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Autore: Anima90    25/06/2015    6 recensioni
Felicity ed Oliver sono praticamente gli opposti: lei, una ragazza seria, leggermente secchiona, amante dei computer e con le idee molto chiare riguardo al suo futuro; lui, di famiglia benestante, amante delle feste e del divertimento, e spaventato all'idea di dover crescere e prendere un giorno in mano le redini dell'azienda di famiglia. Per questo motivo, pur frequentando lo stesso liceo, non si sono mai conosciuti. Un evento inaspettato li farà incontrare e da quel momento le loro vite cambieranno per sempre.
TEEN AU - OLICITY
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Dinah 'Laurel' Lance, Felicity Smoak, Oliver Queen, Tommy Merlyn
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Oliver la mattina seguente si svegliò con un fortissimo mal di testa. Alla fine aveva deciso di dare alla festa una seconda possibilità, ritrovandosi così in mezzo alla folla a scolarsi qualche litro di birra di troppo e a flirtare con un paio di ragazze di cui non era sicuro di ricordare i nomi. In altre parole, comportandosi in perfetto stile Oliver Queen. Questo non gli aveva impedito di lanciare un paio (o forse una decina) di occhiate furtive all’ambiente circostante, alla ricerca della biondina che lo aveva sorpreso a suonare il pianoforte. Felicity. Evidentemente aveva lasciato la festa subito dopo il loro incontro perché non era riuscito a vederla da nessuna parte.
Si consolò al pensiero di avere ancora qualche ora a disposizione per poltrire nel letto, visto che la scuola era chiusa per l’inizio delle vacanze natalizie.
“Ollie! Svegliati! Dobbiamo andare a comprare i regali!”
La voce di sua sorella minore, Thea, gli rimbombò nel cervello riproducendo un suono così stridulo e fastidioso da fargli rimpiangere l’allarme della sveglia.
“Mmmm... che vuoi?" la voce risultò più roca di quanto intendesse. “E’ l’alba... lasciami dormire in pace!”
“Ma se sono le 10 e mezza! Alzati su, la colazione è già pronta e sul lavandino ti ho preparato due aspirine per il mal di testa”.
Anche se era più piccola di Oliver di cinque anni, Thea era stata costretta a crescere in fretta dovendo spesso e volentieri prendersi cura del fratello a causa delle sue bravate adolescenziali. Sicuramente tra i due era lei a ricoprire il ruolo di sorella maggiore. Tranne quando si trattava di ragazzi. In quel caso Oliver era più che felice di reimpossessarsi del titolo di fratello maggiore barra uomo delle caverne barra se-metti-una-mano-addosso-a-mia-sorella-te-la-faccio-a-pezzettini.
All’improvviso un bagliore accecante penetrò dalla grande finestra della sua camera, centrandolo in pieno volto. Quel risveglio diventava più traumatico ogni minuto che passava.
“Thea, per l’amor del cielo, chiudi quella cosa e lasciami dormire! Altri cinque minuti, ti prego..."
Con gli occhi ancora serrati, percepì la presenza di sua sorella accanto al letto. Sapeva che non si sarebbe arresa facilmente. Era una Queen dopotutto, e i Queen ottenevano sempre quello che volevano.
“Basta fare i capricci, Ollie. Mi avevi promesso che saresti venuto insieme a me”.
“Non può accompagnarti Dig?”
“Ah, certo, come no. Dig che mi accompagna ai grandi magazzini. Preferirebbe spararsi con la pistola di servizio piuttosto”.
Dig - John Diggle - era la giovane guardia del corpo incaricata alla protezione di entrambi i fratelli Queen. Nonché l’autista di fiducia dell’intera famiglia.
“Ollie….” Uh oh. Quel tono non prometteva nulla di buono. “Non costringermi a passare alle maniere forti…”
Oliver sapeva che la sua prossima mossa sarebbe stata sfilargli le coperte, lasciandolo morire di freddo. E non poteva permettere che accadesse, il suo corpo non avrebbe retto a quell’ennesimo trauma.
Aprì gli occhi con cautela, combattendo l’istinto di richiuderli alla vista della forte luce del sole.
“E va bene” si arrese, sbuffando sonoramente, cercando con fatica di mettersi seduto “ma niente Big Belly Burger per pranzo. L’ultima volta ho rischiato di rimanerci secco per tutta la senape che mettono in quei panini”.
“Tutto quello che vuoi, fratellone” Thea gli stampò un bacio al centro della fronte. “Ti voglio pronto in non più di venti minuti”.
