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Autore: Word_shaker    28/06/2015    1 recensioni
Era proprio di lui che si discuteva senza sosta al Paiolo Magico. Mentre ad Ernie Urto e Muriel Prewett premeva terminare le scorte di Whiskey Incendiario della casa, seduta ad un tavolo al centro del locale, quasi nascosta dalla folla, un’affaccendata Rita Skeeter stava succhiando la sua penna prendiappunti per carpire quante più informazioni possibili in mezzo al chiacchiericcio generale. Chissà quanti galeoni avrebbe guadagnato se avesse scritto un articolo dettagliato sul leggendario figlio dei Potter, il primo ad aver vinto l’anatema che uccide e lo stesso Voldemort! [...] Quell’articolo sarebbe stato la svolta giusta per lei… Sennonché un marpione da strapazzo si sedette vicino a lei e cominciò a parlare, fuorviando, così, la mente di Rita dal discorso di Doge e, quindi, la penna dai suoi appunti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Gilderoy Allock, Rita Skeeter
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Nessun contesto
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Era circa un mese che Gilderoy e Rita non si parlavano, non si scrivevano, non comunicavano in generale.
Rita stava andando avanti con la sua carriera, aveva ormai una maschera scoppiettante a difendere la sua anima di mollusco dalla crudeltà di quello che scriveva.
Da quello che Gilderoy lesse sul Profeta la mattina del 2 dicembre nella sua pomposa vestaglia celeste, Rita Skeeter era passata ufficialmente ad articoli più “seri”, e adesso si occupava degli scoop sul Ministero della Magia. 
“Mi hanno ufficialmente dato il posto che merito, ovvero in mezzo ai pasticci del Ministero!” aveva dichiarato in un articolo su se stessa che occupava tutta la seconda pagina del giornale.
Gli angoli della bocca di Allock si spostarono in un sorriso raro, altruista ma compiaciuto. In fondo, il merito del successo di Rita era suo.
Peccato che lei non volesse più saperne nulla di lui.
A quel pensiero, scosse la testa e un bigodino si scompose. Per controllare che quel boccolo fosse perfetto lo stesso, si guardò allo specchio. Come sempre, vedeva un uomo bellissimo, portentoso, amato, ma da un mese a questa parte le parole di lei erano pronte a punzecchiargli la schiena come per metterlo in guarda, si insidiavano nelle sue meningi come una folata di alito cattivo, contaminavano i suoi pensieri perfetti e profumati.
«Rita ha torto. Rita ha...» ripeteva a se stesso ogni mattina dopo quell'episodio, contraendo il viso armonioso in una smorfia concentrata, come se stesse per ingoiare una pillola troppo grande.
Non capiva perché lei non avesse compreso l'importanza di quella confessione, l’onore di essere l'unica a conoscere perfettamente la sua storia.
Sì, l’onore; perché Gilderoy lo considerava un privilegio, ma Rita, evidentemente, aveva frainteso il suo discorso, aveva creduto che descriversi esattamente com'era fosse un modo per allontanarla.
Lui però non voleva allontanarla.
Ogni volta che si trovava vicino a lei non ce la faceva a costruire quel sorriso che rivolgeva agli altri, quel sorriso tanto premiato, ma tanto falso.
Lei lo stuzzicava a tal punto che lui avrebbe fatto follie per vederla non arricciare il labbro una buona volta. Lei lo stuzzicava perché non lo amava, o almeno così gli faceva capire.
Conquistare la sua ammirazione – che forse, ottimisticamente parlando, si era già insidiata in lei – sarebbe stata la sua nuova sfida. E chi se ne importava se il perdigiorno-buono-a-nulla-e-vanitoso-vero-Gilderoy-Allock avesse vinto? Lui ci avrebbe provato lo stesso. Ne valeva la pena.
Rita è una di quelle persone che non fanno dormire, pensò in silenzio.

