Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: DonnaEliza    27/06/2015    2 recensioni
Non eri una persona comune: non è comune nascere in una famiglia ricca, e ancora meno comune allontanarsene. Non è comune diventare una ballerina classica.
Invece, le persone comuni vedono le loro case distrutte. Vedono i Titani vagare per le strade. Le persone comuni muoiono, vengono terrorizzate, vengono divorate. Questo è comune, nel tuo mondo.
Quando quel muro ti è crollato addosso, nello spazio di un momento, sei diventata una persona comune.
Non lascerai che succeda di nuovo.
La mia prima fanfiction! Sporca, dura e piena di stress post traumatico. Critics are welcome!
oO°I clean for Heichou°Oo
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hanji Zoe, Mikasa Ackerman, Nuovo personaggio, Rivaille, Un po' tutti
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
Capitoli:
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Stai morendo di caldo.
Mentre, in carrozza, venivi trasportata oltre il Muro Sina, credevi che il caldo non avrebbe mai trovato posto tra i tuoi pensieri: appena convalescente, sei stata spedita in un’ulteriore missione, potenzialmente suicida, contro il Titano Femmina, che molto probabilmente è Annie, una delle persone che avevi sentito più vicine. Questo, il giorno dopo che il Capitano Levi ti aveva sbraitato addosso qualcosa di simile ad una confusa dichiarazione d’amore, a sua volta il giorno dopo averti sbattuta contro il muro con intenzioni meno che cavalleresche. Avresti detto di avere abbastanza cose a cui pensare da dimenticarti di tutto il resto del mondo.
Invece, seduta al tavolino di un caffè accanto a un Reiner non meno taciturno di te, non pensi ad altro che al caldo: ci sono una quarantina di membri della Legione Esplorativa appostati in borghese dai cancelli del Muro Sina al passaggio verso i sotterranei in cui Armin, Mikasa ed Eren intendono tendere una trappola ad Annie. Tu sei uno di questi: vi hanno fatto vestire con gli abiti civili che indossavate prima di arruolarvi nell’esercito. Agli uomini sono stati dati mantelli sotto cui nascondere il DMT, mentre le donne lo tengono sotto le gonne; tutti avete l’imbragatura sotto i vestiti, pronti ad agganciarlo in caso servisse.

Non riesci a credere di aver portato quegli abiti con disinvoltura fino a poco più di un anno fa: sono una quantità impossibile di strati inutili. L’uniforme della Legione è semplice, adatta al movimento. Adesso stai soffocando nel corpetto attillato dell’abito intero che indossavi il giorno in cui ti sei presentata al posto di arruolamento. Hai deciso almeno di non indossare il corsetto: il vestito non si chiude sulla schiena, ma hai indosso una mantellina che nasconde i lacci allentati. Tanto meglio, alla bisogna lo toglierai più in fretta. Sotto indossi i calzoni della divisa, gli stivali e la comoda maglia di cotone d’ordinanza, le cui maniche lunghe imbottiscono in modo grottesco quelle dell’abito. Ti sembra di essere un panino farcito, tutto prude e tira ad ogni movimento. Hai sperato di poter fare a meno delle sottovesti, ma hai dovuto indossare quella inamidata, perché la gonna ti pendeva addosso floscia e hai già il tuo daffare a non calpestarla, senza i tacchi alti delle scarpe con cui la portavi sempre. Hai anche un cappellino in testa, perché la gente non si accorga dei tuoi strani capelli corti, che non somigliano a nessuna delle pettinature in voga tra le signore perbene. Reiner ti fa smorfie di continuo, nascosto dietro il boccale di birra che non ha il permesso di bere, ma che deve tenere a portata di mano per nascondere il viso nel caso in cui Annie, passando, guardi nella vostra direzione; a te, per lo stesso scopo, hanno dato un ventaglio.

