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Autore: Merryweather616    15/01/2009    1 recensioni
Ripensavo ad una frase che Ville mi diceva spesso, l’aveva cantata, l’aveva sussurrata, l’aveva scritta. Nella gioia e nel dolore la mia casa è tra le tue braccia. E stretta contro di lui, i suoi occhi gentili e dolorosamente perfetti dritti sul mio volto, protettivi e seri mi trapassavano l’anima ricordandomi ogni istante ancora che la mia casa non erano quattro pareti di cemento riempite di mobili e foto, il luogo dove il mio cuore aveva messo le radici erano le sue braccia secche e il suo petto magro contro cui raggomitolandomi potevo sentire il ritmo della mia vita.
Genere: Romantico, Comico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 13

…And we are too

 

I see it in your eyes
I feel it in your touch
I taste it from your lips
And baby more i love you


Come un cagnolino abbandonato entrai a testa bassa dentro la mia vecchia casa, abbracciai mio padre e senza che mi dicesse nulla mi sedetti sulla poltrona della chiacchierata. Ne avevo combinate tante, e grosse, e ogni volta tornavo qui, con la coda tra le gambe, sapendo che tra le parole del mio saggio padre avrei ritrovato quel me stesso che ogni tanto sperdevo in qualche parte d’Europa o tra le braccia di una donna sbagliata.

Lo vidi sparire e ricomparire qualche istante dopo con due tazze di thè verde e un piatto di biscotti che si divertiva a fare. Le forme era alquanto inusuali, ma si sa, qualcuno doveva testare i prodotti che vendeva al negozio e le formine strane era il suo hobby.

-Che è successo?- mi chiese sedendosi davanti a me e porgendomi il thè bollente.

-Bianca mi ha cacciato di casa- dissi con tono mesto.

-Mhhh.- mugugnò riflettendo sulla cosa. Una ruga di espressione gli incrinò la fronte e pensai che spesso mi dicevano che anche io avevo una cosa simile, quando ero concentrato un solco profondo si dipingeva sulla mia fronte. Bianca era stata la prima ad accorgersene, e dopo aver tentato con varie creme di liberarmi di quel segnò dell’età, aveva deciso che le piaceva e vedermelo la faceva impazzire.

Pensare a lei, lei che era parte di me come un altro organo, e pensare che non potevo andare li con tranquillità, prenderla in giro, abbracciarla, baciarla era una sensazione molto somigliante a migliaia di spilli ficcati sotto pelle.

-E perché ti ha cacciato?- chiese infine Kari dopo aver riflettuto a lungo.

-Le ho tenuta nascosta una cosa- risposi. Se lo conoscevo bene non mi avrebbe chiesto cosa, ma semplicemente ‘perché’.

-Perché avevo paura, papà. Ero terrorizzato che si sarebbe incazzata talmente tanto da fare qualcosa di pazzo, la conosci, e ora con la gravidanza è completamente fuori di testa.-

Mio padre mi scrutò a lungo, guardandomi negli occhi.

-Solo per questo?-chiese.

Non sapevo se amare e odiare che mi leggesse nel pensiero.

No, era ovvio che non fosse solo per quello.

-Io a quella cena non ci sarei mai dovuto andare. Dovevo andare con Bianca dai suoi genitori, il lavoro avrebbe dovuto aspettare. E quando quella donna mi è saltata addosso senza che me ne accorgessi e mi ha baciato, l’ho capito. Ma ormai il danno era fatto, e non sapevo come dirglielo, aveva già belle magagne da risolvere, e poi tornati a Helsinki siamo tornati a fare la happy-couple e non volevo rovinare tutto, come ho fatto altre volte. Ho preferito la bugia-. Un fiume di parole mi era uscito dalla bocca senza fermarsi, mi sentivo già più libero e leggero. Quel segreto era stato un mattone per mesi e mesi, ben seppellito ma comunque li, pronto a rovinare tutto.

-Ville, come tuo solito, stai ingrandendo tutto, anzi l’hai già abbondantemente fatto. Si vede lontano un miglio che voi due siete una persona sola. Avresti dovuto dirglielo molto prima, e lei si sarebbe incazzata, ti avrebbe urlato contro, ma glielo avresti detto tu. Non lo sarebbe venuto a scoprire in altri modi drastici come penso sia accaduto-annuii mentre parlava –ecco, vedi. Il tuo problema è sempre stato che hai paura delle ripercussioni dei tuoi errori sulle persone che ami. Devi capire, che se ti amano, come Bianca fa, ti perdonano.-

-Lo so-dissi abbassando la testa. Non aveva senso mentire a me stesso. Ero stato un coglione e mi meritavo le urla e le grida.

