijoto, e non si mossero quando il Grande Satana con un solo movimento si portò davanti a lui, costringendolo a chinare il capo fino a quando tutto ciò che gli venne concesso di vedere furono le pieghe azzurre della tunica che si poggiarono sul pavimento nero e rimasero immobili in attesa del giudizio del loro signore. “Io invece dubito che lo scienziato abbia aiutato l’umano nella fuga. Se così fosse stato sarebbe scappato insieme a lui, non trovi? Quell’umano tiene troppo alla sua insulsa vita per non cogliere al volo l’opportunità di andarsene di qui. E non credo che sia rimasto per terrore di una mia risposta, visto che la fuga del prigioniero è riuscita”.
“Ci sarà stato un motivo! Quello scienziato …”
“Zaboera, credi che non sappia quanto tu non possa sopportare quello scienziato? Non è nei tuoi laboratori per piacerti, ma per lavorare! Ti chiedo di ragionare con lucidità, perché quel prigioniero non può essere stato, questo è chiaro!”
Persino il Grande Satana, persino lui non …
Ma protestare non sarebbe servito a nulla, non con lo sguardo del suo sovrano piantato su di lui, deciso a non muoversi. Non era una questione personale. O forse sì.
O forse era solo il tempo che non faceva altro che tornare a galla, come se gli anni della guerra non se ne fossero mai andati via del tutto: il sorriso di quello scienziato lo aveva già sperimentato su di sé, sapeva che poteva essere fonte solo di derisione, come se quella testa così in alto potesse detenere tutta la Verità dell’universo, tutto il sapere del mondo in quegli occhi arroganti. Certo, il Grande Satana aveva ragione, un umano così patetico avrebbe approfittato dell’occasione per andarsene, ma questo non rendeva l’uomo biondo meno colpevole ai suoi occhi. Doveva esserci qualcos’altro, un tassello che mancava e che aveva iniziato a cercare sin da quando era stato convocato nella galleria. Poteva non essere stato lui a colpirlo, ma allora … “Un esterno, mio signore”.
Sospirò, sapendo cosa queste parole avrebbero potuto scatenare.
“Hanno ricevuto un aiuto esterno”.
“Ospiti indesiderati nel mio palazzo”.
Tutta la magia del Baan Palace accorse al richiamo del suo sovrano. Gli arazzi furono sollevati dal vento, e tutte le statue iniziarono a tremare. Tutte tranne quella alle loro spalle, ma l’arcivescovo stregone era troppo spaventato da quella collera per riuscire a pensare ad altro. Poteva solo immaginare l’espressione del suo signore mentre stringeva le mani contro il pavimento nella speranza di potervisi aggrappare. “La sorveglianza del Baan Palace è sotto la tua responsabilità, Zaboera, hai idea di cosa sarebbe potuto accadere se soltanto …”
“Zaboera non ha colpe Grande Satana. Se proprio deve rivolgere la sua collera contro qualcuno …”
La voce nera cristallizzò la stanza, costringendo l’intera ala ad ascoltare solo il suono dei suoi stivali. L’urlo del Grande Satana si perse nell’intrusione, ma non l’ira dei suoi incantesimi: la rete di magia si mosse come tirata da catene verso il nuovo arrivato, ma si infranse contro il suo potere che si alzò in risposta a quella forma di attacco. La collera tornò di nuovo a battere contro i quadri, ma Zaboera sapeva che, qualunque senso avesse la venuta dell’altro generale, non sarebbe stata affatto piacevole. E i suoi timori si trasformarono in realtà quando il Cavaliere del Drago terminò la frase. “… forse dovrebbe rivolgerla contro di me”.
“Spiegati, Baran”.
“Sono stato io a far fuggire quell’umano”.
Madre Drago, ti supplico, dimmi che ho sentito male …
Anche da quella posizione non gli sfuggì il lampo che saettò tra le dita del suo signore. I fulmini chiari corsero dalla punta delle unghie al polso, e l’arcivescovo stregone sentì anche l’aria prepararsi per ricevere la magia. “Forse non mi hai sentito bene. Ti ho detto di spiegarti, Baran”.
“Credo che sia lei a non aver sentito bene, mio signore. Sono stato io a liberare il prigioniero umano. Non c’è stato nessun aiuto esterno”.
Madre Drago, cosa ho fatto di male nel trovarmi di nuovo tra un Cavaliere del Drago ed il mio signore?
Il potere degli incantesimi gli arrivò fin nelle narici. Era furioso, affamato. Il campo di fulmini corse lungo il braccio del demone antico fino alla spalla, ma tutta l’aria vibrava fino ad emettere una sequenza di ronzii che gli invasero le orecchie. La tela che rappresentava il nobile Voltesh si rigò per un istante di bianco come se una viverna lo avesse colpito, poi prese fuoco; l’arazzo della settimana guerra del casato di Mor contro i draghi d’acqua cessò di esistere l’attimo successivo, ridotto in una folata di cenere e stracci quando il vento sollevò i lembi della tunica del suo signore portando con sé tutta la manifestazione della sua ira. Da sotto qualcuno gridò, ma se i servitori erano perspicaci –e su questo Zaboera non ne aveva dubbi visto che li aveva scelti di persona- non sarebbero saliti su quel piano quando la magia del loro signore aumentava ad ogni istante, graffiando qualunque cosa si trovasse a tiro per prenderla e farla propria. Sentì il potere richiamare il suo corpo all’obbedienza, ad offrirgli gli incantesimi ed il potere che gli erano tributati come una bestia affamata. Riuscì a trovare abbastanza coraggio da strisciare alle spalle del sovrano e ad aggrapparsi alla statua di crijoto, l’unica ad essere ancora immobile e bianca in mezzo a quella tempesta.
