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Autore: jellyfish    14/01/2009    1 recensioni
Balor, dio della morte, decide di prendere moglie e sceglie la bellissima dea dell’amore Branwen. Dal matrimonio nascono tre figlie femmine che il dio della morte educa come sue future aiutanti. Ma cosa succederebbe se una di loro si dovesse innamorare di uno dei mortali, che invece dovrebbe uccidere? Scatenerebbe di sicuro l’ira del padre. “-saranno le mie eredi. Diventeranno il mio braccio destro. Appena avranno compiuto tutte cinque anni, le educherò io, come più mi aggrada. Mi avete capito? -sì, ma non ho intenzione di ascoltarvi! Non me le porterete via e non ne farete dee di morte e di disperazione come voi! Non lo permetterò- la voce della dea adesso era forte e acuta, disperata quasi. Sapeva benissimo che le sue erano solo vuote minacce, Balor avrebbe fatto comunque quello che voleva e nessuno lo avrebbe mai fermato.”
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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VI

Breve riassunto dei capitoli precedenti richiesto da Yum: Balor un giorno decide di prendere moglie e sceglie per sé la bellissima dea dell’amore Branwen e, nonostante i due si conoscono da soli due giorni, si sposano. Dal matrimonio, nove mesi dopo, nasce una bambina, Badb, ma il padre non ne è per nulla felice. A breve distanza ne nascono altre due e un giorno Balor prende la decisione, senza consultare la madre, di educarle come se fossero tre maschi, ossia come suoi aiutanti. Branwen intanto, delusa dal comportamento del marito e dalla visione delle sue figlie anni dopo, scappa in giardino e incontra un giovane che le fa un effetto strano, tanto che una notte lo sogna: un giardiniere che la vede piangere accanto ad una fontanella. Le tre dee vengono comunque istruite dal padre e arriva il giorno del loro primo incarico, tuttavia Macha non riesce ad accettarlo e si sfoga con la madre.

 

Yum mi dispiace che non ti stia piacendo come l’altra!! Ma non ti preoccupare che arriverà il suo seguito!! Solo che devi aspettare un po’ perché al momento sono molto incasinata, infatti non riesco ad aggiornare molto spesso anche questa storia!

 

Per Devilcat: ciao!! Sono contenta che la mia storia ti stia piacendo, mi dispiace però che dovrai aspettare un po’ tra un capitolo e l’altro perché in questo periodo sono davvero lenta a scrivere!! Purtroppo non riesco ad aggiornare molto spesso ma cercherò di fare del mio meglio!

 

VI

 

Qualche giorno dopo Branwen era di nuovo nel giardino, seduta sul bordo della sua fontanella a specchiarsi nelle sue acque, ma con la palese speranza di rivedere quel giovane che da giorni tormentava e agitava i suoi sogni. Stava pensando però alle sue figlie, che a quell’ora erano sicuramente nel mondo degli umani a svolgere quel loro infame compito. Quel giorno faceva particolarmente freddo sull’isola e si diceva che la divinità del tempo prevedesse una pesante nevicata. Apposta per quello la dea si era vestita in modo pesante: aveva un vestito di velluto rosso, ricamato con pizzi bianchi sull’orlo, perle preziose e fili d’oro sul corpetto e su tutta la gonna; per ripararsi ulteriormente dal freddo e dalla possibile neve, aveva una mantella bordeaux con il cappuccio che le copriva le spalle e la schiena fino alla vita ed il bordo era ricoperto da una calda e morbida pelliccia. Anche i guanti erano di velluto e avevano il contorno di pelliccia. Era stupenda come sempre.

-oggi non siete triste- era di nuovo quella voce tanto dolce che aveva sentito giorni prima e poi quasi tutte le notti nei suoi sogni.

-come mai in giardino, se non potete lavorare dato che è prevista neve?

-e chi lo dice, mia signora, che con la neve i giardinieri non lavorano?- le disse con il suo sorriso celestiale –chi coprirebbe le piante e le riparerebbe dal freddo pungente, se noi non lavorassimo sotto la neve?

-avete ragione, giardiniere… non so nemmeno il vostro nome…- lei lo stava guardando con occhi quasi adoranti, come se volesse stamparsi nella memoria ogni suo singolo particolare per non dimenticarlo mai.

