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Autore: Happy_Pumpkin    15/01/2009    2 recensioni
Cos'altro devono fare i nemici se non ucciderti?
Un cecchio. Uno sparo decisivo. Un colpo da cento punti.
Genere: Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Attenzione: uso di linguaggio pesante.

Cento punti.


La via oltre la finestra è deserta.
Sulla strada vedo un cadavere, nient'altro. Steso a terra, il corpo riverso, una pozza di sangue che impregna il terreno fastidiosamente polveroso.
Alzo la testa e vedo il cielo nuvolo... meglio, un raggio di sole al momento sbagliato e va tutto a puttane.
La sigaretta tra le labbra... la faccio ondeggiare un istante, giocandoci distrattamente, mentre guardo attraverso il mirino.

Non devi sbagliare. La vita dei tuoi compagni è nelle tue mani.

Lo so. Merda, lo so.
Avanzano, acquattati, piegati, striscianti come vermi per quella strada colma di macerie: i miei compagni.
Un villaggio di ribelli... di sporchi ribelli con rudimentali molotov e armi che persino un bambino saprebbe maneggiare. Ma sono ostinati.
Aggrapparsi alla vita rende una persona dannatamente forte... soprattutto se gioca in casa.
Intravedo, mentre sono accoccolato nell'ombra di una finestra dai vetri infranti, solo degli zombie ambulanti... soldati distrutti, dalle divise sdrucite e la barba non fatta di giorni.

Una doccia. E una bella scopata.

Sì, una volta che ci avranno congedati da questa dannata guerra saranno le prime cose da fare. Poi dare un colpo di telefono ai miei vecchi... sempre in pena... accidenti, per colpa mia non avranno mai una vita tranquilla.
La cenere della sigaretta cade a terra. Aspiro un'altra boccata.
Avanzano ancora. Prudenti. Tremanti di paura.
La paura ti si incolla addosso... una puzza tremenda che non sparisce. L'altro giorno Casey, un pivello sbattuto in prima linea direttamente da un lavoro d'archivio, si era pisciato addosso prima di fare un'incursione.
L'esperienza non conta... per morire non si è mai esperti abbastanza.
La radio digrigna i denti. Un po' di interferenze e finalmente una voce umana.
“Lupo Solitario ci copri?” scorgo dalla mia postazione Cross parlare all'auricolare.
“Come al solito bello, come al solito.”
“Paraci il culo e torniamo a casa senza troppe chiappe forate.”
“Contaci!”
La sigaretta è un insulso mozzicone. Con un movimento di labbra lo getto a terra per tornare a concentrarmi sul mirino.
La via è piena di anfratti bui, le ombre del tardo pomeriggio si dipingono sui muri dai mattoni di un marroncino sbiadito... provate a nascondervi brutti stronzi... io vi troverò.
Ed è come avere un lampo di genio. Una rivelazione mistica. Vincere alla lotteria.
Lo vedo. Il nemico... acquattato, che prega i suoi dei, o forse non pensa a niente... ma è sempre pronto ad uccidere.

Prendi la mira Miguel Ron Sandoval... prendi la mira.

Mi concedo il lusso di sospirare. Per poi trattenere l'aria.
Impugno con più forza il fucile sul treppiede, punto il mirino, appoggio l'indice al grilletto.
L'umidità mi impregna le narici... la puzza di sangue e bruciato mi fa vomitare.
Forse anch'io puzzo... non lo so, non mi rendo più conto di nulla, nemmeno del tempo.

Spara Miguel Ron Sandoval... spara.

Un leggero tremito alla mano... nulla che non si possa controllare. Il mio soggetto non accenna a muoversi, rimane appiattito contro il muro... in mano una pistola semiautomatica, modello vecchio... niente di troppo pericoloso ma se puntata al cuore uccide, come ogni arma.
L'ho inquadrato.
La sua testa è al centro del mio cerchio perfetto.
Premo il grilletto, parte il colpo.
E poi il solito registro... una testa in meno, i miei compagni sono salvi e abbiamo più possibilità di tornare a casa interi: la mia perfetta equazione matematica.

Novanta punti. Un colpo alla testa vale novanta punti.
Cento se colpisci dritto al cuore... è la parte meno esposta ma è anche il modo più nobile per morire: diretto e non fa nemmeno così impressione.
I miei commilitoni avanzano, guardandosi le spalle.
A passi più veloci, le armi tese in avanti... correte. Andatevene da questo schifo.
Io vi guarderò da qui... per oggi sono il vostro Dio personale, vi paro il culo e voi non morirete. Non dovete nemmeno pregarmi, servizio immediato.
Corrono. Ansimano... eccola la puzza della paura che si solleva assieme alla polvere delle strade strette del tardo pomeriggio.
Un gruppo armato, a qualche metro da lì.
Faccio girare il fucile, un'angolazione buona ma non perfetta... non posso fare granché.
Inizia a soffiare un leggero vento da nord est: un peccato, devia i proiettili... altro fattore da calcolare...

Guardati attorno Miguel... los enemigos son hijos de puta porque lo unico que hacen es matarte... mi padre tenìa razòn... cos'altro devono fare i nemici se non ucciderti?
E i nemici sono ovunque... tanti potenziali assassini.
Farò mai un colpo da cento punti?
Sorrido.
Rumore di spari.
La squadra non ha problemi a far fuori il piccolo blocco di resistenza: una volta che avranno spianato la strada cambierò posizione.
Cessa ogni rumore.