Oliver osservò la sorella uscire dalla sua camera e per qualche minuto non riuscì a muoversi, ancora troppo assonnato e provato dai bagordi della sera precedente per trovarne la forza. Guardò fuori dalla finestra, il sole che si levava alto in cielo catturò la sua attenzione e si disse che dopotutto quella poteva essere una piacevole giornata da trascorrere in compagnia della sua sorellina.
Solo qualche ora più tardi, Oliver fu costretto a rimangiarsi quel pensiero.
“Speedy, ti avevo espressamente chiesto di non venire in questo posto”.
“Lo so, ma lo shopping mi fa venire voglia di patatine fritte e non ho saputo resistere. Poi, fratellone adorato, devo per caso ricordarti ancora una volta i termini del nostro accordo?”
“E da quando quella sottospecie di ricatto si chiama accordo?"
“Accordo, ricatto, chiamalo come ti pare. La sostanza non cambia. Io non dirò alla mamma dell’ammaccatura alla sua Lamborghini nuova, che ti aveva espressamente vietato di guidare, e tu farai tutto quello che ti chiedo fino alle vacanze di Pasqua. Mi sembra un giusto compromesso, dopotutto”.
“Sei diabolica”. Oliver grugnì, consapevole che la sorella con quella storia lo avesse praticamente in pugno. Si concentrò sul menù davanti a sé, provando a selezionare con accuratezza qualcosa che non gli provocasse l’attacco di pancia della volta scorsa. Non era mai stato in quel ristorante ma notò con disappunto che i piatti proposti da quella catena di fast food erano sempre gli stessi.
“Ciao ragazzi, benvenuti al Big Belly Burger. Avete già deciso cosa prendere o vi occorre più tempo?”
Oliver raggelò. Aveva già sentito quella voce. L’avrebbe riconosciuta ovunque.
Incredulo, alzò gli occhi dal menù e vide davanti a sé una cameriera bionda, con una coda di cavallo e spessi occhiali neri, intenta a digitare convulsamente sul display di un palmare, troppo assorta per degnare né lui né sua sorella di uno sguardo.
Era lei. Era Felicity.
“Mmm… vediamo…” fu Thea a prendere parola per prima ed Oliver gliene fu grato “io gradirei il menù doppio burger con patatine fritte e coca-cola. Naturalmente ketchup e majo in aggiunta”.
“Naturalmente. Invece per lei?”
Oliver sbattè le palpebre un paio di volte, come a costringersi a risvegliarsi dallo stato di trans in cui era piombato dopo aver scoperto che Felicity, la ragazza che aveva conosciuto la sera precedente, lavorava come cameriera in quel ristorante.
“Signore?”
Oliver vide Felicity alzare gli occhi dal display per la prima volta da quando si era avvicinata al loro tavolo. Il suo sguardo si posò immediatamente sul suo viso, celando stupore e una punta di imbarazzo.
 “Wo… Oliver…. che… che cosa ci fai tu qui?”
Che cosa ci faceva lui lì? Non avrebbe dovuto essere lui a farle quella domanda?
Dovette fare uno sforzo fisico non indifferente per costringere la sua bocca a parlare. Era come se il corpo non rispondesse più ai segnali inviati dal cervello. Probabilmente era andato in tilt anche quello.
“Tu… tu…. lavori qui?”
Fu la prima cosa che gli venne in mente di chiederle. Forse perché era la cosa che maggiormente gli premeva sapere.
La vide aggiustarsi nervosamente gli occhiali sulle narici. Non sapeva nemmeno che li indossasse. La facevano sembrare così… diversa rispetto alla sera precedente. Ma non per questo meno carina. Erano giusti su di lei, come se la rendessero più se stessa di quanto non lo fosse con il look adottato per la festa.
“Aspettate un attimo… voi due vi conoscete?”
Fu in quel momento che Oliver si ricordò di non essere solo. Il suo cervello provò ad elaborare  un modo per giustificare alla sorella l’accaduto ma Felicity lo battè sul tempo.
“No… cioè si… cioè è una lunga storia….” Thea le riservò uno sguardo a dir poco confuso e Felicity si affrettò a porre rimedio a quel mezzo disastro.  “Io e Oliver frequentiamo la stessa scuola”.
Giusto, frequentavano la stessa scuola. In fondo non era poi così strano che si conoscessero, no? O si?
"Capisco... Felicity, giusto? Lo leggo dal cartellino. Piacere, io sono Thea”.
