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Autore: vali_    24/06/2015    6 recensioni
Dean non si sente a suo agio negli ultimi tempi: beve senza trarne i benefici sperati, dorme poco e sta sempre da solo e questo non è un bene per uno come lui, che mal sopporta la solitudine, convinto che riesca solo a portare a galla i lati peggiori del suo carattere.
Il caso vuole che un vecchio amico di suo padre, tale James Davis, chieda aiuto al suo vecchio per una “questione delicata”, portando un po’ di scompiglio nelle loro abituali vite da cacciatori. E forse Dean potrà dire di aver trovato un po’ di compagnia, da quel giorno in poi.
(…) gli occhi gli cadono sui due letti rifatti con cura, entrambi vuoti. Solo due.
Sam è ormai lontano, non ha bisogno di un letto per sé. Dean non lo vede da un po’ ma soprattutto non gli parla da un po’ e il suono della sua voce, che era solito coprire tanti buchi nella sua misera esistenza, di tanto in tanto riecheggia lontano nella sua mente. A volte pensa di non ricordarsela neanche più, la sua voce. Chissà se è cambiata in questi mesi (…)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bobby, Dean Winchester, John Winchester, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Prima dell'inizio
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Some things are meant to be'
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Note: Stasera sono in giro e con questa scusa sono riuscita a pubblicare ad un orario decente, hurrà! XD
Sono molto offesa, però: ho pubblicato una cosina piccina picciò su Bobby l’altra notte e nessuuuuuno si è azzardato a commentarla. Era così brutta? :( O forse vi siete stancati di me e pensate che sto solo intasando il sito con le mie orribili pubblicazioni… ditelo, fatevi avanti se avete coraggio! *alza i pugni e si prepara a ricevere tante botte* XD
A parte gli scherzi, sono molto orgogliosa di come sta andando questa storia. La state seguendo in tanti (molti di più di quanto avrei mai potuto immaginare) e per me è una gioia immensa leggere i vostri pareri e vedere il numero delle visualizzazioni salire. Non smetterò mai di ringraziarvi per questo! <3
Detto ciò, vi lascio alla conclusione del caso (sperando non aver fatto pastrocchi) e… a mercoledì! 
 

Capitolo 7: Can you show me where it hurts?
 

Come on, now,
I hear you're feeling down.
Well I can ease your pain
Get you on your feet again.
Relax, I’ll need some information first.
Just the basic facts
Can you show me where it hurts?
 
(Comfortably numb – Pink Floyd)

 

Se c’è una cosa che fa proprio innervosire Dean – una delle tante, ma proprio quando sta cercando di risolvere un caso che si sta pure prospettando più incasinato di quanto non sembrasse all’inizio questa è una delle peggiori – è quando gli salta la copertura. Deve essere decisamente anche nel podio della lista delle dieci cose che gli fanno girare le palle appena sveglio, quando il caffè ancora non ha fatto l’effetto che deve. 

 
Il suo sguardo guizza da quello incredulo di Jack Burke ad Ellie, che lo fissa in modo allucinato, sicuramente convinta che ora sono nella merda totale e non ha poi tutti i torti.
 
«Voi che ci fate qui?» ripete pure la domanda, il cretino.
 
Dean prova a creare nella sua testa una balla convincente, qualcosa che regga, ma non c’è verso – il che è strano, lui è un maestro nell’inventare balle, ma stavolta è proprio preso alla sprovvista – ed è Ellie a prendere la parola prima di lui. «Sì, ok, credo ci sia un leggero equivoco».
«Non siete studenti, non è così?» Ellie scuote la testa. Fa bene, tanto ormai sono stati beccati, tanto vale essere sinceri.
 
Che poi che ci sta a fare qui questo idiota? Dovrebbero essere loro a chiedere a lui che ci fa qui, alla stazione di polizia, proprio nello stesso momento in cui loro stanno andando a controllare gli effetti personali dei coniugi uccisi. Dean non si ritiene di certo l’uomo più intelligente del pianeta, ma nel suo lavoro le coincidenze possono dirsi praticamente inesistenti.
 
«E tu che ci fai qui?» Ellie lo guarda storto per un attimo, forse non le è piaciuto il tono che ha usato.
Jack Burke sembra incespicare in cerca delle parole giuste e Dean sorride sghembo. «Mi sa che non siamo gli unici a dovere delle spiegazioni. Facciamo che adesso ci aspetti qui fuori e poi ne parliamo con calma».
 
Il ragazzo fa un sorriso sbieco, quasi abbia ritrovato una certa sicurezza nel giro di pochi istanti «Io non devo spiegare niente a nessuno, l’ho già fatto a chi di dovere» e non aspetta neanche una risposta che si dirige verso la porta.
 
Dean scuote la testa. Avranno modo di affrontarlo quando sarà il momento. Si avvia verso l’ufficio dello sceriffo ed Ellie lo segue ma è visibilmente più nervosa di prima, non solo per i tacchi o qualsiasi cosa le stesse frullando per la testa. Si ferma un secondo e lei lo guarda perplessa; a Dean basta immergersi nei suoi occhi per un istante per capire che è preoccupata perché sono stati scoperti e l’unica cosa che può fare è cercare di rassicurarla. «Sta tranquilla, andrà tutto bene» e lei annuisce, per niente convinta, però lo fa. Forse Dean sa infondere un minimo di fiducia nella gente. O forse Ellie lo ascolta solo perché non lo conosce abbastanza da sapere che a Dean succede spesso di incasinare tutto. Però poi se la cava bene a sistemare le cose – la maggior parte delle volte, almeno.
 
