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Autore: Emrys    24/06/2015    0 recensioni
Ilaria studiò il locale con occhio critico, sulle labbra le apparve un sorriso fugace e per qualche minuto si lasciò cullare dalla musica. Il Blood Moon le trasmetteva sempre una sensazione rivitalizzante, era grande poco più di una quarantina di metri quadri, aveva cupe decorazioni gotiche e praticamente ogni settimana riusciva a riempirsi come una scatola di sardine.
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Sei cresciuta, eppure è come se la tua essenza rimanesse pura e immutabile davanti allo scorrere del tempo.” Ilaria inghiottì a vuoto, sforzandosi di interpretarlo in qualche modo: era forse un modo angelico per dirle che gli piaceva? Un classico mi piaci era troppo tedioso? “Avrei voluto permetterti di avere una vita normale, ho il terrore che fino a quando sarai con me ti troverai invischiata in mezzo al sangue e alla violenza.” L'espressione sul volto di Eric non stava cambiando di una virgola, non lasciava trasparire niente e in quel momento Ilaria la trovava una cosa discretamente odiosa: voleva lasciarla? (Ma se non stavano neppure insieme.) Le stava dicendo che voleva agire da solo? (Un modo pateticamente delicato per sottolineare quanto gli fosse d'intralcio? Eppure era stata lei a stendere quel ragazzino petulante.) “Non tutti i desideri si realizzano, te l'ho già detto: qui non è affatto male.” Rifugiarsi nell'ironia era la sua sola scelta possibile, infatti vide subito apparire sulle labbra di Eric l’ombra di un sorriso: ok, non doveva pensare alla sua bocca, doveva ascoltarlo, doveva soltanto ascoltarlo. “Non hai neppure un quarto di secolo e sei già saggia.” Eric alzò la destra fino toccarle una guancia, e Ilaria fu avvolta in un piacevole calore che le fece mancare il respiro. Era ridicola, si comportava come una bambina, aveva già avuto dei ragazzi e quindi. Nel momento in cui lo vide chinarsi su di lei ogni pensiero razionale evaporò dalle sue sinapsi: un bacio? Voleva baciarla? L'avrebbe baciata? Si! Ilaria passò con bramosia la lingua sulle labbra, poi socchiuse gli occhi: era uno dei peggiori cliché dei film, tuttavia sentiva che se l’avesse guardato ancora in faccia si sarebbe sciolta.
Le loro fronti entrarono in contatto e per un prezioso secondo Eric desiderò di poter restare a contemplare il suo viso fino alla fine dei tempi. Ilaria manteneva gli occhi chiusi, era in attesa, e dal piccolo cipiglio sulla sua fronte Eric intuiva che aveva il terrore di aver frainteso tutto: forte e decisa nelle difficoltà, ma sempre dubbiosa e fragile quando qualcosa la coinvolgeva personalmente. “Mia.” Eric aveva sussurrato quella parola senza una ragione precisa, la vide fremere in risposta e quando le sue palpebre tremarono si chinò a baciarle con una languida lentezza. “Ogni parte di te ha un buon sapore, non sai quanto ho sognato poterti assaggiare.” Intervallava le parole ai baci con cui le tempestava il volto, e Ilaria non riusciva a capire se stesse sognando o meno. “Ho aspettato tanto.” L’aveva sussurrato a un centimetro dalle sue labbra, erano tanto vicini da passarsi la stessa aria ed Eric teneva entrambe le mani strette in quelle di lei.
“Tu ti lamenti di aver dovuto aspettare? Io per anni mi sono sentita rispondere che eri un parto della mia mente, o nel migliore dei casi un poco di buono che dopo essere intervenuto aveva preferito non avere guai. Non ho mai dimenticato quella notte.” Le era uscito spontaneo e prima che Eric osasse replicare gli mise le braccia al collo attirando a se le sue labbra. I loro baci erano profondi, insistenti e all’improvviso familiari: la lingua di lei scopriva la profondità e la dolcezza della bocca aperta di lui, mentre le esplorava la sua. Era il suo amico, il suo angelo prediletto, il salvatore e custode che rimanendo nell’ombra l’aveva protetta per tutti quegli anni. Nei giorni seguenti avrebbero dovuto affrontare gli Anziani, una banda di angeli squilibrati, o un esercito intero, eppure non aveva importanza: insieme erano completi e non lì avrebbe fermati niente e nessuno.