Si strinsero la mano in segno di saluto. Oliver si limitò ad osservarle in silenzio.
“Sei la nuova conquista di mio fratello per caso? Questo giustificherebbe tutta la storia dell'imbarazzo se non altro…"
“Oh… assolutamente no… non sono la nuova conquista di tuo fra… aspetta, Oliver è tuo fratello?”
L’espressione stupita (e sollevata?) di Felicity fu il solo motivo che impedì ad Oliver sprofondare seduta stante per l’imbarazzo.
Credeva che Thea fosse la sua ragazza? E le sarebbe dispiaciuto se fosse stato così?
"Certo, io e Ollie siamo fratelli. Avevi paura che fossi la sua ragazza?"
Cavolo, era come se Thea gli avesse letto nel pensiero.
Le guance di Felicity avvamparono per la vergogna e a quel punto Oliver decise di intervenire. Voleva toglierla al più presto da quella scomoda situazione, conscio dell’invadenza della sorella.
“Smettila, Thea. Felicity è una mia compagna di scuola, niente di più”.
Suo malgrado si ritrovò a sperare che quelle parole non suonassero così categoriche come potevano apparire. Con cautela, analizzò la reazione di Felicity, pregando che non si fosse offesa.
“SMOAK! QUANTE ALTRE ORE TI OCCORRONO PER PRENDERE UN’ORDINAZIONE? IL TAVOLO 2 RICHIEDE LA TUA PRESENZA, VEDI DI SBRIGARTI!”
La vide sussultare alle grida di quella donna, decisamente troppo maleducata per i suoi gusti.
“E’ tutto ok?”
“Si, tranquillo. Se ti occorre più tempo passo più tardi. Ora devo davvero andare ad occuparmi di quel tavolo altrimenti la mia responsabile finirà per arrabbiarsi. E quello è il tono di voce che usa quando non è arrabbiata”.
“Prendo lo stesso che ha ordinato mia sorella”. Oliver si affrettò a dire senza pensarci molto. Voleva solo che Felicity non fosse più costretta a subire le ira di quella donna malefica. 
Ma poi perché gli importava tanto?
“Ollie, sei sicuro? Avevi detto che la senape…”
“Ho cambiato idea. Quello che hai preso tu andrà benissimo”.  Anche perché aveva perso completamente l’appetito, ma decise di tenerselo per sé.
Felicity gli sorrise debolmente e si allontanò senza aggiungere altro.
Dopo qualche minuto, una cameriera mora dai lunghi capelli ricci, si avvicinò al loro tavolo per servire il pranzo che avevano ordinanto. Pur avendolo previsto, Oliver rimase comunque deluso dal fatto di non aver potuto rivedere Felicity ancora una volta.
“E così è una tua amica di scuola, eh?”
“Già…”
Iniziò a tamburellare con le dita sul tavolo, non riuscendo a celare alla sorella il suo nervosismo.
“E da quando fai amicizia con le cameriere?”
Il tono sprezzante con cui Thea pronunciò quella parola lo infastidì più di quanto riuscisse ad ammettere. Fino a qualche minuto fa l’avrebbe pensata come lei, ma ora era tutto diverso. Ora si trattava di Felicity.
“E tu da quando sei diventata così snob?”
Thea lo guardò incredula.
“Da quando sono nata forse? Devo ricordarti a quale famiglia apparteniamo?”
“No, non serve. Sembra che non sappiate fare altro ultimamente…”
Il tono disgustato con cui pronunciò quelle parole lo sorprese. Evidentemente non era riuscito a controllarlo.
“Ollie, si può sapere che ti prende? Sei così… strano”.
Thea aveva ragione. Che gli prendeva? Nemmeno lui era in grado di rispondere a quella domanda.
Non lo sapeva. Semplicemente non lo sapeva. Non si riconosceva più. Era come se all’improvviso brancolasse al buio.  Ma era una sensazione che non aveva niente a che fare con il senso di paura e di incertezza per il futuro. No, quello gli sembrava ancora troppo lontano per riuscire anche solo a sentirlo veramente suo.
Stavolta si trattava della sua vita di tutti i giorni, della concezione che aveva di essa e del modo in cui l’aveva affrontata fino a quel momento. Ieri l’improvvisa voglia di ricominciare le lezioni di piano, oggi l’esigenza di difendere dal disprezzo della sorella una categoria di persone che fino a quel momento lui stesso avrebbe denigrato.
Se non fosse stato per Felicity.
