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Autore: Medy    01/07/2015    4 recensioni
"Well, I’ve got thick skin and an elastic heart, But your blade it might be too sharp I’m like a rubber band until you pull too hard, I may snap and I move fast But you won’t see me fall apart Cause I’ve got an elastic heart"
Quanto può sopportare un cuore? Quanto può attendere, senza disgregarsi del tutto? Quanto l'amore può essere abbastanza per tener legate due persone?
Dopo gli amori complicati, improbabili e attesi di "Vacanze Romane", ritorno nuovamente con una nuova fan fiction dove questa volta è la New Generation la protagonista di tutto. Nuovi amori, nuove amicizie, nuovi dolori e tormenti e forse nuovi lieti fine!
Spero che non rimarrete delusi!!
Medy
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blaise Zabini, Draco Malfoy, Hermione Granger, Nuovo personaggio, Theodore Nott | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Luna
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo modificato. L'ho pubblicato troppo in fretta da aver dimenticato di aggiungere la foto di Madison Diggory. Ora anche lei ha un volto!! 
Buona lettura!! 

 

Elastic Heart
VI °Chapter
 Teenage Dream 
 

 
 
 
 
 
 
Dakota entrò quasi come una furia nella sala Comune dei Serpeverde.
Mya e Drake le avevano spifferato la parola d'ordine da usare solo in casi di emergenza e quello era un estremo caso di emergenza. I suoi passi quasi rimbombarono per l’ irruenza che mise ad ogni passo, e gli occhi erano spalancati e in cerca solo di un'unica persona.
"Dov'e Drake!?" Kyron lasció scivolare la rivista di Quidditch dal viso al petto e guardó l'ospite con aria stanca. Era un piacevole pomeriggio di fine corsi e si era quasi appisolato nel leggere le classifiche sportive. Kenny non alzó lo sguardo dal suo compito di Trasfigurazione, troppo impegnato a mettere insieme qualche parola sensata che potesse spiegare e definire alla perfezione l’incantesimo spiegato dalla McGranitt. Quella materia non era assolutamante adatta a lui, e la sua mente non riusciva a giungere ad una comprensione tale da potergli permettere almeno una "T".
"Buon pomeriggio Dak, quale buon vento?" Kyron si stiracchió sul divano occupato del tutto per concedersi quella pennichella ristoratrice.
"Ho bisogno di parlare con Drake e anche subito!" Dakota si lasció cadere stancamente su una delle poltrone lasciate libere e si sfiló la scopa dalle spalle, trovando conforto nell’abbraccio con un cuscino consumato e logorato dall’umidita e dal tempo.
"Problemi d'amore, Malfoy?" Kyron ammiccò in sua direzione: sapeva della situazione in cui Dakota era stata gettata senza che avesse avuto l’opportunità di chiederlo. Lei non avrebbe voluto ritrovarsi in quel perenne disagio e disperazione che la conduceva a chiedere aiuto a Drake, ma ormai ci era dentro e Drake era la voce della sua coscienza confusa e disorientata.
"Drake ha la bocca larga a quanto vedo. Comunque si, problemi d'amore! Se cosi vogliamo definirli." Lo sguardo della Corvonero mutò, diventando sottile e indispettito. Maledetto Drake e quella sua mania di parlare anche delle sue questioni. Gli avrebbe tappato la bocca con colpi di bolidi una volta risolto il problema.
"Sei sexy con la divisa! Dovresti indossarla piu spesso." Kyron aveva voglia di divertirsi, e puntó il suo sguardo ammaliante su Dakota che - a differenza di tante ragazze, compresa Mya - rimase impassibile a quel commento. Conosceva Kyron da troppo e fin troppo bene. Quel complimento era solo un tentativo per metterla a disagio e mandare i suoi nervi in escandescenza
"E a te hanno mai detto che sei uno stronzo?" Prese bene la mira e il cuscino volò alla perfezione e con la giusta forza sul viso di Kyron che rise di gusto, avendolo colpito in pieno.
"Ragazzi qualcuno qui sta cercando di studiare!" Kenny quasi gettò per aria le pergamene che non entravano nel piccolo banco posto tra una poltrona ed un altra. Il viso aveva perso colore e i capelli erano sparati in aria: tipica immagine di uno studente in crisi.
"Perdonaci Barnabas..." Solo chiamandolo con il suo secondo nome Kenny distorse l’attenzione dall’incomprensibile materia, e lo sguardo - intriso di pura pazzia e stress - divenne infuocato d’odio. I suoi genitori non solo si erano preoccupati di regalargli una vita difficile, messo sotto pressione semplicemente ogni giorno solo perché sua madre era Daphne Greengrass, ma avevano deciso anche di rovinargli la vita affibbiandogli un nome di un vecchio antenato, cosa di cui Kyron ne godeva ormai da 17 anni e non mancava mai di ricordargli di quel piccolo particolare come un’ammenda da tener presente ogni volta che la sua ira toccava picchi incontrollabili. Un segnale per tener a bada lo spirito irascibile di Kenny, che lasciava sfuggire a causa della tanto odiata Trasfigurazione.
“Ti odio.” Dakota cercò di trattenersi dal ridere e Kyron ammiccò al cugino che ormai quasi annegava tra rabbia e voglia di strappare e fare in mille pezzi le pergamene sporche di inchiostro. Anche le sue mani portavano i segni della battaglia che stava tenendo con i compiti di quel pomeriggio. Kenny ricadde nuovamente nel suo compito che avrebbe finito entro quella sera, anche perché la McGranitt non avrebbe accettato una proroga di qualche giorno; e mentre Kyron e Drake avevano concluso molto prima di lui, Kenny avrebbe passato la notte tra candele, inchiostro e pergamena accartocciate ovunque.
Avrebbe potuto copiare da Drake o Kyron stesso, ma era troppo orgoglioso per dire “grazie” alle due vipere che presto glielo avrebbero ricordato e tartassato fino al prossimo debito da ripagare.
