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Autore: Soul Mancini    26/06/2015    4 recensioni
Questa breve storia, raccontata con termini semplici come se fosse narrata da un bambino, vuole lasciare un messaggio molto profondo e importante.
Parla di una bambina africana di cinque anni appena trasferita in Italia e del suo primo giorno di scuola.
Non anticipo altro.
BUONA LETTURA!
♥ Questa è la mia prima storia qui su EFP, non so cosa sia venuto fuori e ci terrei molto al vostro parere.
Grazie!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Jennifer








Jennifer era africana, veniva dal Senegal.

Era una bambina che imparava in fretta: non era ancora andata a scuola che sapeva già parlare tre lingue e scriverne due.

Tutte le estati lei e la sua famiglia andavano in Italia da zia Lisa, e a lei piaceva tantissimo. Si era appassionata all’italiano e lo aveva imparato subito, portandolo anche a casa sua in Africa.

Lei amava la sua pelle: era color cioccolato e secondo lei era la cosa più bella che aveva e diceva che se fosse stata bianca, non sarebbe stata così speciale. In Italia le facevano i complimenti quando andava al mare con zia Lisa.

Zia Lisa abitava in Italia da più di venticinque anni! Lisa non era il suo vero nome, ma da quando era arrivata lì si era sempre presentata con quel nome per non complicare la vita a nessuno, e anche lei la chiamava sempre così.

La sua famiglia non aveva mai avuto problemi economici in Senegal, erano due commercianti, ma quando lei aveva cinque anni persero il lavoro e investirono tutti i loro risparmi per andare in Italia e trasferirsi.

Il primo maggio, come tutti gli anni, partirono e zia Lisa li accolse felice.

Zia Lisa! Ciao!” gridò felice Jenny quando la vide arrivare e le saltò in braccio.

Ciao Jenny, ma come sei alta! Allora, sei felice di trasferirti qui?” rispose la zia abbracciandola.

Loro due parlavano ormai in italiano, ma i suoi genitori non lo capivano bene.

La famiglia di Jennifer si sistemò in una casa di periferia e zia Lisa andava a trovarli tutti i giorni.

Jenny si esercitava con lei a scrivere in francese e in wolof, e dopo giocava con Ibrahima, suo fratellino di due anni.

Ibra, guarda! Ci sono i ragazzi che escono da scuola!” gli disse un pomeriggio di inizio giugno mentre gli leggeva un libro.

Là vicino c’era una scuola media e a loro piaceva vedere i ragazzini che tornavano a casa a piedi, solo che di mattina si svegliavano troppo tardi e non facevano mai a tempo a vederli.

Dopo quell’estate, anche lei sarebbe dovuta andare a scuola, e non vedeva l’ora! Allora si immaginava come quei ragazzi, con lo zaino in spalla che usciva da scuola e parlava con i suoi amici.

Voleva andare a scuola per imparare a scrivere in italiano, per conoscere tutti i bambini, tutti i nomi, tutte le facce… voleva conoscere sempre più cose e sempre più persone.

Ma c’era ancora una lunga estate da passare.


Arrivato luglio, la spiaggia cominciò a riempirsi di gente, così la famiglia di Jennifer decise che era arrivato il momento di andare al mare.

I suoi genitori non andavano tutti i giorni in spiaggia, ma zia Lisa sì, così lei e Ibrahima andavano con lei.

Uffa, Ibra! Tu sei troppo piccolo, non vuoi mai giocare ai giochi che piacciono a me!” lo rimproverò una volta. Lei, quando non poteva fare il bagno, si annoiava un po’.

Un giorno, mentre cercava di fare una buca che arrivasse fino al centro della Terra, una ragazzina le si avvicinò e le disse: “Ciao! Cosa stai facendo?”

Sto scavando una buca che arriva fino al centro del mondo, così vedo cosa c’è!” rispose con la faccia quasi dentro il grande fosso.

Io lo so, cosa c’è al centro del mondo! C’è una grande palla di fuoco!”

