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Autore: alexluna    24/06/2015    4 recensioni
LEGAL DRAMA | mini-long di 7 capitoli
2023 - 25 anni dopo la sconfitta di Voldemort. Percy Weasley, Ministro della Magia uscente, istruisce un processo finale e inaspettato. Il Wizengamot con a capo Augusta Paciock dovrà giudicare un unico imputato: Draco Malfoy. Sebbene sia un momento complicato in famiglia, Hermione Granger, Magiavvocato della difesa, è pronta a dare del filo da torcere a Susan Bones, dell'accusa.
“[...] Ho fatto della Giustizia il mio obiettivo più sacro: per garantire a tutti voi, oneste streghe e onesti maghi inglesi, un presente giusto e un futuro sicuro. La necessità di un coprifuoco e la momentanea restrizione delle libertà personali sono dettate dall’esigenza di proteggere maggiormente la nostra comunità. Pensiamo ai nostri figli, il frutto dei nostri sacrifici e il tesoro più importante della nostra esistenza. Pensate ai pericoli e alle tentazioni malvagie che possono incontrare nel loro cammino, se lasciamo impuniti le streghe e i maghi che hanno usato la magia per scopi oscuri e razziali. E cosa impareranno da noi, i nostri figli, se lasciamo impuniti gli assassini dei nostri genitori? [...] Ricordatevi di andare a votare questa domenica. Percy Weasley: insieme per la giustizia!” - dal discorso di fine campagna elettorale
Genere: Azione, Introspettivo, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Famiglia Malfoy, Famiglia Potter, Famiglia Weasley, Kingsley Shacklebolt, Percy Weasley | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Hermione, Ron/Hermione
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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CAPITOLO II
(o di come la verità sia apofantica)

 
Silenzio in aula!” berciò la Decana del Wizengamot, perdendo nell’impeto il cappello. “Imputati, Magiavvocati e uditori, vi ricordo che questa Corte Magica non esiterà un secondo di più a Mutarvi tutti al prossimo schiamazzo.”
I presenti ammutolirono all’istante, compresi gli altri tre giudici membri dell’ala giudicante. Hermione Granger, tra gli spalti, strappò dalla pergamena la sua Piuma Autoscrivente, e cercò di sbirciare da dietro il braccio obeso della strega che le stava accanto.
“La parola può tornare alla difesa, prego,” continuò Augusta Paciock dopo aver riposizionato il copricapo a punta.
Al gradino più basso della cavea, il Magiavvocato della difesa riprese la sua arringa gesticolando platealmente e guardando ogni tanto tra gli spalti, come a incoraggiare un’inesistente tifoseria. Non era abituato a tutto quel pubblico. Riconobbe molti volti noti: giornalisti, maghi famosi, speaker radiofonici, persino qualche giocatore di Quidditch.
Il suo collega, legale dell’attore, non sembrava far caso all’insolita moltitudine di curiosi. Sedeva accanto al cliente e ascoltava il ciarlare irrequieto di uno stuolo di assistenti. Ogni tanto annuiva con un ghigno beffardo, che però non riuscì a scalfire la sicurezza espositiva dell’avversario.
Si dibatteva sulla presunta negligenza di un allevatore di Berretti Rossi nel costruire una barriera di protezione. Una notte, i Berretti Rossi, infatti, si erano intrufolati nella casa del vicino e avevano cercato di randellare a morte le sue civette.
“E quindi, la colpa non può ricadere nella buona fede del mio cliente, che ha eseguito perfettamente gli Incantesimi di Protezione,” spiegava trionfante il Magiavvocato della difesa. “È il suo vicino che, tornato ubriaco, ha lanciato la bottiglia di Burrobirra contro la vetrata, rompendola e liberando i Berretti Rossi.”
Dall’accusa si levò un coro di proteste incomprensibili, che incollerirono maggiormente Augusta Paciock.
“Ad alcuni di voi stamattina non è chiaro il funzionamento della Corte Magica di Giustizia,” sbraitò la Decana per coprire le lamentele. “La Corte pertanto sospende i lavori e condanna l’accusa a una multa di trenta Galeoni. Vi avverto, che per ogni ulteriore parola emessa, non importa da chi, la multa si triplicherà.”
