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Autore: _A m a l i a_    24/06/2015    3 recensioni
Milano, Seconda guerra mondiale.
Una storia d'amore più forte del tempo. Più forte della guerra e delle proibizioni.
Clarissa è la giovane figlia di un sostenitore del partito fascista. Cesare è l'uomo di cui s'innamora. Un uomo che combatte la dittatura e mette a repentaglio la propria vita per salvare quella degli altri. Un eroe silenzioso.
La loro storia cammina di pari passo con la disperazione, con la morte e cresce nascosta dagli occhi indiscreti di chi non potrebbe accettarla.
***
Dal 13esimo capitolo:
«Prometti di gridarmi che mi ami e che il suono delle tue parole mi arrivi anche sopra gli spari e lo scoppio delle bombe. Prometti di custodire una parte della mia vita nella tua, così che saprò che non ti lascerai mai morire, per non uccidere anche me.»
Genere: Drammatico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Guerre mondiali, Dopoguerra
Capitoli:
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*Nota autrice:
Scusate il ritardo con cui pubblico questo nuovo capitolo! Spero vi possa piacere e spero vi stia piacendo anche la storia :)

Un enorme ringraziamento alle dolci anime pie che mi hanno sempre fatto sapere cosa ne pensavano, grazie di cuore..
Buona lettura!


 
 
Come d’autunno le foglie




 ~ prima parte ~



 
16.

1946

In una lunga collana d’orata, un ciondolo ovale appartenente a Clarissa si muoveva tra le mani della piccola Maria.

Clarissa le accarezzava le guance rosate e sorrideva, notando come i suoi occhi si facevano, con il passare dei giorni, sempre più simili a quelli della madre.

Gemma entrò nella stanza. «Clarissa cara, c’è quel tuo amico.»

Clarissa, si girò, guardandola disorientata. «Quale amico?»

«Quell’avvocato. Ti sta aspettando in salotto.» le disse. Quando Clarissa fece per uscire, incrociò il volto contrariato di Gemma. «Sai quanto poco mi fidi di quel ragazzo, vero?»

Clarissa annuì e appoggiò una mano sulla sua.

«E dopo l’ultima trovata che ti ha rifilato.» sbuffò Gemma. «Come se Cesare possa davvero essere…» s’interruppe e strinse più forte la mano di Clarissa, lasciandola andare solo quando ebbe la certezza che la forza d’animo nascosta in quella giovane donna, era maggiore di qualsiasi sua preoccupazione.

«Lascia che me ne occupi io.» Clarissa le baciò la guancia, per rasserenarla e raggiunse Lorenzo.

Il papion che indossava quel giorno era grigio, in perfetta tinta con le scarpe e meno appariscente di molti altri che gli aveva visto vestire. La sua visita portava le migliori intenzioni e a mostrarlo erano i suoi occhi, pentiti e felici di rivederla al contempo. Dall’ultimo loro infelice incontro erano passate settimane.

Senza scambiarsi troppe parole, per timidezza o per pudore, si sedettero e bevvero il the che Gemma aveva preparato pochi minuti prima.

«Sono sempre stato così.» disse, dopo pochi sorsi, lui. «Do fiducia cieca a tutto quello a cui, in cuor mio, so di non credere. E’ davvero strano, non posso negarlo. Ma credo di averlo sempre fatto.»

«E’ giusto tenere in considerazione ogni nuova segnalazione. E’ quello che un avvocato dovrebbe fare.»

Lorenzo sorrise. «Significa che hai già perdonato il mio comportamento?»

«Il tuo comportamento come avvocato non ha bisogno di nessun perdono. Sei la persona che più mi ha aiutato nelle mie ricerche e senza mai chiedermi nulla in cambio.» sospirò Clarissa. «e il tuo comportamento come amico… certo che l’ho già perdonato.»

Il viso di Lorenzo cambiò. «Sono felice, Clarissa. Sono davvero felice.»

«Sono felice anche io.» disse, e lo era davvero. Le sue amicizie più leali si sarebbero potute enumerare sulle dita di una mano e Lorenzo era una di quelle.

In quell’ istante entrò, dalla porta principale, il piccolo Giorgio con un pallone guastato sotto il braccio. Le sue ginocchia erano completamente ricoperte di terriccio e i suoi occhi spargevano una gioia contagiosa. Clarissa, divertita, lo richiamò a sé e gli mosse i capelli.

«Lui chi è?» chiese Giorgio a gran voce, fissando curioso l’avvocato.