Allora se scavo tanto mi brucio!”

No, il centro è molto lontano, ma se scaviamo ancora troveremo l’acqua!”

Jenny scoprì che quella ragazzina si chiamava Sara e aveva dodici anni.

A Sara piaceva tantissimo il colore della pelle di Jenny e i suoi capelli crespi e ricci, e le piaceva anche l’Africa. Volle sapere da dove veniva e tutte le cose che sapeva del Senegal.

Anche lei tornava tutti i giorni in spiaggia e giocavano sempre insieme. Sara era una persona davvero speciale e le voleva tanto bene.

Una volta sua mamma disse che se voleva poteva invitare Sara a pranzo, e lei accettò l’invito. I suoi genitori e suo fratello non parlavano bene in italiano, quindi Jenny disse loro: “Sara non parla mica il francese! Dovete impegnarvi, altrimenti non vi capisce! Non è possibile, dopo tutto questo tempo che venite in Italia non avete mai imparato a parlare bene l’italiano! Andate a scuola!”

L’estate passava in fretta e Jennifer era molto emozionata per la scuola.

In men che non si dica, si ritrovarono a fine agosto e bisognava comprare tutto: l’astuccio, il diario, i quaderni e lo zaino.

Una sera, mentre Jennifer si esercitava a leggere un piccolo libro in francese, zia Lisa entrò a casa dicendo: “Jenny, ho una sorpresa per te!”

Lei si alzò e le andò incontro.

Cos’è?” le chiese.

La zia le mostrò due grembiulini per la scuola blu con un fiocchetto rosa sul petto che stava ad indicare la prima elementare. Jenny si illuminò.

Oh, ma sono bellissimi, zia! Grazie grazie grazie!”

Se ne infilò subito uno e, felice e pimpante, uscì di casa anche se la madre le disse di toglierselo per uscire altrimenti lo avrebbe sporcato.

Cominciò a camminare andando verso la campagna. Il tramonto era ormai vicino e il cielo era dipinto di rosso. Prese una stradina che ormai conosceva come le sue tasche e cominciò a fare mille giravolte e salti guardando il tramonto.

Era tanto felice che finalmente sarebbe andata a scuola, e non le importava più di nulla. Forse se fosse rimasta in Africa i suoi genitori non l’avrebbero fatta andare, e se ci fosse andata non sarebbe stato bello come in Italia.

Ad un certo punto vide un bambino all’orizzonte che forse aveva un anno in più di lei. La guardava come se avesse davanti un fantasma, con gli occhi spalancati. Allora Jennifer gli si avvicinò piano, poi gli chiese: “Che c’è?”

E lui disse: “Hai il grembiule di scuola a fine agosto! Perché?”

Lo stavo provando!”

Ah, ti sta molto bene!”

Jennifer lo ringraziò. “Come ti chiami?” gli chiese.

Tommaso.”

Io sono Jenny e ho quasi sei anni.”

Anche io! Devo entrare in prima elementare quest’anno!”

I due bambini parlarono a lungo, ma quando il sole era quasi tutto nascosto dietro l’orizzonte, Tommaso disse che doveva andare a casa. Si diedero appuntamento per l’indomani nello stesso posto sempre al tramonto, e Jennifer tornò a casa sua.

Entrò nel giardino e vide che la porta di casa non era chiusa del tutto. Si avvicinò e sentì la mamma e la zia che parlavano.

Io ti ho detto di non mandarla, ma tu non mi ascolti mai!” disse zia Lisa.

Non potevo iscriverla alla privata, non ce la faccio economicamente!” rispose la mamma.

Ma ti rendi conto del pericolo che corre? Questo paese è pieno di gente razzista, e lì ci vanno tutti i loro figli, che sono stati educati in base alla mentalità razzista! Da quando siete arrivati non faccio che ripetertelo!” ribattè zia Lisa seccata.

Spensierata com’è non se ne renderà nemmeno conto, non sa nemmeno cosa sia il razzismo. E poi ci dovrà convivere tutta la vita, quindi meglio che cominci ad abituarsi. Non possiamo nasconderglielo per sempre” aggiunse suo papà.

