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Autore: SabrinaSala    26/06/2015    2 recensioni
Emanava un fascino particolare. Qualcosa di antico mescolato a un qualcosa di moderno. La pelle chiara, il naso perfetto. Gli zigomi alti e marcati, gli occhi di quel particolare punto di blu, in grado di apparire quasi neri a volte, ma non ancora contaminati dagli effetti del passaggio, costellati da ciglia chiare come i capelli corti. E le labbra… oh, le labbra! Labbra disegnate. Da togliere il fiato. Rosse e sensuali.
Ed era suo.
Lo era sempre stato...
***
«Allora non hai proprio capito, Rose! » Sean la guardò con disprezzo «C’è chi farebbe carte false pur di ottenere una possibilità. Una sola possibilità di avere quello che a te è stato semplicemente offerto! »
***
Nord America. XXI° secolo. L’inquieta Rose si chiede perché mettere in discussione tutto. Una vita perfetta, un fidanzato perfetto, un futuro perfetto. Ma quel "patto di sangue", sancito più di duecento anni prima, sembra soffocarla mentre due caldi occhi nocciola potrebbero indicarle l’unica via d’uscita. L’unica deviazione dalla strada che qualcuno ha già scritto per lei…
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2 - Rose


Rose cercò sollievo tra i libri. 
La piccola biblioteca di Sunsetville era da sempre il suo rifugio segreto. Una bomboniera profumata di legno e di carta stampata. Il suo nido. Fin da ragazzina. Prima che le immense stanze straripanti di ricercati e preziosi volumi antichi di Vancouver la conquistassero e la stordissero con la loro magnifica e al tempo stesso soffocante grandiosità.
La biblioteca di Sunsetville era rassicurante, con i suoi volumi un po’ datati, i ripiani ordinati, i corridoi che non serpeggiavano come interminabili labirinti. 
Ma illudersi di essere sola, per Rose, a Sunsetville era praticamente impossibile.
Smettendo immediatamente di leggere il paragrafo, del quale non aveva comunque capito una parola, sollevò gli occhi scuri e partendo dalle mani che si erano inaspettatamente appoggiate al suo tavolo finì con l’incrociare lo sguardo imperscrutabile di suo fratello Sean. 
«Sapevo di trovarti qui»
Rose si strinse appena nelle spalle, sottolineando l’evidenza. 
Certo che lo sapeva… Dove altro poteva essere?
Sean si passò una mano tra i capelli castani come quelli della sorella, scostando dalla fronte il ciuffo ribelle che minacciava costantemente di nasconderla, e si sedette sul tavolo guardando fuori dalla finestra.
Rose rispettò il suo silenzio, soffermandosi sul suo profilo. Avevano un solo anno di differenza. Uno solo. E sebbene Sean fosse il più piccolo, dietro quella sua apparente fragilità e quel volto da fanciullo nonostante i diciotto anni compiuti, era sempre sembrato più maturo di lei.
Più serio, più posato, più introspettivo. Cosa che l’aveva sempre sorpresa. L’introspezione, lei, non sapeva nemmeno cosa fosse. Fino a quell’estate… 
«Non sembri felice, Rose» mormorò.
La sorella se ne uscì in uno sbuffo sarcastico. Corrugando la fronte chiuse il libro, fermo sulla stessa pagina da quando era entrata, e si sollevò rumorosamente dalla sedia.
«E’ bello che qualcuno si ponga delle domanda…» rispose. 
Sean saltò giù dal tavolo e affondò le mani nelle tasche dei pantaloni scuri. Sfiorando i lembi della camicia bianca. 
«Sei qui per controllarmi? » gli domandò Rose raccogliendo i volumi che avrebbe portato a casa. Senza guardarlo, sollevando un sopracciglio, indice di irritazione e scetticismo.
«Ethan non ha bisogno che qualcuno ti controlli… »
Bella risposta! Azzeccata e tremendamente realistica. 
Rose gli lanciò un’occhiata e lui ricambiò il suo sguardo. Ma solo per un secondo. Distogliendolo subito dopo. Sospirò, rassegnata.
Sean aveva una vera e propria venerazione per Ethan… Come tutti, del resto. E come era giusto che fosse…
Senza ribattere a quella provocazione, precedette il fratello all’uscita. Una vampata di aria umida l’accolse sulla sommità della breve rampa di scale, facendole rimpiangere la gradevole frescura dell’interno.
La pioggia di quegli ultimi giorni aveva alzato le temperature autunnali e impregnato l’aria, rendendola quasi irrespirabile. 
Prima che il suo piede avesse sceso un gradino, il suo sguardo fu attratto da un’immagine che le parve vagamente familiare. 
Si volse. Il furgone ammaccato della stazione di servizio… ricordò. 
Scese le scale e improvvisamente urtò qualcosa o qualcuno che si muoveva nella direzione opposta alla sua. 
I libri le sfuggirono di mano, mentre con un’esclamazione sorda si piegava a raccoglierli frettolosamente da terra, percependo in ritardo i due occhi scuri che l’avevano attraversata. 
Il proprietario di quello sguardo caldo e profondo si chinò, portandosi alla sua altezza, e Rose lo riconobbe senza alcuna esitazione.
Il ragazzo della stazione di servizio…
«Scusa» disse. Piegato sulle gambe fasciate nei jeans chiari, sdruciti sulle cosce tese. 
Rose serrò la mascella. Incapace di muoversi così come di rispondere. Affascinata dai lineamenti sconosciuti di quel volto ambrato. Catturata da quei profondi occhi scuri che sembravano lambirla profondendosi in una calda carezza.
Sussultò. Non aveva mai provato quelle sensazioni. Nessuno l’aveva mai guardata in quel modo… Si scosse. Forse perché nessuno, a Sunsetville, aveva mai osato levare il proprio sguardo su di lei. 
Il ragazzo fece un cenno con la testa. Come in una tacita richiesta di rassicurazioni. Domandandole con gli occhi se fosse tutto a posto o se dovesse preoccuparsi.
Rose si sollevò e lui fece lo stesso, lentamente. L’ultimo volume raccolto da terra ancora in mano.  
«Scusami» ripeté allargando il suo sorriso. Gli occhi divennero due lucide fessure nocciola. 
Rose sembrava incantata.
Fu Sean a intervenire, spingendo la sorella a scendere gli ultimi gradini.
«Fai più attenzione, la prossima volta», lo liquidò seccamente.
La ragazza si lasciò trascinare via, seguita dallo sguardo perplesso del forestieroc che qualche minuto più tardi infilò la porta della biblioteca archiviando quel piccolo e sciocco incidente con una bonaria alzata di spalle.
***