-io sono Sitchain, mia signora- a quel nome la dea fu scossa da un brivido lungo la schiena; si ricordò che, nel suo primo sogno, il ragazzo stava per rivelarle il suo nome e si poteva ricordare chiaramente che la prima sillaba pronunciata era “Si”.

-è un piacere fare la vostra conoscenza giardiniere Sitchain

-credetemi, mia signora, il piacere è tutto mio

Branwen non riuscì a trattenersi dal sorridergli, felice di averlo rincontrato e di aver saputo finalmente il suo nome. Proprio in quel momento iniziarono a cadere i primi fiocchi di neve e la bella dea alzò il cappuccio della sua mantellina sui capelli color fiamma, legati in una treccia avvolta sulla nuca. L’odore della neve era inconfondibile, quell’odore fresco che ti riempie i polmoni a ogni respiro; sia Sitchain che Branwen alzarono gli occhi al cielo e annusarono quel gradevole profumo di inverno; il silenzio dei lenti fiocchi che cadevano intorno a loro avvolgeva tutto in un’immobilità che sembrava magica.

-mia signora, inizia a nevicare, venite al riparo- e le offrì la mano per condurla sotto un elegante gazebo di pietra, poco distante dalla fontanella, ma che Branwen non aveva mai visitato. Lei accettò la sua mano con un lieve imbarazzo, che le colorò le guance di rosso. Sitchain la fece sedere su una panca di pietra e a sua volta si sedette di fianco a lei.

-avete uno strano nome, Sitchain, ha un significato particolare?

-significa pace nell’anima

-bel nome e bel significato

La soave voce della dea aveva fatto incantare il giovane giardiniere.

-grazie, mia signora

-basta chiamarmi così, sono stanca di sentirmi chiamare da tutti mia signora. Chiamatemi Branwen

-va bene, Branwen- Branwen: com’era dolce quel nome pronunciato dalle sue labbra.

-ora dovrei andare, a palazzo si saranno accorti della mia assenza

-spero di ricontrarvi ancora, Branwen

-lo spero anche io, Sitchain

I due si guardarono per un attimo negli occhi, senza sapere bene cosa fare o cosa dire; ma la dea si riscosse dal torpore che le provocavano quegli occhi e corse via verso la sua prigione, terribilmente imbarazzata e ripromettendosi che non sarebbe più capitata una cosa simile. Ancora non riusciva a capacitarsi di quello che le stava succedendo. Non solo si era lasciata toccare la mano da quel giardiniere, ma gli aveva dato anche il permesso di chiamarla con il suo nome e la cosa più strana era che le piaceva sentirlo pronunciare dalle sue labbra. Corse come una furia verso la sua stanza e incrociò Olimpia nel corridoio, ma nemmeno la notò, presa com’era dalla sua emozione che ancora le faceva arrossire le guance. La serva comprese al volo che era successo qualcos’altro con il giardiniere e scosse la testa rassegnata, ma anche preoccupata per la sua padrona.

 

_.¤°*.¸¸.·´¯`»*(o)*«´¯`·.¸¸.*°¤._

 

Badb, Nemain e Macha si trovavano nel mondo degli umani, pronte, o quasi, a compiere il loro lavoro. Nel mondo mortale non stava nevicando come sulla loro isola, anzi c’era un sole alto nel cielo e il caldo era quasi insopportabile. La loro prima vittima sarebbe stata una donna di nome Kona, ammalata di una strana malattia. Non dovettero nemmeno cercare la sua casa poiché sapevano esattamente dove si trovavano le vittime e vi entrarono, invisibili, come solo le dee possono essere agli occhi dei mortali. Trovarono una scena che avrebbe scaldato il cuore a chiunque, tranne alle dee della morte. La casa era piccola e restava in piedi per miracolo, era sporca e spoglia, un luogo perfetto per ogni malattia insomma, e in più un acre odore di marcio e malsano impregnava l’aria che gli abitanti respiravano, ma che risultò disgustosa anche per le visitatrici invisibili; Kona era distesa su un pagliericcio che doveva avere la funzione di letto. Era una donna che forse un tempo doveva essere stata bella; aveva i capelli neri, un tempo lucidi, sparsi sul cuscino dietro la sua testa, tutti aggrovigliati, sporchi e pieni di nodi; gli occhi scuri come i capelli si aprivano solo per qualche secondo ed erano lucidi per la febbre e deliranti; anche da sdraiata si potevano vedere le curve del suo corpo rese spigolose dalla magrezza e tutte le ossa sporgenti al di sotto della pelle grigiastra. Come se la scena non fosse già abbastanza triste da osservare, nella stanza era presente la sua famiglia che la osservava morire. Il marito era chino su di lei e le stringeva una mano ossuta, per darle un ultimo conforto prima della sua fine; i tre figli, magri quanto la madre, la fissavano con le lacrime agli occhi e stringendo ognuno un vecchio giocattolo, ormai distrutto dal tempo. C’era però un altro bambino, ai piedi del letto della madre che non piangeva e non stringeva nessun giocattolo semidistrutto, ma guardava con sguardo triste la madre; appena le tre dee entrarono nella loro casa, quel bambino dai tristi occhioni viola scuro spostò lo sguardo nella loro direzione, come se le potesse vedere.