Dean sa bene che con un distintivo dell’FBI si possono ottenere molte informazioni e quelle che servono loro sono tutte a portata di mano: gli effetti personali dei due coniugi – quello che avevano nelle tasche al momento della morte e tutto quello che è stato trovato nella loro stanza – e il rapporto della polizia locale riguardo all’accaduto.
 
Escono dalla centrale senza dire una parola e Dean osserva Ellie in silenzio, finché non salgono in macchina ed è lei a parlare per prima. 
«Che facciamo adesso?»
«Avevo in mente di guardare quello che abbiamo trovato qui, ma se preferisci prima passiamo dal tuo fidanzato».
Ellie sbuffa «Non è divertente» e Dean è convinto di non averla mai vista tanto irrequieta.
Sospira «Ho capito, sei preoccupata perché ci ha beccati, ma sono sicuro che non lo dirà alla polizia o a qualcun altro. Piuttosto a me puzza il perché era lì».
Ellie lo guarda perplessa «Non l’ha detto».
«Non fa niente. Di certo le stesse cose che ha detto alla polizia le dirà anche a noi» Dean si guarda intorno prima di mettere in moto «Per caso sai dove abita?»
Ellie annuisce «Ha un appartamento accanto al centro commerciale, sulla Orem Boulevard» Dean soffoca una risatina, giusto perché Ellie è già parecchio tesa – anche se ancora non ha del tutto chiare le motivazioni – e non ha intenzione di litigare. «Me lo ha detto perché mi ha fatto fare il giro della città, ieri sera. Non sono stata a casa sua, se è questo che stai pensando» e a quelle parole Dean si zittisce. Non aveva detto niente a riguardo, ma ogni tanto sembra che Ellie riesca a leggergli nel pensiero. O forse lo ha detto solo per evitare un’altra battutina da parte sua, in fondo ormai lo conosce abbastanza da sapere che non si farebbe scrupolo a farne qualcuna per prenderla in giro.
 
Guida fino al luogo indicato da Ellie e poi ferma la macchina sul vialetto di fronte al complesso residenziale dove abita Jack Burke. Non sembra tanto di lusso, è un semplice palazzo a mattoncini rossi, conterrà al massimo tre o quattro appartamenti. Forse non è un riccone come Dean aveva pensato all’inizio.
 
Fa per scendere ma Ellie rimane seduta a torturarsi le mani intrecciate in grembo. Dean la guarda «Si può sapere che hai?»
Ellie si mordicchia il labbro inferiore, inquieta «Stavo pensando che… che se entriamo io voglio dirgli la verità» Dean richiude lo sportello e sgrana gli occhi e solo adesso Ellie lo guarda in faccia, ma non gli dà neanche la possibilità di replicare che parla ancora «E’ la cosa giusta da fare e poi non posso chiedergli di aiutarci senza prima essere stata sincera».
«Aiutarci? Ma che cosa—»
«L’hai detto tu che il museo è praticamente impenetrabile e qualsiasi sia la cosa che ha ucciso quei due vive lì dentro.  Lui è l’unico che può farci entrare, solo dobbiamo… devo raccontargli chi sono».
 
Dean forse un po’ capisce quello che sta cercando di dirgli, ma non per questo trova la sua idea accettabile «Ok, ho capito. Ti senti in colpa perché hai dovuto mentirgli e adesso vuoi scaricarti la coscienza mettendolo in mezzo».
«No! Non c’entra niente» sbatte le palpebre un paio di volte, poi inclina appena il capo e annuisce debolmente «Ok, forse un po’ sì, ma sono sicura di quello che dico».
 
Dean scuote la testa «Mentire fa parte del gioco. E si dà il caso che non sai se lui c’entra qualcosa» Ellie aggrotta le sopracciglia «Ti ricordo che era dalla polizia, quando l’abbiamo visto».
«E allora?»
«Allora potrebbe avere a che fare con—»
«Oh, andiamo! Non è vero. E poi noi non siamo giustificati»
«Invece sì!» il tono della voce di Dean si fa più alto; odia quando qualcuno insiste tanto e sta decisamente perdendo la pazienza. «Prima di chiedere aiuto devi essere sicura che lui non c’entri niente».
«Ma cosa vuoi che c’entri? Sono certa che si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato ed è solo andato a dirlo a chi di dovere, cosa c’è di scorretto in questo?»
«Posso essere libero di avere dei sospetti? Dannazione, sono io l’esperto tra noi due, ne saprò qualcosa più di te! E poi perché lo difendi a spada tratta? Lo conosci da un giorno, come fai a sapere se è sincero oppure no?»
«Non c’entra niente questo» Ellie si umetta le labbra e sospira. «Fammi parlare con lui. Gli spiegherò come stanno le cose e—».
«Certo, e ti darà una mano così, ad occhi chiusi!»
«Almeno tentiamo!»
«No!» si rende conto di stare urlando, prende fiato sospirando rumorosamente e passandosi le dita sugli occhi «Senti, ho tutto il diritto di nutrire dubbi su quel tipo, va bene? Ho una strana sensazione».
«Ma non sai neanche quello che ha detto alla polizia! Boh, io… io sono sicura che non è questo il problema per te».
 