Scott Davenport lasciò le monetine sul bancone della tavola calda. Prese il suo caffè e si avviò alla porta. Era intento a togliere il tappo di plastica dal bicchiere di carta quando la vide. Attraverso i vetri appannati del locale. 
Come la prima volta… sorrise. Solo che quella volta, il vetro era quello di una fiammante auto sportiva. 
Si fermò. Prendendosi qualche secondo per osservarla. Per riconoscere quell’espressione seria, forse troppo per una ragazza della sua età. Alta, snella, i lunghi capelli castani che ricadevano lisci sulla spalle strette in un maglioncino dal collo alto che metteva in risalto le forme piacevoli e non esagerate. Gli occhi scuri, nocciola per l’esattezza, le labbra ben disegnate. 
Non si era accorta di nulla. Di lui che la stava fissando, anche se da dietro un vetro appannato. Persa in chissà quali pensieri, immaginò. 
Poi, inaspettatamente, quella ragazza alzò lo sguardo e i loro occhi si agganciarono per un lungo istante. 
Le labbra di Scott si piegarono in un sorriso, mentre a gesti cercava di chiederle se potesse offrirle qualcosa. Ma il cuore di Rose perse un battito. 
Ancora quegli occhi scuri e insolenti. Occhi che si attardavano su di lei. Quello sguardo carico, caldo, rassicurante. 
«Posso scusarmi per questa mattina? »
Rinunciando all’alfabeto dei segni, Scott si era sporto dalla porta, colto da uno sbuffo di aria fredda e le aveva rivolto un chiaro invito ad entrare. 
Rose non rispose. Non subito. Ma questa volta la sua esitazione durò solo un momento. Doveva capire… Voleva capire… Scoprire il segreto di quegli occhi che la ipnotizzavano…
Annuì e approfittando della porta aperta, entrò scivolandogli accanto. 
Elettrizzante! Pensò.
La sua presenza è elettrizzante!
«Sola? » domandò lui guardandosi attorno, come per sincerarsi di non fare un torto a nessuno. 
Quando Rose annuì, la condusse ad un tavolo facendola accomodare,  prendendo posto di fronte a lei.
«Mi dispiace per questa mattina» esordì, annuendo contemporaneamente alla cameriera che dal fondo del locale accennava al blocchetto degli appunti e alla caraffa piena di caffè. Offrendo a Rose una manciata inaspettata di secondi per osservarlo più da vicino.
Un lasso di tempo sufficiente a notare la pelle liscia, la mascella volitiva, la linea del collo morbida e sensuale, le spalle larghe sotto la camicia a scacchi che aveva notato la prima volta. Aveva la mani grandi e ben curate. E un buon profumo di shampoo che si mescolava a quello dolce e speziato dei biscotti. 
Notò solo allora che aveva i capelli bagnati.
«Ho appena fatto una doccia! » spiegò lui notando il suo sguardo.
Rose avvampò. 
Leggendo il suo disappunto, lui allungò una mano attraverso il tavolo come a fermarla. Le sfiorò un polso e sorrise fissandola negli occhi.
«Non c’è niente di male a chiedersi perché sono tutto bagnato visto che questa volta non piove! » 
Rose avvampò per la seconda volta ma dissimulò l’imbarazzo e quel pizzico di euforia che l’aveva colta a quell’allusione. Non si era sbagliata, allora. L’aveva vista. Come lei aveva visto lui.
Scott sembrò leggerle nella mente. Di nuovo. Sorrise ancora, poi rise sommessamente.
«Dobbiamo smetterla di incontrarci così… clandestinamente» scherzò.
Rose si irrigidì. Senza nemmeno aspettare che la cameriera li raggiungesse per le ordinazioni si alzò per prendere commiato.
«Mi dispiace » disse con labbra tirate «Adesso devo andare»
Scott si alzò a sua volta, all’improvviso, tanto da provocare un fastidioso rumore con la sedia. 
«Aspetta! » la pregò «Non volevo offenderti… ». 
Il suo rammarico era sincero ma non era stato quello a determinare la scelta di Rose. 
«No, non è questo… » mormorò lei imbarazzata. «Devo andare, veramente! » mentì. Non aveva nessun impegno. Non doveva andare da nessuna parte. Non aveva niente da fare se non pensare al Ethan e ai preparativi per il fidanzamento. 
Ethan… pensò. E questo pensiero le strappò una smorfia.
Socchiuse le palpebre, filtrando tra le ciglia scure la figura di quel ragazzo moro. Sorrise e prese nuovamente posto.
«Ma sì! » disse. «Non c’è niente che non possa aspettare… » 
Lo fissò negli occhi scuri. Scuri come i suoi. Occhi che non aveva ancora finito di indagare.
In fondo, non stava facendo niente di male…
   
 
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