Jennifer aveva capito che stavano parlando di lei, ma non l’argomento preciso. Spinse lentamente la porta ed entrò, ma fece finta di non aver sentito niente.

Zia, sei ancora qui?!”

Ciao Jenny. Si, oggi rimango a cena da voi.”

Jennifer si avvicinò a Ibrahima che la guardava.

Che c’è, Ibra?”

Prima eri lì!” rispose indicando la porta socchiusa con un cucchiaio di legno con cui stava giocando.

Sì, ma non dirlo a nessuno!” sussurrò lei. Per fortuna nessuno si era accorto di quello che avevano detto.

Dopo cena andarono tutti quanti a prendere il fresco in una piazzetta dentro il paese. Faceva tanto caldo.

Zia, che cos’è il razzismo?” chiese Jennifer a un certo punto.

Dove l’hai sentita questa parola?”

In spiaggia” inventò.

Ora non te lo so spiegare, magari un altro giorno.”

Jenny non era soddisfatta, ma si alzò e andò al centro della piazzetta a giocare con il fratellino.


Finalmente il quindici settembre arrivò e Jennifer si alzò alle sette per prepararsi e andare a scuola.

La prima metà di settembre l’aveva passata giocando con Ibrahima e incontrando Tommaso al tramonto.

Si fece la doccia, si mise il grembiule, si raccolse in una coda i riccioli, come tutti i giorni e fece colazione con tutta la famiglia. Alle otto e un quarto passò a prenderla il pulmino e quando arrivò nel cortile della scuola vide tantissimi bambini sotto gli alberi, come non ne aveva mai visto prima. Erano più di cento, tutti con il grembiule e lo zaino, e alcuni erano accompagnati dalle loro mamme.

Quando suonò la campanella, ogni bambino della prima venne chiamato per nome e gli fu assegnata una classe. Lei era in Prima B.

Nelle prime due ore di lezione, dove c’erano anche i genitori, le maestre si presentarono e fecero un lungo discorso, ma dopo un po’ si annoiavano tutti.

Ogni tanto qualche bambino la guardava in modo strano, ma forse era solo curioso di conoscerla.

Alla ricreazione i genitori se ne andarono e le maestre fecero uscire i bambini in cortile.

Subito un gruppo di bambini che aveva visto in classe la circondò, ma non sembrava che volessero fare amicizia.

Tu sei negra!” gridò un bambino indicandola.

Io sono africana…”

Allora tutti cominciarono a parlare tutti assieme.

Non ci fai nulla in Italia, tornatene in Africa!”

Voi negri rovinate il mondo!”

La vostra pelle è bruciata come il vostro cervello!”

Mio padre dice che dovete morire tutti!”

I negri puzzano!”

Siete sbagliati!”

Quest’ultimo commento la travolse come un treno a tutta velocità.

Lei non era sbagliata, non era sbagliata solo perché non era italiana come quei bambini. Non le andava proprio giù quando le dicevano che era sbagliata, andava su tutte le furie, perché era convinta che nessuno è sbagliato.

Io non sono sbagliata, nessuno è sbagliato!” gridò Jennifer. Tutti la sentirono. Era un grido disperato, pieno di rabbia e di odio verso quelli che l’avevano insultata solo perché aveva la pelle scura, di liberazione e di lotta. Perché i bambini italiani erano così cattivi? Lei non aveva fatto nulla di male!

Detto questo, scoppiò a piangere e scappò via.

Non sapeva dove nascondersi, così si accovacciò sotto la scala. Non voleva più tornare in classe.

Ma quando finì la ricreazione le maestre la trovarono.

Jennifer, cosa ci fai qui?!! È pieno di polvere, esci!” le disse maestra Linda.

No, non voglio! I bambini della mia classe non mi vogliono! Sono cattivi, e io non esco!”

Ma la maestra non la voleva ascoltare, quindi fu costretta a uscire dal suo nascondiglio.