§§§
Iris aprì gli occhi lentamente e non appena si abituò alla luce fece uno sbadiglio spontaneo: la tensione prodotta dalla notte precedente non era sparita, eppure era riuscita a dormire tutta la notte. Merito dell’affetto che le trasmettevano gli Anderson? Forse. Scese dal letto con un balzo atletico, indossò un paio di pantaloni leggeri chiari e prima di correre in bagno ci abbinò una camicetta rossa. Erano gesti automatici, tipici di ogni mattina, tuttavia  quello che le si presentava era un giorno unico e pieno di entusiasmanti prospettive: doveva trovare l’uomo che l’aveva fatta scappare, lui per forza sapeva cosa stava succedendo r rappresentava l’ultimo appiglio per la sua speranza di non essere cattiva come i mostri che la inseguivano. All’improvviso chiuse gli occhi e smise di lavarsi i denti: lei era una persona buona, non aveva mai fatto del male a nessuno, e non doveva dimenticarlo, mai! Concedendosi quei piccoli incoraggiamenti si sentiva un po’ ridicola, tuttavia ogni volta che lo faceva riusciva a sentirne maggiormente il peso. “Io sono buona e non permetterò a nessun mostro di fare del male agli Anderson.” La sua immagine mostrava un cipiglio serio, ferino, ma durò solo un istante: loro erano il suo nuovo inizio, la sua famiglia.
Quando entrò in cucina scorse Anna, ma prima che potesse dire qualcosa fu travolta da un abbraccio e sommersa da un piatto di ciambelle fumanti: a quanto sembrava, la signora aveva la bizzarra convinzione che a stomaco vuoto non si potessero affrontare i problemi. “Prima che andasse a lavoro ho parlato con Paul.” iris aveva l’impressione che esitasse, tuttavia decise di concentrarsi sulla deliziosa ciambella e non le mise fretta: era bizzarro quanto le fosse di consolazione sapere che qualcuno si preoccupava per lei. “Lui non è molto convinto, non si fida di cose del genere, però ha accettato di fare un tentativo con un medico che conosciamo.” La signora Anderson fece appena a tempo a pronunciare la parola medico che Iris rizzò il capo sospettosa: la credevano malata? Sarebbe ricominciato il circo dei medici che la definivano problematica, asociale e con tendenze para. Paravoiche?(Che poi ancora non capiva come si potesse tendere a qualcosa: o si era o non si era in paravoico) “Sto bene, non erano altro che graffi e mi avete fatto fare l'antitetanica con il resto delle vaccinazioni. Quindi a cosa può servire un dottore?” Doveva riuscire a capire se dopo la scorsa notte gli Anderson si erano decisi a liberarsi di lei, non era proprio il momento di lasciarsi andare ai ricordi. “Non è un medico in senso stretto, come quelli degli ospedali, ma uno psicologo: non c’è da vergognarsi se quando si subisce un trauma se ne ha bisogno. Anch’io, quando ero giovane, ho seguito una lunga terapia.” A quest’ultima affermazione Iris inclinò il capo e la osservò meglio, non le sembrava che portasse i segni di quell’ipotetica terapia sul suo corpo. “E per quanto…” “…Dovrebbe durare? Sarà una cosa di pochi giorni e se in qualunque momento vorrai smettere, o vorrai parlarne con me, io ci sarò. D’accordo ?” Adesso Anna si era chinata verso di lei e le tendava la mano. Iris non era del tutto convinta della faccenda dello psicologo, ma il modo in cui sua mamma riusciva a presentarle le cose era sempre disarmante, così le strinse la mano di rimando e annuì con slancio. “Va bene, mi fido: se servirà a far sentire meglio te e… Papà andrò da questo tipo.” La soddisfazione di Anna era palese e prima che la lasciasse per fissare un appuntamento l'abbracciò ancora una volta.