“Comunque, io sono qui per Drake! Dove diamine è?” Dakota guardò l’orologio che portava al polso e, notando che era quasi ora per gli allenamenti, quel pizzico di ilarità che Kyron non le aveva regalato per caso svanì immediatamente. Era nervosa, le gambe che si muovevano nervosamente ne erano la prova.
“Ho sentito il mio nome pronunciato troppe volte! Eccomi, non accalcatevi” Finalmente, dopo quasi l’urlo nervoso di Dakota Drake si mostrò uscendo dalla sua stanza, intento ad abbottonarsi i pantaloni. Dietro di lui sbucò anche Tyra, intenta ad abbottonarsi la camicia e lasciare la Sala Comune senza degnare di un solo sguardo i ragazzi che occupavano l’ingresso.
Tyra e Dakota si erano sempre ignorate e lei non aveva mai provato alcun attrattiva nei suoi confronti. Non aveva mai sentito la voglia di conoscerla o provare a conoscerla, e lo stesso era valso per Tyra per sette anni.
“Finalmente! Ho assolutamente bisogno di te. E questa cosa non mi piace per niente, ma sei l’unico che puoi aiutarmi!”Dakota si alzò rapidamente dalla sua postazione di compianto e prese Drake per un gomito, accelerando i tempi. Non poteva aspettare ancora: gli allenamenti sarebbero iniziati presto e le sue paure restavano ancora vive, ancora da risolvere i dubbi e le miriadi di pensieri che vorticavano cosi velocemente da sentire la testa completamente colma d’aria. Non riusciva a comprendere quasi nulla più; le ansie erano tante da non lasciare spazio alla razionalità, alla ragione, a risposte ponderate. In quel momento solo Drake avrebbe avuto le risposte e Dakota le voleva, subito.
“Sei alquanto agitata. Sospetto che il tuo problema riguardi un certo Regan...” Drake si accomodò con la massima tranquillità accanto a Dakota, che si lasciava inghiottire dalle ansie.
“Si e tu devi aiutarmi. Lo sto evitando da quando mi ha confessato che io gli piaccio…” Dakota spostò lo sguardo su Kyron e Kenny che avevano lasciato perdere qualunque impegno che fino a poco prima li aveva tenuti disinteressati e si erano messi sull’attenti, curiosi di sentire il problema che affliggeva Dakota, tanto da costringerla a irrompere in Sala Comune e elemosinare cinque minuti di attenzione da Drake.
“E adesso che devi riprendere gli allenamenti non sai come comportarti.” Drake si allungò verso il tavolo posto al centro della Sala e si versò della burrobirra: era troppo presto per del Whisky, anche se in quel momento Dakota ne aveva un estremo bisogno. Avrebbe sciolto i nervi e magari lasciato che tutti i problemi, che la stavano sommergendo, non le paralizzassero i muscoli e le parole.
“Ho rimandato gli allenamenti per giorni e ogni volta che lo incrocio in Sala Comune o in qualunque altra parte del Castello, scappo. Sono una maledetta codarda… “ Dakota si portò le mani al volto e il nodo alla gola stringeva così forte da farle male. Si sentiva in colpa verso Regan, non riusciva a comportarsi con naturalezza, guardarlo negli occhi senza pensare che il comportamento di quella sera era stato meschino e disonesto. Si sentiva in colpa con l’intera squadra. Perché dopo tutto quel tempo, dove l’unico suo problema aveva portato un solo nome, doveva sbucarne uno nuovo? Perché dopo tutto quel tempo Regan aveva deciso di denudarsi dei suoi sentimenti e gettarla in quella situazione in cui c’era da una parte il futuro della squadra, la loro amicizia, l’integrità dei membri stessi e dall’altra l’incertezza di Dakota, la paura di perdere nuovamente un amico prezioso a causa di stupidi sentimenti che la stavano torturando così crudelmente che si sentiva stritolare, si sentiva soffocare? E gli occhi di Kyron e Kenny puntati a lei, con iridi che trasparivano solo curiosità e un pizzico di divertimento le rendevano tutto più difficile. Drake versò della burrobirra anche nel bicchiere di Dakota e glielo posizionò forzatamente tra le mani. Non riusciva a godersi nemmeno una buona bibita calda, ma Drake fu più insistente e dovette berla tutto d’un fiato.
“Cosa devo fare? Io… mi sono sentita completamente spaesata e confusa quando mi ha detto quelle cose. Cioè cosa cavolo gli è venuto in mente? Perché io? Perché a me?” Scattò in piedi e le mani intorno al bicchiere si strinsero scaricando tutta la tensione su quel povero oggetto, che se avesse potuto parlare avrebbe urlato per il dolore. Camminava avanti e indietro, incapace di formulare un giudizio sensato, di darsi una risposta. Drake ebbe uno scambio di sguardi con i suoi due amici, che come lui osservavano Dakota nel massimo della sua instabilità e insicurezza. Poche volte Dakota Malfoy mostrava i drammi della sua età e quando lo faceva si faceva inghiottire completamente. Drake si alzò per fermarla e, con la medesima forza con cui le aveva imposto di bere la burrobirra, la fece accomodare nuovamente sul divano e fissò il suo sguardo in quello della tormentata ragazza.
"Carissima Dak, il tuo problema è solo uno: NOAH POTTER. Tu ti stai lasciando condizionare da lui da ormai tutta una vita. Tu eviti Regan solo perché hai paura che possa piacerti un’altra persona; ti senti come se stessi tradendo Noah Potter.Tu stai scappando da Regan perché hai paura che lui possa piacerti e rovinare i tuoi piani che sono stati programmati alla perfezione, e hai paura che se programmi ancora rivedrai ricadere tutto.
