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Autore: Kanako91    26/06/2015    8 recensioni
Durante i festeggiamenti per il ritorno di Mablung e Beleg dalla Nirnaeth Arnoediad, Thranduil si ritrova a discutere con una giovane molto irritante, che si fa beffa delle sue idee sulla guerra e lo umilia davanti ai suoi amici, per poi sparire per anni.
Si rincontreranno dopo due rovine del Doriath, ma sarà la Guerra d'Ira a cambiare le idee di entrambi sulla guerra e su loro stessi.
[Precedente a Le spine della corona e leggibile separatamente]
Genere: Guerra, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Thranduil
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Frammenti di una Vigorosa Primavera'
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Dialoghi sulla guerra



Dialogo I.




«Non vedo cosa ci sia da festeggiare».

Thranduil lanciò un’occhiata alla giovane elleth al suo fianco, i capelli di un oro scuro all’ombra delle colonne e raccolti in una treccia avvolta intorno alla testa. Indossava abiti di fattura modesta, che mimavano quelli delle dame di rango più alto. Ma quello che lo colpì fu l’aria di sufficienza con cui guardava tutti i presenti, dai cortigiani in prima fila a Mablung e Beleg in ginocchio ai piedi del Re e della Regina.

Le parole della giovane erano state più un commento a mezza voce, che un’opinione espressa perché tutti la sentissero, ma Thranduil si sentiva in dovere di rispondere. Di rimetterla al suo posto.

«I nostri due migliori guerrieri sono andati in guerra e sono tornati sani e salvi, non c’è nulla da festeggiare in questo?»

Allora la giovane lo guardò e Thranduil seguì con una certa soddisfazione il cambiamento nella sua espressione. La sufficienza lasciò il posto alla sorpresa e poi alla determinazione.

«Festeggiamo la saggezza di inviare due soli soldati in una guerra che ha mietuto molte vittime! Perché se avessimo mandato un intero esercito, avremmo avuto poco da festeggiare».

Alcune delle persone che li circondavano lanciarono occhiate infastidite alla giovane e anche a Thranduil, quasi fosse stato lui a farla parlare! Lui strinse gli occhi e i pugni.

«Se avessimo mandato un esercito, le sorti della guerra sarebbero state ben diverse» le disse.

«Avremmo udito levarsi in queste aule i pianti delle madri e dei padri».

«E dimmi, cosa avresti fatto tu, al posto del nostro Re?»

La giovane strinse le spalle. «Il nostro Re ha fatto la scelta migliore, quella di partire comunque è stata una decisione personale di Mablung e Beleg. Non potevamo inviare un esercito, non potevamo sacrificare le vite dei nostri soldati per un male portato da altri».

Thranduil corrugò la fronte e la scrutò. «Dovremmo stare qui e lasciare che i Goelydh combattano per noi? E far credere loro che noi siamo deboli e spaventati? Non lo siamo, perché dovremmo darne l’idea!»

«Non alzare la voce» mormorò la giovane, abbassando la testa. «Dovremmo lasciare che siano i Golodhrim a riparare i danni che hanno fatto, finché non sono arrivati loro eravamo in pace. Sono stati loro a portare il Morgoth nel Nord e saranno loro a scacciarlo. Noi abbiamo Melian che veglia su di noi, nessun male può abbattere le sue difese».

«Non possiamo lasciare le nostre difese in mano a degli invasori» sibilò Thranduil.

La giovane sollevò il viso verso di lui, ma non era tanto più bassa. «Se non dobbiamo difendere le nostre terre, le nostre case, perché radunare un esercito e andare a cercare il nemico nella sua tana? È quel che hanno fatto i Golodhrim e hanno subito perdite enormi».

Thranduil sollevò il mento, indispettito. Come osava dar per scontato che sarebbe stata una rovina? Come osava sminuire tanto il valore del loro esercito? Se l’esercito del Doriath avesse partecipato alla guerra, ne avrebbero cambiato le sorti e avrebbero sconfitto il male nel Nord. Avrebbero dimostrato ai Golodhrim che gli Iathrim erano riusciti dove loro avevano fallito.

«Cosa ne vuoi sapere tu, delle sorti di una guerra? Come credi di sapere con tanta certezza cosa è stato e cosa sarebbe potuto essere? Le voci che giungono al tuo telaio sono così precise da farti sputare sentenze?»

La giovane sorrise e, quando il cuore gli mancò di un battito, Thranduil seppe di aver fatto lo sbaglio più grande della sua vita. Perché non aveva tenuto a posto la lingua?

«Se il mio telaio parlasse, passerei più tempo in sua compagnia» disse lei. «Quel che non sai, Thranduil Oropherion, è che gli scrivani di corte sanno più di voi cortigiani nei vostri salotti alberati».

