a tutti quelli che non ci sono mai stati e ai sogni che non possono essere realtà, per quanto ci si sforzi
Like we
could afford the world (ranting about what we
are not)
Shitty conversations and
messy relationships and hot sheets and how the Barcelona team is doing
something good and how much do I love German football teams and the
only
thought of you and how my life could be just so easier and funnier if
I’d let
me go and if you all were here–or if we all were there, you
know. Long night
talks and the starry sky; me and you tied up in our dreams, what if we
all
lived together and had fun together and stayed together for the rest of
our
lives. But, Christ, can you imagine? Can you imagine all this shit
being real,
all this mess being love, all this dreams being life? And the bed being
right,
the kisses faster and feelings deeper, and life expectations so low
like we
could afford the world.
Abbiamo
parlato del più e del meno la maggior parte delle volte,
senza
preoccuparci di rendere reali le conversazioni nonostante noi fossimo
degli
organismi ben funzionanti con gambe incrociate e labbra schiuse. Siamo
stati
amici di tutti contro le porte della notte, ho incrociato le braccia
più volte
di quante io stessa ricordi e sono stata zitta per mattinate intere, le
occhiaie scure a dimostrazione di quanto non avessi dormito. Ci
guardiamo negli
occhi poche volte, giusto per realizzare che siamo tanti e accerchiamo
lo
stesso tavolo rettangolare di casa di Aura per guardare il Barcellona
Football
Club vincere ogni partita che giochi—a differenza dei
mondiali, quando voi
arricciavate il naso per ogni scorrettezza ed errore ed io ridevo a
crepapelle
nell’angolo del divano, incrociando le dita nella speranza
che la Germania
vincesse; solo voi sapete che ho un debole per la Germania e le squadre
tedesche e la loro aria, che qui
sotto non si respira affatto.
Il
naso lo arricci daccapo giorni dopo, quando Kat dice che
partirà per
l’estate e che sarebbe bello averci lì, tutti
lì, insieme come sempre.
(non
dico a nessuno che il solo pensiero mi fa venire il capogiro, tutti
insieme lontano di qui, pronti ad affrontare quel gioco senza regole e
joystick
che è la vita)
Trascorrono
un paio di mesi ed è settembre, una mattinata silenziosa
come altre e tu sai a cosa sto pensando, mentre sfoglio un libro
qualsiasi di
una materia qualsiasi perché non sempre ascolto le
spiegazioni—e se io mi
lasciassi andare? E se io andassi, come tutto il resto? Se abbassassi
la
guardia, se guardassi di meno e parlassi di più, se
rischiassi e fossi più
impulsiva e meno me? Scuoti la
testa
pian piano senza che qualcuno se ne accorga, non dici nulla, fai
regnare il
silenzio calato ore prima.
Ne
parli con Caleb e lui non sa che dirti, mi riferiscono. In quel
momento tu sai qualcosa, poi,
perché ti
hanno visto con le labbra increspate in una smorfia e lo sguardo basso
e tu
assumi sempre quella posa quando ti rendi conto di qualcosa palpante e
prima
buia, inesistente.
Ne
parli con me sere dopo, quando ho gli occhi stanchi per
l’alfabeto greco
e parlo come Yoda nei prequel, tu mi riprendi e dici che dovrei
tradurre quello
che sta succedendo, piuttosto, perché significa che sto
dando di matto e sto
passando di nuovo quel periodo un po’ così, meno
qui e più lì. Il cielo è
stellato come la notte stellata di Van Gogh, ma nessuno dei due se ne
rende
conto perché sei troppo impegnato a farmi capire
con le sopracciglia corrugate.
«E se fossimo nei tuoi sogni?
Ci immagini?»
Reali,
in carne e ossa, muscoli e organi, mente e nervi. E sì, che
nervi, avere tutto ad un dito di distanza dalla fantasia.
Immagina la merda che sogniamo essere reale, il disastro essere amore, i sogni vita. Ed il letto essere quello giusto da condividere, i baci più veloci, le emozioni più profonde e le aspettative di vita più basse, come se potessimo permetterci il mondo intero.