Ormai lo sanno tutti che sei perdutamente innamorata di Noah da quando i vostri genitori vi hanno messo a mondo, ma non sempre l'amore che provi per qualcuno è corrisposto. L'unica domanda è: vale la pena aspettare e magari rinnegare un amore migliore? Se non rischi come fai a dire che Noah Potter è l'amore della tua vita? Regan non è niente male inoltre... vuoi dire che non ti piace nemmeno un pochetto?" Drake aveva lasciato che Dakota parlasse, ma la soluzione era semplice, era stata presentata con tale semplicità che non bisognava andare a scavare a fondo; era visibile nei comportamenti e sul viso di Dakota. Inoltre non aveva detto nulla che ormai lui, Kyron e Kenny già non sapevano. Erano stati presenti quando quel giorno, quel maledetto giorno che risaliva al terzo anno di Dakota, l’avevano trovata a piangere nel bagno di Mirtilla Malcontenta. Loro l’avevano risollevata, l’avevano raccolta da quel compianto e l’avevano schiaffeggiata incitandola a resistere, a non mollare, a non lasciarsi ferire così profondamente da Noah che era stato completamente cieco e restava tale dopo due anni dall’accaduto. Solo loro erano a conoscenza del dolore che Dakota aveva assaporato, della delusione di quel primo amore svanito con troppa rudezza. E adesso vedere Dakota rinnegare uno sprazzo di felicità gettava su Drake una rabbia che riusciva a mascherare alla perfezione. Ma avrebbe dovuto controllare gli eventi e permettere che Dakota si godesse ciò che non era riuscita a fare in quei due anni a causa sua. A causa di Noah Potter.
“Certo che mi piace... cioè è un bel ragazzo. E' simpatico e mi ha sempre trattata diversamente dagli altri. E' l’unico oltre voi che riesce a tenermi testa e a contrastarmi e abbiamo tante cose in comune..." Un lieve sorriso apparve sul volto di Dakota, segno che la compagnia di Regan non le dispiaceva affatto.
"Ecco, vedi? Hai la faccia di chi pensa che quel ragazzo ha mille e una qualità per entrare nelle tue mutandine.” Drake riuscì a scansare per un soffio lo schiaffo che Dakota cercò di riversare sul suo viso e rimangiò quell’intervento poco delicato, soprattutto per la situazione.
“Ok, scusa... comunque mia cara Dakota rischia! Hai 16 anni e non faresti nulla di diverso da qualunque altra ragazza della tua età. Non sto dicendo esci e scopati il primo che capita. Ti sto dicendo esci e lasciati alle spalle Noah Potter. Lui la sua scelta l'ha fatta, e non sei tu. Perché continuare a far essere lui la tua scelta?" Fu come se Drake le avesse appena gettato un secchio d’acqua gelida addosso, senza preavviso, senza che lei potesse preparare la sua mente a resistere a quel gelo. Drake non parlava mai per compiacere gli altri: era diretto, schietto, cinico. Abbastanza da dire troppa verità che non sempre aiutava a stare meglio. Gli occhi di Dakota divennero lucidi e, come capitava poche volte, Dakota Malfoy ritornò la ragazza di sedici anni fragile e triste che teneva nascosto dietro a cumuli di granito e gelidi sguardi. Divenne piccola, fragile. Le spalle si incurvarono come se volesse chiudersi a riccio e nascondersi dal mondo. Kenny quasi sentì il bisogno di abbracciarla, ma Kyron lo bloccò in tempo: Dakota non glielo avrebbe mai perdonato.
“Hai ragione. Sono una sciocca.” Si coprì il volto nuovamente e sperò che quelle stupide lacrime smettessero di percorrerle il viso con tale rapidità da non riuscire a fermarle. Ringraziò Merlino che in Sala Comune non ci fosse nessuno. Odiava farsi vedere in quello stato, odiava uscire allo scoperto. Ma era sicura con Drake, era sicura con Kyron e Kenny. Sapeva che l’indomani avrebbero fatto finta di dimenticare tutto e non l’avrebbero guardata con tenerezza o pena.
"Dak, guardami.” Drake le prese il volto tra le mani, mostrando le lacrime evase senza consenso.
“Comportati come ti viene. Vai agli allenamenti e fai la prima cosa che ti viene di fare, senza alcuna pippa mentale. E poi se tuo padre sapesse che un Potter fa star male la sua adorabile principessa ucciderebbe tutti i Potter ancora in vita. Quindi ti conviene riprenderti, che hai un viso orribile." Drake riusciva ad essere un bastardo senza alcun senso di pena verso nessuno, poteva apparire agli occhi di tutti come privo di amore se non per se stesso. Ma pochi conoscevano quella parte del Serpeverde che teneva preservato solo a chi era riuscito a dargli fiducia e di conseguenza a ricevere l’onore di poter conoscere quel Drake tenuto sempre all’oscuro, tenuto segregato profondamente.
Dakota rise, asciugandosi le lacrime lasciate scoppiare fuori per la confusione che stava vorticando in lei. Era come non avere controllo di nulla, non era più padrona della sua vita. Stava lasciando che gli eventi la mandassero fuori rotta e perdere i suoi scopi, tenuti fermi e rigidi pur di non essere intaccata sentimentalmente.
“Ora devo andare! I poveri pivellini inesperti e stupidi hanno bisogno di me.” Drake guardò l’orologio che Dakota portava al polso, e notò che era in ritardo per il suo primo compito, responsabile,  da “Tutore”. La vendetta contro Amelié non poteva aspettare e se tardava a quel primo appuntamento avrebbe dato motivi al professor Pelois di non scegliere lui come suo assistente; e quindi non avrebbe potuto far notare ad Amelié che, per quanto lei avesse tentato di abbatterlo, lui avrebbe vinto, sempre.
“Vado anche io, mi staranno aspettando.” Anche Dakota notò l’imbarazzante ritardo e, raccogliendo la scopa deposta sul pavimento, seguì Drake fuori la Sala Comune, lasciando Kyron e Kenny completamente soli.
“Ho perso tempo ad ascoltare le sciocchezze di quei due e intanto il compito di Trasfigurazione non è nemmeno a metà dal finire.” Kenny raccolse tutti gli appunti e i libri che aveva accuratamente raggruppato con la speranza di finire al più presto quel maledetto compito che lo stava mandando in escandescenza. Kyron ritornò a stendersi sul divano e coprì il volto con la rivista sportiva di cui aveva letto solo qualche pagina.
“Potresti anche aiutarmi, dato che non stai facendo nulla!” Una delle tante penne a piuma d’oca volò in sua direzione colpendogli la testa. Lui alzò appena la rivista per guardare suo cugino che aveva l’aria di chi sarebbe esploso da un momento all’altro.
“Potrei, ma non voglio… Mi diverte vederti cosi.” Nascose il sorriso beffardo nuovamente con la rivista, e tra le lamentele e le imprecazioni di Kenny, riuscì a raggiungere il tanto ricercato riposo.
 