§§§

Il camion delle consegne era arrivato in ritardo, come al solito, ma in fondo era solo una delle tante grane tipiche della gestione di un locale. Maxwell firmò le ricevute e quando il camion ripartì  iniziò a portare dentro le casse. Avrebbe dovuto assumere un aiutante, in realtà lo aveva fatto, però da quando aveva perso la sua barista migliore non era riuscito a trovare qualcuno all’altezza. O forse non voleva un sostituto, ma la ragazzina che aveva preso sotto la sua ala. Non poteva fare a meno di vedere Ilaria come una sorta di sorellina. Le sue amiche continuavano a passare le serate libere nel suo locale e ogni volta gli chiedevano se avesse avuto notizie. Come poteva raccontare loro quello che sapeva? Se non lo avesse visto con i suoi occhi non ci avrebbe creduto neppure lui. “Non mi sono mai accorto di quanto il Blood Moon potesse essere silenzioso.” Ormai passava nel locale più ore di quante ne passava a casa propria e in un certo senso sentiva i suoi dipendenti come una sorta di grande famiglia allargata. Il suono di un miagolio frustrato lo fece distrarre dai rendiconti, quel piccolo ladruncolo era diventato la mascotte del locale e pure lui sentiva la mancanza di Ilaria. “Hai sempre voglia di pappa, eh?” Il micio lo fissò con degli occhioni teneri e una volta saltato sulla scrivania cominciò a fare le fusa. Quell'infingardo era un bel furbetto. “Fammi finire qui e ti darò una tazza piena di latte caldo ok?” “Miaaao!” Avrebbe giurato di vedere nel suo sguardo un certo compiacimento, che il piccolo Hunter lo capisse davvero? In fondo al mondo esistevano cose ben più bizzarre di un gatto poliglotta.
§§§



Gli ululati dei lupi riecheggiarono nella vallata, Riel sogghignò e fissò il cielo con un'espressione meditabonda: la maggior parte di loro amava muoversi in fretta, affidandosi alle proprie ali, tuttavia lo spirito umano per lui era uno spettacolo tanto affascinante che desiderava studiarlo il più possibile. A maggior ragione adesso, visto che il tempo stava per scadere.
“In fondo è stato uno spettacolo interessante, ma il raccolto è maturo e non c’è più molto tempo.” Il suo palazzo, intagliato nella viva roccia, gli apparve all'orizzonte, e nel tempo di un istante gli si affiancarono due giganteschi lupi bianchi. “Hate e Skooll: le mie guardie migliori, le più fedeli. Fremete per riavere le vostre sembianze, vero? Anche voi sentite che l'ora del cambiamento è vicina, nessuno tra quei presuntuosi ha mai sospettato niente: creature patetiche.” Anche gli altri soldati di guardia sembravano averli scorti, e di stanza in stanza i lumi si accesero sotto il suo sguardo. “Questo vuol dire che possiamo mangiare?” La domanda di Hate, così apparentemente innocente e normale, attirò subito l'attenzione di Riel. “In fondo siete stati buoni per quasi mezzo millennio: meritate un premio.” Sfiorò la fronte di entrambi i lupi, in una muta benedizione, e questi scattarono lungo il sentiero che aveva appena percorso.
Il grande Anyel aveva ragione: Riel sta complottando per rovesciare l’ordine del nostro mondo. E quelle due bestie che lo avevano accolto erano ricolme di un’energia troppo vasta per essere dei semplici animali.” Doveva muoversi in fretta. “Eccolo.” Quella singola parola gli giunse direttamente nel cervello e quando dischiuse le ali per scappare uno dei lupi emerse alle sue spalle, squarciandogli il ventre con una zampata possente: non una ferita mortale, certo, ma comunque dannatamente dolorosa. “Se lo roviniamo subito non c’è gusto.” “Hai ragione, scusami, non sono riuscito a controllare l’entusiasmo.” Adesso entrambi i lupi erano usciti dalle ombre e gli mostravano le loro zanne affilate in un inquietante ghigno di derisione. Perché riusciva a sentire i loro pensieri? Cosa aveva fatto Riel per creare quei mostri? “Ragazzo, loro non sono mostri, ma soltanto due delle creature più fedeli del nostro signore. La tua presenza implica che il caro Anyel ha qualche sospetto, dalle insegne che porti sembri addirittura un membro del suo gruppo di spionaggio migliore.” La voce estranea rimbombò nell’aria, senza manifestare una fonte precisa, e lui si ritrovò sempre più immerso nella convinzione che non ne sarebbe uscito vivo. “Noi scompariremo.” Era un pensiero disperato, pronunciato a mezza voce, tuttavia maledettamente realista.
   
 
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