Si avvicinò alla finestra, osservando il turbinio degli ombrelli colorati dei passanti, gli stivali di gomma inzaccherati dei bambini, le gocce che rotolavano rincorrendosi sulla superficie trasparente. Lasciò che il proprio respiro creasse una condensa sul vetro, per poi tracciare una D dai contorni incerti. Sorrise, prima di cancellare quella lettera, sentendosi una stupida adolescente innamorata.
Non vedeva l’ora che Draco arrivasse, sebbene mancassero ancora un paio d’ore. In realtà non facevano mai niente di speciale, loro due. Se ne stavano per lo più rintanati nell’appartamento, troppo spauriti per uscire finalmente allo scoperto, lasciandosi riscaldare dai tiepidi raggi del sole. Qualche volta si sfioravano, prima di retrocedere confusi ed imbarazzati. C’erano delle giornate in cui fremevano uno di fianco all’altro, e tale tensione li rendeva sgarbati ed impazienti. Allora, tra sospiri interrotti e capelli scarmigliati, lasciavano che le mani parlassero da sé, accarezzandosi timidamente e, quando la passione non lasciava spazio alla ragione, baciandosi. I loro baci erano aggressivi, frementi, trasudavano violenza e desiderio di possesso. In più occasioni, Harry aveva assaporato il gusto metallico del sangue nella sua bocca, regalo di un morso ben assestato di Malfoy.
Non si erano mai spogliati l’uno di fronte all’altro. I loro corpi, le cicatrici che li adornavano, erano mausolei eretti in ricordo del loro passato, un passato da cui intendevano fuggire. Portavano sulla propria pelle i segni di una giovinezza calpestata troppo in fretta, la prova tangibile di ciò che erano stati: NEMICI. Entrambi desideravano dimenticare, liberarsi dell’opprimente fardello rappresentato dagli anni della Guerra; soltanto così potevano avvicinarsi. Si concentravano sul presente, perché i ricordi li avrebbero annientati.
Il loro era un legame troppo fragile, imbevuto di sensi di colpa e recriminazioni silenziose. Il motivo di tale stallo, dell’insanità del loro rapporto, campeggiava sull’avanbraccio del Signorino Malfoy. Il marchio nero era un ospite indesiderato che si insidiava tra di loro, benché fosse sempre accuratamente celato dalla manica della camicia. Non ne avevano mai parlato, ovviamente. Le loro conversazioni erano paragonabili ad un campo minato: una parola pronunciata con leggerezza e sarebbe esploso tutto.
Ma tutto cosa? Si chiese Harry, improvvisamente malinconico. Che cos’erano, in fin dei conti, lui e Draco? Amici, fidanzati, amanti? Che cosa sarebbe accaduto quando avrebbero smesso di leccare le ferite l’uno dell’altro e si sarebbero affacciati, mano nella mano, nella comunità magica? Harry, esattamente come gli aveva consigliato Hermione, smise di torturarsi. Dopo tutto, qualunque cosa sarebbe successa, i suoi amici non l’avrebbero mai lasciato da solo a raccogliere i cocci.
Harry sapeva di essere immensamente fortunato. Quando aveva confessato alla sua migliore amica la sua vera natura, lei gli aveva tenuto stretto il braccio, ascoltandolo con attenzione. Non era inorridita, né l’aveva ripudiato quando le aveva bisbigliato quel nome. Era rimasta interdetta, certo: ma poi si era subito ricomposta, dichiarando di averlo sempre saputo. Avevano ridacchiato insieme, ricordando l’ossessione di Harry del sesto anno, quando la sua vita sembrava gravitare solo intorno a Draco. “Rinunciavi agli allenamenti di Quidditch per lui, Harry! Preferivi pedinarlo per ore ed ore, invece di stare con me e Ron!!” ricordò divertita Hermione. Ma poi l’allegria degli aneddoti sfumò nelle lacrime: piansero insieme , lui ed Hermione, abbracciati stretti. Tra i singhiozzi, l’amica di sempre gli aveva sussurrato: “Io voglio solo che tu sia felice Harry.”
Ma Draco avrebbe avuto la stessa fortuna, quando i suoi sentimenti avrebbero scalpitato per emergere? Una persona in grado di sorreggerlo, comprenderlo e sostenerlo nel lungo e tortuoso cammino dell’accettazione? Harry non ne era così convinto.
Per l’ennesima volta, si chiese irritato perché la Willowitch non avesse un camino o un punto di smaterializzazione come le persone normali . Ma d’altronde, lei non era normale. Riusciva sempre a penetrargli nel cervello in modo inquietante, portandolo ad approdare a verità e certezze che non sapeva neppure di possedere dentro di sé.
Chissà che cosa avrebbe detto di quanto accaduto tra lui e Pansy. Al pensiero di quella gattamorta, Draco rabbrividì. La Parkinson, da quando avevano condiviso il letto, si era autoproclamata sua fidanzata ufficiale. Gli ronzava sempre intorno adorante, stordendolo con le sue moine ed il profumo dolciastro. I suoi genitori erano ovviamente felicissimi ed avevano ripreso a guardarlo con orgoglio, come se – finalmente – fosse degno della famiglia. Draco aveva sopportato stoicamente per qualche giorno, prima di sentire pronunciare l’infausta parola “Matrimonio”. A quel punto, esasperato, aveva smorzato l’entusiasmo generale, sottolineando la propria totale contrarietà.
Lui non si sarebbe mai sposato. Punto.
Nessuno, però, sembrava averlo preso sul serio.
Draco entrò come una furia nella stanza, quasi travolgendo Columbine.
“Ho fatto una enorme stronzata!” proclamò esasperato, prima di lasciarsi cadere in modo melodrammatico sulla poltrona.
“Buongiorno anche a te” rispose laconicamente la Willowitch, nascondendo un sorriso per l’atteggiamento da primadonna del suo paziente.
Credo che il titolo sia già di per sè esplicativo: "Sensi di colpa e recriminazioni silenziose".
Si amano, si desiderano terribimente, ma il loro legame è osteggiato da una serie di componenti: il passato, ciò che sono stati ed il futuro, ciò che sarà di loro.
Il tutto complicato dal comportamento di Draco, che ha compiuto un passo falso dalle conseguenze potenzialmente letali.
Spero che continuerete a seguirmi ed a recensire come avete sempre fatto.
Grazie mille di cuore, a presto