Davanti a lui, il Generale Baran rimaneva immobile.
Il Drago non ruggiva, né soffiava. Rimaneva davanti a loro con le braccia incrociate, come se il vortice di potere che si stava innalzando dal loro sovrano non fosse altro che una brezza priva di valore. Il diadema dorato rifletteva i fulmini e concedeva loro di guizzare lungo la sua forma, ma lo scintillio non faceva altro che far risaltare il pozzo nero che aveva al posto degli occhi. Nemmeno le iridi si muovevano, ma bevevano la sagoma del demone davanti a loro come ad invitargli di farsi avanti. Non aveva eretto alcuna barriera intorno a sé. Non ne aveva bisogno.
Lui era il Dio Drago.
“La sua furia è giustificata, mio signore, ma adesso …”
Mio signore? MIO SIGNORE? Con che sfrontatezza ti rivolgi a me in questo modo, Baran? Io non sono il sovrano di nessun traditore!” gridò, ed in quell’istante Zaboera si accovacciò senza alcuna vergogna contro il piedistallo della statua. Per un solo, semplice istante fu tentato di attivare l’Occhio di Zaboera e di chiamare Hadler, ma la minuscola creatura mandò uno squittio di terrore e si appiattì contro la sua tunica mentre delle venature rosse iniziarono a disegnarsi lungo la sua enorme iride in risposta alla furia cieca del demone anziano. Le urla coprirono il suo pigolio e l’arcivescovo stregone trattenne il fiato, cercando di lasciar scivolare la propria magia contro la creatura per rassicurarla, ma quella chiuse la pupilla di scatto ed iniziò ad agitarsi come se davvero le saette stessero attraversando il suo corpo. “Baran, vorrei ricordarti che tu mi hai GIURATO FEDELTA’!”
“Me lo ricordo benissimo”.
“DUNQUE?”
“E dunque ho compiuto quello che un suo generale avrebbe dovuto fare. Le avevo detto che disapprovavo quella storia dei Nuclei Neri”.
“IO TI AVEVO ORDINATO DI …”
“Ed io ho disobbedito”.
La scarica di saette disegnò nell’aria un arco che gridava fuoco e sangue. Trascinò con sé le lastre di marmo e tutto il pavimento esplose . Il mosaico su cui Zaboera era rimasto in ginocchio fino a qualche istante prima si trasformò in una cascata di tasselli senza forma che si carbonizzarono in aria mentre tutt’intorno al Cavaliere del Drago i fulmini iniziarono ad intrecciarsi fino a creare una cupola instabile e furiosa che attendeva solo un comando del suo signore per crollare sul capo di colui che aveva osato sfidarlo. Il Generale Baran non gli prestò la minima attenzione. La massa di saette diventò sempre più densa, ma forse per il Dio Drago non era altro che una magia come un’altra. “Io non ho giurato fedeltà al primo demone maggiore che ho incontrato. Né al Grande Satana della famiglia demoniaca. E questo lo sa meglio di me”.
Zaboera si strinse nelle spalle, quasi senza fiato. Colui che rifiutava di prostrarsi al suo signore non aveva ancora liberato nemmeno un incantesimo, ma l’arcivescovo stregone sentì i cuori riprendere a battere con più forza, a spingere con forza contro il petto quasi come ad esplodere. Il potere in quella stanza aveva una forma mai vista, simile ad un drago silenzioso, addormentato nella sua grotta, in procinto di sbranare chiunque osi disturbare le sue decisioni.
“Io ho giurato fedeltà all’unico sovrano di Cephiro in cui potessi rispecchiarmi. All’unica creatura che condividesse con me il disprezzo per la razza umana, per la slealtà, per il tradimento e che fosse disposta a cambiare l’ordine delle cose. Ho offerto la mia spada ad un essere leale ed onesto, che non avrebbe mai gettato alle fiamme i propri principi pur di vincere una guerra, un demone che non si sarebbe mai abbassato a dei sotterfugi per strappare una vittoria. Io non combatto per la stirpe demoniaca. Io combatto soltanto per lei”.
