Capitolo 13
…And
we are too
I see it in your eyes
I feel it in your touch
I taste it from your lips
And baby more i love you
Come un cagnolino abbandonato entrai a testa bassa
dentro la mia vecchia casa, abbracciai mio padre e senza che mi dicesse nulla
mi sedetti sulla poltrona della chiacchierata. Ne avevo combinate tante, e
grosse, e ogni volta tornavo qui, con la coda tra le gambe, sapendo che tra le
parole del mio saggio padre avrei ritrovato quel me stesso che ogni tanto
sperdevo in qualche parte d’Europa o tra le braccia di una donna sbagliata.
Lo vidi sparire e ricomparire qualche istante dopo
con due tazze di thè verde e un piatto di biscotti
che si divertiva a fare. Le forme era alquanto inusuali, ma si sa, qualcuno
doveva testare i prodotti che vendeva al negozio e le formine strane era il suo
hobby.
-Che è successo?- mi chiese sedendosi davanti a me
e porgendomi il thè bollente.
-Bianca mi ha cacciato di casa- dissi con tono
mesto.
-Mhhh.- mugugnò riflettendo sulla cosa. Una ruga di
espressione gli incrinò la fronte e pensai che spesso mi dicevano che anche io
avevo una cosa simile, quando ero concentrato un solco profondo si dipingeva
sulla mia fronte. Bianca era stata la prima ad accorgersene, e dopo aver
tentato con varie creme di liberarmi di quel segnò dell’età, aveva deciso che
le piaceva e vedermelo la faceva impazzire.
Pensare a lei, lei che era parte di me come un
altro organo, e pensare che non potevo andare li con tranquillità, prenderla in
giro, abbracciarla, baciarla era una sensazione molto somigliante a migliaia di
spilli ficcati sotto pelle.
-E perché ti ha cacciato?- chiese infine Kari dopo aver riflettuto a lungo.
-Le ho tenuta nascosta una cosa- risposi. Se lo
conoscevo bene non mi avrebbe chiesto cosa, ma semplicemente ‘perché’.
-Perché avevo paura, papà. Ero terrorizzato che si
sarebbe incazzata talmente tanto da fare qualcosa di pazzo, la conosci, e ora
con la gravidanza è completamente fuori di testa.-
Mio padre mi scrutò a lungo, guardandomi negli
occhi.
-Solo per questo?-chiese.
Non sapevo se amare e odiare che mi leggesse nel
pensiero.
No, era ovvio che non fosse solo per quello.
-Io a quella cena non ci sarei mai dovuto andare.
Dovevo andare con Bianca dai suoi genitori, il lavoro avrebbe dovuto aspettare.
E quando quella donna mi è saltata addosso senza che me ne accorgessi e mi ha
baciato, l’ho capito. Ma ormai il danno era fatto, e non sapevo come dirglielo,
aveva già belle magagne da risolvere, e poi tornati a Helsinki siamo tornati a
fare la happy-couple e non volevo rovinare tutto,
come ho fatto altre volte. Ho preferito la bugia-. Un fiume di parole mi era
uscito dalla bocca senza fermarsi, mi sentivo già più libero e leggero. Quel
segreto era stato un mattone per mesi e mesi, ben seppellito ma comunque li,
pronto a rovinare tutto.
-Ville, come tuo solito, stai ingrandendo tutto,
anzi l’hai già abbondantemente fatto. Si vede lontano un miglio che voi due
siete una persona sola. Avresti dovuto dirglielo molto prima, e lei si sarebbe
incazzata, ti avrebbe urlato contro, ma glielo avresti detto tu. Non lo sarebbe
venuto a scoprire in altri modi drastici come penso sia accaduto-annuii mentre
parlava –ecco, vedi. Il tuo problema è sempre stato che hai paura delle
ripercussioni dei tuoi errori sulle persone che ami. Devi capire, che se ti
amano, come Bianca fa, ti perdonano.-
-Lo so-dissi abbassando la testa. Non aveva senso
mentire a me stesso. Ero stato un coglione e mi meritavo le urla e le grida.
-E poi voi due scopatori pazzi, non potete starvi
lontani, quindi adesso fila a casa da lei e trova un modo di farti ascoltare-
disse mio padre facendomi shushù con la mano.
-Ma papà?!?- non sapevo se ridere o essere
indignato.- Non è che posso rimanere un po’ qui? Almeno finché Elena non mi
chiama per dirmi che posso tornare senza rischiare l’evirazione.-
-Che figlio codardo che ho cresciuto- disse
ridendo- tra mezzora torna tua madre che è uscita con le sue amiche, intanto
facciamoci un panino, poi ti preparo il tuo vecchio letto.