 

Il 10 dicembre, mentre Gilderoy stava preparando una lista di tutte le persone da invitare a casa sua per la cena di Natale, - forse - trovò un modo per risolvere quel grosso impiccio.
L'avrebbe invitata a casa sua per quella festa spumeggiante che preparava ogni anno! Magari non avrebbe avuto il coraggio di dire di no se lui avesse scritto i nomi dei partecipanti che avrebbero potuto colpirla.
Così, con una nuova grinta, le sue manine cominciarono ad aprirsi e chiudersi a pugno ad intervalli più o meno regolari, il cervello che si arrovellava.
Dopo una decina di minuti, cominciò a buttare giù nomi su nomi di gente che vedeva regolarmente, di gente che aveva incontrato poche volte e gente che sarebbe svenuta soltanto nel leggere il nome del mittente sulla busta. E poi c'era Rita.
Per lei preparò una Strillettera: perlomeno non avrebbe potuto non leggerla senza subirne le conseguenze. Così, senza pensarci troppo, prese la bacchetta e cominciò a dettare alla penna:


«ZuccheRita! Ciao!
Da quanto tempo, eh? Vedo che hai fatto carriera velocemente! I miei complimenti!
Sai, volevo invitarti alla cena di Natale che si terrà a casa mia il 25 dicembre. Ci saranno anche Elphias Doge, Horace Lumacorno e il Ministro della Magia.
Sai, mi farebbe piacere vederti in quell'occasione.
Se hai intenzione di venire, fammelo sapere al più presto! Ti aspetto!
Il favoloso
Gilderoy Allock».


Sembrava che andasse bene. Se le fosse stata recapitata davanti a qualcun altro non ci sarebbero stati problemi di discrezione, ecco perché non si era scusato in quella lettera. Come se non ci avesse provato, poi.
Ormai lo faceva due volte al giorno da quando Rita se n'era andata senza scrupoli: prendeva carta e penna, cominciava a scrivere e poi cancellava tutto, credendosi patetico o inadeguato.
Non si era mai sentito così nei confronti di qualcuno. Quella donna era riuscita a calpestare la sua vanità e il suo egocentrismo.
Si sarebbe potuto dire tutto di Allock, tranne che non fosse sincero con se stesso.
Ma perché? Lei era solo una persona... O così credeva lui. Chi le dava tutto questo potere?
Senza pensarci, Gilderoy posò le labbra sulla busta che conteneva la Strillettera e la diede al suo piccolo, simpatico gufo; dopodiché, visto che era anche terribilmente indietro con gli inviti, cominciò a scrivere uno per uno tutti i biglietti, tanto per passare il tempo.

 

Rita in quel periodo guadagnava una soddisfazione dopo l'altra. Le fotocamere erano puntate su di lei e finalmente, a passi veloci, aveva raggiunto il successo desiderato.
La cosa più bella era la consapevolezza di aver fatto tutto da sola, anche se il suggerimento iniziale – dal quale era provenuto, poi, tutto il resto – gliel'aveva dato Allock; ma questo non l'avrebbe mai ammesso né a se stessa, né agli altri.
Era passata da uno squallido ufficio polveroso con la carta da parati che cedeva ad un ufficio completamente in marmo, pieno di decorazioni sulle pareti e anche sulla colonna portante al centro della sala.
La sua scrivania era grande almeno il doppio e sulla sua superficie c'erano sempre documenti da controllare.
Le interviste con i personaggi importanti lievitavano e più volte nel corso di quel mese senza Gilderoy aveva pensato di gettare completamente quella parte di sé che era ancora in conflitto con la sua deliziosa maschera.
Tutto sembrava andare bene quel giorno, quando il gufo tanto temuto si catapultò nel suo ufficio. Stavolta aveva con sé una Strillettera.
Spaventata dalla cosa, Rita la aprì e la sua testa sprofondò di un centimetro ad ogni parola pronunciata con la voce di quell'idiota imbellettato, resa, tra l'altro, più acuta e fastidiosa.
E adesso che cosa avrebbe fatto? Perché quell'invadente e inutile creatura le aveva mandato una Strillettera?
Ma certo... Perché avrebbe dovuto aprirla se non avesse voluto che le esplodesse in faccia e che, quindi, facesse una pessima figura proprio all'inizio della sua carriera in salita. Era proprio perfido.
Presa dal nervosismo, afferrò un piccolo foglio di pergamena e scrisse a caratteri cubitali, la pressione sulla penna così salda che il foglio si sarebbe bucato fin troppo facilmente.
A caratteri cubitali, scrisse:  NON VERRO' , arrotolò il foglietto e lo ficcò nella bocca del pennuto, che le graffiò la mano in segno di stizza.
La risposta arrivò quasi subito, e già dalla consistenza e dal profumo della pergamena si poté constatare quanto il tono di voce di Gilderoy Allock sarebbe stato morbido se avesse pronunciato quelle parole, piuttosto che scriverle:

“Rita, per favore... Sto cercando di farmi perdonare”.

   
 
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