Dean la guarda perplesso «E quale sarebbe allora?»
Ellie non sembra essere tanto sicura di voler dire quello che sta per dire, ma al contempo è chiaro che non ha intenzione di trattenersi. «Tu non ti fidi delle persone. E lo capisco, ok? Però stavolta è diverso» Dean alza gli occhi al cielo e scuote la testa. «Lo so che fa parte del modo di essere di tutti voi, ma—»
«Noi chi? Noi cacciatori? Ellie tu sei una di noi, ormai. E’ quello che vuoi essere, sei stata tu a sceglierlo!»
«Non è vero. Non l’ho scelto, lo faccio solo per papà, per aiutarlo».
«E allora vedi di abituartici, perché è così che ragionano tutti quelli come me. Mio padre, tuo padre, siamo sospettosi per natura. Ed è così che devi diventare anche tu se vuoi essere brava in quello che fai».
 
Ellie rimane un attimo sorpresa a guardarlo, stringendosi nelle spalle. «Jack non è cattivo, io ne sono sicura. Se non ti fidi di lui, prova a fidarti del mio istinto».
Dean incrocia le braccia al petto. Ci riflette un attimo, poi chiude gli occhi per un lungo istante, appoggiandosi meglio al sedile; espira ed annuisce «D’accordo. Ma non mi lasci fuori».
«Dean… »
«O così o niente».
 
Ellie sbuffa, ma accetta. Scende dall’Impala e Dean la guarda avvicinarsi al citofono. Non vuole fare lo stronzo, ma… qualcosa non gli torna in quel tipo. Se n’è andato senza dargli neanche mezza spiegazione, e per quanto ne abbia tutte le ragioni, di solito il distintivo dell’FBI fa zittire tutti ma con lui non è successo. Di certo è in qualche modo coinvolto e non è detto che sia per una buona cosa.
 
Dalla sua esperienza, Dean ha imparato che, di solito, se un sospetto scappa lo fa perché è colpevole di qualcosa. Dean ha poca fiducia nella gente – niente gli dice che non deve fidarsi di quel tipo, ma neanche il contrario – perciò non vede tante altre alternative. Vorrebbe solo che Ellie riuscisse a capirlo prima di fare qualche cazzata.

*

Ellie suona il campanello, le dita quasi tremanti sul pulsante. Sa che la sua idea può essere anche folle, ma non ha intenzione di rinunciarci solo perché Dean non è d’accordo. E’ vero che un po’ si sente in colpa; non le piace mentire alle persone, soprattutto se queste si mostrano gentili e disponibili con lei e Jack non ha fatto niente di sbagliato. E’ assolutamente convinta che si tratta solo di un equivoco ed è sicura che riuscirà a dimostrarlo.
 
Il portone d’ingresso si apre e Dean ed Ellie salgono le scale in fretta, finché non si ritrovano davanti alla porta di Jack Burke. Lui non è sulla soglia, ma l’ha lasciata appena aperta ed Ellie entra quasi titubante, seguita da Dean.
 
Trovano Jack seduto su uno sgabello, accanto all’isola della cucina. L’ambiente è spazioso, pieno di quadri e soprammobili in tinta con i mobili di legno. C’è un grosso divano accanto ad una scrivania piena di fogli e libri disposti con ordine ed ogni cosa sembra essere collocata in un certo posto della stanza con precisione e cura.
 
Jack punta gli occhi su entrambi «Sapevo che sareste venuti a cercarmi».
«Molto perspicace da parte tua, amico» ma è Dean a rispondere ed Ellie si volta verso di lui che la guarda con aria di sfida. Quando ha pensato che forse sarebbe stato zitto si sbagliava di grosso. Le aveva promesso di farla parlare e così deve fare, per una volta deve essere lui a rimanere in silenzio, ma Ellie ha imparato a sue spese che odia quando gli viene chiesto di mettersi da parte – non è passato così tanto tempo da quando le ha gentilmente chiesto di farsi gli affari suoi per quella storia di suo fratello –, ma non può fare altrimenti stavolta.
 
Jack li invita a sedersi, ma solo Ellie lo fa, scegliendo lo sgabello accanto al suo; appoggia un braccio sul mobile – la mano aperta sul ripiano liscio – e lo guarda negli occhi. «Mi… mi dispiace averti mentito ieri sera».
«Chi diavolo sei? Anzi, chi siete?»
«Prima vorrei che ci spiegassi perché eri dalla polizia» Ellie sbuffa, ma ormai le è chiaro che non riuscirà a far stare Dean in silenzio. Tanto vale lasciarlo sfogare come meglio crede. Ogni tanto pensa che tutta questa aggressività che dimostra con i “cattivi” è un modo come un altro per dare sfogo ad una rabbia che deve sentire dentro di lui per un qualche motivo.
 