Al che, la giovane gli rivolse una riverenza e indietreggiò tra la gente che li circondava. Mai per un attimo, il sorriso sparì dal suo viso.



Quando quella sera, durante la festa in onore di Mablung e Beleg, Thranduil rivide la giovane tra gli invitati, non esitò a lasciare i suoi amici e ad avvicinarla. Salvo sentirli alle sue calcagna, curiosi come delle faine e altrettanto poco rumorosi.

«Credevo non ci fosse nulla da festeggiare, scribacchina».

La giovane sollevò lo sguardo dal tavolo degli assaggini e brillava divertimento nelle sue iridi grigie, finché non spostò lo sguardo sulle persone alle sue spalle. Il suo viso si trasformò: se prima era stato spigoloso ma ammorbidito da un’espressione serena, ora divenne duro, come se una maschera fosse calata sulla sua faccia.

«Oh, sei di nuovo tu, l’idiota col desiderio di morte» disse la giovane, posando nel piatto un paio di stuzzichini di pasta sfoglia e condimenti assortiti. «Credevo fossi corso a combattere il Signore Oscuro da solo, per dimostrare ai Golodhrim quanto sono incapaci».

Dalle spalle di Thranduil, provennero dei risolini e lui si voltò per fulminare con lo sguardo i suoi amici. Begli amici, che ridevano delle sue disgrazie! Non avrebbero dovuto seguirlo, tanto per cominciare.

Thranduil mosse un passo più vicino alla giovane, così vicino che se si fosse mosso avrebbe sfiorato il piatto che lei aveva in mano.

«Sicura di voler mangiare il cibo offerto per la morte di tanti dei tuoi amici Goelydh?»

L’espressione della giovane non cambiò e lei versò nel piatto un misto di salsine e cereali con un cucchiaio.

«Sei così sciocco da scambiare il buonsenso con la simpatia».

«Oh, illuminami! Fa’ scendere su di me la luce della tua saggezza». Thranduil ghignò. «Magari dovrei farti arrivare un telaio parlante».

I suoi amici ridacchiarono ancora.

«Ti suggerisco anche un forno parlante, che ne dici? Potrei dividere le mie giornate tra il telaio e la cottura del pane e non dovrei, così, avere a che fare con gli idioti che camminano per queste aule».

La giovane posò uno dei mestoli nel suo vassoio e proseguì lungo il tavolo, scorrendo i piatti con gli occhi. Thranduil la seguì.

«Penso tu ti creda più saggia di quello che sei. Dovresti passare meno tempo sulle scartoffie, almeno guarderesti il mondo con i tuoi occhi e non attraverso l’inchiostro di qualcun altro».

Alle risate dei suoi amici, la giovane si fermò di scatto e si voltò ad affrontarlo di petto, la mano col piatto spostata verso l’esterno.

«E io credo tu dovresti evitare di portarti dietro il corteo di ghiandaie. Se non altro, mi fanno capire il tuo desiderio di morte».

E con quelle parole, seguite dai risolini dei suoi amici, la giovane gli diede le spalle e proseguì fino al fondo del tavolo, per prendere posate e un bicchiere e si dileguò tra la folla. Di nuovo.

Thranduil si girò verso i suoi amici che ridevano ancora. «Piantatela!»

Rivorn gli passò un braccio intorno alle spalle e gli tirò una pacca sul petto. «Suvvia, Thranduil, hai dato spettacolo ed è stato glorioso. A quando la prossima esibizione?»

Thranduil ghignò. «Appena quella maestrina si fa rivedere. Ma la prossima volta dovrete darmi un piccolo contributo come ringraziamento per lo spasso».

Gli altri risero, tra i “Sì, come no” e gli apprezzamenti poco galanti verso la giovane.

«La figlia di Tirdegil ha capito male a mettersi contro di noi» ridacchiò Taenor.

Thranduil lo guardò. «Chi, scusa?»

«Ma sai almeno con chi hai parlato?» disse Taenor. «Quella era Arodel, la figlia di Tirdegil. Con un nome così, non è sorprendente che si dia tante arie».

Le risate questa volta erano molto più denigranti delle precedenti. La Nobile. Era un nome così arrogante per la figlia di uno scrivano.

Eppure, Thranduil sentì fastidio per quelle risate dei suoi amici. Era una sensazione strana. Come se, deridendo lei, stessero deridendo anche lui che si era messo a discutere con una giovane al di sotto del suo rango. E quello gli dava fastidio, perché cosa avrebbe dovuto fare? Tacere e lasciarla nelle sue convinzioni sbagliate?

Thranduil rise con gli altri, ma presto il vino ebbe un sapore diverso, quasi amaro, e quando sollevò lo sguardo oltre la spalla di Maenir incontrò gli occhi di Oropher.