Il convenuto emise un sonoro sospiro di sollievo e si beccò un’occhiata letale da tutta la giuria.
“Non mi sfidi, imputato,” intimò Augusta Paciock.
Una volta che i due Magiavvocati con a seguito lo staff e i clienti uscirono dall’aula, Augusta Paciock srotolò davanti a sé un lungo rotolo di pergamena.
“Ordine del giorno di domani, mercoledì 12 luglio,” declamò e ottenne il silenzio assoluto che aveva richiesto invano per tutta la sessione, “prima udienza di comparizione per il processo Malfoy D. contro Ministero della Magia. Il dibattito inizierà alle ore 9, in Aula Dieci, di fronte all’assemblea plenaria del Wizengamot.” Tacque un attimo e poi terminò: “A porte chiuse.”
L’intera cavea esplose in urla di dissenso, fischi e gestacci. Augusta Paciock si astenne dal denunciare tutti per oltraggio alla Corte e trottò via assieme ai suoi colleghi.
 

Hermione fu risucchiata dall’ascensore e finché non raggiunse l’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche, Divisioni Bestie, Esseri e Spiriti, s’impose di non farsi prendere dal panico. All’uscita, uno stormo di Promemoria le sfrecciò accanto, regalandole un piacevole venticello.  La Decana del Wizengamot, la nonna di Neville, aveva la straordinaria capacità di diffondere l’ansia. Se fosse riuscita a diventare il Magiavvocato di Malfoy, avrebbe dovuto studiare non solo una strategia di difesa, ma anche una dignitosa captatio benevolentiae.
“Signora Weasley, permette?”
Hermione si voltò e scoprì una strega esile e dalla statura imponente che le andava incontro. Indossava una tunica smanicata grigio polvere, che la rendeva simile a una colonna antica. I capelli raccolti con severità dietro la nuca le freddavano i lineamenti. Naso lungo, occhi affilati, collo allampanato. Camminava protendendosi verso l’alto, come se volesse bucare il soffitto o si divertisse a mettere in soggezione gli altri.
D’istinto lo sguardo di Hermione corse ai piedi. Nessun tacco era la causa dell’altezza ardita di quella strega, che portava babbucce a punta di pelle di serpente. Persino l’accostamento cromatico manifestava, ai suoi occhi, la spavalderia di quella donna che aveva visto solo in qualche rarissima fotografia sui giornali.
“Le ruberò pochissimo tempo,” disse la strega fermandosi e tendendo la sua mano. “Sono Astoria Malfoy.” Sul viso campeggiava un’espressione indecifrabile.
“Sì, lo so chi è lei,” disse Hermione osservando le dita che sembravano filamenti senza fine. “Il mio cognome è Granger, comunque. Sposandomi non ho adottato quello di mio marito.”
“Signora Granger,” riprese Astoria con ostentato disinteresse, “vorrei che lei accettasse la difesa di mio marito.”
Hermione faticò a nascondere lo stupore che già tratteneva da quando l’aveva vista. “Dopo ieri sera, non credo che suo marito…” ma s’interruppe, perché qualcos’altro l’aveva colpita in quella proposta. “Ma perché lo chiede a me? Neanche mi conosce.”
“Draco era molto scioccato. Lei comprenderà, immagino… era appena stato picchiato brutalmente. Deportato senza sapere dove né perché,” elencò Astoria senza scomporsi, come se recitasse gli ingredienti di una Pozione. “Mio marito era in un forte stato confusionale. Non è voluto scendere nei dettagli, ma so che l’ha cacciata via in malo modo. Mi faccio portavoce delle sue scuse, signora Granger.”
Hermione annuì brevemente, poi replicò: “Non ha ancora risposto alla mia domanda. Perché proprio io come Magiavvocato? Conoscerete rappresentanti legali molto più famosi e con più anni di esperienza. Io non esercito da parecchio.”
“Le risponderò con franchezza. Anche perché credo che un rapporto tra Magiavvocato e cliente si basi sulla totale sincerità. Personalmente, poi, ho fatto della verità la mia arma più forte. Fugherò ogni suo dubbio,” spiegò Astoria, mentre l’ombra di un sorriso si distendeva sulle sue labbra. “Sì, conosciamo studi più famosi, ma la loro poca irreprensibilità potrebbe danneggiarci. Hanno difeso e fatto assolvere maghi e streghe volgarmente colpevoli. Assumere uno di questi studi, agli occhi dell’opinione pubblica apparirebbe come un’ammissione di colpa.”