 
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Madison Diggory era la ragazza più anonima di tutta Hogwarts. Anche durante le lezioni i Professori faticavano per farla emergere tra gli animi caotici e esibizionisti degli altri studenti, e spesso veniva punita esattamente per quel suo perenne silenzio e titubanza di agire. Veniva punita con buoni scopi, ma lei incassava il colpo ed eseguiva la sua punizione senza ribattere, nonostante molte volte Mya l’avesse incitata a farlo. Ma lei era così: un animo tranquillo e pacato, che adorava il suo silenzio e la sua solitudine. Non amava mettersi a confronto con altre persone, perché puntualmente notava sempre qualcosa che non andava in lei, che riusciva a far mettere in risalto solo i suoi difetti; quei lati che la tenevano al di fuori da tutti. Solo in Mya aveva trovato un’amica alla quale aggrapparsi, perché, nonostante potessero sembrare tanto diverse, in fondo mantenevano la stessa semplicità che le accumunava e teneva legate.
Ma quel pomeriggio Mya non sarebbe stata al suo fianco, mentre lei si lasciava strigliare con ramanzina e derisioni da parte di qualche Tutore troppo annoiato e stanco da poterla realmente seguire. L’ultima lezione di Pozioni era stata tragica per Madison. La venuta del Professor Pierre Pelois aveva distrutto il suo anonimato lasciando che lui marcasse - anche se con sensibilità d’animo - la sua inefficienza per quella materia. Aveva cercato di spiegare al Professore che avrebbe potuto studiare da sola, ma le parole erano rimaste cementate in gola e aveva acconsentito senza poter ribattere in alcun modo. Stringeva i libri contro il petto e nella sua mente ripeteva le mille presentazioni che avrebbe potuto sfoggiare quando si sarebbe ritrovata di fronte al Tutore che l’avrebbe aiutata. Avrebbe dovuto sorridere per trasmettere simpatia? O bastava semplicemente un cenno del capo per dimostrate che anche lei, come l’anonimo Tutore che l’attendeva, era scocciata da quella situazione nella quale era stata immersa senza che potesse ribattere? Doveva salutarlo come si saluta un Professore oppure un semplice “ciao” poteva bastare? Le sue gambe erano rigide ad ogni passo e la discesa nei sotterranei fu come scendere all’inferno. L’atmosfera intorno a lei sembrava essere mutata di colpo. Avrebbe incrociato volti non noti, sguardi non amici, e sapeva che il suo silenzio l’avrebbe condotta solo a non comprendere nulla e continuare a far credere che fosse il contrario. Ricordava alla perfezione, come se fosse accaduto ieri, la prima lezione di Pozioni. Il Professore di allora, Severus Piton, aveva spiegato gli ingredienti basilari contenuti nella gran parte delle Pozioni semplici che avrebbero imparato quell’anno. Ogni volta che chiedeva se qualcuno non aveva compreso e voleva porre delle domande, puntava gli occhi scuri e malefici a lei, come se avesse compreso che l’unica studentessa a dover far uso di un’ulteriore spiegazione fosse lei. Lei che rimaneva zitta per vergogna, per timore di essere derisa dall’intera classe e anche dal Professore. Ma puntualmente ogni volta che avevano un compito da svolgere lei si ritrovava in difficoltà, incapace di capire da dove iniziare e dove finire. Era stata una sciocca: se solo avesse parlato, giunta al quarto anno non si sarebbe ritrovata con lacune tanto profonde che solo un giratempo avrebbe potuto risolvere. Ritornare nel passato e dire alla vecchia sé di non avere paura, di parlare, di chiedere qualche altro chiarimento. Ma forse nemmeno la sua nuova sé avrebbe potuto aiutare la Maddy di quattro anni prima.
Respirò profondamente, chiuse gli occhi e incitò se stessa a non lasciarsi inghiottire dalle ansie, amiche di tutta una vita.
Aprì la porta dell’aula dove ritrovò troppe persone già sedute in banchi diversi, con ragazzi e ragazze del settimo anno intenti a spiegare tutto con estrema calma e pazienza. Riconobbe qualcuno del suo anno ma non salutò nessuno perché nessuno sapeva chi fosse lei. Anche quando entrò in aula nessuno sguardo cadde su di lei, incuriosito nello scannerizzare la “nuova” arrivata. Nessuno le diede il minimo accenno di averla notata e di quel particolare ne fu grata. Rimase in mezzo alla sala per qualche minuto prima di comprendere chi fosse il suo Tutore, prima di incrociare quegli occhi che aveva cercato in ogni giorno di non riuscire mai ad incrociare. Deglutì con forza, facendosi male, sentì le mani sudare e i libri pesanti come macigni. Il destino era stato abbastanza ingiusto con lei, come la vita, avendole donato un aspetto fragile, un corpo gracile e un carattere serrato verso il mondo. Ma non riusciva a credere che anche adesso doveva essere così meschino. Perché proprio con LUI?Perché loro dovevano incontrarsi in quel modo?! Comprese che Drake sarebbe stato il suo tutore quando notò che il suo banco - sul quale era completamente stirato in una posa annoiata e stanca - era l’unico ancora vuoto. Non riusciva a crederci, non riusciva ad accettare che il Tutore che avrebbe scoperto la sua ignoranza della materia, che l’avrebbe rimproverata, che l’avrebbe derisa era proprio lui: Drake Zabini. Quante possibilità doveva mettere in conto che ciò potesse accadere? Perché non aveva pensato ad una possibilità tale? Stupida, stupida, stupida…
Non ebbe idea di come accadde, ma in un attimo si ritrovò catapultata sul pavimento con i libri stipati ovunque e gli occhi di gran parte dell’aula erano puntati a lei, completamente distesa sul pavimento di pietra umida. Sentì il volto infiammarsi e vide Drake avvicinarsi a lei, sobbalzato per averla vista cadere.
Si piegò verso di lei e, con un sorriso divertito che non si preoccupò di nascondere, le raccolse i libri.
“Stai attenta piccoletta, che rischi di romperti.” Madison ebbe un colpo al cuore così forte che le venne il singhiozzo. Si coprì la bocca con entrambe le mani e sentì il viso andare completamente a fuoco. Drake si perse in risa di gusto, che occuparono tutta la sala, e aiutò la malcapitata Madison ad alzarsi.
“Scommetto che sia tu la mia assistita...” Guardò i manuali di pozioni che Madison aveva avuto la preoccupazione di raggruppare e la Tassorosso - con gli abiti completamente sporchi di polvere - annuì con il capo. La sua presentazione aveva scardinato le sue aspettative. Era stata ridicola e ora Drake la guardava con il sorriso stampato in volto che, nonostante fosse bellissimo, Maddy sapeva che era di semplice derisione.
Stupida, stupida, stupida…
“Il professore Pierre Pelois mi ha dato qualche informazione su di te. A parte il nome…” Madison si era accomodata di fronte a lui pensando quanto fosse stata stupida da non dar conto al fatto che Drake le stesse chiedendo come si chiamava. Si voltò verso di lui e si fissarono per qualche secondo, in silenzio, mentre Drake la guardava con attenzione in attesa di sentire la sua voce, mentre Madisson aveva perso il filo e quindi non aveva colto la domanda. Aveva le labbra secche e serrate e la sua voce non sarebbe uscita nemmeno sotto tortura.
“Allora? Come ti chiami?” Drake riformulò la domanda, facendola sobbalzare e lei quasi ricadde dallo sgabello, ma la presa di Drake fu scaltra e la tenne in piedi.
“M-Madison Diggory...” Fu un grande sforzo per lei far fluire la sua voce senza che essa tremasse. Drake sorrise ancora, ma questa volta con una strana dolcezza. Non lo aveva mai visto sorridere in quel modo con nessuno. Per tutto il tempo trascorso a guardarlo, quel sorriso lo aveva visto solo poche volte e nuovamente il suo cuore fece i capricci. Corse veloce e il singhiozzo ritornò.
“Secondo gli appunti del Professore dobbiamo partire da zero.” Drake sfogliava con aria professionale il modulo che il Professore gli aveva fornito. Maddy notò che c’era tutto, anche il suo nome, e quello di Drake era stato solo un tentativo per rompere il ghiaccio perché aveva notato lo stato di disagio nel quale era completamente immersa.
“Si…” Non riusciva a formulare frasi complete. Risposte secche e rapide per poi ritornare taciturna nella sua postazione, in una posizione quasi fetale, che la teneva chiusa a tutti, soprattutto a Drake.
“Tranquilla, piccoletta. Con me sarai in grado di fare una Felix Felicis bendata e a testa in giù.” Riuscì a strapparle un sorriso. Madison non riusciva a credere che proprio Drake Zabini stesse parlando con lei e stesse tentando di metterla a suo agio. Non era frutto della sua fantasia, non era nessun cortometraggio mentale che le faceva credere che stesse accadendo. Stava accadendo davvero.
“Io sono Drake Zabini, comunque. Passerai molto tempo con me, quindi è giusto che almeno sappiamo i nostri nomi.” Allungò la mano e quella piccola e pallida di Maddy si strinse in quella di Drake. Madison aveva sempre sognato una situazione del genere pensando a ciò che ne sarebbe scaturito, immaginando lei più intraprendente, lui dolce esattamente come in quel momento. Ma non aveva messo in conto che lei non sarebbe stata mai intraprendente e che la dolcezza di lui era data solo dalla pena che in quel momento riusciva a suscitare anche in un tipo come Drake. Aveva i capelli che sfuggivano alla presa del codino, il volto pallido e ricoperto da lentiggini più stanco del solito, e titubò quando prese gli occhiali dalla borsa. Avrebbe riso ancora Drake, ma lei non riusciva a leggere la calligrafia dei libri scritti in modo tale che solo chi era dotato di una vista arguta avrebbe compreso qualche lettera. Inoltre lui aveva completamente dimenticato che prima di allora tra loro due c’era stato già un incontro. Ma Madison aveva completamente rimosso quell’incontro, perché Drake non ne aveva alcun ricordo.
 