Jack lo guarda ed espira; non sembra avere paura di lui. «Volevano interrogarmi per la morte dei coniugi Westwood».
«Perché, tu che c’entri?»
«Ero lì quando è successo» appoggia un gomito sul ripiano lì accanto, tenendosi comunque a distanza dal braccio di Ellie. «Non avevano prenotato la visita guidata. Erano venuti qualche altra volta, ogni tanto al museo organizziamo delle mostre a tema e loro venivano spesso, erano dei grandi appassionati d’arte» sospira appena «Perciò erano da soli. Io ero poco più in là e mi sono accorto che stavano toccando la cornice di un quadro».
Ellie lo guarda attenta «Ma non è vietato?»
«Appunto. La prima volta ho fatto finta di non vedere, ma poi hanno fatto la stessa cosa con un altro poco più in là e sono stato costretto ad intervenire. Gli ho detto che era contro il regolamento e il signor Westwood ha provato a rispondermi, ma non riusciva a parlare e qualche secondo dopo era sdraiato per terra, cianotico, e non sono riuscito a fare niente per salvarlo. Stessa cosa con la signora».
 
Dean incrocia le braccia al petto, sbuffando «Che aspettavi a parlarcene?»
«Voi non me l’avete chiesto» Ellie sposta lo sguardo da lui a Dean che lo guarda perplesso. «Vi siete presentati come due studenti, ma avete mentito» punta gli occhi in quelli di Ellie che deglutisce, mortificata.
«Lo so. Non… non siamo stati sinceri. Io non sono stata sincera e mi dispiace davvero tanto».
 
«Però adesso vorrei sapere chi siete».
«Cacciatori».
Lo sguardo di Jack si posa su Dean, poi su Ellie. «Che vuol dire, cacciatori di cosa?»
«Mostri. Lupi mannari, demoni… esistono davvero». Jack la guarda stralunato, poi abbassa lo sguardo senza fare nulla; sembra quasi stia per scoppiare a ridere e questo basta per far scattare Dean in avanti con aria minacciosa. Ellie si sente come schiacciata da entrambi e respira, giusto per ritrovare il suo posto nell’universo e cercare di aggiustare le cose. Alza un braccio in direzione di Dean, quasi a pregarlo di non fiatare, e quando Jack rialza la testa la guarda negli occhi, ma continua a tacere. Ellie si sente quasi in dovere di aggiungere qualcosa «Non sto scherzando».
«E’ la cosa più assurda che io abbia mai sentito… »
«Eppure faresti meglio a crederci» Dean interviene di nuovo; sembra che non riesca proprio a starsene zitto.
«La maggior parte delle cose che ti ho raccontato è vera, a parte il nostro lavoro. Noi uccidiamo queste cose malvagie».
Jack la guarda negli occhi «… non so perché, ma qualcosa mi dice che avete ragione. Insomma, se così fosse… se così fosse tutto avrebbe un senso» Ellie stringe gli occhi e lo osserva, perplessa «Ho sentito tante leggende in vita mia, ed ho sempre creduto fossero delle scemenze, ma poi… » prende un attimo fiato, fissando ancora Ellie «Ma poi è successo quello che è successo ai Westwood e forse è vero quello che si dice».
«Perché, che si dice?»
 
Jack si alza in piedi e prende il suo computer dalla scrivania. Lo accende ed apre una pagina per poi mostrarla ad Ellie. Anche Dean si avvicina per poter leggere sullo schermo. «Jackson Pollock, per un breve periodo, ha avuto un allievo. Si chiamava Randy Connor [1], era un ragazzo giovane che—»
«Sì, va bene, Wikipedia, passa ai punti salienti».
Il ragazzo annuisce, non sembra irritato da quell’interruzione «Era un pittore minore, ma l’essere stato allievo di Pollock lo ha reso famoso e si racconta che uno dei suoi ultimi dipinti sia maledetto. Numerosi collezionisti, dopo esserne entrati in possesso, sono morti in circostanze sospette e perciò per un lungo periodo nessuno ha più acquistato quel quadro. Poi, però, un uomo ricco, tale Henry Gale [2], lo ha venduto ad un Museo di Seattle, il Seattle Art Museum [3], ed è per questo che noi lo abbiamo esposto tra le nostre opere. Lo abbiamo chiesto in prestito appositamente per la mostra» Ellie sbatte le palpebre, pensierosa «Alcune fonti dicono addirittura che Connor sia morto dopo essere stato maledetto insieme al quadro, una specie di opera del Diavolo».
 
Ellie arriccia le labbra e guarda Dean «E’ possibile una cosa simile? Insomma, che se un oggetto di questo tipo venga toccato per sbaglio… »
«Assolutamente sì».
Lei sembra pensarci un secondo, poi torna a concentrarsi su Jack. «E’ per questo che avevo bisogno di quella lista. Se questo quadro è veramente stregato, possiamo distruggerlo e nessun altro si farà del male».
 
Jack ci riflette, poi annuisce. «Il danno all’arte è enorme, ma… non devono morire altre persone. Perciò ok, dimmi come posso darti una mano».
 
Ellie sorride e si volta di nuovo verso Dean, che non sembra ancora convinto. Non fa niente. In fondo non le importa di avere ragione, vuole solo giustizia per due persone che, non per aver infranto una stupida regola, abbiano per questo meritato la morte.
 
«Devi aiutarci ad entrare, Jack» la sua sembra quasi una supplica, per quanto non volesse esserlo.
Il ragazzo spalanca gli occhi e scuote la testa vigorosamente «Non posso farlo, rischio il posto di lavoro».
«Non lo saprà mai nessuno, devi solo dirci come fare. Lo faremo passare per un furto».
 