Siete appostati da quasi due ore: siete partiti in largo anticipo rispetto al convoglio che trasporta Erwin, Levi e Jean, mascherato da Eren, e le vostre carrozze hanno viaggiato a scaglioni molto distanziati, per non dare nell’occhio. L’ultima a partire è stata quella di Armin, Mikasa ed Eren. C’è un complicato piano di spostamenti che porterà tutti voi a disporvi a raggera intorno al luogo dell’imboscata. A voi del 104° sono toccati i punti più esterni della formazione, per evitare di farvi riconoscere, ma siete stati comunque convocati nell’eventualità in  cui occorresse far ricorso al dialogo, perché tutti conoscevate Annie. Tutto è stato calcolato, previsto o ipotizzato. 

La carrozza con il finto Eren è entrata nelle Mura quaranta minuti fa, stando ai piani. Tu e Reiner avete avuto tutto il tempo di raccontarvi la vostra vita per filo e per segno, anche se tu ti sei mantenuta il più possibile nell’ambito degli aneddoti della tua vita di ballerina. Non hai ancora raccontato apertamente a nessuno di essere originaria di Stohess: temi di essere etichettata come una molle ragazzina viziata, anche adesso, a distanza di anni da quando hai lasciato la casa dei tuoi genitori. Sei già stata in questo caffè: la tua bambinaia aveva una tresca con uno dei camerieri, e quando ti portava a passeggio si fermava a chiacchierare con lui. Dopo, comprava il tuo silenzio con qualche dolciume.
-Al diavolo – Reiner interrompe il flusso dei tuoi pensieri. – Questa birra è diventata brodo. Siamo qui da due ore e abbiamo ordinato solo una cosa a testa, e non l’abbiamo nemmeno consumata.
Veramente, tu hai bevuto il tuo tè. Reiner fa seguire i fatti alle parole, ingoiando metà boccale in un colpo e passandoti ciò che resta.
-Tieni: rendiamo credibile la nostra copertura.
Butti giù la birra senza riflettere: è calda e sgasata, amara. Reiner ne ordina altre due.
-Reiner… non dovremmo farlo. Rischiamo un richiamo.
-Non preoccuparti: col caldo che fa, la suderemo tutta prima che possa farci alcun effetto. E poi, lo sai anche tu: è molto probabile che non succeda niente. Ce ne staremo qui fino a sera a morire di noia, e poi torneremo indietro. L’importante è non mostrare ai superiori che abbiamo bevuto, perciò se ti senti brilla fila in un vicolo e ficcati due dita in gola.
-Ma che schifo – Reiner non ti risponde: sta ridacchiando tra sé e sé.
-Che c’è di buffo?
-“Non dovremmo farlo…” lo dici anche al Capitano Levi?
Gli tiri in testa la scorza di limone del tuo tè proprio mentre arrivano le birre. Reiner sta ancora sghignazzando e coprendosi il petto con le mani con comico pudore quando la cameriera se ne va con la tazza e il boccale vuoto.
-E smettila. Non c’è niente che non abbiamo fatto. No! Volevo dire che non c’è niente che non dovremmo fare… accidenti. Non abbiamo fatto niente e basta. La vuoi piantare?
Reiner ha affondato il naso nella schiuma della birra, ma i colpi di risa spediscono spruzzi spumosi in tutte le direzioni.
-Però! Mezza birra e siamo già alle confessioni intime… - riesce a dire mentre riprende fiato. E’ il tuo turno di nasconderti nella birra.
–Piuttosto – cambi discorso. -Tu non credi che Annie sia il Titano che stiamo cercando, vero?
-Tu sì? – ribatte Reiner senza distogliere lo sguardo dal boccale.
-Non so – sospiri. –Di sicuro non voglio che lo sia. E non vedo perché una persona che si trasforma in Titano dovrebbe arruolarsi proprio nell’esercito. Beh, certo: c’è anche Eren, ma lui non sapeva di avere questo potere, e comunque l’ha usato da subito contro i Titani. Invece il Titano Femmina attacca gli uomini.
-Allora secondo te non è lei.
Prendi un altro sorso prima di rispondere.
-Non ridere di me, ma… in effetti… le somiglia. Sì, l’ho vista di sfuggita e al momento non ci ho pensato, ma quando il Comandante Smith ha fatto il suo nome mi sono accorta che sono davvero molto, molto simili.