Degli impiegati della Divisione Spettri uscirono dalla porta accanto a loro e Hermione non poté non notare come si misero a guardare di sottecchi il corpo affilato della moglie di Draco Malfoy.
Appena gli uomini entrarono nell’ascensore, Astoria riprese la spiegazione: “Certo, non esiste soltanto la categoria degli studi legali che zittiscono la loro morale in cambio di un ingente gruzzolo di Galeoni. L’altra categoria, quella più integerrima, tuttavia, è sostenitrice di Percy Weasley e mai comprometterebbe i fondi elargiti durante la campagna per difendere un ex Mangiamorte. Infine, ma non per questo di minore importanza, lei si è offerta. E se si è offerta ci sono due motivi. O condanna il gesto della sua famiglia e non le importa di scatenare una guerra casalinga. Oppure è in combutta con la sua famiglia e vuole sabotare la difesa di mio marito, fingendosi un Magiavvocato animato da nobili intenzioni.”
“Quindi, ricapitolando, mi ha proposto la procura perché o mi crede un’idealista cui non importa di gettar fango sull’operato della propria famiglia o lei vuole mandare a morte suo marito,” fece una pausa e poi azzardò, “perché meglio vedova che divorziata?”
Astoria emise una risata gutturale.
“Non mi dica che è così sadica, signora Malfoy,” si risentì Hermione, arricciando la bocca.
“Al contrario, rido della sua perfidia. Mi congratulo con lei per la rapidità di un’analisi così infamante,” spiegò e poi ritornò seria. “La vedovanza non mi si addice. Voglio che il padre di mio figlio torni a casa.”
“Quindi lei si fida di me, nonostante io sia la moglie e la cognata degli uomini che hanno incarcerato suo marito,” soppesò Hermione con cautela. “Anche qui: perché?”
“Mi avevano detto che era una strega molto curiosa e scrupolosa, ma una cosa è sentirlo e un’altra è appurarlo in prima persona,” commentò Astoria, neutra. Hermione non capì se la stava prendendo in giro o se le stava facendo un complimento. Nel dubbio, restò in silenzio ad ascoltare. “Più che di Draco, io mi fido di mio figlio, signora Granger. Valuti la mia offerta e mi faccia sapere entro l’ora di pranzo. Le do il mio indirizzo,” le porse un biglietto da visita, “buona giornata.”
Il tempo per Hermione di rigirarsi tra le mani il cartoncino argentato e Astoria era già sparita, silenziosa com’era arrivata. Scioccamente guardò sopra la sua testa, come se la moglie di Draco Malfoy avesse spiccato il volo. Avrebbe voluto che le spiegasse l’ultima frase.
Tornò a leggere con aria sconsolata la scritta vergata sul bigliettino, in un corsivo molto elegante: Draco Malfoy, Pozionista Classe Seconda Ordine di Veridian[1] – mandatemi un gufo al seguente indirizzo. Vi rispondo quando voglio.
 

La Passaporta lasciò Hermione a pochi minuti dalla casa di campagna dei Potter. Aveva il viso arrossato per il freddo del viaggio e il caldo dell’intera giornata. Si asciugò il sudore dietro il collo e scrollò del terriccio dall’orlo della tunica. Mentre s’inerpicava per la salita brulla della piccola valle, si rammaricò per l’ennesima volta di non saper guidare una scopa.
Il tragitto dalla Passaporta alla dimora di Harry Potter era breve, ma la strada era sterrata, polverosa, isolata. Maledisse gli Incantesimi anti-Smaterializzazione attorno alla casa. Solo la famiglia e gli amici stretti conoscevano la reale ubicazione della residenza dei Potter: Harry e Ginny volevano crescere i loro figli nella tranquillità e nella più totale intimità.