Jack ci pensa per un po’ più di un istante, poi sospira, quasi rassegnato «D’accordo» ed Ellie gli sorride ancora.
 
Nel pomeriggio, quando Ellie e Dean si spostano nella loro stanza di motel per preparare tutto l’occorrente, il ragazzo li segue.
 
Dean si assenta per andare a prendere il necessario per bruciare il quadro che recupereranno durante la notte ed Ellie non sa se le dispiace o no rimanere da sola con Jack.
 
E’ seduta sul letto, il laptop sopra le ginocchia e gli occhiali sul naso. Jack – che si guarda intorno da quando è entrato – le si avvicina sedendosi lì accanto. «Mi dispiace essere stato brusco stamattina. Non è da me, ma… quando ho capito che mi avevi mentito non c’ho visto più».
Lei lo guarda, sorridendo appena. «Non importa. Ero io ad essere in torto».
«Sei uscita con me solo per quella lista, non è così?»
Ellie abbassa lo sguardo e si toglie gli occhiali. «Non volevo prenderti in giro» lo guarda e lui le sorride, anche se lei non ne capisce il motivo.
«Non fa niente ormai. Sai, l’ho capito dal primo momento che c’era qualcosa di strano in te» Ellie lo osserva perplessa e lui scuote la testa, continuando a sorridere «Non intendo dire in senso brutto, piuttosto… particolare. Sembravi un pesce fuor d’acqua. In realtà mi sembri un po’ così anche adesso».
«Credo sia perché non ho sempre fatto parte di questo mondo. Io… io ero una persona normale, fino a qualche tempo fa».
Jack annuisce «Ecco perché sei diversa».
 
Ellie lo osserva con attenzione. C’è qualcosa di nuovo nei suoi occhi, nel modo in cui la guarda, ma non riesce a capire cosa. Sa solo che è diverso da ieri sera.
 
Non fa in tempo a rispondere nulla che la porta si apre e Dean è di nuovo sulla soglia. Li guarda strano e poi le sorride a mo’ di presa in giro. La rabbia sembra essergli passata, o forse è solo una maschera momentanea. 
 
Ha in mano un sacchetto bianco da cui tira fuori sale a sufficienza per un esercito. «Una bella spruzzata di questo insieme a una fiammata e tutto tornerà al suo posto».
Jack si alza in piedi e lo osserva, curioso «Quindi voi sareste tipo… tipo dei Ghostbusters, giusto?»
Dean si avvicina al tavolo, non prima di avergli rivolto uno sguardo accigliato. «Non credo. Noi siamo meglio dei Ghostbusters» ed Ellie scuote la testa. E’ ancora arrabbiato e, nonostante Jack stia cercando di dar loro una mano, continua a non fidarsi di lui. E’ un problema suo, però. Ellie non è per niente pentita di avergli detto la verità.
 
La notte arriva in un battibaleno e tutti e tre si dirigono fuori dal museo. Hanno studiato a lungo – grazie all’aiuto di Jack – la piantina del posto; conoscono a memoria ogni entrata ed uscita e sanno perfettamente come comportarsi per evitare di far scattare l’allarme. Usare il tesserino di Jack era fuori discussione: nessun dipendente può entrare dopo la chiusura del museo e, sebbene non abbia un sistema d’allarme infallibile, sarebbe stato comunque difficile riuscire ad accedere senza l’intervento di una mano esperta.
 
Jack ha insistito nel volerli aspettare fuori una volta terminato il lavoro. Ellie non voleva, ma non c’è stato verso di convincerlo e lo guarda ancora un istante prima di avviarsi insieme a Dean all’interno del museo. Lui le sorride e sussurra qualcosa che Ellie percepisce come un «Sta attenta» e lei annuisce accennando un sorriso. Non è abituata a tutte queste premure.
 
Segue attentamente Dean, cercando di fare meno rumore possibile e stando attenta a mettere i piedi nei punti giusti per non disattivare in nessun modo l’allarme antifurto. 
«Hai pensato a come prendere in mano quell’oggetto senza morire, vero?»
Ellie sfila dalla tasca un paio di guanti e glieli porge «Tieni questi. Mi sono fatta spiegare le misure di sicurezza da Jack, quelle che prendono gli addetti all’allestimento di queste mostre» Osserva Dean fare una smorfia. «Oh, piantala. Hai visto che alla fine ci ha aiutato?»
«Certo, glielo hai chiesto tu».
Ellie lo guarda perplessa. «Per forza, tu non sai domandare le cose con garbo» Dean si trattiene visibilmente dal ridere «Sì, come no» ed Ellie continua a non afferrare il concetto. «Che vorresti dire?»
«Te lo spiego un’altra volta. Dai, muoviti».
 
Ellie fa spallucce e lo segue ancora. Riescono furtivamente ad entrare nella sala sigillata dalla polizia; il quadro è ancora esposto in bella vista.
 
«C’è da dire che quei due erano dei veri idioti» Ellie lo guarda storto, ma Dean non si scompone. Indossa i guanti e lo prende in mano per poi appoggiarlo a terra, infilandolo all’interno di un sacco di plastica che Ellie gli regge.
 