Reiner alza le spalle.
-Non vuol dire niente – dice. –Eren non si somiglia, quando è trasformato.
-Ah no? Non l’ho mai visto.
Rimanete in silenzio per un  po’, sorseggiando la birra fresca. Probabilmente l’alcool sta agendo in combutta con il caldo, perché ti senti vagamente euforica, nonostante la noia dell’appostamento e la tensione per gli ultimi avvenimenti. Sei stranamente compiaciuta che tutti diano per scontato che hai una storia con Levi e ti accorgi di avere una gran voglia di poter raccontare tutto a qualcuno, benché non a Reiner, potendo scegliere. Sei cosciente che dovresti sentirti in colpa per stare a gingillarti con questi pensieri invece che concentrarti sulla missione; vorresti sentirti in colpa, ma lui ha parlato di rose…

Una figura si avvicina in fretta al vostro tavolo. E’ Christa: è talmente minuta che sulle prime hai creduto che fosse una bambina, anche a causa della cuffietta che indossa. Quando vi vede bere alcoolici, incrocia le braccia con espressione di rimprovero.
-Non dovreste bere in servizio!
-Che diavolo hai in testa? – chiede Reiner ad occhi sgranati.
-E’ una cuffietta – si schernisce subito Christa. –Mi piace e poi mi fa più alta.
-Sei adorabile, Christa! – le sorridi nel delicato alone di buonumore che ti circonda. –Sembri una bambolina.
-Grazie! Oh, ma stai bevendo troppo! Smettetela tutte e due – prende in consegna i vostri boccali. –Sto facendo la staffetta per avvertire che Annie è arrivata al passaggio, quindi dovete tenervi pronti. Reiner, tu vieni in postazione con me. Valeshka, tu devi raggiungere Connie e Berthold, passare la notizia e mandare Berthold al prossimo appostamento.
-Prima vado a fare pipì – annunci allegramente.
-Io pago il conto – fa eco Reiner.
E’ complicato urinare con due strati di gonne, i calzoni della divisa e il DMT da sganciare e riagganciare alle cinghie, e quando esci dalla toilette Reiner e Christa sono già scomparsi. Ti affretti verso la tua destinazione, sperando di non dare nell’occhio a causa della strana andatura che ti causa il tuo carico nascosto. Si avvicina l’ora di pranzo e le strade si stanno svuotando, le ombre sono corte e nere al sole di mezzogiorno.

Non credevi di essere sovrappensiero, ma quando senti l’esplosione fai un salto dallo spavento.
Vorresti avere il beneficio del dubbio, ma hai già sentito un suono simile, sulle mura di Trost, ed è inconfondibile. Ti volti a controllare: la polvere dei detriti si leva alle tue spalle, oltre la linea dei tetti. Da terra, è impossibile indovinare a che distanza.
La calma sonnolenta della scena si rompe immediatamente: persone si affacciano alle finestre, si sporgono in strada, si chiamano le une con le altre chiedendo informazioni sull’accaduto. Già si sente gridare dal luogo dello schianto, fra poco le strade saranno invase di gente in fuga. Alzi lo sguardo: Il cielo si popola di figure in controluce, lanciate in aria dai cavi del DMT. Alcune cercano un punto d’osservazione più elevato, altre si precipitano subito verso l’origine del rumore.
Combatti per toglierti il vestito, mentre risuonano altri scoppi: edifici che crollano. Il giromanica dell’abito di rigido taffetà verde è talmente stretto che duri fatica ad afferrare le spalline e tirare; il corpetto viene giù con uno strappo sinistro. Probabilmente lo dovrai buttare. Ti sembra di scuoiarti come un coniglio mentre sgusci fuori dalle maniche aderenti, ma arrivata alla gonna ti accorgi di essere nei guai: devi sfilarti l’abito dalla testa. La strada si è riempita di gente che ti spintona da ogni lato, e sei impacciata dal DMT. La gonna è troppo voluminosa e non riesci ad infilare le mani al di sotto per slacciare le fibbie dell’imbracatura. Cerchi di fermare una donna per farti aiutare, ma nessuno ti dà retta, sono tutti pazzi di terrore e badano solo ad allontanarsi da quel punto, nascosto dietro i palazzi, in cui tu invece devi a tutti i costi arrivare.