«Questo signore è il mio amico Lorenzo. Va’ a stringergli la mano, come un bravo ometto.» lo incitò Clarissa che prima di farlo allontanare, pulì la sua piccola mano sul suo vestito color violetta. «Ecco, ora vai.» sorrise, incrociando lo sguardo di Lorenzo.

Giorgio gli porse la mano con innocente fierezza, senza smettere di studiare l’estraneo che aveva di fronte. «Anche mio padre aveva gli occhiali. Erano tondi come i tuoi, ma non così scuri» gli disse. «Li ho nascosti in un cassetto della mia stanza, li vuoi vedere?»

Clarissa si alzò per ritirate le tazze da the. «Giorgio ora non hai tempo, devi correre in bagno a ripulirti, prima che Gemma ti trovi in questo stato.»


Lorenzo guardò Giorgio sbuffare e saltellare verso il bagno e decise di aiutare Clarissa a ripulire la tavola. Per un attimo si chiese se insistere. Certe volte odiava quel suo sesto senso; un piccolo sensore che lo avvertiva, in cuor suo, che qualcosa non quadrava. Si stupì di sentirlo proprio in quel momento e fece il possibile per non dargli corda. Conoscendo quella ragazza sapeva che un accenno troppo diretto a ciò a cui pensava l’avrebbe fatta richiudere in un guscio. «Che bambino pieno di vitalità.» disse, solamente.

«Si.» Clarissa, sorrise. «Una piccola peste.»

«Certo non deve tenere annoiati i suoi genitori.» guardò Clarissa, aspettando una sua reazione. Alle volte bastava un leggero colorito sulle sue pallide guance, per dare certezze ai suoi dubbi. «Mi è sembrato parlasse del padre al passato, o sbaglio?» le chiese.

«Come?» una tazza minacciò di scivolare dalle mani di Clarissa, mentre la riponeva nel lavello.

«Voglio dire…» sorrise, per distendere la tensione che sembrava essersi creata. «nasconde gli occhiali che portava suo padre. E’ strano che lo faccia… insomma, o il marito di Gemma è guarito dalla miopia oppure che ragione avrebbe di tenere i suoi occhiali?» non terminò la frase.

Clarissa si schiarì la voce e avvertì vivido un formicolio. «Giorgio non è il figlio naturale di Gemma e di suo marito.» rispose, strofinandosi le dita della mano. «Ti andrebbe di andare a fare una passeggiata? Sembra ci sia una bella giornata.»

«C’è un sole meraviglioso, sì.» commentò, appoggiandosi meglio alla credenza della cucina e guardandola negli occhi. «Clarissa non ti ho infastidita con la mia curiosità, vero? Ho come l’impressione di aver chiesto qualcosa di sbagliato.»

Clarissa si sforzò di sorridere. «Non hai chiesto niente di sbagliato, Lorenzo.»

Poco dopo fu Lorenzo a rompere l’ inconsueto silenzio che si era creato. «Accetto l’invito per una passeggiata, molto volentieri. Ma prima non posso evitare di chiederti un’ ultima cosa. Già che sono qui, mi sembra impossibile trattenermi dal farlo.»
 


 
Accompagnò Lorenzo nel sottoscala, dietro sua richiesta. Esclusa la famiglia di Gemma, Lorenzo era il primo che vi entrava e, percorrendo la scalinata, Clarissa riuscì ad avvertire il peso per l’aspettativa che si era creata in lui.

«Sono l’unica a dormire qui.» disse Clarissa, accendendo le poche lampade a parete. «Anche se ogni volta mi addormento pensando a quanto sia enorme per una sola persona.»

Lorenzo, invece, rifletté su quanto fosse immensamente inadatto anche per un’ unica persona, ma non lo disse, né disse quel che provava nel pensarlo come dimora di molte più persone. Eppure il sapore del passato era impresso in ogni angolo di quelle murature, chiunque l’avrebbe avvertito, persino chi non conosceva la storia che aveva custodito per lunghi mesi.

«Ora che lo vedo,» sussurrò, come se gli risultasse persino scortese parlare ad alta voce in quel luogo. «credo di averlo sempre immaginato così.»

Camminò per la stanza, mentre Clarissa avvertiva il bisogno di uscire da lì e ritornare ai piani alti. La presenza di un estrano, per quanto quell’estraneo fosse a lei vicino, non la lasciava indifferente, come aveva sempre immaginato.