Harry aveva fatto rapidamente carriera: Auror di prima linea, Caposquadra, Caposezione, Vice Capo Dipartimento e, infine, la proposta più ambita. Capo dell’intero Dipartimento. Aveva quarantuno anni e sarebbe diventato il più giovane mago ad aver ricoperto quella prestigiosa carica. Per l’opinione pubblica quel passaggio di bacchetta da Kingsley Shacklebolt a Harry Potter era apparso come naturale, quasi scontato. Tutti rimasero di stucco quando, invece, Harry rifiutò e decise di prendere un congedo a tempo indeterminato. Pochi comprendevano quella scelta e tra questi Hermione. Harry non avrebbe mai fatto le scarpe a Kingsley. Quella promozione, senza dubbio meritata ma prematura, aveva ricevuto spinte politiche per accelerare i tempi. Percy Wesley sapeva che Kingsley si sarebbe candidato alle prossime elezioni e voleva mandarlo in pensione.
Un conto era concorrere come Capo del Dipartimento Auror e un altro come privato e rispettabile cittadino.
Inoltre, per Harry era arrivato il momento di rallentare i ritmi e godersi di più la famiglia. La decisione di restare a casa a fare il papà a tempo pieno, poiché i figli erano in dirittura d’arrivo con lo studio, fu giudicata all’unanimità dalla famiglia Weasley una crisi di mezza età.
Se quella era una crisi di mezza età, si giustificava Harry, era la crisi più bella della sua vita. Passava le giornate a sperimentare, raccogliere le memorie per la sua biografia, aiutava Lily Luna e Albus Severus con lo studio o Teddy col lavoro; ma soprattutto tirava fuori dai guai James Sirius, che a vent’anni suonati ancora non aveva deciso che carriera intraprendere.
Hermione lo trovò che stava smontando dei talismani sul tavolone in legno dove mangiavano durante le giornate più torride. Appena Harry la vide, lasciò gli arnesi e fece il giro di quel piano di lavoro improvvisato per andare ad abbracciarla. Hermione si lasciò andare e ricambiò quell’abbraccio con forza. Si ritrasse di poco, solo per dirgli: “Vorrei cancellare gli ultimi due giorni…”
Si sentiva sempre più tentata e quasi incantata da quelle braccia toniche e forti, che la tenevano saldamente ancorata a lui. Quel senso di protezione lo provava solo col suo migliore amico.
“Un po’ di tè?” soffiò Harry dandole un leggero bacio sulla fronte. “È da quando ho ricevuto i giornali e la Strillettera di Ron, che tengo l’acqua in ebollizione per te. Sapevo saresti arrivata, prima o poi.”
Hermione si guardò bene dal fare domande sulla Strillettera di Ron, ma non poté non sbuffare sentendo quel nome.
“I ragazzi sono in casa?” chiese, invece, un po’ sulle spine, mentre entravano nel retro della cucina.
“No, Rose è andata col resto della truppa,” rispose Harry, divertito dalla vaghezza della domanda. “Ginny aveva i posti in tribuna d’onore per la finale, ti ricordi? Questo finesettimana spetta a lei, vederli.”
Con Ginny la separazione non era stata traumatica. Quando lei aveva accettato l’incarico d’inviata speciale per la Gazzetta del Profeta, aveva colto anche la Pluffa al volo per traslocare vicino a La Tana.
L’affidamento l’aveva ottenuto Harry, di comune accordo. Ginny era spesso in trasferta con le squadre, talvolta seguiva Campionati stranieri e Coppe internazionali durante l’estate. Capitò una stagione in cui riuscì a vedere e parlare con i figli solo attraverso il fuoco di un caminetto.
Harry prese il pentolino e versò acqua bollente nella teiera, mentre Hermione osservava con attenzione le grandi spire di vapore che scivolavano verso il soffitto, insinuandosi nel pentolame magicamente sospeso. Dalla finestra entravano i raggi spenti del tramonto, che s’infrangevano sul rame e sul bronzo di tegami, padelle, teglie, pentole e grossi mestoli, creando dei riflessi intriganti. Una stanchezza primordiale sembrò aggredirla d’un tratto.
“Devo mandare a Ginny un gufo di ringraziamento,” disse, riscuotendosi dal torpore. “È stata l’unica che è riuscita a farla uscire dopo– quanto? Un mese di segregazione?”