Tutto riconduceva a lei.  L’incontro avvenuto con quella ragazza aveva messo in discussione tutte le certezze su cui si era basata la sua esistenza fino a quel momento. Ed era accaduto senza che nemmeno se ne rendesse conto. La realizzazione di quella nuova consapevolezza lo colpì in pieno, provocandogli un mal di stomaco che non aveva niente a che fare con la senape del  suo panino.
“Non lo so, ti giuro che non lo so”.
Era la sola risposta in grado di darle in quel momento. L’unica che rispecchiasse in qualche modo la realtà.
Continuarono a mangiare senza dire una parola, incapaci di trovare nuovi spunti di conversazione. Oliver fu grato a quel silenzio, se solo fosse servito a non dover affrontare più il discorso Felicity con sua sorella. E con se stesso.
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Felicity, per la restante parte della sua giornata lavorativa, non riuscì a concludere molto. Ormai non pensava a nient’altro che ad Oliver e all’incidente avvenuto qualche ora prima. Sapeva di aver fatto una brutta figura, nei riguardi suoi e della sorella, e si rassegnò all'idea che quella probabilmente sarebbe stata l'ultima volta in cui Oliver Queen le avrebbe rivolto la parola.
Ma forse era meglio così. In fondo non era esattamente ciò che voleva?
Fu proprio a causa di quella convinzione che, quando vide Oliver poggiato alla portiera della sua auto all’uscita dal ristorante, quasi non svenne per la sorpresa.
Che cosa ci faceva lì? Stava aspettando lei?
"Secondo te quante probabilità ci sono che due compagni di scuola che non si sono incontrati per anni lo facciano tre volte in meno di un giorno?"
Oliver si accorse del suo arrivo e le rivolse un sorriso che però non riuscì a raggiungere gli occhi. Sembrava teso. Preoccupato.
"Ti va se facciamo quattro passi?"
Felicity acconsentì, incapace di resistere all’idea di trascorrere del tempo in sua compagnia.
Passeggiarono fianco a fianco lungo la via che costeggiava il pontile, senza dire una parola. Per un po’ non si sentì altro che il rumore dei respiri che scandivano i loro passi.
 Fu Oliver a rompere finalmente il ghiaccio.
"Mi dispiace per prima. Non era mia intenzione metterti in difficoltà e se l'ho fatto ti chiedo scusa".
Felicity colse un’assoluta sincerità nelle sue parole, intendeva davvero ciò che stava dicendo.
"Non mi hai messa in difficoltà, Oliver. È solo che si è creata una situazione... strana, tutto qui".
"Già..."
Ripiombarono di nuovo nel silenzio. Felicity pensò che di questo passo avrebbero raggiunto Central City a piedi senza aver ancora affrontato un discorso di senso compiuto.
"Non sapevo avessi una sorella. Mi sembra simpatica".
"Oh si, quando non fa il terzo grado alle persone sembra davvero simpatica".
"Pfff, mica mi ha fatto il terzo grado! Diciamo solo che è molto curiosa, tutto qui".
Felicity provò ad essere quanto più educata possibile nei confronti di Thea. Non voleva che Oliver pensasse che ce l’avesse con lei o serbasse rancore nei suoi confronti. Anche perché non era così.
"Non sapevo lavorassi al fast food, sai?".
"Beh, considerando che ci conosciamo da meno di un giorno, mi sembra più che normale".
"Come fai a conciliare tutto? La scuola, i compiti e tutto il resto?"
Felcity di solito era restia a confidarsi su aspetti della sua vita privata con gli altri, in particolare con persone che non godessero della sua piena fiducia. Ed Oliver era inevitabilmente una di quelle persone, avendolo conosciuto non più di 24 ore prima.
Ma una vocina dentro di lei continuava a dirle che di lui poteva fidarsi, che con lui era diverso. Così decise di rischiare.
"Per lo più vengo a dare una mano nei weekend o nei periodi di festa, come in questo caso. Sai, giusto per arrotondare e dare una mano a casa".
Oliver sembrò confuso, come se gli mancasse un tassello.
"Frequentiamo la stessa scuola, giusto?".
"Giusto".
Evidentemente non riusciva a farsene una ragione.
"Giuro che l’ultima cosa che voglio è sembrare invadente… è solo che non riesco a capire come tu possa frequentare una scuola così costosa come la nostra".
Ecco il tassello che gli mancava. Felicity non era ingenua, sapeva di frequentare una scuola per ricconi figli di papà che non avrebbero avuto necessità di lavorare probabilmente per il resto delle loro vite.