-E poi voi due scopatori pazzi, non potete starvi lontani, quindi adesso fila a casa da lei e trova un modo di farti ascoltare- disse mio padre facendomi shushù con la mano.

-Ma papà?!?- non sapevo se ridere o essere indignato.- Non è che posso rimanere un po’ qui? Almeno finché Elena non mi chiama per dirmi che posso tornare senza rischiare l’evirazione.-

-Che figlio codardo che ho cresciuto- disse ridendo- tra mezzora torna tua madre che è uscita con le sue amiche, intanto facciamoci un panino, poi ti preparo il tuo vecchio letto.

 

Era quasi l’una di notte ed ero buttato sul divano del salone dei miei, ascoltando un vecchio LP di Neil Young che era sfuggito al mio radar il giorno che mi ero trasferito ed avevo portato via tutta la mia roba. Il fumo di varie sigarette mi circondava come una piccola nuvola grigia, e un solitario caffè mi faceva compagnia in questa notte che sapevo avrei passato insonne.

Mia madre era tornata, mi aveva visto, aveva capito che qualcosa non andava e si era fatta raccontare ogni cosa, senza tralasciare ogni dettaglio.

-Povera ragazza, sarà distrutta ora- aveva detto Anita. Di me non si era assolutamente preoccupata. Solidarietà femminile, dedussi. Sicuramente mia madre e Bianca non avevano il classico rapporto di bisticci e occhiate perfide che correva spesso tra suocere e nuore. Anzi, ero io quello che mediamente veniva bistrattato quando loro due facevano comunella.

-Vado da lei. Avrà bisogno di sostegno emotivo- aveva poi annunciato senza troppi complimenti.

Mio padre l’aveva guardata ridendo e poi mi aveva dato una pacca sulla spalla per confortarmi. Molto d’aiuto devo dire.

Ed ora, Kari era a dormire, e io ero a deprimermi con un sottofondo di musica che poco mi aiutava. Se avessi chiamato Migè o un altro dei ragazzi, sarebbero tutti corsi da lei e mi avrebbero dato dell’idiota, come se già non me lo stessi dando da solo, e ripetutamente.

Keeps me searching
for a heart of gold
And I'm getting old.

 

-E non me lo ricordare anche tu- gridai verso il giradischi- lo so che sto diventando vecchio- con uno scatto tolsi l’album dal lettore, presi il cappotto, chiamai un taksi e attesi il suo arrivo.

La notte da qualche parte mi avrebbe portato.

 

 

Sentivo un assordante rumore di passi provenire dal basso, doveva essere notte inoltrata ed completamente arrotolata nelle coperte, inconsciamente con fatica mi liberai e tastai con la mano sul lato sinistro per cercare Ville, ma quando la mia mano trovò il vuoto mi resi conto di cosa era successo solo poche ore prima. Una solitaria lacrima che non era stata ancora versata mi scese sulla guancia, mi passai la mano sul volto e la ritrovai macchiata di nero, il trucco doveva essersi completamente sciolto. Andando verso la porta incrociai lo sguardo con lo specchio, il mio riflesso mi spaventò, sembrava che un tram mi avesse investito ripetutamente, diciamo che litigare con l’unico amore della mia vita non fosse un esperienza davvero salutare.

Mi sistemai svogliatamente i vestiti stropicciati che indossavo dalla mattina prima e mi diressi giù per vedere chi stava facendo quel casino a quell’ora di notte e a casa mia.

La scena che mi ritrovai davanti mi provocò un accesso di risate impressionante.

Ridere per non piangere no?

Sembrava che la mia intera famiglia, quella vera, non i burini italiani, si fosse radunata nel soggiorno e stessero discutendo animatamente. C’era Linde buttato sulla poltrona a fianco al camino, Elena avvinghiata Jonne sul divano che agitava le mani contro un Migè intento a mangiare un cioccolatino, Kiki leggeva una rivista al contrario in Finlandese a fianco a Migè, e per finire vidi Anita in piedi al centro del salone che stava redarguendo Linde.

-C’è qualcosa di cui dovrei essere messa al corrente?- dissi scendendo le scale. Tutti si voltarono a guardarmi ammutolendosi all’istante. –Insomma?-

-Bi, mia cara, come stai?- nessuno rispose alla mia domanda, ma Anita mi venne incontro prendendomi tra le braccia e stringendomi a lei.

-Beh, Nit, potrebbe andare meglio, sai com’è…senza Luce le piante muoiono- dissi amaramente. Mi aveva fatto incazzare, mi aveva mentito, ma era mio e senza di lui ormai ero un relitto, ed erano passate solo poche ore. Dovevo sbrigarmi a farmi passare questa dannatissima incazzatura, e sperare che non fosse troppo arrabbiato. Anche Eva stava risentendo della mancanza di Ville, continuava a dare calci senza fermarsi.