Le sue dita si mossero, e le saette che lo avvolgevano iniziarono a cadere, fino a convergere lungo l’elsa della Spada del Drago Diabolico legata alla sua schiena; il Grande Satana gli dava le spalle, ma bastava osservare il fremito lungo le maniche della tunica per capire che non era lui l’artefice di quell’incantesimo che lentamente trasformò l’arco di fulmini in una sfinita saetta che guizzò lungo il diadema dorato e scomparve. “Lei ha ragione a voler difendere i demoni a tutti i costi, e non creda che io non capisca la responsabilità che grava sulle sue spalle. Ma sono convinto che vincere con l’inganno, riempiendo quel ragazzo umano di esplosivi … non sia ciò che lei desidera. Penso che quelle parole me le abbia dette un demone maggiore stanco e frustrato, furioso per le vite dei suoi cittadini brutalmente spazzate via. Non credo che me le abbia dette il Grande Satana Baan, colui che ha riportato il suo popolo alla luce del sole senza alcun inganno, ma contando soltanto sulla forza, sulla determinazione e sull’incrollabile lealtà della propria gente. Colui che può dare ordini al Cavaliere del Drago non accetterebbe mai un simile compromesso quando può contare su dei generali fedeli e su dei potenti corpi d’armata per schiacciare il proprio nemico”.
Zaboera poteva solo osservare il suo signore di spalle, ma non aveva bisogno di nessuno specchio per immaginare l’espressione di sdegno sul suo viso quando anche l’ultimo fulmine scomparve nell’elsa, come se lo stesso fodero l’avesse inghiottito lasciando la galleria al buio, devastata. Le labbra del generale si sollevarono, ma anche se si fosse trattato di un sorriso quello svanì sotto la protezione dei lunghi baffi neri. “… e se quell’ordine non me l’ha dato il Grande Satana … non vedo per quale motivo avrei dovuto ubbidirvi. Io rispondo ad un solo signore”.
Il Drago aveva soffiato.
Fu come se le clessidre avessero iniziato a girare all’indietro, e la sabbia a scivolare verso l’alto.
Non era il primo figlio della Madre Drago a mostrare le zanne al suo signore, ma l’arcivescovo stregone aveva ancora in mente il potere del ruggito, della furia devastante, del carattere fuori da qualsiasi controllo di chi aveva preceduto Baran. E ancora una volta il suo capo era immobile davanti al giudizio di un essere che non aveva nulla di umano, nulla di demoniaco e nulla di draconico ed allo stesso tempo era tutte e tre le razze insieme, una creatura che era venuta al mondo al mero scopo di far tacere qualunque replica si fosse sollevata dal suolo.
Più volte il Grande Satana gli aveva chiesto la sua opinione in merito all’aver accolto un Cavaliere del Drago tra le loro fila, e ogni volta Zaboera si limitava a chinare il capo, sostenendo che una creatura superiore potesse solo rafforzare il potere della famiglia demoniaca. Quello che non diceva lo narravano i suoi occhi, e lo narravano gli occhi del demone anziano quando si incontravano con i suoi davanti alla magnificenza distruttrice che il grande generale portava con sé contro la Resistenza, contro l’Impero, contro qualsiasi nemico gli venisse posto davanti. Perché entrambi sapevano che Baran era un dio, ed un dio non ammette altre regole che non siano le proprie.
E quando il suo signore aveva imparato quella verità tremila anni prima, in mezzo al fuoco, alle fiamme, al dolore ed alla morte aveva pagato con un dolore che nemmeno il passare delle ere aveva cancellato. Così come non aveva offuscato la sua convinzione che lavorare al fianco di un essere come Baran poteva volgere rapidamente da tripudio a tragedia.
Il suo signore aveva semplicemente accettato quella sfida, e adesso il Drago gli stava ricordando le regole.
“Sia come vuoi, Baran. Invero, quella decisione non è stata presa proprio dal Grande Satana …”
Cosa?
“… ma questo non ti autorizza a rivolgerti a me in questo modo. Ricordati, Baran, io do sempre tre possibilità …”
Sollevò la mano che fino a quell’istante era stata carica di fulmini, e da sotto la lunga manica comparvero tre dita. Quando gli occhi dell’altro furono di nuovo su di lui abbassò il dito medio con tutta la lentezza di un vero demone maggiore “… vedi di non costringermi ad abbassare le altre due. Mi considero una persona comprensiva, ma la mia pazienza non dura in eterno. Vedi di ricordartelo”.
Così come era comparsa, la mano scivolò sotto i vestiti senza che nessuno di loro avesse il coraggio di replicare; Zaboera sentì i cuori tornare alla normalità, perché con un cenno del capo il signore del Choryugundan aveva accettato la condizione. “Ora non farmi perdere tempo. Se davvero vogliamo costringere gli umani alla resa abbiamo bisogno di colpirli al massimo delle nostre forze. Tu, Hadler e Hyunkel avete una missione. Ho comunicato tutti i dettagli a Killvearn, vi porterà lui dove dovete”.
“Questo è il tipo di ordini che mi piace ricevere”.
Con quell’ultima, secca risposta Baran si voltò, controllò che la spada fosse ancora nel fodero e senza alcun inchino si diresse nella galleria, pronto alla partenza. L’arcivescovo stregone trattenne il respiro anche quando la sagoma scomparve, anche quando il suono degli stivali si ridusse ad un suono come gli altri: rimase in silenzio ai piedi della statua, gli occhi fissi sul proprio sovrano che gli dava le spalle, immobile ad osservare il passo del Drago e la distruzione che l’ostinazione di quella creatura aveva arrecato.