Rimase ancora in silenzio, nonostante Drake le rivolgesse la parola con estrema tranquillità. Prese i tomi di Pozioni e li scaraventò per terra attirando nuovamente l’attenzione di tutti gli altri presenti in aula. Non se ne preoccupò, ma rimase a fissare Maddy che si era armata di pergamena, piuma e calamaio.
“Credimi non ti serviranno a nulla. Hai bisogno di imparare tutto in poco tempo e quei libri ti confondono solo le idee. Quindi ascolterai solo me e ciò che ho da insegnarti. Inoltre Pozioni è tutta pratica, quindi togli di mezzo quella roba e presta solo attenzione.” Madison, con l’aria da gufo spaesata, annuì e ripose tutto nella borsa e rimase rigida sul suo sgabello. Aveva la mente altrove, persa a contemplare la bellezza del viso del suo Tutore, quegli occhi che si alzavano verso di lei quando le parlava, quel sorriso che sfuggiva qualche volta quando Maddy lo informava di cose che magari il Professore Pelois non aveva inserito nel modulo. Era completamente persa, completamente innamorata di una persona che non la vedeva nemmeno, se non come la ragazzina dall’aria buffa caduta al loro primo incontro.
“Ma io ti conosco…” Sobbalzò nuovamente Madison, che si sentì colta in flagrante. Strabuzzò gli occhi e chiese a Drake di ripetere perché non aveva capito.
“Io ti ho già vista, se ci penso. Hai un viso molto familiare… Fammi pensare...” Si portò le mani al mento, in una posa pensante, e la squadrò con molta attenzione. In quel momento la mente di Madison iniziò a giocarle brutti scherzi. Forse l’aveva riconosciuta, forse stava per ripescare quell’incontro avvenuto alla festa di Dakota; forse non l’aveva riconosciuta per l’aspetto completamente diverso rispetto a quella sera. Forse avrebbe ricordato di averla invitata a ballare, di averle sorriso. Forse avrebbe ricordato che lei era la ragazza che aveva attirato l’attenzione - più di tutte - alla festa. Forse….
“Stai sempre appiccicata a mia sorella Mya! Ecco, sapevo di averti vista già da qualche parte.” Forse Maddy avrebbe dovuto smetterla di lasciare che la sua mente fin troppo fantasiosa cavalcasse in quel modo, e lasciare che rimanesse con i piedi ben impiantati alla realtà.
“Siamo migliori amiche…” Rispose lei con una certa incertezza. Lei considerava Mya come una sorella, ma la sua insicurezza la portava a pensare che non era lo stesso per Mya.
“Davvero? E perché ti conosco solo ora? Se sei la migliore amica di mia sorella avrei dovuto avere l’onore di conoscerti. Per fortuna abbiamo rimediato.” Le sorrise ancora e lei gli sorrise di rimando, trattenendo la voglia di urlargli che quello non era il loro primo incontro. Avrebbe potuto parlare dell’estati trascorse a Roma, una delle quali aveva ricevuto una pluffa in pieno viso proprio da parte sua. Oppure di quando dopo la fine del Primo anno, Mya l’aveva invitata a casa e aveva assistito alla lunga ramanzina che il Signor Zabini gli aveva scaricato addosso dopo che lui era rientrato la mattina dopo.
Avrebbe potuto raccontagli di tanti episodi in cui le loro strade si erano incrociate, ma preferì restare zitta e si preparò per la prima lezione.
I primi minuti li trascorsero con una piccola “interrogazione” per valutare che grado di preparazione avesse Madyson, e le poche volte in cui la Tassorosso parlò mostrò la sua incapacità nella materia.
Drake dopo quei minuti in cui aveva riso molto per la goffagine naturale della ragazza - anche nel tritare delle semplici radici - chiuse il modulo e, guardandola dritta negli occhi,serio e quasi disperato decretò il verdetto.
“Avremo tanto da lavorare, piccoletta.”
 