-Piccola, ora andiamo da papà, stai tranquilla- le sussurrai accarezzandomi il pancione con delicatezza.

-Ma come?- mi chiese Migè. –Noi siamo tutti qui riuniti perché la coppia perfetta ha litigato e tu vuoi già andare da lui? Stavamo macchinando come fargliela pagare.-

-Aaaah ora capisco perché siete tutti radunati qui a fare macello, Novella 2000 si trasferisce a Helsinki eh?-risi guardando Kiki e Elena che furono le uniche a comprendere la battuta.

-Noi volevamo solo essere d’aiuto, Bi- Linde prese la parola cercando di scusare la pseudo-riunione. –O perlomeno, quello era lo scopo. Poi ci siamo messi a chiacchierare degli altri due piccioncini qua- disse indicando mia sorella e Jonne che si erano lanciati in una maratona di apnea. –E poi ora si stava discutendo di dove andare a cercarci qualcosa da mangiare a quest’ora. Lo sai vero che il vostro frigo è schifosamente vuoto?-

-Lo so, parlane col tuo amichetto li. Mi porta sempre a mangiare fuori, e l’unica cosa che abbiamo è cioccolata, caffè e thè- scossi il capo e sorrisi pensando a tutte le volte che cercavo di cucinare e venivo malamente trascinata al ristorante giapponese. La cucina casalinga non era la prima passione di Ville, diciamo.

Finii di scendere le scale e andai a sedermi sul divano a fianco a Elena e Jonne.

-Voi avete idea di dove sia?- chiesi speranzosa.

-Un’ora fa era a casa nostra- rispose Anita –Kari stava cercando di fargli entrare un po’ di sale in zucca, e quando sono andata via si stava deprimendo sul divano ascoltando Neil Young, fumando come un turco.

Un ghigno di sadismo mi sfiorò il volto, l’avevo già perdonato quello si, ma sapere che si stava autopunendo per come si era comportato mi rendeva molto, ma molto felice.

-Ottimo, ottimo, era proprio quello che mi aspettavo- dissi.

-Ora però mi ha chiamato Kari, si è svegliato e non l’ha trovato, deve essere uscito e non ha lasciato nessun messaggio, e il cellulare è spento-

Un battito del cuore perse il suo ritmo.

Dove poteva essere andato, alle due di notte con una morsa di gelo che non se ne vedevano da anni. Fissai gli altri ma nessuno di loro mi sembrava preoccupato.

-Tranquilla, Bi. Avrà preso un taksi e si starà facendo portare in giro per Helsinki, se lo conosco bene- disse Migè sgranocchiando una barretta di cioccolata ai lamponi.

-Sicuro, Sis. Siediti qui con noi e aspettiamo che sia giorno, poi lo andiamo a cercare. Tanto i suoi hotspot li conosciamo- Elena si era un attimo slacciata dal fianco del biondo cantante e mi stava accarezzando una mano.

Non sapevo cosa fare. Fuori era tutto ghiacciato eppure non potevo rimanere li a casa, con le mani in mano.

Improvvisamente una canzone risuonò nella mia mente. And the sacrament is you

Sapevo dov’era. O almeno dove sarebbe andato.

Se era già li e stava congelando per fare il finto duro, l’avrei ammazzato di botte, quello era sicuro.

-Ragazzi, so dov’è- dissi afferrando il cordless e chiamando la nostra fidata compagnia di taksi.

-Dove hai intenzione di andare a quest’ora?- la voce di Anita e quella di Elena si unirono nella stessa frase.

-Vado a riprendermi quell’idiota che mi sono sposata-.

Andai su di corsa, presi i stralci della famosa canottiera e li nascosi per bene in un cassetto, sperando che non gli venisse la malsana idea di andarsela a cercare di nuovo. Mi misi addosso quanti più strati di lana potevo, sciarpa, cappello, calze, enorme cappotto da sci ed ero pronta.

-Eva, andiamo a riprendere la zucchina che ti farà da padre che ne dici?-

La bambina sembrò sentire la mia domanda e lanciò un piccolo calcio sulla milza.

-Ok, ok, sei d’accordo anche tu, ma la prossima volta un po’ più piano, la mamma ringrazia sentitamente.

Il rumore di un clacson mi avvisò dell’arrivo del taksi.

Scesi di corsa le scale, tutto il gruppetto raduno mi stava guardando come se fossi un aliena. Prima mi chiudevo in camera urlando al tradimento e alla vendetta, poi me lo correvo a riprendere di notte, a Helsinki, d’inverno. Potevo capirli.

Ma stiamo parlando di Ville Hermanni Valo.

Nonché di mio marito.

E quando si tratta di lui, la pazzia è routine quotidiana.

 

 

 

 

 

 

 

  
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