Dopo l’ennesima spallata di un passante, perdi la pazienza: estrai alla meglio una spada dal fodero e tranci la stoffa del corpetto tutt’intorno alla tua vita, poi raccogli la stoffa della gonna in ampie manciate e fai a pezzi anche quella prima di accanirti sulla crinolina come se potassi un cespuglio. Lanci il cappello al vento e spari i cavi del DMT direttamente da dove ti trovi verso il tetto più vicino, mentre una nuova detonazione riempie l’aria. Poggi i piedi sulle tegole in tempo per vedere la sagoma del Titano Eren che si gonfia, emergendo da un ammasso di detriti a qualche centinaio di metri da te. E’ una visione surreale: fasce muscolari si allacciano tra loro; i tendini luccicano, bianchi. Vedi folti capelli castani spuntargli dal cranio che ancora s’ingrossa. Anche se ti dà le spalle lo senti schioccare forte la mascella, saggiare i denti. Poi allunga il collo e urla, un suono gutturale straordinariamente sonoro che ti fa vibrare la bocca dello stomaco. Un suono zuppo di rabbia, un grido che ha fame di sangue. Ti si rizzano i peli alla base del collo mentre il suono continua, ancora e ancora, spinto fuori da quel corpo possente che scoppia d’odio. Quando si lancia in corsa, i tonfi dei suoi passi fanno staccare parecchie tegole, e devi accucciarti per mantenere l’equilibrio sul tetto. Una tegola slitta sotto la suola del tuo stivale; stormi di piccioni decollano in fuga dai loro nidi sotto i cornicioni, nelle grondaie. I tetti sono pieni delle grida di soldati che si ragguagliano sulla situazione.
Senti il sudore accumulato nelle ore calde di attesa gelartisi sulla pelle mentre voli all’inseguimento di Eren, insieme a decine di altri militari vicini e lontani. Vedi i capelli biondi del Titano Femmina. Di Annie. Corre in direzione della grande piazza in cui sorge la Chiesa del Muro Sina. E’ la più grande chiesa del culto, un edificio ogivale le pareti coperte di giri di loggette e un campanile bianco costituito di piani e piani di arcate cieche. Sei stata in quella chiesa: i tuoi genitori, come quasi tutti all’interno del Muro Sina, sono devoti alla religione delle Mura. Da piccola, anche tu hai creduto che il Muro avrebbe tenuto lontano ogni pericolo. Adesso, mentre ti lanci oltre i comignoli con il vento che ti fa lacrimare gli occhi, vedi la chiesa sbriciolarsi sotto il corpo di Annie. Sai che ci sono persone, lì dentro. Forse la tua famiglia. Annie si rialza abbattendo altre mura, i suoi piedi sicuramente stanno calpestando corpi umani. Immagini le braccia di tua madre, chiuse in pudiche maniche lunghe, le macchioline dell’età sulle mani nascoste dai guanti di filo, spezzate dal tallone di Annie. Quando si rimette a correre, con ogni passo schiaccia qualcuno che conoscevi: tuo padre; il tuo fratellino; la tua bambinaia. I suoi passi distruggono la tua vita passata. Si dà alla fuga per le strade con Eren alle calcagna, sfondando file di palazzi mentre corrono. I palazzi che conoscevi, per le vie che percorrevi.
Lei era la tua compagna preferita.
Tra tutti i cadetti del corso d’addestramento, quella con cui hai legato di più è l’abominio che distrugge i luoghi della tua infanzia. Questo che cosa dice, di te?