Suo padre non era contento per qualcosa.

E Thranduil temeva di sapere cosa.



Passarono molti giorni e Thranduil non vide traccia di Arodel a corte, quasi fosse stata un sogno dovuto al vino. Eppure sapeva di non essersela sognata, perché i suoi amici si divertivano ancora a scimmiottare i loro scambi di battute, e non poteva dimenticare il discorso che gli aveva fatto suo padre il mattino dopo la festa.

«Non posso accettare che tu manchi di rispetto alle figlie dei collaboratori del Re. Se il Re reputa i loro servigi e la loro compagnia degni di lui, chi sei tu per pensare il contrario?» aveva detto Oropher, seduto alla sua scrivania, le dita intrecciate davanti a sé sui fogli. «Che cosa ti ha fatto quella ragazza, che sei dovuto andare ad attaccarla con quel branco di imbecilli dei tuoi amici?»

Thranduil aveva gonfiato il petto e sollevato il mento. «Ha deriso i festeggiamenti, e ha detto che se avessimo mandato il nostro esercito, invece di due soli soldati, ora le Mille Caverne sarebbero piene di pianti».

Oropher si era lasciato andare contro la sedia, un sopracciglio inarcato. «Siccome ha un’opinione diversa dalla tua, hai reputato corretto deriderla e attaccarla per questo».

«La mia non è un’opinione, é la verità. Il nostro esercito avrebbe potuto virare le sorti della guerra a favore dell’alleanza».

«Un giorno ti renderai conto che la verità non è nella tua mente, ma solo in quella dell’Uno». Oropher gli aveva indicato la porta con un gesto della mano. «Nel frattempo, non importunare più la figlia di Tirdegil o sarò costretto a porgere le mie scuse pubbliche a suo padre. A quel punto, non troverai tanto divertente avere intorno quei tuoi amici».

Thranduil non aveva dato molto peso alle parole di Oropher, ma mentre la cercava tra i cortigiani, gli capitava di incontrare lo sguardo duro di suo padre e tornava a occuparsi di altro.

Quel che lo sconvolse di più fu rendersi conto che non faceva altro che cercarla. Per desiderio di rivalsa, di farle capire che lui aveva ragione e i suoi ragionamenti disfattisti erano un male, forse? Non ne era più certo. Non poteva però negare di volerla rivedere.

Infine, quando la incontrò di nuovo, i festeggiamenti erano diventati un’eco lontana nella vita di palazzo, ma non lo era il ricordo del loro scambio di parole. Almeno, non nella mente di Thranduil.

Perciò, quando la vide guardare tra le colonne di uno dei camminamenti che si affacciava sulla grande sala dei banchetti, Thranduil si diresse dritto verso di lei, le parole che gli aveva detto fresche nelle orecchie.

«Ti sei rintanata da qualche parte a leccarti le ferite?»

La giovane, Arodel, si voltò a guardarlo e non si mosse, mentre lui si fermava di fianco a lei e poggiava un gomito al davanzale.

«Non so di cosa tu parli» fu la risposta di Arodel.

Thranduil ridacchiò e si sporse verso di lei. «Sei fuggita dalla festa e non ti sei fatta rivedere fino a oggi. Permettimi di trarre le mie conclusioni».

Arodel gli lanciò un’occhiata di sbieco. «Se non mi hai vista, è perché non mi hai voluto vedere. Io sono sempre stata qui». Tornò a rivolgere lo sguardo nel salone sotto di loro e aggiunse, in tono sommesso: «Per ora».

Thranduil strinse gli occhi. «Cosa vuol dire che per ora sei qui? Dove intendi andare?»

«Non vedo perché dovrebbe interessarti».

Thranduil si raddrizzò e sollevò il mento. «Non ti costa nulla rispondermi».

«Oh, così potrai andare a dire ai tuoi amici che sono fuggita dopo il nostro terzo incontro».

Anche lei aveva contato quante volte si erano visti.

«Che problemi hai con i miei amici? Puoi pure prendertela con me, dopotutto sono stato io a parlarti, ma loro hanno deriso anche me».

Arodel girò la testa per guardarlo sottecchi. «Il problema dei tuoi amici è che Taenor passa troppo tempo a cercare di entrare nella cerchia di Saeros e sta adottando le stesse acconciature e decorazioni che quel gruppo adora. E Maenir ama disturbare la servitù durante il suo lavoro, per poi riferire le sue trovate a Rivorn che mette in giro racconti molto ricamati e imbelliti. Ecco qual è il mio problema con i tuoi amici».