Percorrono la strada a ritroso, sempre attenti a dove camminano, ed escono appena fuori dal perimetro del museo, lontani da sguardi indiscreti.
 
Dean apre il sacco di plastica, ci cosparge del sale e prende dalla tasca della giacca un contenitore rettangolare; lo stappa e versa il liquido contenuto – che a giudicare dal colore dovrebbe essere benzina – sull’involucro e al suo interno per poi dare fuoco a tutto e il quadro brucia lentamente, emanando uno strano fumo bluastro.
 
Ellie lo osserva attentamente. Non le piace lasciare le faccende in sospeso, ma non crede di aver sbagliato poi così tanto a confidare in Jack Burke. Non doveva necessariamente farlo anche Dean, va bene, ma potrebbe almeno fidarsi di lei, ogni tanto. «Sei ancora arrabbiato con me?»
 
Lui si gira verso di lei ed ancora una volta Ellie si rende conto della grossa differenza che c’è tra lui e quel ragazzo. Dean è così segnato dalla sofferenza, dal dolore e dal doversi alzare ogni mattina e combattere una qualche battaglia, anche se fa di tutto per nasconderlo e mostrarsi forte. Jack Burke, invece, era innocente, ignaro di tutto quello che il mondo nasconde di brutto e malvagio ed Ellie realizza di trovarsi nel mezzo. Non è né carne né pesce, né una cacciatrice né una “persona normale” e forse è il suo lato più “umano” ad essere attratto da Jack. Per quanto sa benissimo che non c’è alcun futuro per loro.
 
Ripensa a quando le ha parlato quel pomeriggio, al momento in cui le ha chiesto il perché è uscita con lui ed ora capisce cosa c’era di strano rispetto alla sera precedente: non c’era più quello sguardo ingenuo. C’era una nuova consapevolezza, la sicurezza che spesso non si tratta solo di leggende, che c’è davvero qualcos’altro nel mondo e questo la convince definitivamente che, a caso concluso, lo lascerà andare. Non che aveva altre idee per la testa prima, ma si rende conto che rimanere ancora significherebbe togliergli definitivamente quell’innocenza che l’aveva colpita in lui. 
 
«Non mi sembra il luogo né il momento adatto per discuterne» la voce di Dean la riporta alla realtà.
«Rispondimi e basta».
Dean si umetta le labbra «Sì. Perché sei un’irresponsabile» Ellie aggrotta le sopracciglia, perplessa. «Non puoi parlare del nostro lavoro al primo che incontri».
«Non volevo farlo, sono stata costretta».
«Non è vero. Morivi dalla voglia di renderlo partecipe della nostra festicciola soprannaturale, così potevi scaricarti la coscienza. Dovresti saperlo: la regola è fare quello che facciamo e tenere la bocca chiusa [4] e vale per tutti, tu non sei diversa dagli altri».
 
Ellie punta lo sguardo sul fuoco che si va spegnendo lentamente. E’ tutto il contrario di quello che le ha detto Jack nel pomeriggio. Chissà chi dei due ha ragione.
 
«Ok, va bene. Avrò sbagliato a renderlo partecipe, ma non l’ho fatto per scaricarmi la coscienza. Volevo solo una mano, invece tu… tu sei troppo chiuso» prende fiato «Non ti conosco ancora bene, ma ho capito che ti fidi solo di te stesso e se da un lato può essere un bene considerando il lavoro che fai, dall’altro… no. Perché dovresti aprirti con le persone, almeno un po’. Te la prendi sempre con me quando faccio qualcosa che non ti piace, e va bene, ma a volte ho l’impressione che lo fai per sfogarti con qualcuno e non prendertela con te stesso. Sei tu quello che ha dei problemi, non io» stringe involontariamente i pugni e deglutisce «E forse dovresti parlarne con qualcuno. Sono sicura che riusciresti a sentirti meno solo».
 
Sente lo sguardo di Dean su di sé, ma non si volta. In fondo gli ha detto tutto quello che doveva dirgli.

Il mattino seguente Ellie e Dean dormono fino a tardi, dopo aver passato tutta la notte a rendere il furto il più credibile possibile ed essere rientrati all’alba.
 
Nel primo pomeriggio, Jack Burke bussa alla stanza del loro motel. E’ rimasto ad aspettarli finché non sono usciti e Dean deve riconoscere che la sua parte di lavoro l’ha svolta egregiamente. In fondo Ellie non aveva tanto torto, ma rimane il fatto che non può dire certe cose al primo che incontra e Dean spera che tutto questo, in qualche modo, le serva da lezione.
 
E’ proprio lui ad aprirgli la porta e lo trova con in mano un pacco di biscotti. «Ho pensato che vi avrebbero fatto comodo per il viaggio».
 
Dean afferra il sacchetto, facendo un cenno con la testa a mo’ di ringraziamento, ma sa benissimo che quei biscotti non sono per lui. Come il fatto che li ha aiutati. Probabilmente lo ha fatto solo per impressionare Ellie e, a giudicare da come lei lo guarda, forse un po’ ci è riuscito.
 