 
 
 
**
 
 
Kenny aveva abbandonato ogni tentativo di perfezione e aveva scritto ciò che più sapeva sull’argomento che la McGranitt aveva spiegato quel giorno. Aveva la testa completamente fumante e non solo per quella maledetta materia che ogni anno diveniva sempre più incomprensibile. Voleva credere che quell’incapacità, maturata soprattutto nell’ultimo periodo, fosse solo una sua mancanza di attenzione; ma la piccole voce della sua coscienza continuava a ripetergli un nome che avrebbe preferito non pronunciare. Erano due anni ormai che il volto di Bree lo seguiva ovunque, e quegli occhi… Non riusciva a strapparli via dalla mente. C’era tutto da scoprire dietro a quello sguardo, e lui da due anni era curioso di trovare e mascherare ogni piccolo segreto, conoscerla così alla perfezione da poter dire di conoscerla solo lui. E invece… doveva accettare di vederla accanto ad uno stupido come Liam Martinèz. Doveva accettare di non potersi svegliare con l’idea di raggiungerla ovunque si trovasse. Non lo lasciava andare, nonostante lui avesse decretato al mondo che Bree Potter era sparita completamente dai suoi pensieri. Ma ogni giorno risentiva quella vocina e quella voglia di dirlo anche a lei che non era così, che non sarebbe stato mai così.
Passeggiava nel Castello con lo sguardo sconfitto di chi le aveva provate tutte, fallendo miserabilmente ogni volta; e non si riferiva al compito di Trasfigurazione. Aveva il capo basso e non diede alcuna attenzione a nessuno, se non ai suoi passi che non trovavano alcuna fine. Voleva camminare e lasciarsi alle spalle Bree, voleva svegliarsi e pensare che lei non fosse mai entrata nella sua vita. Riusciva a condizionare la sua vita nonostante non ne facesse parte come voleva lui. Riusciva a condizionarlo in qualunque modo nonostante lei non lo avesse mai chiesto, non avesse mai decretato che quello fosse il suo volere.
Sbuffò stancamente e scaricò tutta la sua rabbia su un muro qualsiasi. Le nocche della mano sinistra si graffiarono e iniziarono a sanguinare debolemente; un taglietto da niente a confronto a ciò che doveva sopportare ogni giorno alla vista di Bree Potter, la sua Bree Potter, con l’idiota di Liam. Sarebbe durato solo un anno e poi avrebbe lasciato tutto alle spalle, anche se la vocina della coscienza gli suggerì anche un piccolo particolare che avrebbe voluto tenere all'oscuro: Lui non voleva lasciarsi Bree Potter alle spalle, voleva che ci fosse nella sua vita, dopo tutto, sempre, anche dopo Hogwarts, durante e dopo quella spensieratezza che i 17 anni si portavano ancora addosso.
Voleva Bree, sapeva di volerla come un capitano di una squadra di Quidditch desidera la Coppa.
Sentì dei passi che con una certa fretta cambiarono direzione e istintivamente alzò lo sguardo. Bree gli dava le spalle e sembrava correre lungo il corridoio, come per scappare da lui. Fu rapido ed istintivo ciò che fece: la rincorse e la raggiunse .
“Bree, aspetta!” Bree sembrò vedere un fantasma e ritornò a camminare con passo veloce, cercando di ignorare la sua presenza. Ma Kenny non demorse e le si parò davanti, continuando a camminare perché lei non si apprestava a fermarsi. Aveva lo sguardo impiantato a terra, priva di intenzioni di avere un qualsiasi contatto con Kenny. Ma lui non demordeva, restava di fronte a lei, non lasciando perdere quell’indifferenza che lo aveva distrutto per tutti quei giorni.
“Kenny non dovresti essere qui.” Cercò di superarlo ma il Serpveverde fu più rapido, e stringendola per le spalle frenò il suo tentativo di fuga e la fermò contro la parete.
"Voglio solo parlarti e chiarire la situazione tra di noi.” La presa non era forte ma l’espressione di dolore di Bree fece arretrare Kenny, che temette di essere stato troppo brusco.
“Non c’è nessuna situazione e adesso tu devi andare via.” Bree si guardava intorno con la paura viva stampata in volto, che quella giornata sembrava più provato del solito. Era stanca, lo si poteva notare dalle leggere occhiaie che le circondavano gli occhi chiari e il sottile viso sembrava annegare in quella stanchezza tanto da essere pallido, quasi morto.
“Volevo solo dirti che non devi temermi. Non ho alcuna intenzione di disturbare la tua felicità. Se hai deciso di stare con Liam, io lo accetto e non intaccherò i vostri piani o la vostra relazione. Ma non voglio negarmi di esserti amico.” Bree fece scivolare lo sguardo su Kenny e improvvisamente i suoi grandi occhi si riempirono di lacrime, scivolando lungo la parete e chiudersi a riccio sul pavimento. Kenny si sentì improvvisamente spaesato: cosa aveva detto per provocare una reazione del genere? Perché Bree era così strana?
Si inginocchiò di fronte a lei e scostandole i capelli cercò il suo sguardo.
“Bree… cosa è successo?”
“VATTENE KENNY! DEVI ANDARTENE E NON VOGLIO PARLARE CON TE. VAI VIA, SUBITO!”Ebbe uno scatto di rabbia, i nervi le fecero alzare il volto e iniziò a tremare quasi incontrollabilmente. Kenny non sapeva cosa avesse e non aveva idea di come comportarsi. Si sentiva completamente privo di soluzioni mentre lei piangeva a singhiozzo.
“Bree ma cos’hai? Con me puoi parlare.” Aveva paura, una paura che gli gelava le ossa, gli paralizzava i tendini tanto da non lasciarlo muovere. Voleva sapere perché Bree stesse reagendo in quel modo e istintivamente la prese per le spalle, delicatamente, ma il suo tocco la fece sobbalzare come se avesse stretto troppo.
Bree iniziò a massaggiarsi il braccio come se fosse stata appena colta in flagrante, e in lui iniziò a sorgere un leggero sospetto. Lui sapeva di averla appena toccata, anche prima. Qualcosa non andava e Kenny - senza chiedere - prese il braccio di Bree, che cercò di svincolarsi dalla sua presa, e le alzò la manica della camicia per rivelare la causa del dolore.
Un enorme livido violaceo copriva il braccio, come se prima delle mani di Kenny ci fossero state altre mani che avevano stretto con troppa foga tanto da causarle quel danno.
“Bree, che diamine è questo? Chi è stato?” La rabbia salì all’apice, il viso di Kenny divenne paonazzo e iniziò a tremare, scosso solo dalla rabbia. Ebbe un unico nome che raggiunse la sua consapevolezza. Un unico nome che Bree non avrebbe mai pronunciato.
Divenne isterica, e con  lievi schiaffi lo allontanò da lei. Con rapidità si alzò dal pavimento.
“NON OSARE AVVICINARTI A ME, KENNY!” Gli urlò contro con pura rabbia e, paralizzandolo con le parole, lo lasciò lì senza una risposta, senza permettergli di capire. Scappò via e Kenny si sentì completamente privo di soluzioni, tanto da restare lì, con le gambe tremanti.
 