“Se contiamo da quando ha ricevuto i risultati dei M.A.G.O., più o meno tre settimane di clausura autoindotta,” replicò Harry, porgendole la tazza di tè. “E per quanto riguarda Ginny, lo sai, farebbe qualsiasi cosa per i suoi nipoti.”
“Francamente non mi aspettavo la prendesse così male. Rosie, intendo.”
“Ne parliamo da anni. Non è facile per loro avere noi per genitori, Hermione. Prendi Al, per esempio, che vive nel terrore di farmi fare brutta figura e che tuttora non ha accettato di esser stato Smistato a Serpeverde. O Lily, che vive sulla scopa pur di entrare nella squadra dove giocava sua madre. Jamie… Beh, Jamie, lo sai. Lui è l’unico che coglie il lato pratico della faccenda.”
Hermione ridacchiò pensando a quante volte aveva fatto colpo sulle ragazze, presentandosi con finta nonchalance come il figlio del Prescelto e del Cacciatore delle Holyhead Harpies. Lui era l’unico della famiglia che si pavoneggiava per quella parentela così importante.
Con Hugo, Hermione non aveva avuto grossi problemi, se non nell’alimentazione. Era un continuo provare a metterlo a dieta, ma con la signora Weasley, che gli mandava tortini tutti i giorni – perché è un adolescente maschio e gli adolescenti maschi hanno bisogno di nutrirsi tanto! –, non era per nulla semplice. Ron, poi, dopo la morte del signor Weasley non osava andare contro la madre.
Rose anche era paffutella, ma mentre il fratello aveva semplicemente lo stomaco di un Dorsorugoso di Norvegia, lei mangiava per l’ansia da prestazione. Insegnanti, fantasmi, dipinti e studenti figli di amici l’avevano messa sotto pressione dal primo giorno di scuola, facendole notare in ogni occasione quant’era fortunata ad avere una madre intelligente come la sua, che magari poteva aiutarla nello svolgimento di qualche compito. E Rose, in sette anni, le aveva chiesto aiuto solo una volta, ma in Babbanologia – non ricordava il funzionamento di un tritarifiuti.
“Mia nipote,” continuò Harry, “voleva presentarsi con tutti Eccezionale all’Apprendistato di Medimagia.”
“Ma deve capire che un Oltre Ogni Previsione in Alchimia non è la fine del mondo. È stata eccezionale lo stesso, per me.”
“Hermione, tu, tutta questa saggezza, la hai appresa negli anni. A diciassette, se ti fosse successo lo stesso, avresti chiesto di ripetere l’anno pur di uscire dai M.A.G.O. col punteggio pieno.”
“Forse,” ammise ripensando alla crisi di nervi che ebbe in attesa dei risultati.
“Comunque raccontami del tuo caso, adesso. Albus, appena ha saputo, è partito per andare dal suo amico. Mi ha scritto poco fa. A quanto pare è stato lui a consigliare a Scorpius di farti assumere come Magiavvocato.”
A Hermione ritornò in mente il discorso di Astoria Malfoy e finalmente ne capì il senso.
“Temo abbia fatto anche la spia sulla tua litigata con Ron,” riprese Harry, un po’ in imbarazzo, mentre riponeva nel lavabo le tazzine. “Eravamo a colazione quando è arrivata la Strillettera, non ho fatto in tempo. Davvero, Hermione, mi dispiace da morire.”
Le narici di Hermione si dilatarono, mentre le guance s’imporporavano di rabbia e umiliazione.
“Non è colpa tua, Harry,” sibilò immaginando in quali brutali modi punire il consorte. “Ma non voglio parlare di Ronald in questo momento. Sono troppo infuriata. Hai letto i giornali, invece? Mi agitano. Non solo danno una repentina rimonta di Percy, che fino a ieri era sotto di ben sei punti e oggi di quattro. Le maggiori testate pullulano di articoli insulsi e diffamatori. Si sono divertiti a sviscerare l’esistenza di Malfoy. Quest’uomo ha condotto una vita lontano dai riflettori dopo la morte del padre. Si è aperto la sua attività di Pozioni e-”
“E si è fatto una clientela di dubbia fama,” concluse Harry.