Avrebbe potuto andarsene. In fondo non era tenuto a stare lì.
Ma il suo signore non si muoveva. Chiunque avrebbe potuto scambiarlo per una statua adorna di vestiti, perché questi scivolavano nella corrente quando tutto il resto del suo corpo era fisso, immerso in dei pensieri che Zaboera sapeva fin troppo bene contenere ricordi di guerra e di sangue. E di dolore. Il demone anziano era solo, e forse lo sarebbe rimasto ancora per molti secoli a venire.
“Dici che avrei perso il mio onore, Zabo?”
Al familiare nomignolo l’arcivescovo stregone trovò il coraggio di uscire dal nascondiglio. “Nessuno gliene avrebbe fatta una colpa, Grande Satana. Tutti noi sappiamo quanto si stia impegnando per proteggerci. E vorrei comunque ringraziarla per …”
“Non hai risposto alla mia domanda”.
Certo, non aveva risposto. Aveva preferito evitarlo, come si evita il fuoco di un drago o le zanne di un licantropo. Era stato solo un pensiero espresso a metà, quando il suo sovrano aveva ordinato di trasformare quell’umano in una trappola mortale aveva lasciato che il flebile timore che si era affacciato piegasse il ginocchio alla lealtà. Perché qualunque strada il demone antico avesse deciso di intraprendere, anche la più tortuosa, lui l’avrebbe seguita fino alla fine. E come aveva lasciato che il pensiero svanisse, così lasciò che riemergesse. “Sì. Il suo onore ne avrebbe sofferto, Grande Satana”.
“Sta bene” rispose, scivolando accanto alla grande statua in crijoto. La guardò di nuovo, quasi a cercarne l’approvazione millenaria, poi si passò una mano nella barba e quando si voltò nella sua direzione Zaboera si accorse che gli occhi scuri erano spenti. E bassi. “Immagino che questo ponga fine alla discussione”.
Un raggio di luce colpì il suo diadema, e quando si riflesse sulla pietra bianca tutta la statua si illuminò del bagliore dorato del sole. “Lasciamo perdere questa storia. Abbiamo una guerra da vincere”.



Le onde sotto di loro sembravano mani di gigante. Si alzavano, si abbassavano, si abbassavano e si alzavano creando vortici giganteschi, neri e furiosi. Si schiantavano contro i pilastri della città galleggiante come se volessero trascinarla con loro negli abissi; ma non vi riuscivano, e la spuma si infrangeva in alto, arrivando quasi a lambire il cielo.
Il mantello non era sufficiente a proteggerlo nemmeno in parte dalla pioggia sferzante. Hadler sospirò, osservando i capelli di Sephiroth immobili anche nel pieno della tempesta, l’unica traccia luminosa di quella figura che altrimenti sarebbe stata una macchia nera in un cielo privo di colore, dove le nubi nascondevano il sole sin dal momento in cui erano giunti sul pianeta. L’angelo guardava in basso, catturato dall’oceano sconfinato che ruggiva sotto di lui: non si mosse nemmeno quando un’onda si scagliò nella sua direzione, avvolgendolo nella propria furia prima di ricadere in basso dalle sue simili. Il Puzzle appeso al collo gli scivolò a malapena contro il petto, ma tutto in quella sagoma sembrava in attesa, come a sfidare quel mondo con la sola forza della sua spada.
Hyunkel sosteneva di avere un controllo totale sulla creatura. Hadler non aveva motivo di dubitarne, ma quello sguardo vuoto, fisso contro la furia dell’oceano, non aveva nulla degli occhi del suo amico. Erano iridi che venivano da un passato sconosciuto, verdi e pulsanti come se fosse la magia stessa a fargli battere il cuore, a spiegargli l’ala contro il cielo. Poteva sentire il potere all’opera anche lì, oltre il muro di pioggia che li separava, ardente come una fornace che attendeva in silenzio un obiettivo su cui riversare tutta la propria potenza.
Stargli vicino era … inebriante.
Ogni fibra del suo corpo era in attesa, perché tutte le volte che quella creatura liberava il proprio potere lui era lì, pronto a sentirlo, a lasciarlo vibrare nei propri cuori; poteva lasciarlo bruciare dentro di sé, respirarlo a pieni polmoni, una magia primordiale come quella dei demoni maggiori e forse anche più pura e selvaggia, abbastanza vicina da spingerlo a desiderarla ma poi così scura, diversa. Nera.
Un debole lampo si riflesse nel diadema di Baran, avvisandolo con uno scintillio che il comandante del Choryugundan aveva terminato l’ispezione del perimetro di Tipoca City. Venne verso di loro accompagnato da un rombo di tuono, il mantello corto ormai tutt’uno con il vestito per la pioggia scrosciante. Hadler sentiva il gelo mordergli le ossa, ma l’espressione del Cavaliere del Drago non tradiva alcun segno di disagio. “Tutti i livelli sono sorvegliati. Il numero di droidi è limitato, ma hanno delle torrette al plasma e degli strani cannoni su tutte le piattaforme d’atterraggio. Ho visto basi imperiali meglio difese”.