Era quasi l’una di notte ed ero buttato sul divano
del salone dei miei, ascoltando un vecchio LP di Neil Young che era sfuggito al
mio radar il giorno che mi ero trasferito ed avevo portato via tutta la mia
roba. Il fumo di varie sigarette mi circondava come una piccola nuvola grigia,
e un solitario caffè mi faceva compagnia in questa notte che sapevo avrei
passato insonne.
Mia madre era tornata, mi aveva visto, aveva capito
che qualcosa non andava e si era fatta raccontare ogni cosa, senza tralasciare
ogni dettaglio.
-Povera ragazza, sarà distrutta ora- aveva detto
Anita. Di me non si era assolutamente preoccupata. Solidarietà femminile,
dedussi. Sicuramente mia madre e Bianca non avevano il classico rapporto di
bisticci e occhiate perfide che correva spesso tra suocere e nuore. Anzi, ero
io quello che mediamente veniva bistrattato quando loro due facevano comunella.
-Vado da lei. Avrà bisogno di sostegno emotivo-
aveva poi annunciato senza troppi complimenti.
Mio padre l’aveva guardata ridendo e poi mi aveva
dato una pacca sulla spalla per confortarmi. Molto d’aiuto devo dire.
Ed ora, Kari era a
dormire, e io ero a deprimermi con un sottofondo di musica che poco mi aiutava.
Se avessi chiamato Migè o un altro dei ragazzi,
sarebbero tutti corsi da lei e mi avrebbero dato dell’idiota, come se già non
me lo stessi dando da solo, e ripetutamente.
Keeps
me searching
for a heart of gold
And I'm getting old.
-E non me lo ricordare anche tu- gridai verso il
giradischi- lo so che sto diventando vecchio- con uno scatto tolsi l’album dal
lettore, presi il cappotto, chiamai un taksi e attesi
il suo arrivo.
La notte da qualche parte mi avrebbe portato.
Sentivo un assordante rumore di passi provenire dal
basso, doveva essere notte inoltrata ed completamente arrotolata nelle coperte,
inconsciamente con fatica mi liberai e tastai con la mano sul lato sinistro per
cercare Ville, ma quando la mia mano trovò il vuoto mi resi conto di cosa era
successo solo poche ore prima. Una solitaria lacrima che non era stata ancora
versata mi scese sulla guancia, mi passai la mano sul volto e la ritrovai
macchiata di nero, il trucco doveva essersi completamente sciolto. Andando
verso la porta incrociai lo sguardo con lo specchio, il mio riflesso mi
spaventò, sembrava che un tram mi avesse investito ripetutamente, diciamo che
litigare con l’unico amore della mia vita non fosse un esperienza davvero
salutare.
Mi sistemai svogliatamente i vestiti stropicciati
che indossavo dalla mattina prima e mi diressi giù per vedere chi stava facendo
quel casino a quell’ora di notte e a casa mia.
La scena che mi ritrovai davanti mi provocò un
accesso di risate impressionante.
Ridere per non piangere no?
Sembrava che la mia intera famiglia, quella vera,
non i burini italiani, si fosse radunata nel soggiorno e stessero discutendo
animatamente. C’era Linde buttato sulla poltrona a fianco al camino, Elena
avvinghiata Jonne sul divano che agitava le mani
contro un Migè intento a mangiare un cioccolatino, Kiki leggeva una rivista al contrario in Finlandese a
fianco a Migè, e per finire vidi Anita in piedi al
centro del salone che stava redarguendo Linde.
-C’è qualcosa di cui dovrei essere messa al
corrente?- dissi scendendo le scale. Tutti si voltarono a guardarmi
ammutolendosi all’istante. –Insomma?-
-Bi, mia cara, come stai?- nessuno rispose alla mia
domanda, ma Anita mi venne incontro prendendomi tra le braccia e stringendomi a
lei.
-Beh, Nit, potrebbe andare meglio, sai com’è…senza Luce le piante muoiono- dissi amaramente. Mi aveva
fatto incazzare, mi aveva mentito, ma era mio e senza di lui ormai ero un
relitto, ed erano passate solo poche ore. Dovevo sbrigarmi a farmi passare
questa dannatissima incazzatura, e sperare che non fosse troppo arrabbiato.
Anche Eva stava risentendo della mancanza di Ville, continuava a dare calci
senza fermarsi.
-Piccola, ora andiamo da papà, stai tranquilla- le
sussurrai accarezzandomi il pancione con delicatezza.
-Ma come?- mi chiese Migè.