Thranduil non poteva accettare che questa giovane, che a malapena aveva visto il sorgere del Sole e della Luna e aveva vissuto l’arrivo dei Golodhrim, criticasse i suoi amici. Come se non fossero degni di lui.

Per quanto Oropher stesso li avesse chiamati degli imbecilli. Ma suo padre poteva, Arodel no.

«Potrei dire che sei fuggita anche senza avere una tua risposta, se è questo che temi».

«L’ho tenuto in conto» disse lei. «Fa’ ciò che ti farà sentire meglio».

Con quelle parole, Arodel gli diede le spalle e fece per allontanarsi. Ma Thranduil le afferrò un braccio e la voltò verso di sé, per scrutarla in viso con le sopracciglia aggrottate. L’aveva avvicinata fin troppo, ancora un passo e sarebbe stata contro di lui, e fu un’altra sorpresa rendersi conto di quanto la cosa lo attirasse. Poteva sentire il suo odore da così vicino, era l’odore fresco del finocchio selvatico e fruttato delle bacche che crescevano intorno all’ingresso del Menegroth.

«Dove andrai?» le chiese. «Non ti avrò davvero cacciata di qui con le mie parole?»

Arodel lo fissò, il viso immobile, duro come quando aveva visto i suoi amici avvicinarsi, la sera della festa.

«Non ti dai forse troppa importanza? Non pensi che ci possano essere altri motivi al di fuori di te per portare me e mio padre fuori dal Doriath?»

Thranduil lasciò il braccio di Arodel, come bruciato.

«Non c’é troppa morte e distruzione fuori da qui per farvi uscire?»

«Oh, tu. Tu che parli di gesta nobili e morti gloriose per il regno, ti aspetti poi che chi vi abita vi stia rinchiuso, nonostante la sua occupazione lo porti spesso al di fuori della Cintura. Sei mai stato fuori, Thranduil? Hai mai viaggiato tra le bande di Orchi in fuga e i banditi degli Uomini?»

Thranduil scosse la testa.

«Non ti consiglio di provarci. Non lo consiglierei a nessuno. Ma i funzionari di corte vanno dove c’è bisogno di loro, mentre tu e i tuoi amici vi divertite a deridere chi non è come voi».

Arodel indietreggiò di un passo e si raddrizzò le maniche dell’abito.

«Non c’è una sola meta per il nostro viaggio» disse lei e indietreggiò di un altro passo. «Non c’è una data di ritorno. Dobbiamo inviare rapporti al Re e alla Regina sui territori che ci circondano, su cosa sta succedendo. Forse, se ci sarà concesso, andremo a Tol Galen».

Thranduil mosse un passo verso di lei e le prese una mano. Portò le nocche alle labbra, senza riscontrare alcuna resistenza nel braccio di Arodel. Incontrò il suo sguardo, la bocca ancora contro la sua pelle.

«Buon viaggio, Arodel».

Poi la lasciò andare, senza distogliere gli occhi da lei finché non sparì nella svolta di un altro corridoio.

E, quando giunse la rovina del Doriath, di Arodel non ci fu alcuna traccia.






Nota dell'autrice


Ed eccomi con un nuovo parto, in tre parti questa volta.
Volevo scrivere questa storia da quando, nella correzione de Il Portale, ho sistemato gli accenni ad Arodel. Avevo le scene tutte belle in mente, andavano solo scritte e l’ho fatto appena ho potuto!

Comunque, piccole note tecniche:

  • nonostante non mi piaccia usare termini elfici nel mezzo dell’italiano, preferisco elleth a Elfa e non mi andava di usare donna. Perciò, elleth, ellon, edhil… ci potrebbero essere quando necessario, perché se ho usato elleth, mi sembrerebbe strano non usare anche le altre “declinazioni” del termine. Sarà una pippa mia, ma la mia testa è piena di pippe mentali di questo tipo. Scusatemi.
  • Goelydh e Golodhrim sono i Noldor (Golodh al singolare, per i prossimi capitoli, forse) in Sindarin, per quanto il termine fosse fastidioso per le orecchie delicate dei Noldor e quindi alla fine non veniva usato dai loro “amici”, solo da chi li disprezzava (okay, mi sembra di star spiegando il superfluo, sorry). Immagino che non fosse solo Thingol a usare questo termine, ma tutti gli abitanti del Doriath, quindi mi sembrava sensato usarlo in questa fase storica, in cui l’inimicizia era nella sua fase più “forte”.

Per il resto, ammetto che mi piace scrivere Oropher modalità padre e Thranduil e Arodel da giovani mi fanno tenerezza e voglio prendere le loro teste e farle sbattere l’una contro l’altra, ma vabbè!

Ci vediamo la prossima settimana e torno con i miei aggiornamenti di mercoledì.

Grazie per aver letto e alla prossima!

Kan

   
 
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