Hermione gli lanciò un’occhiata di rimprovero. “E si è fatto una fama nel giro dei Pozionisti. Lo sapevi che ha ottenuto l’ambita onorificenza dell’Ordine di Veridian?”
“Hai letto l’editoriale di Seamus?”
“Da quando prendiamo per oro colato gli articoli della Gazzetta del Profeta, Harry? Lo sanno tutti che prende le mazzette dal Ministero.”
“Seamus ha ragione nel sostenere che bisogna far luce su certe morti. Draco Malfoy è stato un Mangiamorte. Ha fatto cose che né io né te sappiamo, ma di sicuro esser stato tutto quel tempo sotto il controllo di Voldemort avrà comportato incombenze e missioni del cazzo. Voldemort non ha mai risparmiato nessuno. Godeva nell’uccidere in primis l’innocenza dei suoi seguaci. E come ben sai, Malfoy non era sotto la Maledizione Imperius. Ha agito nel pieno delle sue capacità mentali e morali.”
“Ah, davvero? Secondo te non è stato soverchiato dalla paura, dalle pressioni familiari, dall’educazione ricevuta e dall’immaturità della sua età?”
“A quell’età noi eravamo maturi abbastanza da rischiare la nostra vita pur di sconfiggere Voldemort.”
“E dei nostri figli, Harry? Ricordi il discorso di prima? La paura del fallimento, del non seguire abbastanza le nostre orme? Non tutti maturano allo stesso modo. Noi forse abbiamo solo avuto la fortuna di nascere dalla parte dei buoni.”
“Potrei farti l’esempio di Sirius e Regulus, Hermione,” la sfidò, appoggiando le reni al lavandino.
“Harry, i due fratelli Black sono l’eccezione che conferma la regola,” chiosò lei con un certo compiacimento.
“Quindi, secondo te, siamo tutti predestinati dalla nascita.”
“Potrei mettermi a disquisire di filosofia, religione ed etica per tutta la sera, non tentarmi. Quello che voglio farti capire, è che Draco si è seriamente pentito di ciò che ha fatto. Condurre un’esistenza ai margini della società, continuamente vessato dall’opinione pubblica e vittima di atti vandalici ogni giorno, credo sia una punizione sufficiente. Sta espiando gran parte delle colpe del padre. Il peso del suo cognome è stato infangato per sempre. Harry, sei un mago troppo straordinario per non capire. Ricordati che devi molto anche a Narcissa Malfoy.”
“Non è me che devi convincere, Hermione,” sospirò Harry scivolando di nuovo sulla sedia, sopraffatto dalla stanchezza, “ma il Wizengamot.”
“Hai detto bene: devo convincere il Wizengamot. Ed è per questo che volevo chiederti,” Hermione inspirò una grande boccata d’aria, cercando di trovare coraggio, “se potevo citarti come testimone della difesa.”
Per un momento, desiderò che Harry la abbracciasse e la riscaldasse contro il petto muscoloso. Voleva sentire le sue mani carezzarle le guance e la sua voce sussurrarle parole di appoggio. Il volto del suo migliore amico, però, passò rapidamente dalla sorpresa alla comprensione e infine all’irritazione.
“Tu non puoi avermi chiesto una cosa simile,” le disse seccamente.
“Pensavo avessi smesso di portare rancore,” riprese Hermione, timidamente, cercando ancora di convincerlo.
“Porto rancore a Ginny per essersi scopata Seamus Finningan quando eravamo in crisi. Porto rancore a Percy per aver provato a mettermi contro Kingsley. Per Draco Malfoy, io provo solo indifferenza. Per anni ho desiderato spezzargli l’osso del collo, Hermione. Dovresti andar fiera dei miei progressi. Dal disinteresse al volerlo aiutare, mi sembra un tantino troppo, adesso. Ma dimmi, Hermione, tu gli credi?”
La sua migliore amica tacque e lui decise di rincarare la dose: “In cosa credi, allora?”
“Sai, Harry, ormai nessuno sa più rispondere a una domanda del genere. Alle persone non piacciono né le parole grosse, né le risposte chiare, né le verità inconfutabili.”
 
[1] Vindictus Veridian era un Pozionista. È anche stato Preside della scuola di Hogwarts, nei primi anni del XVIII secolo.
   
 
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