 
**
 
 
Ameliè scivolò fuori il letto e si diresse verso lo specchio della sua stanza, pronta a rivestirsi. Era quasi ora di cena e doveva recarsi in Sala Grande prima che Kyron - che la fissava distrattamente mentre lei raccoglieva gli abiti sparsi per la stanza - si incamminasse e raggiungesse i suoi amici. Dovevano destare meno sospetti possibili, e il terrore di entrambi era che il prossimo articolo di Maggie May potesse riguardare quella relazione che avrebbe fornito ad entrambi un visto fuori da Hogwarts immediato.
Ameliè si guardava allo specchio sistemandosi alla perfezione, prima di scendere a cena, mentre Kyron la circondava con lo sguardo apprezzando le curve perfette ma non riuscendo a cogliere nessuna poesia nei suoi gesti.
Il loro era semplicemente sesso, delle voglie consumate in poco tempo, che dopo l’amplesso ritornavano ad un vuoto che non li teneva stretti tra le coperte. Kyron aveva bisogno di aria, aveva bisogno di vederla sgusciare via dal letto e avere lo spazio per sé, per stiracchiarsi e recuperare le energie perse tra quelle lenzuola; e lei doveva ritrovare la sua forma perfetta, candida, elegante e discostata dal mondo. Dovevano rivestirsi non solo degli abiti, ma anche dell’indifferenza che si sarebbero rivolti una volta fuori quella stanza.
“Kyron, volevo chiederti una cosa...” Ameliè non gli rivolgeva alcun attenzione, concentrata a rifarsi il trucco alla perfezione. Il suo accento Francese nei primi tempi era parso sexy, ma Kyron dopo troppo tempo trascorso ad ascoltarlo ne aveva fatto l’abitudine tanto da ritenerlo banale.
“Dimmi” Si stiracchiò nel letto, affondando con la testa nei cuscini e respirando un po’ di aria dolce che proveniva dalle candele quasi consumate poste per la stanza. Sentiva la stanchezza suggerirgli di dormire, ma aveva appuntamento con Drake e Kenny e non poteva restare lì. Non voleva.
“Tu e la pètite Zabini… siete ritornati intimi.” Lo sguardo di Ameliè scivolò rapido verso Kyron per individuare la sua reazione che fu sospetta: Spalancò gli occhi come fulminato da un’accusa, ma ritornò subito “normale”, chiudendo nuovamente gli occhi e fingendosi indifferente. Ameliè si voltò rapida, non riuscendo a trovare indifferente quella reazione.
“Dovrei preoccuparmi, mon cher?” Si appoggiò alla toilette dove stava sistemando la sua immagine e gli occhi chiari, intrisi di desiderio e presunzione che riusciva a nascondere dietro a maschere di finto buonismo, si assottigliarono per guardare Kyron con sospetto.
Kyron aprì l’occhio sinistro per osservare Ameliè con stampato sul volto un sorriso che sembrava più di fastidio che di una gustosa rivelazione.
“Preoccuparti di cosa, Ameliè?” Si alzò dal letto, non preoccupandosi di uscire completamente nudo. Lo aveva guardato senza alcun velo per giorni, e inoltre Ameliè non provava imbarazzo per così poco.
“Non saprei. Sai, non credo in quello stupido giornale che avete qui ad Hogwarts. Ma le voci girano e molte volte c’è sempre un pizzico di verità in quelle voci.” Kyron la guardava con aria indifferente, ma sentire il nome di Mya ormai gli procurava un certo fastidio. Doveva spiegare ad Ameliè che non c’era nulla tra loro anche se non si sentiva in dovere di farlo, perché se anche ci fosse stato qualcosa lei sarebbe stata l’ultima persona alla quale dare spiegazioni. Non doveva giustificarsi con lei, lei che non era nessuno; lo avevano stabilito una volta iniziati quegli incontri. Lo avevano decretato come un contratto che non poteva essere violato.
“Allora non ascoltarle. E poi non vedo motivo per cui dovresti preoccuparti. Anche se fosse, noi non stiamo insieme.”Kyron con tranquillità diede voce ai suoi pensieri e appoggiò le mani sulla toilette circondandola, in modo da sfiorarle il corpo di Ameliè con il suo. Ameliè respirò profondamente, sentendo il suo odore invaderla tutta. Il suo corpo ancora caldo e sudato per poco prima.
“Io odio dividere le mie cose con altri, Kyron.” Puntualizzò lei, puntando lo sguardo verso il basso e notando che Kyron non aveva alcuna intenzione di lasciarla andare.
“Ma io non sono una tua cosa, Ameliè. Quindi se decidessi di finire questa cosa tra noi sarei libero di farlo tranquillamente.” Voleva gettare il discorso altrove, non gli andava di parlare di Mya con lei. Non voleva che in una situazione del genere il nome di Mya venisse pronunciato; era come infangarlo e lei non lo meritava.
Iniziò a baciarle il collo e le spalle ancora scoperte e, quando lei provò a ribattere, puntò sui seni, zittendola completamente.
“Dicevi?” Ritornò a guardarle il viso arrossato per il piacere di sentire le sue labbra sollecitarla delicatamente e lei sorrise, intenzionata a farlo continuare.
“Nulla…” Gli prese il capo tra le mani e lo avvicinò a sé, baciandolo irruentemente. I trucchi sparsi sulla toilette si frantumarono a terra mentre Kyron con poco sforzo vi adagiava Ameliè sopra. Avrebbero atteso Kenny e Drake, Kyron avrebbe tardato ancora per molto.
 