Nelle tre ore successive Jennifer tenne gli occhi bassi e fissava le righe del quaderno, perché non voleva guardare i suoi compagni.

Ad un certo punto, mentre la maestra disse di scrivere la data sul quaderno, lei cominciò a scrivere:

JE NE SUIS PAS MANQUÈE…

Lo scrisse più di dieci volte, poi la maestra guardò il suo foglio. “Jennifer, che cosa stai facendo? Io ti ho detto di ricopiare la data di oggi, non stiamo facendo francese!” le disse severamente, poi le prese il quaderno e le strappò la pagina.

Adesso fai quello che ti dico io!”

Jennifer sentì alcuni bambini che ridevano di lei e si vergognò.

Ricopiò quello che c’era scritto sulla lavagna e aspettò la fine delle lezioni.

All’uscita, mentre aspettava il pulmino, Jenny vide Tommaso che parlava con un gruppo di bambini. Allora si dimenticò di tutto quello che era successo e gli corse incontro gridando: “Ehi, Tommaso! Tommaso, sono io, Jenny! Quanto sono felice di vederti!”

Tutti i bambini con cui parlava il suo amico la guardarono in modo strano, come l’avevano guardata i bambini che aveva incontrato alla ricreazione.

Tommaso guardava il pavimento.

Tommaso, tu la conosci?” chiese un bambino con un tono cattivo.

Sì” rispose lui piano.

Ed è tua amica?”

Ci fu un lungo minuto di silenzio e tutti guardavano Tommaso, poi lui sollevò la testa e disse: “No, io non sono amico di bambini neri!”

Cosa?” saltò su Jenny.

Hai sentito, negra? Vattene, qui non ti vuole nessuno!” disse una bambina con i capelli biondi.

In quel momento arrivò il pulmino e Jennifer ci salì sopra piangendo.

Quando entrò a casa stava ancora piangendo, e andò dritta a chiudersi in camera sua.

Jenny, che è successo? Torna qui!” le disse la madre quando la vide. Ma non poteva fare niente.

Qualche minuto dopo bussò alla sua porta.

Indietro!” disse Jenny.

Voglio solo sapere cosa ti è successo!” la pregò la mamma.

Non voglio più andare a scuola, i bambini sono cattivi! Mi hanno detto che sono sbagliata, che sono una negra schifosa, che devo andarmene da qui!” rispose.

Esci, così ne parliamo!”

NO!”

Allora decise di lasciarla in pace, almeno per un po’.


Jennifer aveva tanta fame, ma non voleva uscire. Si era già cambiata e messa dei vestiti più comodi, e stava per infilarsi le scarpe quando vide un foglio passare sotto la porta. Lo afferrò e vide che era scritto in francese. C’era scritto:


Ciao Jenny. Lo sappiamo che oggi a scuola hai avuto una giornataccia, ma vogliamo che tu esca dalla tua camera felice e sorridente come sempre!

Alcune persone, purtroppo, guardano le persone soltanto per il loro aspetto: se sono alte o basse, se sono magre o grasse, e se la loro pelle è chiara e scura, quindi a volte le persone ne escludono altre, ma non si rendono conto di tante cose. Ad esempio, i tuoi compagni non si rendono conto di quanta bellezza c’è in te.

Ma non sono tutti così: ti ricordi di Sara? Lei era tanto felice di stare con te.

E poi ricorda che ci siamo noi qui, che ti vogliamo tanto bene.

Siamo sicuri che troverai anche altre persone, basta solo aspettare.


Zia Lisa, mamma, papà e Ibra




Note dell'autrice


Ciao a tutti coloro che hanno letto questa storia.

Questo è un esperimento che ho scritto tempo fa. Non ho apportato modifiche al testo perché mi piaceva l'idea di pubblicare la copia originale, non so cosa ne è venuto fuori ma spero vi piaccia. Per me scriverla è stato emozionante e tengo molto a questo lavoro.

Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate|

Grazie,

Soul :)


   
 
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