La sua voce era potente, eppure nemmeno questa riusciva a superare il frastuono della tempesta e il demone fu costretto ad avvicinarsi. “L’ideale sarebbe distruggere questa piattaforma in un colpo, al massimo due. Se impiegassimo troppo tempo avremmo addosso tutte le truppe e le navi imperiali prima di riuscire a chiamare Killvearn”.
“Ed è un problema?” sogghignò, osservando l’angelo in contemplazione.
“Sì, se vogliamo distruggerne dieci” rispose. Hadler era pronto a scommettere che l’altro si stesse pentendo di non aver portato con sé la sua legione di draghi acquatici. Il Choryugundan comprendeva draghi di ogni genere, ed anche se il battaglione volante fosse quello che accompagnava più spesso in battaglia il loro signore, il demone minore sapeva che anche negli abissi vi fossero creature totalmente al suo servizio, le stesse con cui era riuscito ad ottenere quella schiacciante vittoria definitiva contro le astronavi dell’Impero. “Non intendo fermarmi a combattere contro patetici insetti. Il Grande Satana si è raccomandato una dimostrazione di forza assoluta, e se riuscissimo ad abbattere i principali stabilimenti di questo pianeta in poco tempo avremo modo di mostrare agli umani la nostra superiorità. E se tutto va bene potremmo anche recuperare Mistobaan. Al momento dovrebbe essere a Coruscant, ma con un po’ di fortuna potrebbero anche mandarlo a fermarci”.
“Finora non lo hanno mai fatto”.
“Teniamoci comunque pronti a questa eventualità. Distruggere i cloni è di fondamentale importanza, ma il nostro Braccio Destro è comunque al di sopra di ogni priorità”.
I cloni.
Il semplice pensiero di quelle … cose bastava a riempirgli il petto di disgusto. Gli umani si rendevano capaci di aberrazioni che nemmeno sforzandosi, nemmeno chiudendo gli occhi, nemmeno dando forma ad ogni sua goccia di odio e sentimenti negativi riusciva a crearne di eguali: per quanto gli umani sembrassero davvero tutti uguali, quando aveva sollevato gli elmi bianchi delle sue vittime aveva notato che molti erano davvero troppo uguali. Hyunkel aveva confermato i suoi sospetti.
I piccoli soldati semplici, gli uomini vestiti di bianco che opponevano loro soltanto una pallida resistenza con i loro blaster, avevano quasi tutti la stessa pelle scura, i lineamenti duri e marcati. Stessi occhi quasi neri che fissavano i suoi anche quando la vita li aveva abbandonati, chi con paura, chi con disprezzo, chi con pura disperazione. L’argomento aveva incuriosito persino il Grande Satana, e quando avevano convocato il viceammiraglio Kratas non avevano avuto più dubbi sulla depravazione e la viltà del loro nemico. L’Imperatore Palpatine non si limitava a reclutare gli umani dei suoi mondi, ma li “clonava”. O “costruiva”, l’unico verbo a cui Hadler sarebbe riuscito a dare un significato vero. Li creava in dei tubi e li copiava, li faceva tutti uguali come dei mostri, dotati di un’obbedienza assoluta: il prigioniero era sceso in dettagli che forse soltanto Zaboera era riuscito a cogliere, ma in lui era rimasto soltanto il disgusto per quel modo di trovare soldati come se nulla fosse. Questo spiegava anche perché i soldati imperiali fossero sempre così numerosi, ma ciò che agitava il demone minore era la totale … non sapeva come descriverla, forse “perversione” di quel gesto di creare la vita a migliaia, a milioni per il semplice piacere di mandarla a morire, senza dare a quelle creature nemmeno un nome.
Lui conosceva tutti i demoni che combattevano con lui. Era un suo dovere in quanto comandante, una sua precisa responsabilità. Doveva sapere chi avrebbe condotto alla vittoria e chi a morte certa, capire da chi potersi aspettare un’azione eroica e chi era meglio lasciare nelle retrovie come supporto, doveva dare coraggio a tutti quei demoni ed un motivo per cui dare la vita, un esempio di onore e gloria. Quando il Grande Satana gli aveva concesso l’onore di comandare tutti i corpi d’armata al posto di Mistobaan non si sarebbe mai aspettato che il ruolo di un generale comprendesse … questo.
Prima della guerra aveva sempre combattuto da solo.
Per un istante gli sembrò di sentire il gracchiare della voce di Bartosh contro la propria spina dorsale, ma era solo il verso di una gigantesca creatura delle acque che per un istanti espose la lunga schiena tra i flutti per poi inabissarsi con la coda più grande che Hadler avesse mai visto nei loro mari. La fabbrica di cloni era davanti a loro, immobile sopra le acque come se le mille tempeste del pianeta non fossero altro che un violento scudo pronto a proteggerla con tutto il suo splendore selvaggio. Tipoca City era composta da decine di piattaforme grigie, simili a cupole il cui apice si estendeva con violenza verso il cielo. Vetri e luci ovunque, come se fosse una grande macchina appoggiata sull’oceano con centinaia di zampe possenti, dei pilastri che sollevavano la parte abitata a centinaia di metri dall’acqua e si piantavano al di sotto delle acque fin quasi ad arrivare sul fondo, senza nessuna magia a dar loro forza. Solo metallo.