Lorenzo accarezzò un mobile su cui erano state appoggiate alcune fotografie in bianco e nero. Riconobbe Clarissa, nei suoi occhi giovani e sorridenti, in un lungo abito elegante e al suo fianco, a cingerle il corpo, un uomo a cui solo ora riusciva a dare un volto. Uno sguardo serio, come glielo aveva sempre descritto, che non guardava l’obbiettivo, ma guardava lei. Uno sguardo che pur nella sua integrità non riusciva a nascondere la lealtà per l'amore che provava per quella ragazza e per ciò entrambi facevano, all’ insaputa di tutti.

Nascosta dietro altre fotografie che ritraevano l’incanto di Clarissa, nei suoi primi anni di vita e nella sua adolescenza, trovò una fotografia; molto più piccola, molto più rovinata. Cadde dalle sue mani, quando realizzò chi rappresentava.


Si girò verso Clarissa, che lo guardava senza sospettare. «Temo dovremmo rimandare la passeggiata.» pronunciò con un tono troppo brusco, dirigendosi verso la scalinata per abbandonare il sottoscala.

«Lorenzo?» lo chiamò Clarissa, confusa, seguendo il suo passo rapido.

Tornato ai piani alti, Lorenzo raccolse la valigetta nera dalla quale non si separava mai e la sua giacca, abbandonata in una delle sedie del salotto e camminò, deciso ad andarsene.

«Mi dici cosa ti è preso?»

«Cosa mi è preso?» gridò. «Tutti quei discorsi sulla fiducia, sull’amicizia che ci lega... Sono stato in pensiero un’ intera settimana sapendo di averti ferito quando ho sospettato della sincerità di Cesare e adesso scopro che quella che non è mai stata sincera sei sempre stata tu.»

Clarissa lo guardò, senza avere la forza di replicare. Per lo meno riuscì a reggere il suo sguardo accusatorio.

«Perché non la chiami?» riprese, Lorenzo. «La cara Gemma, chiama anche lei.. scommetto che è partecipe di tutta questa menzogna. Quanto meno, abbi il coraggio di chiamarla con il suo vero nome.»

«Lorenzo, ascolta..» sospirò. I battiti del cuore accelerarono ancora prima che la mente realizzasse quanto stava accadendo.

«Tieni.» le passò la fotografia che aveva rubato dal sottoscala. «Mi hai sempre fatto credere che fossero tutti morti, come diavolo riuscivi a trovare il coraggio di fare una cosa simile?» sorrise, nervoso. «Fin dal primo giorno, mi avevi promesso di raccontarmi solo la verità.»

«Ed è quello che ho fatto.» ribatté Clarissa. Si sentì indifesa, sotto le sue accuse, pur non pentendosi di nulla. «Ma non potevo spiegarti questo.»

«Perché non potevi? Sono mai andato a raccontare qualcosa a qualcuno? Ti ho mai tradita?»

Carla, o meglio Gemma, così come riportava la sua nuova carta d’identità, si avvicinò a Lorenzo «Basta cosi!» disse, aprendo la porta dell’ingresso principale per invitarlo ad uscire. «E’ già a conoscenza di molte più cose di quelle che merita di sapere, avvocato.»

Lorenzo Silvatti la guardò. Era la stessa donna ritratta nella fotografia, con una neonata in fasce. Aveva forse qualche chilo in più e i suoi capelli erano raccolti in forma diversa, ma era pur sempre lei; così come Giorgio era lo stesso bambino dal berretto sul capo. Erano parte di un’ istantanea di gruppo, scattata nel sottoscala. L’intero gruppo dei rifugiati.

«Sa che cosa le dico?» rispose Lorenzo a Carla, guardando Clarissa per un’ ultima volta prima di uscire. «Che ha perfettamente ragione. Non merito di sprecare il mio tempo così.» Disilluso dalla lealtà di quella ragazza, lasciò la casa.


 
 
«Carla, perché l’hai mandato via?» le chiese Clarissa, infastidita.

«Perché non è con lui che devi parlare.» la guardò come mai, prima di allora. «C’è qualcosa che il tuo avvocato non potrà mai spiegarti, Clarissa. Qualcosa che Cesare mi ha chiesto di non riferirti. E così ho fatto, sperando che un giorno tornasse e ti raccontasse tutto lui.» le prese la fotografia dalle mani e la guardò con rimpianto. «Ma adesso mi sono stancata di stare ferma a guardarti soffrire, senza che tu sappia la verità su come sono andate realmente le cose.»

 
 
  
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