Una vampata di vergogna ti sale alla faccia. Ti senti imbrogliata da Annie, umiliata per averle voluto bene e un senso di colpa nero pece di assale perché senti che niente, nella tua carriera militare, ti ha mai ferito quanto veder distruggere qualcosa che era tuo. Hai visto radere al suolo le case di centinaia di persone, povera gente che ha dovuto seppellire i propri cari sapendo di non avere più un posto in cui tornare, dopo il funerale, ma quello che ti fa infuriare è vedere rovinati i giardini in cui la tata ti portava a passeggio. Sei una ragazzina ricca e viziata e Annie te lo sta ricordando.
Quando arrivi alla chiesa, la piazza in macerie brulica di soldati, soccorritori e sopravvissuti. Molti barbagli dorati occhieggiano tra le rovine: le pesanti collane di piastre d’oro dei fedeli, schiacciate tra le pietre, macchiate di sangue.

Ti getti a scavare, alla cieca; sposti pietre con le mani, afferri un paio di gambe per tirare qualcuno fuori dalle macerie. Non riconosci nessuno, e allora passi al prossimo. A volte, sollevare una lastra d’intonaco rivela al di sotto un cranio schiacciato, una zuppa di denti, sangue e capelli; a volte, il braccio che tiravi da sotto una trave crollata viene via da solo, senza un corpo attaccato. Guardi i tessuti, gli anelli alle dita dei corpi sfigurati. Sollevi le lenzuola che coprono le salme, chiedi ai feriti se conoscono i tuoi genitori, li descrivi. Nessuno li conosce, e tu non conosci nessuno; la scena diventa surreale. Davvero hai vissuto in quel distretto per quasi tutta la tua vita? Dov’è la tua famiglia?
A casa.

Non sai se il gas ti basterà per tutto il tragitto: l’hai aperto al massimo per andare più veloce. Voli sulle strade distrutte e ti sembra che il percorso dei giganti in lotta segua esattamente la strada per casa tua. Sarà ancora in piedi, quando arriverai? Magari i tuoi genitori sono scappati, magari sono vivi.
Li hai lasciati con un biglietto. Da quando ti sei unita al corpo di ballo, non sei mai tornata a trovarli. Hai scritto loro lettere, senza un indirizzo a cui avrebbero potuto risponderti. Dal momento in cui ti sei arruolata, non gli hai scritto affatto. Hai presunto che non fossero preoccupati per te perché tu non lo eri per loro. Hai dato per scontato che amassero la loro vita più di quanto amassero te. Che, essendo ricchi, fossero al sicuro. Immortali. Li hai abbandonati, e hai stretto amicizia con il mostro che forse li ha già uccisi.

Quando avvisti Annie ed Eren non sei ancora arrivata a destinazione: Annie sta voltando le spalle a un cumulo di detriti, una slavina di calcinacci che si apre sulla facciata di un palazzo. Si dirige verso la piazza del mercato sotto le mura.
Nessun velo rosso ti cala sugli occhi quando decidi di seguirla: un interruttore si accende nella tua testa, un comando che cancella ogni tuo altro pensiero.
La vuoi tu, Annie.
Le dai dietro, accompagnata dal sibilo delle bombole, senza staccarle gli occhi di dosso se non per mirare al prossimo appiglio per i cavi. Guadagni terreno, gli occhi fissi sulla nuca. Ancora troppo lontana, ancora qualche metro. Annie non si è accorta di te; quando un nuovo frastuono esplode alle vostre spalle si gira a guardare e i suoi occhi passano oltre senza vederti. Tu non perdi tempo a controllare, invece: siete quasi arrivate all’arco che corona lo sbocco della via sulla piazza. Prendi le misure: con un ultimo colpo di gas ti lanci di piedi verso il pilone che sovrasta l’arco; lo userai per darti la spinta verso il collo di Annie. Sganci i cavi e ti prepari all’impatto. Controlli un’ultima volta la posizione di Annie.
E’ in quel momento che vedi Eren, una sagoma annerita e avvolta dai fumi, piombarle addosso. Prende Annie in piena schiena e la butta contro l’arco di pietra. Anche in aria avverti lo schianto propagarsi lungo la struttura dell’arcata, raggiungere i piloni, continuare oltre il tuo sguardo.