Le piattaforme erano apparentemente collegate tra loro da pontili in quello che gli umani chiamavano “transparacciaio”, un materiale talmente tanto chiaro da far vedere ciò che vi si muoveva all’interno; ed il demone si sarebbe avvicinato, ma la pioggia scrosciante era una barriera ben peggiore di qualunque schermo di metallo. I pontili attraversavano l’intera struttura da parte a parte, alcuni sfociavano in gigantesche terrazze vuote grandi quanto un centro abitato dove le astronavi attraccavano e partivano senza sosta. I dati raccolti da Killvearn nelle ultime infiltrazioni avevano spiegato loro che i mezzi di trasporto che scendevano sul pianeta erano per la maggior parte addetti al carico di cloni e di rifornimenti, mentre le vere ed enormi navi triangolari da battaglia rimanevano in orbita intorno al pianeta, impossibilitate a scendere dal poco spazio disponibile e dal tempo che riusciva a piegare persino la superbia dell’Impero. Kamino era un pianeta pensato per difendersi nello spazio, l’unico punto da cui sarebbero potuti arrivare eventuali nemici: una volta sulla superficie, gli abitanti delle città si sentivano al sicuro, protetti dalle tempeste. Un errore che avrebbero pagato molto presto.
“Sei sicuro di voler andare tu, Hadler? Non è una passeggiata di salute.” Disse Baran, lo sguardo fermo sul sacco che avevano trascinato con loro sin dalla partenza.
Un brivido gli salì lungo la schiena mentre la spuma sotto di lui lo sfidava a scendere. L’abisso sotto di lui era più nero della notte. “Non ti preoccupare. Tu e Sephiroth siete molto più potenti in aria” rispose.
“Lo stesso vale per te. Non tutti i demoni sono abili nuotatori”.
“Sono all’altezza della missione, Baran. Potresti anche scoprire qualcosa su noi demoni che ancora non conosci”.
Vicino a loro, Sephiroth non espresse alcun parere, immobile come una statua. Se aveva qualche opinione –Hyunkel, ovviamente, non quell’Angelo spaventoso- non la diede a vedere e si limitò ad aprire il palmo della mano davanti a sé, quasi a raccogliere tutta l’acqua che cadeva dal cielo. Hadler non aveva alcuna intenzione di rinunciare, non quando il risultato avrebbe potuto cambiare drasticamente la vita della famiglia demoniaca. Non vi era alcun motivo perché il Cavaliere del Drago si scomodasse al posto suo. “Vi farò osservare dei fuochi d’artificio come non ne avete mai visti”.
“Vedi solo di ritornare indietro tutto intero”.
L’ottimismo di Baran era mortale come un fulmine scagliato sull’acqua di quel pianeta, ma Hadler respirò a fondo e guardò verso il basso, sentendo la sfida delle onde e di quel mondo chiamarlo per nome prima della battaglia. Cercò di immaginare quell’abisso come ad un nemico, ma i suoi cuori gli ricordarono che i nemici hanno del sangue che pulsa ed una mente che agisce ed inganna, mentre quello davanti a lui …
Si buttò prima di terminare il pensiero.
L’acqua gelida fu su di lui e lo rinchiuse nella sua morsa, cercando una strada verso i polmoni. Vide la luce della superficie sparire, inghiottita dai flussi e si ritrovò prigioniero della furia della corrente che lo trascinò con sé prima ancora che potesse far appello a tutte le sue forze. Si ritrovò a testa all’ingiù e poi di nuovo in posizione eretta, fu sbalzato lungo il fianco destro e solo quando la corrente lo portò in alto, insieme ad un’onda, ebbe la forza di aprire gli occhi e rispondere alla corrente colpo su colpo.
Non era la violenza di quel mare a spaventarlo. L’aveva prevista sin dal momento in cui si erano teleportati su Kamino. Era l’oscurità a serrargli i cuori come la mano di un gigante.
I demoni non erano dei grandi nuotatori, la maggior parte di loro non vedeva la necessità di scendere negli abissi del mare quando poteva volarvi al di sopra, beandosi di quel magnifico specchio d’acqua che rifletteva il sole ed il cielo. Gli anni di prigionia nel ventre della terra li avevano portati a sognare soltanto l’aria e l’azzurro sconfinato, eppure Hadler era sempre attratto da quel velo d’acqua che occupava ben oltre la metà di Cephiro. Gli sembrava un peccato non poter scendere più sotto, anche il solo sapere che vi fossero dei punti dove non giungeva la luce del sole lo aveva sempre sconcertato. Nuotare non era affatto intuitivo come volare, ma con i giusti incantesimi aveva imparato come modulare il respiro e respirare sotto i flutti: era un questione non solo di potenza, ma anche di coordinazione. La sua prima immersione gli aveva dato un senso di vittoria sconfinato, quasi quanto la prima volta che aveva abbattuto un terk con una sola sfera infuocata. Aveva visto ogni cosa, ogni pianta, ogni pesce, si era riempito gli occhi di quella sensazione pungente ed aveva persino seguito un drago marino e la sua cucciolata finché anche la magia aveva smesso di sorreggerlo ed era dovuto tornare in superficie per riprendere aria.