Dean sorride tra sé e prende in mano il suo borsone. Guarda Ellie «Ti aspetto in macchina» e lei annuisce. Si chiude la porta alle spalle e qualcosa gli dice che non saprà mai quello che succederà in quella stanza. Sa anche che non dovrà aspettare molto e infatti quando la vede comparire di nuovo – lo sguardo basso e le mani dietro la schiena – non si meraviglia. Forse non sono passati neanche cinque minuti da quando è uscito.
 
Rimane appoggiato all’Impala anche mentre la vede avvicinarsi e lei continua a non guardarlo finché non è praticamente a un palmo da lui.
 
Vorrebbe farle qualche domanda, giusto per divertirsi a metterla in imbarazzo e farsi una risata ma non fa in tempo a fare nulla che Ellie toglie le mani dalla schiena e ne tira fuori il suo assurdo berretto con i pompon e lo pianta in testa a Dean che, preso alla sprovvista, si ritrova quel coso lanoso in testa che gli copre la vista. Lo tira appena più su e la trova a ridere a crepapelle di lui che sbuffa, ma poi sorride. Forse questo non è altro che il suo modo per fare pace… o per evitare domande. 

*

Sono in viaggio già da un po’ ed Ellie guarda fuori dal finestrino, la testa appoggiata sul sedile dell’Impala. Dean la osserva con la coda dell’occhio, chiedendosi come mai sia tanto silenziosa. Forse si è davvero affezionata a quella sottospecie di secchione, magari le piaceva sul serio.
 
«Potevamo fermarci qualche giorno in più se volevi passare più tempo con quello lì».
Ellie scuote la testa. «Quello lì si chiama Jack. E poi no, va bene così». Non è proprio triste, Dean non sa decifrarla. Sembra… pensierosa, ma non triste. Qualche secondo più tardi si volta verso di lui con il sorriso sulle labbra. «Mi porti a mangiare un gelato?» e l’unica cosa a cui Dean riesce a pensare è quanto sia incredibile il modo in cui riesce a passare da uno stato d’animo all’altro nel giro di pochi secondi.
 
Trovare una gelateria aperta in pieno febbraio non è stato semplice. L’unico baracchino che sembra fornire un gelato decente alla popolazione di Orem e dintorni si trova nei pressi del Lago Utah ed Ellie se lo gusta con immensa gioia stampata sul viso. «Lo sognavo da settimane».
Dean sorride a quella battuta e la guarda mentre il vento le scompiglia i capelli e lei non sembra farci caso, presa com’è dalla frenesia di mangiare il tanto agognato gelato. Si sono presi un cono a testa, entrambi con il cioccolato.
 
Si fermano a mangiarlo su una panchina e il paesaggio è davvero suggestivo: il lago si estende davanti ai loro occhi e non riescono a vederne la fine tanto è grande. Grandi alberi costeggiano la strada di fronte al lungolago e quella panchina, piuttosto isolata rispetto alle altre cosparse nel parco, sembra il tipico posto dove restare da soli quando si vuole pensare.
 
Si gustano il gelato in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri. Dean ripensa a quello che gli ha detto Ellie la notte scorsa, davanti a quel fuoco. Per qualche motivo, non si è sentito offeso dal fatto che lei lo abbia definito chiuso. In fondo è vero: condividere i suoi pensieri e le sue debolezze non è mai stato il suo forte. Inoltre non ha neanche più nessuno con cui farlo. Prima c’era Sam che era davvero l’unico in grado di fargli confessare l’inconfessabile, ma ora è tutto diverso, più difficile.
 
Aprirsi con suo padre è sempre stato alquanto impossibile e adesso sarebbe ancora peggio. Non solo perché lo vede davvero di rado ultimamente, ma anche perché – di questo ne è sicuro – l’unica cosa che otterrebbe sarebbe allontanarlo ancora di più.
 
Con la coda dell’occhio osserva Ellie, concentrata sul suo cono, e c’è solo il rumore della brezza leggera e Dean non è a suo agio con tutto questo silenzio.
 
«A mio fratello piacerebbe questo posto» non sa come abbia fatto ad uscirgli quella frase di bocca. Ellie lo guarda senza dire niente, aspetta solo che lui continui. Non sembra davvero stupita di quella piccola confessione – o qualsiasi cosa Dean stia cercando di fare –, si limita ad osservarlo senza mettergli alcuna fretta e Dean si sente libero di tirare fuori quello che sente, o almeno una piccola parte. «Sai, tra noi due lui è quello sensibile… » scuote la testa sorridendo al pensiero di tutte le volte che l’ha preso in giro per questo. «E… non lo so, credo gli piacerebbe». Dà un morso al cono, Ellie continua ad ascoltarlo senza fiatare, dandogli tutto il tempo che gli serve se vuole continuare oppure no. «Credo che la parte bella del nostro lavoro è che ti dà l’opportunità di viaggiare tanto. Oltre a quello di salvare delle vite, è chiaro. Anche se non hai un tetto sulla testa, visiti più posti di quanti un qualsiasi cittadino americano riuscirà mai a fare in tutta la vita ed io e Sammy abbiamo ancora tanto da vedere. In alcune città, lui non apprezzerebbe la vita notturna, secchione com’è, ma paesaggi come questo gli piacerebbero, ne sono convinto». Ellie ora sorride e lo guarda dritto negli occhi. Sembra leggerci dentro chissà cosa. «Siamo molto diversi. Il fatto che lui adesso è all’università è la prova lampante, credo».
 