Non hai più dove atterrare: i tuoi piedi scompaiono nella nuvola di calcinacci del pilone che crolla e un attimo dopo anche tu ne vieni inghiottita. Spari i cavi alla cieca mentre una miriade di proiettili di pietra e legno ti colpiscono le braccia, la testa, le gambe. Il rombo è assordante. Qualcosa ti strattona per la cintura e ti trattiene mentre la luce scompare in un crescendo di schianti. Quello che sembra essere un quintale di ghiaia ti piove sulla schiena, non capisci più qual è il sopra e quale il sotto; l’aria è piena di polvere e non riesci a respirare, tutti i rumori esterni sono scomparsi. Il sudore ti cola negli occhi e te li fa bruciare. Ansimi e tossisci, lanci grida rauche d’aiuto agitando le braccia a caso, cercando un appiglio, qualcosa. Le tue gambe annaspano nel vuoto, intorno a te l’aria è buia e densa come una zuppa.
Passa del tempo; le tue gambe formicolano in maniera insopportabile. Lanci un grido, poi riprendi fiato e la polvere ti fa tossire; quando la tosse passa, lanci un altro grido. E così via.
Poi, qualcosa frana, in alto. Un raggio di luce fende la penombra. Vedi tutte le particelle di polvere affrettarsi verso l’uscita e vorresti seguirle. Insieme alla luce, entra anche una voce: un torrente di bestemmie.
-Cazzo cazzo porca puttana no, no, NO. No, mi hai capito? Merda, mi senti? Mi devi rispondere, cazzo… –
L’apertura si allarga ancora e nuovi calcinacci franano all’interno. La luce ti acceca e la voce continua imperterrita come se non si aspettasse una risposta. Un braccio s’infila all’interno, tastando intorno. E’ ad un paio di metri da te. “Ehi”, gridi in risposta, ma ti esce solo uno squittio e la tosse lo spegne subito; la voce però si arresta, in attesa.
-Sono qui – tenti di nuovo. La tua voce è un gracchio, ma riesci a farti sentire.
-Merda. Porca puttana – la luce si oscura per un attimo del tutto, e capisci che ha accostato il viso all’apertura. –Va bene, Valeshka, ti vedo. Porchissima troia. Non ti muovere, mi senti? Mi hai capito?
-Capito – rispondi senza fiato. Non è tutta colpa della polvere: hai capito a chi appartiene la voce.

La breccia nelle macerie si allarga dell'altro, cullata dalla sinfonia d’improperi che accompagna tutto il procedimento. Levi striscia all’interno sui gomiti, contorcendosi nello spazio ristretto. Si sdraia su un fianco e allunga le braccia verso di te; ti allunghi anche tu e il petto ti scoppia di dolore. Ti accartocci mentre un nuovo accesso di tosse peggiora la situazione.
-Che ti prende?
-Qualche costola… credo… rotta, forse – rispondi tra un colpo di tosse e l’altro.
-‘fanculo le costole, Valeshka! Devi uscire di lì: prendimi le braccia, forza! -
Digrignando i denti per il dolore, ti estendi al massimo e gli afferri i polsi. Levi ti tira a sé e comincia a strisciare a marcia indietro nel buco che ha aperto. Le tue braccia sono le prime a sbucare all’aperto; ti protendi verso l’aria aperta e prendi un avido respiro mentre Levi continua a tirarti fuori.
…e poi, qualcosa ti trattiene. Un paio di strattoni robusti causano solo un coro di sinistri scricchiolii all’interno del cumulo di detriti.
-Sono incastrata! – gridi, frenetica all’idea di essere bloccata a pochi palmi dalla libertà. Punti i gomiti e spingi all’impazzata, ma ti accasci con un guaito mentre le tue costole protestano a gran voce.
-Ferma, ferma; se ti agiti potresti far crollare qualcosa – Levi si inginocchia e getta uno sguardo oltre la tua spalla, nel tunnel improvvisato. La polvere di calcina gli fa i capelli di un vecchio e gli imbianca le ciglia; ti rendi conto che il tuo aspetto non deve essere molto diverso.