Ma in quell’oceano non c’era nulla che potesse vedere: niente draghi, niente alghe, nemmeno il proprio riflesso. Persino i suoi capelli sembravano svanire in quel pozzo nero insieme alle mani, le agitò con forza fino a riprendere l’equilibrio e percepire la magia dentro di sé rispondere alla sfida di Kamino, riempiendogli i polmoni d’aria. L’acqua era forte, ma lui lo era di più.
L’onda successiva lo prese in pieno petto, ma si lasciò andare e vi si tuffò dentro lasciando che lo trasportasse proprio dove lui desiderava. “Ce la posso fare!” ripeté tra sé, spingendosi con le braccia mentre le mani si assicuravano che il prezioso carico di Nuclei Neri fosse ancora al suo posto.
Tipoca City aveva un sistema di scudi intorno alle piattaforme che avrebbero allarmato tutti gli abitanti non appena un intruso si fosse avvicinato, ma evidentemente questo scudo non si estendeva sin nelle profondità dei pilastri, dove il mare ed il tempo rassicuravano gli abitanti del mondo con la loro violenza impenetrabile.
Non emerse nemmeno quando raggiunse il primo pilastro a vista. L’onda lo spinse contro il metallo, ma l’impatto non fu dei più violenti e Hadler si lanciò nel gorgo che circondava la struttura per rimanere in equilibrio. Inspirò un’ultima volta e si diede una spinta verso il basso senza mai lasciare l’impalcatura. Lo scienziato dell’Organizzazione aveva garantito che i Nuclei Neri sarebbero stati in grado di reggere pressioni elevate e presenza di acqua senza rischio di attivazione, e Hadler sentì il potere di quel minuscolo esplosivo ronzare e rimbombare al contatto della sua magia finché non lo appoggiò alla struttura. Dei piccoli congegni di cui non voleva sapere nulla lo fecero aderire al metallo e quando il cuore dell’ordigno si accese di una luce azzurra il demone capì che era in posizione giusta. Un’ultima occhiata e si allontanò, cercando di ricordare in che direzione si trovasse un altro pilastro.
Si lasciò trascinare dalla corrente.
Poteva farcela. Poteva fare la differenza in quella battaglia.
Forse non era un Cavaliere del Drago o un Angelo, ma …
Potenziò l’incantesimo di respirazione, e l’aria tornò nei suoi polmoni mentre scese di profondità evitando quella che, a giudicare dalla massa d’acqua spostata, era una pinna appartenente ad una bestia che non aveva alcuna intenzione di incontrare.
Non aveva la forza di piegare in due un mondo, e nonostante le modifiche che Zaboera aveva apportato al corpo biologico superstregonesco poteva fare ben poco quando i suoi due compagni scendevano in battaglia. Erano un altro livello, degli esseri di cui poteva solo osservare l’ombra dal basso.
Ma questo lo poteva fare. “Andiamo!” pensò tra sé una volta posizionato il secondo Nucleo Nero.
Poteva offrire alla famiglia il suo coraggio, quando la forza e la magia non sarebbero state sufficienti; non poteva nascondersi dietro Baran e Hyunkel, non poteva rimanere indietro o peggio, essere loro un peso. I suoi compagni d’armi, i suoi amici, avrebbero dovuto rimanere a testa alta.
Il tempo si era trasformato in uno stagno putrescente, aveva perso il conto delle volte che era riemerso e poi si era rituffato, di quelle che aveva rischiato di perdere il sacco e quelle in cui gli ordigni gli erano quasi scivolati di mano, prigionieri della corrente. Ogni tuffo stava diventando uno strazio per i muscoli, ma i cuori sembravano vibrare in risposta alle onde, sentendo la tempesta quasi dentro di sé. Il buio dell’abisso si era trasformato in un oceano di opportunità ed alla fine c’era solo lei, la gloria, la vittoria. Tipoca City sembrava ancora più enorme da lì sotto, ma quando anche l’ultimo esplosivo venne posizionato ed il sacco venne lasciato libero alla furia delle onde, Hadler si rese conto che non riusciva nemmeno a capire quanto tempo fosse passato, se mezza giornata o una manciata di secondi.
Quando riemerse in volo la pioggia gli sembrò più forte del ruggito della battaglia.
“Sette Nuclei Neri … credete che basteranno?”