"Mai sentito parlare di borse di studio?"
Dalla sua espressione Felicity dedusse che non aveva la più pallida idea di cosa fossero.
"Ho ottenuto una borsa di studio della durata di tre anni per meriti scolastici. Si prendono in considerazione la media dei voti, i crediti formativi accumulati e le varie attività extra-curricolari. E’ il solo modo che ho per entrare al MIT una volta diplomata. Di solito non accettano le domande di ammissione di chi proviene da una semplice scuola pubblica".
Vide Oliver irrigidirsi solo a sentire le parole “college” e “domande di ammissione”. Evidentemente rappresentavano per lui un nervo scoperto.
"Wow… noto che hai le idee molto chiare sul tuo futuro".
"È così. Ho intenzione di realizzare il mio sogno, a qualunque costo".
Scorse un’insana curiosità nell'espressione di Oliver e così decise di rispondere alla domanda che non aveva trovato il coraggio di farle.
"Vorrei diventare un’esperta informatica. Magari aprire un laboratorio di ricerca tutto mio per lo sviluppo delle scienze applicate e della cyber security. Costruisco computer da quando avevo sette anni e mi piacerebbe mettere la mia passione a servizio degli altri".
Oliver la guardò incantato, quasi sbalordito da quella rivelazione. La sua reazione la mise leggermente a disagio.
"Scusami, ti starò annoiando con tutte queste chiacchiere, ma quando parto a parlare di queste cose non riesco a fermarmi e..."
"Ehi..." Le poggiò una mano sulla spalla per tranquillizzarla. E ci riuscì. "Non mi sto annoiando, anzi… mi stai facendo scoprire un mondo che non sapevo nemmeno esistesse. E se devo essere sincero, mi piace più di quanto mi aspettassi".
L'uno di fronte all'altra, si guardarono con una tale intensità da riuscire a toccarsi l’anima. Felicity sentì la pelle a contatto con la sua mano farsi più calda.
"In fondo non è niente di che. Sono solo sogni adolescenziali di una ragazzina un po’ troppo ambiziosa per la sua età e che magari nemmeno si avvereranno".
"O magari si...."
Stavolta il suo sorriso riuscì a raggiungere anche i suoi splendidi occhi. Finalmente. Ricordava che fosse bellissimo ma a rivederlo forse lo era anche di più.
Ripresero a camminare e Felicity giurò che si fossero leggermente avvicinati rispetto a prima. Ora le loro braccia riuscivano a sfiorarsi mentre dondolavano a ritmo dei loro passi.
"Parliamo di te, invece. Progetti per il futuro?"
Per quanto potesse essere delicato per Oliver quel discorso, Felicity sperò che decidesse di confidarsi così come aveva fatto lei. Anche perché era sinceramente curiosa di conoscere la sua risposta.
"Praticamente ci troviamo agli antipodi. Non ho idea di quale college scegliere né di cosa fare della mia vita da grande. Un disastro su tutti i fronti".
"È normale essere confusi. L'anormalità sta nell'avere già le idee troppo chiare. Chiedilo a mia madre se non ci credi!"
Riuscì a strappargli una risata e ne fu felice.
"Credo che siano le aspettative che gli altri hanno su di me a bloccarmi. È come se avessero già tracciato per me una strada che non sono ancora sicuro di voler perseguire".
"E tu non farlo. Nessuno ti costringe".
"E invece si! Sono il primogenito della famiglia Queen, praticamente l’erede al trono dell’impero che hanno costruito in questi anni".
"La fai sembrare una cosa orribile".
"Magari la è".
Felicity si soffermò per un attimo a pensare alla risposta da dargli. Voleva trovare le parole giuste.
"Posso darti un consiglio sincero? Non confondere la riconoscenza con l'accondiscendenza. Non smettere mai di ringraziare i tuoi genitori per quello che ti hanno dato ma non credere che il modo giusto per ripagarli sia fare necessariamente tutto quello che ti dicono. Sono pur sempre i tuoi genitori, Oliver. Se ti vedranno felice loro lo saranno di conseguenza, perché ti amano più di qualsiasi cosa al mondo. Lotta per ciò in cui credi, rimboccati le maniche per ottenere quello che vuoi davvero per te stesso, e loro prima o poi lo accetteranno. La domanda a questo punto resta una: tu cosa vuoi veramente, Oliver?"
Quelle parole riecheggiarono sorde nell’aria, e per un po’ non ricevettero risposta.