-E’ un cavo del DMT – è il referto di Levi. –Sei appesa in qualche modo, dev’essere incastrato tra i detriti. Devi slacciarti l’imbracatura. Infila le braccia dentro -
Non reagisci: le braccia sono l’unica parte di te che è fuori…
-Andiamo, Valeshka. Non cagarti sotto proprio adesso – ti sprona lui, brusco. Poi, più dolcemente, aggiunge: -Ci sono io, tranquilla.
Reinfili le braccia nel buco e armeggi con le fibbie; l’imbracatura si sfila e senti le pesanti custodie delle lame e delle bombole che scivolano verso il basso, seguiti dalle valvole del gas. Poi, tutto il blocco piomba nel vuoto e ti strappa via con sé: hai dimenticato di slacciare le cinghie che collegano l’imbracatura alle gambe, staffate negli stivali. Venticinque chili d’acciaio ti tirano di nuovo nel vuoto. Non fai nemmeno in tempo a urlare.
Levi si tuffa dietro di te e ti afferra per i gomiti; nuovo dolore ti esplode nel petto, espelli tutta l’aria dai polmoni e resti a bocca aperta, con gli occhi sbarrati.
-Togliti gli stivali!
Scalci, cercando di ubbidire; tutto il peso del DMT è appeso alle tue gambe, e gli stivali sono alti sopra il ginocchio. Strappi via il primo, ma sfilare l’altro col piede scalzo è difficilissimo. Ondeggi nel vuoto, appesa per le braccia che bruciano di dolore; senti i tendini che schioccano. Levi grugnisce per lo sforzo, trascinato per metà nel cumulo di macerie. Quando anche l’altro stivale viene via, il contraccolpo vi scaglia fuori dal buco, sulla schiena, ancora agganciati per le braccia. Levi si rialza a sedere e ti tira fuori del tutto, afferrandoti per le spalle. La testa contro il suo petto, ti guardi intorno, respirando dalla bocca.
-Stai bene? – senti la sua voce all’orecchio. Si sposta per guardarti in faccia, ti prende il viso tra le mani. –Valeshka, mi senti? Rispondimi, stai bene? -
Metti di nuovo a fuoco: Levi è bianco come un mimo; sulla sua guancia e sulla sua camicia ci sono larghe chiazze di sangue. Quando ritira le mani vedi che sono macchiate anche loro; lui segue il tuo sguardo e fa una smorfia.
-Sei un macello. Ti si devono essere riaperti i punti sulla testa – estrae un fazzoletto e ti tampona la fronte, poi ti pulisce la faccia. Poi gli getta un’occhiata e lo butta via con una smorfia.
-Valeshka, per favore – continua. C’è una nota ansiosa nella sua voce. –Capisco che sarai sconvolta, lo shock e quant’altro, ma devi provare a rispondermi, d’accordo? Dimmi che stai bene. O che stai male, ma cazzo, di’ qualcosa! -
-Sì – bofonchi finalmente. –Sto bene. No, non tanto, ma… insomma, hai capito. Avete capito – ti correggi.
Levi chiude gli occhi e prende un profondo respiro. Si sporge, e poggia la fronte sulla tua. Resta così per il tempo di un altro respiro. Chiudi gli occhi anche tu; vorresti sentire il suo odore, ma senti solo quello fresco e asciutto della pietra e della calce. Siete due persone di pietra.
Poi, Levi si stacca, ti prende per le spalle e la sua faccia è tornata quella di sempre.
-Adesso ascoltami, io devo andare. Non ti muovere, non fare niente: ti mando io dei soccorsi, hai capito? -
-Ho capito – alzi una mano e gli tocchi la guancia sporca di sangue. Gli mostri le dita tinte di rosso.
-Grazie – fa lui, strofinandosi con la manica della camicia. Si alza, raccoglie il mantello e lo indossa, poi si gira un’ultima volta.
-Fatti trovare –ti intima. Si lancia col DMT giù dalla pila di macerie.
   
 
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