–Noi siamo tutti qui riuniti perché la coppia perfetta ha litigato e tu vuoi
già andare da lui? Stavamo macchinando come fargliela pagare.-
-Aaaah ora capisco perché siete tutti radunati qui a fare
macello, Novella 2000 si trasferisce a Helsinki eh?-risi guardando Kiki e Elena che furono le uniche a comprendere la battuta.
-Noi volevamo solo essere d’aiuto, Bi- Linde prese
la parola cercando di scusare la pseudo-riunione. –O
perlomeno, quello era lo scopo. Poi ci siamo messi a chiacchierare degli altri
due piccioncini qua- disse indicando mia sorella e Jonne
che si erano lanciati in una maratona di apnea. –E poi ora si stava discutendo
di dove andare a cercarci qualcosa da mangiare a quest’ora. Lo sai vero che il
vostro frigo è schifosamente vuoto?-
-Lo so, parlane col tuo amichetto li. Mi porta
sempre a mangiare fuori, e l’unica cosa che abbiamo è cioccolata, caffè e thè-
scossi il capo e sorrisi pensando a tutte le volte che cercavo di cucinare e
venivo malamente trascinata al ristorante giapponese. La cucina casalinga non
era la prima passione di Ville, diciamo.
Finii di scendere le scale e andai a sedermi sul
divano a fianco a Elena e Jonne.
-Voi avete idea di dove sia?- chiesi speranzosa.
-Un’ora fa era a casa nostra- rispose Anita –Kari stava cercando di fargli entrare un po’ di sale in
zucca, e quando sono andata via si stava deprimendo sul divano ascoltando Neil
Young, fumando come un turco.
Un ghigno di sadismo mi sfiorò il volto, l’avevo
già perdonato quello si, ma sapere che si stava autopunendo per come si era
comportato mi rendeva molto, ma molto felice.
-Ottimo, ottimo, era proprio quello che mi
aspettavo- dissi.
-Ora però mi ha chiamato Kari,
si è svegliato e non l’ha trovato, deve essere uscito e non ha lasciato nessun
messaggio, e il cellulare è spento-
Un battito del cuore perse il suo ritmo.
Dove poteva essere andato, alle due di notte con
una morsa di gelo che non se ne vedevano da anni. Fissai gli altri ma nessuno
di loro mi sembrava preoccupato.
-Tranquilla, Bi. Avrà preso un taksi
e si starà facendo portare in giro per Helsinki, se lo conosco bene- disse Migè sgranocchiando una barretta di cioccolata ai lamponi.
-Sicuro, Sis. Siediti qui
con noi e aspettiamo che sia giorno, poi lo andiamo a cercare. Tanto i suoi hotspot li conosciamo- Elena si era un attimo slacciata dal
fianco del biondo cantante e mi stava accarezzando una mano.
Non sapevo cosa fare. Fuori era tutto ghiacciato
eppure non potevo rimanere li a casa, con le mani in mano.
Improvvisamente una canzone risuonò nella mia
mente. And the sacrament
is you
Sapevo dov’era. O almeno dove sarebbe andato.
Se era già li e stava congelando per fare il finto
duro, l’avrei ammazzato di botte, quello era sicuro.
-Ragazzi, so dov’è- dissi afferrando il cordless e
chiamando la nostra fidata compagnia di taksi.
-Dove hai intenzione di andare a quest’ora?- la
voce di Anita e quella di Elena si unirono nella stessa frase.
-Vado a riprendermi quell’idiota che mi sono
sposata-.
Andai su di corsa, presi i stralci della famosa
canottiera e li nascosi per bene in un cassetto, sperando che non gli venisse
la malsana idea di andarsela a cercare di nuovo. Mi misi addosso quanti più
strati di lana potevo, sciarpa, cappello, calze, enorme cappotto da sci ed ero
pronta.
-Eva, andiamo a riprendere la zucchina che ti farà da
padre che ne dici?-
La bambina sembrò sentire la mia domanda e lanciò
un piccolo calcio sulla milza.
-Ok, ok, sei d’accordo anche tu, ma la prossima
volta un po’ più piano, la mamma ringrazia sentitamente.
Il rumore di un clacson mi avvisò dell’arrivo del taksi.
Scesi di corsa le scale, tutto il gruppetto raduno
mi stava guardando come se fossi un aliena. Prima mi chiudevo in camera urlando
al tradimento e alla vendetta, poi me lo correvo a riprendere di notte, a
Helsinki, d’inverno. Potevo capirli.
Ma stiamo parlando di Ville Hermanni
Valo.
Nonché di mio marito.
E quando si tratta di lui, la pazzia è routine
quotidiana.