L’unica cosa che segnava il tempo erano i baffi di Baran. Si erano appiattiti lungo le guance, e questo rendeva ancora più minaccioso il suo cipiglio. I loro abiti erano ridotti a degli stracci informi aderenti alla pelle, ma c’era qualcosa di selvaggio in quel cielo in tempesta, in quelle nuvole nere, nei fulmini all’orizzonte e nel Dio Drago e nell’Angelo da Un’Ala Sola che sprigionavano la loro magia in quel mondo che tra poco avrebbe conosciuto la distruzione. Baran gli porse una sfera metallica con una gemma di attivazione incastonata al di sopra, il “portafortuna” che lo scienziato dell’Organizzazione aveva realizzato. “A te l’onore, amico mio. Dopo questo bagno credo che ti meriti il diritto di vantarti di aver cancellato buona parte di quegli abomini dalla faccia del mondo!”
Un grande onore per Hadler, comandante delle forze d’armata del Grande Satana …
Guardò la gemma rossa, sentendone il potere rimbombargli fin nelle vene. Un oggetto instabile ma più che in grado di unire i Nuclei Neri con la sua straordinaria potenza; un potere che ancora non riusciva a comprendere di come potesse nascere dalle mani di un inferiore essere umano.
Per un attimo gli sembrò di sentire le vite dei cloni in quella città addormentata sopra le acque nere. Migliaia di falsi esseri umani lì dentro, artificiali, mostruosi. Carne da mandare a morire nel migliore dei casi, una sorte che lui stesso non avrebbe mai accettato per sé. Forse a quegli umani stava facendo un favore.
Sephiroth scosse la testa senza una parola, e Hadler riversò tutta la poca magia rimasta nel suo corpo in quel minuscolo congegno.
Fu in quel momento, o forse nell’istante immediatamente successivo, che il mondo piombò nel gelo più assoluto.
Tipoca City non si trasformò in un inferno di fiamme.
Non crollò su se stessa, né i pilastri si piegarono come le zampe di un mostro ferito a morte. Non affondò. Il cielo era ancora saturo di nuvole, schizzi e fulmini, ma nemmeno una parte di esso era tinto del rosso scarlatto che seguiva qualunque esplosione: tutto era nero, avvolto nella pioggia, ma l’acqua non si infrangeva né sui pilastri né sulle piattaforme della fabbrica di cloni. La spuma scura creava onde enormi che erano respinte con violenza dalla forma immobile che in quell’istante occupava tutto il campo visivo, nascondendo Tipoca City sotto il suo manto freddo. Hadler trattenne il fiato, il congegno ancora stretto nella mano, quando l’acqua del mare prese vita e forza, cristallizzandosi come un fiore nell’attimo di sbocciare. Gli schizzi, le onde, gli stessi gorghi rimasero immobili e scintillarono alla luce di un fulmine che cadde poco distante da loro; persino a quella distanza poteva sentire il gelo che si propagava da quel blocco di ghiaccio che era sorto tutt’intorno alla città. Le luci, i suoni, persino le piccole astronavi erano rimaste incastonate in quella magia.
Nel punto in cui l’acqua di Kamino si trasformava in ghiaccio una luce ancora più forte iniziò a riflettersi, intensa al punto che anche Baran fu costretto a coprirsi gli occhi con la mano.
La magia dei Nuclei Neri in attesa di attivazione si trasformò in un soffio che lentamente venne strozzato dal nuovo incantesimo, ed il demone sentì la potenza degli esplosivi diminuire come se qualcuno gli stesse lentamente portando via il fiato alla base della gola; la gemma rossa fu attraversata da un lampo di luce, poi diventò sempre più fioca fino a sembrare un comune sasso.
Una sola cosa sapeva di quegli ordigni: il ghiaccio era l’unica magia in grado di soffocare il potere, da quel che Zaboera diceva era una contromisura creata dal membro dell’Organizzazione prigioniero.
E lì, sotto quella tomba di cristallo, ebbe l’impressione che i sette esplosivi fossero stati uccisi con un’unica mossa.
“Ci avete costretti ad un intervento tempestivo. Suppongo che i Kaminoani non la prenderanno molto bene …”
Hadler non ebbe bisogno di guardare in alto per sapere a chi appartenesse la voce. Non quando vide la mano di Baran correre all’elsa della spada.
Un paio di piume azzurre furono portate verso di loro dal vento, mentre un gigantesco volatile perse del tutto la forma ed assunse un aspetto umano che si appoggiò su una nicchia che il ghiaccio aveva creato. Anche da quella distanza poteva sentire gli occhi chiari della donna fissi su di loro, inchiodati come quelli di una belva pronta a saltare al minimo schiocco di dita.
Un nuovo fulmine illuminò una seconda figura, le mani ancora luminose per la magia che stava consumando; in piedi su una lastra di ghiaccio vide un umano dai capelli chiari come la luna, il mago dell’Impero che sapeva corrispondere al nome Kaspar, tessere i suoi incantesimi quasi a comandare il mare stesso. Ma, nonostante la magia selvaggia che quell’uomo emanava, Hadler non poté evitare di trattenere il fiato quando Zam Wesell terminò la trasformazione e con un paio di salti superò le guglie più alte di quella rosa gelida per portarsi fino alla punta più alta, ben oltre la sommità di qualunque edificio di Tipoca City. “Benvenuti a Kamino, signori”.
 
  
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