Felicity vide Oliver impegnato in una lotta con se stesso, mentre una serie di emozioni diverse gli si stampavano sul volto, sfuggendo al suo controllo.
"Credo che nessuno, in quasi 18 anni, sia mai riuscito a capirmi come tu hai dimostrato di fare in questo momento".
La potenza di quell’affermazione colpì Felicity in pieno petto, tanto che per un attimo ebbe paura di perdere l’equilibrio.
Si chiese se Oliver fosse consapevole dell’importanza che quelle parole ebbero per lei.
"Che... che ne dici di tornare indietro? Si sta facendo tardi e credo proprio di dover rientrare".
Aveva bisogno di prendersi una pausa da tutto questo, o non avrebbe retto.
"Andiamo. Ti do un passaggio a casa".
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Felicity credeva che viaggiare su una delle auto sportive più belle in circolazione rappresentasse un’esperienza piacevole, quanto meno divertente. Suo malgrado, dovette ricredersi. Oliver era uno spericolato, a voler essere gentili, incurante di ogni regola della strada e del buonsenso. Si disse che la prossima volta avrebbe guidato lei. Poi pensò che magari nemmeno ci sarebbe stata una prossima volta.
"Gira a destra. È la seconda casa sulla sinistra, quella con il porticato".
L’ultima cosa che avrebbe voluto era che Oliver scoprisse in quale quartiere della città abitasse. I Glades erano tristemente noti tra i cittadini di Starling per l'elevato tasso di criminalità e la fatiscenza di strutture ed abitazioni.
"Vuoi che ti accompagni dentro?"
"Oh no, tranquillo. Non serve. Anzi grazie mille per il passaggio, è stato gentile da parte tua".
"Figurati, era il minimo che potessi fare per averti trattenuta oltre orario".
Felicity si apprestò a scendere, intenzionata a non far perdere ad Oliver altro tempo.
Fu sorpresa quando sentì una mano stringerle l’avambraccio, come a volerla fermare.
Guardò Oliver con aria interrogativa.
"Volevo solo augurarti buon Natale".
Vero. Tra qualche giorno era Natale. Lo aveva quasi dimenticato.
"Io.... io sono ebrea".
Le parole uscirono prima che potesse controllarle e si chiese se non fosse stato forse il caso di ringraziarlo semplicemente.
"Beh, in questo caso, felice Hanukkah, Felicity".
Senza alcun preavviso le si avvicinò e le diede un bacio sulla guancia.
Per un istante Felicity non riuscì a pensare ad altro che alle labbra morbide di Oliver a contatto con la sua pelle.
"È... È meglio che vada..." Ci vollero tre tentativi prima che riuscisse ad aprire la portiera della macchina. Si sentì una perfetta idiota e maledì la sua incredibile sbadataggine. "Grazie… grazie ancora e buon Natale anche a te".
Si incamminò in direzione della porta di ingresso senza più voltarsi indietro. Oliver aspettò che fosse al sicuro tra le mura di casa sua prima di ripartire. Fu solo allora che Felicity riuscì a liberare i polmoni di tutto l’ossigeno in eccesso che aveva trattenuto. Si sentì immediatamente più leggera.
La sua mano si posò sulla guancia ancora umida. Ripensò ad Oliver. Alle cose che aveva fatto. Alle cose che aveva detto.
Era da tempo che non si sentiva così… felice. O forse semplicemente non lo era mai stata davvero.
Non riuscì a controllare il sorriso che le comparve sul volto. E sinceramente nemmeno provò a farlo.



*NOTA DELL'AUTRICE*
Ta-daaaaan. Colpo di scena. Felicity lavora al fast food per mantenersi ed Oliver lo scopre nel modo più imbarazzante possibile. Sono diabolica lo so :)
Spero abbiate apprezzato l'inserimento di Thea nella trama e l'accenno a Dig, magari in futuro riuscirò a farlo interagire in prima persona.
Che ne pensate della chiacchierata avvenuta tra loro? Credete sia stata troppo precoce per i discorsi affrontati? Ho pensato fosse in linea con l'intesa e l'alchimia che hanno dimostrato di avere praticamente da subito.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e non abbia deluso le vostre aspettative.
Appuntamento al prossimo aggiornamento!
Baci,
Anima90
P.s.: grazie infinite per le vostre recensioni. Siete adorabili e mi date lo sprono giusto per continuare questa storia. Ve ne sono immensamente grata.

 

  
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