-bene facciamo in fretta- era stata Badb ovviamente a parlare. Macha era invece stravolta all’idea di privare quei quattro bambini della madre e l’affettuoso marito della moglie. Nemain chissà a cosa stava pensando, mentre cominciava a suonare con le sue dita delicate la melodia composta proprio per quell’occasione.

Iniziarono il loro lavoro, Kona vide la classica luce bellissima di fronte a sé e le due dee cominciarono a chiamarla, accompagnate dalla musica suonata da Nemain. Lo sguardo di Macha cadde per errore sul bambino ai piedi del letto della quasi defunta e incrociò i suoi occhi che la fissavano spaventati.

-Badb fermati!

Macha bloccò la sorella, prendendole un braccio. Ma la sorella si limitò a lanciarle uno sguardo infastidito e cercò di scrollarsi la sua mano dal braccio, Macha allora le infilò le unghie nella carne per farla fermare.

-cosa diavolo stai facendo?!

-il bambino! Ci può vedere!

-ma cosa dici?! Nessuno può vederci! Lasciami lavorare in pace!

-NO! Non possiamo ucciderla davanti ai suoi occhi!

-ti ripeto CHE NON CI VEDE!

Badb aveva ignorato la sorella e aveva ripreso il suo lavoro, solo con l’aiuto dell’altra sorella. Macha invece continuava a fissare quegli occhi viola che adesso avevano iniziato a lacrimare copiosamente e la guardavano con un’espressione sconvolta, quasi implorando il suo aiuto. Macha non poteva fare nulla per lui e continuava ancora a guardare fisso nei suoi occhi che erano diventati come una calamita per lei. Tutto avvenne accompagnato dalle struggenti note dell’arpa.

Badb e Nemain terminarono il loro compito e racchiusero l’anima della povera Kona in un cristallo, ciondolo che Badb portava al collo. Era tutto finito e il bambino fissava le tre assassine della madre, mentre il marito e gli altri tre bambini non si erano accorti di nulla e piansero lacrime amare per la morte della persona a loro così cara.

Le tre dee tornarono nel loro mondo, due di loro molto contente per come avevano svolto il compito affidatogli, l’altra invece con il cuore pesante per il senso di colpa che lo opprimeva e lo schiacciava.

Come prima cosa si recarono dal padre per comunicargli l’esito della missione. Ovviamente Balor fu molto contento e orgoglioso delle sue figlie. Tranne di Macha. Badb gli aveva comunicato cosa era successo in quella casa.

-perché ti sei comportata in quel modo? Cosa ti salta in mente, rispondi Macha!

-quel bambino ci vedeva- la voce del dio era irata, mentre quella della piccola dea era calma e sottomessa. Lei stessa stava diventando piccola piccola nei confronti del padre e fissava spaventata il pavimento, in attesa della sua punizione.

-da oggi tu ti occuperai di traghettare con me le anime che le tue sorelle prendono nel fiume che porta alla loro destinazione finale. Rassegnati figlia, sei una delle dee della morte e farai come ti dico- appena pronunciate queste parole il dio si girò, facendo svolazzare teatralmente il mantello sulle sue spalle, e uscì dalla grande sala, lasciando lì le due figlie. Badb aveva un sorriso soddisfatto sulle labbra, Nemain come sempre era assente e non si capiva se avesse sentito anche una sola parola pronunciata dal dio, Macha era sconvolta. La ragazza cadde sulle ginocchia e iniziò a piangere silenziosamente così che le sue lacrime caddero sulla veste scura. Le sorelle uscirono dalla sala per tornare nelle loro camere e la lasciarono lì da sola a piangere.

 

 

  
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