La radio torna a gracchiare.
“Lupo Solitario qui è pulito. Aspetta a muoverti, questi stronzi sanno nascondersi bene.”
“Ricevuto. Tengo d'occhio la via, avanzate.”
Li intravedo camminare, sposto il treppiede per seguirli con l'obiettivo senza dovermi sporgere ed espormi: gesto da evitare, io vivo nell'ombra.
Muovo il mirino esplorando gli angoli più cupi della stradina, senza scovare le mie prede.
So che qualcuno ci dev'essere... amano attaccare alle spalle, dimenticandosi spesso di me.

In quel preciso istante, tolto l'occhio dall'obiettivo, lo vedo.
Un bambino.
Forse di dieci anni, un paio di pantaloni slargati viola e una maglia una volta bianca, ora di un grigio sudicio... capelli neri folti e occhi scuri, profondi, incavati.
Mierda.
Avanza a passo lento, dirigendosi verso il mio gruppo.
Non da solo... in mano ha una pistola.
Mi umetto le labbra. Guardo attraverso il mirino e la vedo... la sua faccia: apatica, distante, la morte che gli appare indifferente.
Il volto di una persona che ha già smesso di vivere, che cammina per inerzia.
Istintivamente porto l'indice al grilletto.
Devo sparare. Ucciderlo. Incassare i miei novanta punti: la sua testa è lì, deliziosamente a portata di mano.
La ricetrasmittente disponibile in modo quasi seducente: avverto i miei compagni e lo trapassano come se fosse un panetto di burro.
Ha mosso un passo. Lo seguo. Nessun problema, indipendentemente dal vento: il soggetto si muove abbastanza lentamente e in modo talmente scoperto da poterlo centrare ad occhi chiusi.

Ma è un bambino. Cristo Santo, un bambino.
Dovrebbe andare a scuola... dovrebbe giocare, fingere di stare a letto malato, ingrassare davanti alla televisione... non venire usato come carne da macello per uccidere gli stranieri invasori... no.
Qualcuno ha fatto male i conti.
Non dovrei nemmeno contemplare l'idea di sparargli.
E' magro, spento, come se fosse stato prosciugato: basterebbe un pugno per stenderlo e lasciarlo svenuto. Il proiettile è ridondante come la panna sul caffé... uno sfizio sbagliato.

Ma avrebbe ucciso i miei compagni.

Senza pensarci oltre miro a terra, forse a due passi da lui.
Sparo, un colpo secco fora la polvere lasciando una leggera nuvola simile a sabbia.
“Vattene stupido. Corri via.” mormoro digrignando inconsapevolmente i denti.
Lo capisci ora chiquito? Ti ho sotto tiro... posso ammazzarti.
Ma non lo faccio.
Il bimbo si arresta.
No, in faccia non sembra avere traccia di paura.
Guardo meglio... ha i pantaloni bagnati. Una chiazza umida sul terreno sotto ai suoi piedi.
Si volta nella mia direzione... lo guardo attraverso il mirino, gli occhi stralunati, le labbra inesistenti e un tremito alla mascella... no... che cretino... certo che ha paura. Una paura folle.
“Scappa.” sussurro ancora.
Ma lui non può vedermi. Eppure sa dove mi trovo... il suo Uomo Nero nascosto nell'oscurità che può ucciderlo a piacimento.
Nonostante tutto non accenna ad andarsene. Rimane disperatamente a fissarmi in modo indefinito, come un cieco che cerca di cogliere lo sguardo di una persona.

Madre de Dios.

Stupido. Accenno ad un sorriso amaro.
Ho rivelato la mia postazione in modo troppo diretto. Ho sparato dritto davanti a me, persino un idiota capirebbe in che zona sono collocato.
Parte uno sparo.
Odore di zolfo, di bruciato. Odore ancora una volta di sangue.
Pero el chico sucio non può vedermi e nemmeno spararmi.

Allora perché mi fa male il petto?
Smetto di fissare l'obiettivo, ignorando il sapore di ferro in bocca, ignorando la mancanza d'aria.
Mi porto una mano al torace e sento un liquido caldo scorrere sulla mia pelle riarsa.
Fisso il rosso intenso sul mio palmo.
Mi accascio a terra, scorgendo la radio che grugnisce incerta:
“Lupo solitario cos'erano quei colpi? Dobbiamo arretrare le posizioni?”
Non rispondo. Parlo ma gorgoglio come un neonato che sbrodola. A trent'ottanni. Uno schifo.
Ma sento di riuscire a sorridere... el chico sucio non mi ha sparato.
Uno de mis enemigos. Nascosto nell'ombra in attesa di una mia distrazione per trovarmi... ho perso a guardie e ladri.

Splendido. Ringraziami bimbo, oggi sono stato un Dio anche per te... ti ho salvato la vita... peccato, dovrai trovarti un nuovo Dio a portata di mano.
Mi madre non piangerà. Sarà orgogliosa.
Un colpo in pieno petto, pochi secondi di lucidità.
I miei cento punti.



Grazie per aver letto.

   
 
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