Ellie lo guarda con molta attenzione, forse troppa, tant’è che per un attimo Dean si sente piccolo sotto quello sguardo concentrato, ma non ne ha paura. Ellie non è lì per giudicarlo, vuole solo capire. «Studia a Stanford. E’ lì, adesso, e… non ci sentiamo da un po’. Per questo non mi fa tanto piacere parlare di lui». Prende un grosso respiro e punta gli occhi sul lago di fronte a lui. «Abbiamo sempre avuto un bel rapporto. Io sono il più grande e mi sono sempre preso cura di lui da quando la mamma è morta. La casa ha preso fuoco ed io l’ho portato fuori e da lì è sempre stata una specie di missione per me, un lavoro. Adesso però è via quindi si prenderà cura di se stesso. O almeno lo spero».
 
Ellie arriccia le labbra in una strana smorfia. Resta in silenzio per qualche istante, fissando un puntino davanti a sé, a terra, e poi si volta di nuovo, gli occhi blu fissi in quelli di Dean. «Posso dirti una cosa?» lui annuisce «Io capisco che ti manca, ma… ne parli come se fosse morto». Dean aggrotta le sopracciglia, perplesso. «Forse non posso comprendere quello che senti, ma in fondo lui sta bene. Voglio dire, è fuori da ogni pericolo, è a posto. E se è un cacciatore sa difendersi in caso di pericolo, quindi non vedo il problema».
 
Dean si passa una mano davanti alla bocca, la schiena piegata in avanti e i gomiti puntati sulle ginocchia. «E’ che io e lui siamo sempre stati insieme, capisci? Eravamo noi due contro il mondo. Poi lui se n’è andato, ha pensato solo a se stesso» fa una pausa, sospirando appena «Non mi sto lamentando, ok? Voglio dire, a me piace questo lavoro. Solo non voglio farlo da solo».
 
Non ha idea di come sia arrivato ad ammettere una cosa del genere. Non pensava di riuscire più a parlare sinceramente, di non nascondersi dietro una scrollata di spalle o un sorriso, come fa di solito, e soprattutto non con una persona che non è Sam. Lui era in grado di farlo sfogare, prima o poi, e Dean pensava che nessun altro sarebbe mai riuscito a farlo, ma Ellie continua a guardarlo negli occhi e sembra tutto facile in questo momento, tutto possibile.
 
Si sente leggero come forse non è mai stato, libero da quel peso che gli opprimeva lo stomaco e certo la situazione non è cambiata, Sam è ancora un secchione e sta a mille mila chilometri di distanza da lui e gli manca esattamente come dieci minuti fa, ma l’averne parlato con qualcuno lo fa sentire meglio, anche se non lo ammetterà mai a voce alta.
 
«Dovresti chiamarlo» Ellie tira le labbra in una linea sottile, un gesto per certi versi molto simile ad un piccolo sorriso. «Anche solo per sapere come sta. Sarebbe un inizio» Dean annuisce e promette a se stesso di pensarci, ma non è poi così sicuro di farlo. Non vuole essere lui a fare il primo passo.
 
Sorride appena e ricorda i giorni più spensierati, le prese in giro e i sorrisi del suo fratellino, che in certi momenti erano l’unica cosa che lo mandavano avanti, che lo facevano continuare a tenere duro, a sorreggere quel peso sulle spalle.
 
Emette un piccolo sbuffo e senza rendersene conto si ritrova a parlare ancora di suo fratello. Racconta di quella volta in cui Sammy aveva mangiato un’intera confezione di caramelle gommose in un giorno solo per fargli un dispetto; aveva sei anni ed era molto più impertinente di adesso o di come se lo ricorda. E poi dei suoi orrendi gusti musicali e del suo essere sempre così appiccicoso e di voler sempre dimostrare affetto in modi che a Dean non è che siano poi mai piaciuti tanto, tipo gli abbracci e quelle cose da femminucce che ogni tanto Sam faceva.
 
Ellie sorride spesso, forse immaginando Dean bambino o poco più grande alle prese con un fratello completamente diverso da lui e a guardarla con attenzione adesso capisce il vero significato delle sue parole, del perché gli abbia parlato in quel modo ieri notte. Il suo era un modo schietto per dirgli che lei, in caso di bisogno, lo avrebbe ascoltato. Ed è proprio quello che sta facendo adesso e quella piccola presa di coscienza lo fa sentire più al caldo, più… a suo agio, ora che lei sa e che una parte del suo dolore è uscita allo scoperto.
 
Il tempo passa senza che se ne accorgono mentre parlano di cose passate e sì, forse dovrebbe chiamare Sam, ma Dean sa per certo che, testardo com’è, non lo farà. Non senza una massiccia dose di whiskey in circolo. 

 


[1] L’allievo di Jackson Pollock è frutto della mia immaginazione. Semmai esiste un Randy Connor, probabilmente non ha mai neanche visitato il suo atelier XD
[2] Henry Gale è il nome che viene usato da uno dei personaggi di Lost (non dico chi per evitare spoiler a chi ha intenzione di vederlo) per non svelare la sua vera identità.
[3] Il Seattle Art Museum, invece, esiste davvero e spesso viene abbreviato con la sigla SAM.
[4] Citazione di Sam dall’episodio 1x13 “Route 666”
  
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