 
**
 
 
 
 
“Ottimo ragazzi. Siamo rimasti fermi per un po’ ma non abbiamo perso il ritmo.” Dakota atterrò nel campo e sorrise ai suoi giocatori con l’adrenalina che ancora fluiva nelle vene. Guardò tutti ad uno ad uno e il suo sguardo si soffermò su Regan che, a differenza degli altri, aveva lo sguardo puntato sul prato. Non l’aveva guardata per tutti gli allenamenti, era rimasto attento solo alle sue direttive, ma mai una volta le aveva sorriso o incitata come era solito fare.
Dakota ne aveva risentito, aveva sentito il vuoto che la sua indifferenza le stava procurando. Ma non aveva parlato, aveva solo impartito gli schemi che avevano studiato attentamente prima di iniziare gli allenamenti. Era stato tutto molto schematico e indifferente e Dakota aveva permesso che quell’indifferenza la influenzasse.
“Ci vediamo settimana prossima. Se andiamo avanti così quest’anno la coppa sarà nostra.” Un boato di eccitazione si levò nell’aria, facendo sentire Dakota viva come solo la sua squadra riusciva a fare. Come se le lacrime di ore prima non fossero state versate, come se Noah Potter fosse solo un ricordo lontano e indifferente. Forse Drake si era riferito esattamente a quello: comportarsi come le veniva, lasciarsi guidare dalle emozioni; e in quel momento era estremamente felice. Doveva lasciarsi guidare da quella felicità, da quell’adrenalina che saliva lungo la schiena e le solleticava il ventre.
“Ora andatevi a lavare.” Cacciò i suoi compagni con il sorriso ancora stampato in volto, la gioia che ancora fluiva ovunque, la felicità di essersi lasciata andare, di non aver lasciato che Noah Potter le recasse solo turbamento ed espressioni tristi.
“Ciao Dak!” Alexander la salutò come suo solito: Stringendola forte in un abbraccio di sudore e amore. Dakota si lasciò stritolare, non riusciva a sentire alcun fastidio quando era con loro.
Anche gli altri la salutarono calorosamente, solo Regan alzò la mano silenziosamente e si unì agli altri. In quel momento Dakota sentì le parole di Drake tamburellarle la testa. Continuava a sentire ripetersi il discorso ascoltato nella Sala Comune, continuava a rivedere Noah Potter abbracciato con Alyson, continuava a sentirsi debole e tradita e sembrò come se fosse stata mossa da qualcun altro, spinta a reagire per una volta nella sua vita.
“Regan, aspetta.” La voce si spense immediatamente, come se avesse ritrovato i motivi che la spingevano a non parlare. Ma era troppo tardi per ritornare indietro: Regan si era già voltato, e aveva perso il resto della squadra.
“Dimmi.” Era distaccato il suo tono di voce, era ferito e non riusciva a non guardarla con quell’aria dispiaciuta. Dakota si sentiva in colpa, si sentiva meschina e colpevole. Non poteva essere tanto egoista da cercare di rimediare al danno causato settimana prima. Non poteva tenere fermo Regan con la speranza che forse tra loro poteva nascere qualcosa. Si ritrovò nuovamente a vorticare in quell’oceano di insicurezze e paure. Ritornò a lasciarsi affogare da quell’incertezza che non le suggerì alcuna parola. Ma doveva parlare, perché aveva dato avvio a quella situazione e adesso doveva concluderla.
Respirò a fondo e strinse la presa intorno alla sua scopa da corsa, sperando che le inculcasse sicurezza e forza; ma il modo in cui la guardava Regan, la spiazzava.
“Io, volevo parlarti, si… Volevo parlarti di è quanto successo la settimana scorsa e…” Iniziò a grattarsi ovunque: capo, braccia; gli occhi erano piantati a terra e non riusciva a parlare. Cosa le passava per la testa? Cosa aveva da dirgli? Regan si appoggiò alla sua scopa e la fissava, adorando quel modo impacciato. Non importava cosa gli avrebbe detto, a lui bastava solo guardarla quando si smascherava di quella rigidità e diventava la ragazza timida che aveva sempre odiato di mostrare.
“Io non so cosa c’è tra noi, e cosa potrebbe esserci se… insomma… iniziassimo qualcosa. E non so come si inizia qualcosa. Non saprei come comportarmi, non sono brava e sono un disastro nelle relazioni sociali, non riesco a vedermi nemmeno in una relazione amorosa… Oddio non possiamo parlare di amore perché ancora deve accadere nulla, e non so nemmeno come chiamare questa cosa che se chiamo cosa perde di valore e non è assolutamente cosi...”
“Dak usciresti con me?” Regan sentiva il disagio di lei e non voleva assolutamente che Dakota si sentisse in quel modo con lui. Voleva che Dakota trovasse in lui un modo per comportarsi naturalmente senza dover etichettarsi, senza costrizioni. Il suo discorso nel delirio era stato chiaro e Regan puntò esattamente dove lei avrebbe voluto puntare. Dakota alzò lo sguardo arrossato di imbarazzo e, con il sorriso che le mutò completamente il volto, annuì. Sembrava una bambina, una dolce bambina che aveva appena accettato di andare alle giostre o di mangiare delle cioccorane. Regan non voleva chiarimenti del perché non avesse accettato prima, non voleva metterla in nessun modo a disagio, continuava a mantenere quell’atmosfera di tranquillità che le avrebbe regalato sempre e non solo ora. In cuor suo sentiva i fuochi d’artificio, sentiva i tamburi scuoterlo completamente, sentiva l’animo tremare. Ma si finse impassibile e, avvicinandosi, coronò quella prima prova con un leggero bacio sulla guancia.
Semplice, tenero, senza alcuna doppia intenzione.
“Ci vediamo settimana prossima, Dakota” Le carezzò il volto, nonostante il desiderio di baciarla bruciava come febbre. Ma si trattenne. Avrebbe dato a Dakota tutto il tempo di cui avrebbe avuto bisogno.
Le voltò le spalle per recarsi agli spogliatoi, e Dakota non sentì alcuna colpa. Per la prima volta in quegli anni trascorsi a compiangersi si sentì FELICE.


 
 
Angolo Autore:
Eccomi con un nuovo capitolo fresco fresco! Finalmente e anche io dico FINALMENTE, Maddy si è fatta notare – non nel migliore dei modi - ma si è fatta notare. Ho messo qualche scena “Hot” perché alla fine appunto Kyron e Ameliè non passeggiano nei prati ma fanno ben altro ed era giusto che avessero una scena tutta loro dove INTENDESSI BENE ciò che fanno nelle ore trascorse insieme.
Poi ovviamente per il resto lascio a voi i commenti.
Non finirò mai di ringraziare chi mi sta seguendo e chi recensisce con tanta foga! Vi ringrazio e spero che anche quest’ennesimo capitolo cada nelle vostre aspettative.
Non so quando ci “rivedremo” ma io spero il più presto possibile.
Un abbraccio caloroso e “azzeccuso”
Medy <3
 
 
 
  
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